16. La canzone-orgasmo
Punto 1: il titolo ha un senso e non è solo per ridere.
Punto 2: la canzone dovete farla partire solo a fine capitolo, ma lo capirete da soli quando ;-)
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Per tutta la settimana seguente io e Alex ci parlammo a malapena, e io mi sentivo sempre più sconcertata dal suo comportamento e da quella reazione esagerata nata per quella che in fondo altro non era che una stupidaggine. Alex era geloso di qualcosa che nemmeno esisteva.
Beh, a essere sincera, quella specie di bacio rubato fuori dalla classe non me l'ero di certo dimenticata, ma Alex non poteva saperlo, di conseguenza tutta la sua gelosia era completamente immotivata.
A riguardare i fatti in un'ottica più matura, probabilmente al tempo sbagliai tutte le mie mosse successive al giorno in cui io e Alex litigammo; infatti, durante la settimana seguente in cui Alex a malapena mi rivolse la parola un paio di volte davanti alla Coppia giusto per mimare una pseudo normalità, io feci esattamente quello che non avrei dovuto fare per non peggiorare la situazione: e cioè, stare sempre più insieme ad Andrea.
Andrea era un tipo molto simpatico e decisamente interessante nel suo essere misterioso ma non tenebroso, e con lui riuscivo a trovarmi in accordo su parecchi argomenti di conversazione che accomunavano la nostra visione della vita, senza contare che avevamo gli stessi gusti musicali; così, mentre Alex non mi parlava più e all'intervallo o sullo scuolabus si era aggregato nuovamente ai suoi amici fingendo che io non esistessi, io passavo il mio tempo con Andrea in cortile a fumare, oppure lo guardavo fare i versi dietro al prof di matematica durante la lezione. Di tanto in tanto mi mandava qualche messaggio sul telefono ma mai niente di compromettente o allusivo: erano tendenzialmente impressioni su film che vedeva oppure a proposito di nuovi cd musicali appena acquistati; ma più spesso ancora i suoi messaggi contenevano battute o barzellette. Andrea poteva sembrare a prima vista un tipo misterioso e non eccessivamente loquace, però aveva un gran senso dell'umorismo e in quei giorni, mente soffrivo nel vedere Alex così distante, era proprio quello che mi serviva. Per di più, dopo la questione bacio rubato, entrambi sembravamo essercene dimenticati e lui si comportò con me in maniera a dir poco irreprensibile.
L'unica cosa che mi portava avanti nei giorni senza la presenza costante di Alex era l'idea che a breve ci sarebbe stato il suo sedicesimo compleanno e io speravo che, con il mio regalo della felpa di Michael Jordan e la serata senza i suoi genitori tra i piedi visto che sarebbero dovuti partire il giorno prima, forse avremmo potuto riappacificarci.
E per riappacificarci avevo tutta una lunga serie di idee da poter mettere in atto, tra le quali una surclassava tutte per la sua importanza; e non credo serva aggiungere nient'altro...
Dopo tanto aspettare e chiudermi in me stessa, osservando Alex da lontano e fingendo dolorosamente di non averlo più accanto a me, la fatidica sera del suo compleanno arrivò; Alex era seduto sul divano a mangiare la sua pizza surgelata davanti a una partita di NBA registrata; quando i suoi non c'erano, allora mangiava sul divano per starmi lontano. Quel comportamento mi faceva imbestialire oltre ogni modo.
Sapevo di essere perfettamente dalla parte della ragione, che lui non avrebbe mai dovuto chiedermi e impedirmi di parlare innocentemente con un'altra persona perché non è giusto, perché non avevo bisogno di una guardia del corpo e perché la sua gelosia era oltre ogni modo immotivata.
Con tutta probabilità, però, se lo avessi preso in maniera più morbida e affettuosa e se avessi cercato un modo per chiarirci invece che chiudermi in me stessa, le nostre divergenze si sarebbero appianate prima; e invece io non facevo altro che rimandargli indietro come uno specchio i suoi silenzi e il suo evitarmi, risolvendo solo di allontanarci l'un l'altro ancora di più.
Così la sera del suo compleanno, dopo aver passato la giornata completamente divisi a causa dei suoi allenamenti di basket che si erano protratti per tutto il tempo possibile pur di restare in casa da solo con me il minimo tempo indispensabile a cenare e chiudersi poi in camera sua, io stavo finendo la mia cena osservando la sua nuca spuntare dal divano.
Quella situazione era ormai diventata oltremodo insostenibile, così mi stavo già per alzare in piedi e mettermi tra lui e la televisione per affrontare finalmente la questione una volta per tutte quando, anticipato dal potente abbaio di Nana, il campanello squillò.
Per la prima volta in parecchi giorni gli occhi di Alex incontrarono i miei e si decise di rivolgermi la parola. In tono piatto e monocorde, ma almeno finse di accorgersi della mia esistenza. « Aspetti qualcuno? »
Alzai le spalle e sospirai avvicinandomi alla porta, intimamente sollevata di quel piccolo passo di riconciliazione che avevamo fatto.
« Sì? » chiesi al citofono.
« Sono Luca, piccola e dolce Sara », cantilenò la voce dell'amico di Alex al citofono, palesemente ubriaco già alle nove di sera.
Chiamai Alex e gli porsi il citofono senza dire nulla.
« Che cazzo ci fai qui? » domandò divertito.
Sentivo un gran baccano arrivare dall'apparecchio e Alex scrollò la testa con il sorriso. « Ok, arrivo, ma se rompete qualcosa vi uccido ».
Alex afferrò la sua giacca e prima che uscisse gli chiesi cosa stesse succedendo. « Mi hanno fatto una festa a sorpresa. Vado a chiudere Nana nel recinto, tu è meglio se ti cambi, credo ci siano una trentina di persone là fuori », disse squadrandomi dalla testa ai piedi.
Indossavo il mio pigiama di flanella e avevo i capelli spettinati; se fosse stato per me, avrei accolto quei cretini dei suoi amici esattamente come ero, avrei fatto loro un bel dito medio e mi sarei rinchiusa in camera mia senza più uscirne. Ma così non feci, e per due motivi: il primo fu lo sguardo di sufficienza che Alex mi aveva appena riservato e che mi fece irritare all'inverosimile; e il secondo motivo arrivò a toccarmi le corde dell'orgoglio femminile quando mi affacciai alla finestra per osservare il gruppo di persone in attesa fuori dal cancello: oltre ai suoi amici e compagni di basket, individuai anche parecchie ragazze, tutte ben svestite ed eleganti nonostante il freddo pungente, e tra queste notai immediatamente i capelli biondi di Susan, che svettava per la sua altezza e i suoi tacchi vertiginosi nel suo vestitino elegante nero che così poco c'entrava con le bassissime temperature di gennaio.
Corsi allora in camera, in parte incazzata perché i miei piani per la serata erano saltati, in parte felice per Alex visto che almeno avrebbe avuto la sua festa di compleanno, e in parte determinata a farmi vedere il più carina possibile da lui. Alex mi aveva visto nei miei momenti peggiori, dall'influenza intestinale al moccio al naso per intenderci, e volevo farmi bella per lui per fargli capire che ci tenevo davvero a contare di nuovo qualcosa nella sua vita e che io amavo soltanto lui e nessun altro, così da piantarla con quella stupidaggine della gelosia immotivata.
Che ragionamento stupido, no? Come se io fossi davvero convinta che Alex avesse potuto smettere di amarmi nel giro di una settimana e che solamente facendomi vedere carina lo avrei riconquistato.
Stupidi ragionamenti veicolati dai film romantici idioti di serie b.
Una volta in camera, buttai il muso nella parte buia e sconosciuta dell'armadio, quella con gli unici capi eleganti che possedevo da tempo immemore e mai usati; scelsi un vestito nero lungo a metà coscia, il più corto che avevo, con le maniche lunghe in pizzo che arrivavano ad arricciarsi fin sul dorso delle mani e lasciavano una buona parte della schiena scoperta. Ad essere sincera, non sapevo nemmeno che cosa ci facesse quel capo d'abbigliamento nel mio armadio; forse era un vecchio regalo, ma non ricordavo assolutamente di chi fosse.
Indossai la collanina che Alex mi aveva regalato a Natale, pettinai i mie corti capelli con cura per togliere tutti i nodi e provai a mettere un po' di gel sulle punte per renderli più sbarazzini come piacevano a me; e infine, arrivai alla parte più ardua: il truccarmi, attività questa assolutamente sconosciuta. Tirai fuori una vecchia trousse, anch'essa l'ennesimo regalo mai usato, e provai a ingegnarmi in qualche modo per rendermi il più carina possibile; "Fanculo, in tutte le storie c'è sempre l'amica esagitata che ti chiama stronzetta e che la sera più importante della tua vita ti aiuta a vestirti e truccarti; perché io non ce l'ho?" borbottai nella mia testa; ma dovetti poi rispondermi immediatamente con sincera onestà che, se mai avessi avuto un'amica del genere e questa mi avesse chiamato anche solo una volta stronzetta, le avrei probabilmente fatto saltare un incisivo con un mio pugno; e quindi, mi sarei dovuta sempre truccare e vestire da sola.
Mi guardai allo specchio e ammisi a me stessa che in fondo non ero mica male: nel mio essere minuta trovavo armonia, i capelli quasi neri erano sani, lisci e lucidi, la pelle chiara con qualche rada lentiggine sul naso non aveva quasi imperfezioni, la bocca piccola e carnosa e i miei occhi cerulei avevano un loro perché; certo, non erano gli occhi azzurri da lago di montagna incontaminato di quella stronzetta di Susan, ma sicuramente facevano il loro effetto nell'insieme; con la trousse in mano nemmeno fossi un fottutissimo Van Gogh e con la concentrazione degna di un dottore impegnato in un'operazione di neurochirurgia, applicai un po' di fard sulle guance e un semplice lucidalabbra rosato per contrastare con il colore dei miei occhi; ancora non volli cimentarmi nella questione ombretti, matite o mascara: ero ancora troppo inesperta per quello ed ero certa che avrei sicuramente combinato dei danni.
Il mio telefono prese a squillare mentre cercavo di infilarmi le scarpe da ginnastica; ovviamente non avevo scarpe con il tacco, magari avrei dovuto aspettare qualche altro Natale e qualche altro regalo, così mi sarei dovuta arrangiare in qualche altro modo, e scendere scalza non mi sembrava un'idea grandiosa. Risposi alla chiamata di Andrea tenendo il telefono contro la spalla mentre mi infilavo le scarpe saltellando in giro per la stanza.
« Qualcosa mi dice che c'è una festa a casa tua », esclamò quasi dovendo urlare per il rumore che sentivo circondarlo.
Sorrisi divertita. « Sei qui anche tu? » domandai.
« Sì, mi sono imbucato. Ma tu non ci sei? È casa tua eppure non ti vedo ».
« Sono in camera a vestirmi; un minuto e scendo », spiegai.
Qualcuno bussò alla porta e io gridai di aspettare un momento; se era Alex, volevo che mi vedesse solamente una volta che fossi pronta.
« E quindi, se io ora entro in camera senza il tuo permesso, ti troverei nuda? » chiese in tono malizioso e questa volta capii che alla porta era solo Andrea.
« Entra, cretino; stavolta ti va male perché sono già vestita ».
Aprì la porta e infilò prima la testa dentro e poi arrivò anche lui.
« Ehi, sei carino », gli dissi osservandolo vestito con un paio di jeans stretti, una camicia beige e un maglioncino marrone che donavano molto alla sua carnagione appena abbronzata. « Sei un po' troppo irrigidito e inamidato ma sei carino ».
Mi guardò con la bocca socchiusa e io capii dal suo sguardo che dovevo aver sortito un qualche effetto, visto anche che impiegò qualche secondo per rispondere, ancora perso a osservarmi le gambe messe in bella mostra dal vestito. « Anche tu non sei male », disse infine sorridendo e sciogliendosi, « anche se quelle scarpe avresti potuto anche evitarle ».
« Taci e non rompere: non ho scarpe col tacco e, anche se le avessi, non mi metterei manco morta quegli strumenti infernali creati appositamente per rovinare la vita alle donne ».
« Usa quelle di tua madre, no? » consigliò, ignorando la seconda parte del mio discorso.
Scoppiai direttamente a ridere senza nemmeno rispondergli; Luisa indossava lo stesso unico paio di scarpe da cinque anni, e il paio precedente era identico: mocassino di velluto blu scuro. Persino io, che al tempo mi intendevo di moda tanto quanto uno sciacquone del cesso avesse voce in capitolo sugli indici di borsa di Wall Street, mi rendevo perfettamente conto che quelle scarpe fossero orrende; lei non possedeva nulla che superasse i due centimetri di tacco, di conseguenza la mia scelta per le scarpe da ginnastica era la meno peggio.
Presi un respiro profondo e mi avviai alla porta, ma prima mi fermai di scatto e mi voltai verso Andrea. « Posso chiederti una cosa? Però devi essere sincero ».
Mise le mani in tasca e annuì sicuro. « Spara ».
« Secondo te io sono carina? Cioè, intendo conciata così », dissi indicandomi tutta con l'indice.
« Carina? » domandò esterrefatto.
Fece una faccia così irritante, come se il fatto che io potessi risultare anche solo vagamente carina o almeno appartenente al genere femminile fosse una cosa completamente estranea e fuori da ogni logica, che dovetti trattenermi non poco dal colpirlo con un destro in pieno volto.
« Scusa se ho solo pensato di poter essere decente; non c'è bisogno che fai quella faccia schifata ».
Mi voltai per uscire una volta per tutte da quella stanza ma Andrea mi trattenne per il polso. « Non fare la stupida, certo che sei carina ».
« E allora perché hai fatto quella faccia quando te l'ho chiesto? »
« Perché mi sorprende che tu riesca a definirti come semplicemente carina, quando sei tutt'altro », spiegò in tono calmo e pacato.
« E come sarei? »
Mentre sorrideva, fece un lento passo avanti con fare casuale, come se nessuno dei due si rendesse conto che si fosse fatto tremendamente vicino; quando mi rispose, la sua voce si fece improvvisamente più profonda e seducente. « Vuoi la risposta gentile o quella schietta? »
Non sapevo se scoppiare a ridere per l'imbarazzo o trattenermi per quella vicinanza e per quel tono di voce che, nonostante volessi interpretare come ridicolo ed esagerato, riusciva comunque a smuovere qualcosa dentro di me; e lo smuoveva in una parte molto profonda e bassa di me. « Basta che rispondi », dissi.
« Beh », iniziò a dire facendosi ancora più vicino e fingendo di spostare un ciuffo di capelli finito sulla mia fronte, « la risposta gentile è che sei talmente sexy questa sera che ti butterei su quel letto in questo preciso momento, ti toglierei quello stupido vestito che ti nasconde e ti farei tante di quelle belle cose che non puoi nemmeno immaginare », spiegò continuando a far saettare lo sguardo dai miei occhi inchiodati a lui e poi giù per tutto il mio corpo, usando quello stesso tono profondo e sensuale che lasciò perdersi nel silenzio quando succhiò appena il labbro inferiore per inumidirlo. E nel mio piccolo Io, quello orgoglioso, femminista, controcorrente e burbero contro il mondo, mi resi conto di essere appena caduta nella sua ragnatela quando sentii con chiarezza il mio stomaco contrarsi spasmodicamente all'immagine che Andrea mi aveva appena servito su di un vassoio d'argento.
Presi un respiro profondo per non lasciargli intuire l'effetto che quelle parole avevano avuto su di me e provai a parlare, deglutendo a fatica. « E questa era la risposta gentile? »
« Esattamente », rispose sornione, trattenendo a stento una risata quando si rese ben conto dell'effetto che aveva sortito sui miei poveri ormoni adolescenziali; « e ora, vuoi sapere anche la risposta schietta? »
Dovevo essere completamente sincera con me stessa? Sì, avrei voluto proprio sentirla a chiare parole; volevo sentirmi dire che cosa avrebbe voluto fare con me perché ne avevo un disperato bisogno: il bisogno di sentirmi corteggiata, il bisogno di sapere che a qualcuno importava della mia piccola e insulsa esistenza e infine, non meno importante, sapere che qualcuno mi desiderava nel modo più concreto e carnale possibile.
Ma in quegli istanti di completo subbuglio ormonale non trovai nemmeno il tempo per pensare e prendere una decisione che la porta della camera si aprì decisa e Alex entrò di gran passo, trovando me e Andrea molto vicini; forse un po' troppo a giudicare dal suo sguardo.
« Sara? Posso parlarti un attimo? » domandò in tono rigido e perfettamente controllato, anche se avrei sentito la nota di fastidio che vibrava nella sua domanda anche a chilometri di distanza.
« Oh, alla buon'ora, Alex. Non mi rivolgi la parola da una settimana e ora hai improvvisamente un'urgenza? » domandai schietta e con il sarcasmo ben udibile nelle mie parole.
Andrea si dondolò un paio di volte sui talloni dopo essersi allontanato di scatto da me e, sentendosi evidentemente di troppo in quella che a lui dovette sembrare una lite familiare, fece un cenno a entrambi e uscì dalla camera, anche se nessuno dei due lo salutò.
« Allora, cosa dovresti dirmi di così urgente? » domandai piazzando i pugni in vita e fissandolo con il mento rialzato.
Il suo sguardo vagò per qualche istante sul mio corpo, sul vestito che indossavo e sulle mie gambe lasciate parecchio scoperte dalla stoffa. Pensavo che mi dicesse che mi trovava carina, magari che dicesse che ero stupenda, che mi abbracciasse e che la smettessimo finalmente di litigare.
Ma tutto il mio film mentale si sgretolò quando Alex se ne uscì con: « Hai messo il vestito che ti ho regalato io solo perché sapevi che sarebbe venuto anche quello? »
Alzai gli occhi al cielo e presi un profondo, immenso, lungo ed esasperato respiro. « La vuoi piantare di stare in fissa con Andrea? È un mio amico. Tra di noi non c'è niente e la reazione che hai avuto in questi giorni è assolutamente fuori luogo ».
Schioccò le labbra e si mise a braccia incrociate. « Lui non vuole essere tuo amico, Sara: apri gli occhi una buona volta ».
« E anche se fosse? È l'unico ormai che mi rivolge la parola, visto che tu hai deciso di ignorarmi completamente e tagliarmi via dalla tua vita; non mi importa di quello che vuole lui ma io sono sola e ho bisogno di parlare con qualcuno; e visto che per mio fratello sembra proprio che io non esista nemmeno, allora mi dovrò accontentare ».
« Ti avevo chiesto di non parlare con lui; lo sai che ci sto male se lo fai e tu invece continui a farlo ».
Spalancai la bocca. « Spero tu stia scherzando, Alex. Ti sembro una stupida e debole femminuccia soggiogata dagli uomini che si fa dire quello che deve o non deve fare dal primo che capita? »
« Io non sono il primo che capita », fece un passo avanti e arrivò a pochi centimetri dal mio viso, l'aria minacciosa e furente. Ma io non mi mossi di un soffio; in passato avevamo litigato così tante volte, e molte di queste arrivando anche ad alzarci le mani a vicenda, che la sua aria imponente e intimidatoria non mi impauriva nemmeno un po'. « Ma quello potrebbe metterti le mani addosso, potrebbe farti del male ».
« Ma la vuoi piantare? Ma in che mondo vivi che a ogni angolo trovi uno che ti violenta e ti rovina l'esistenza. Cazzo, non è che tutte le donne del mondo per forza di cose debbano essere violentate o abusate almeno una volta nella vita: quello lascialo ai libri e ai film. Andrea è soltanto un mio amico e non fa nulla di male ».
« Ma io non voglio che passi il tuo tempo con lui », ribadì con più forza, cocciuto nella sua cocciutaggine. « Quando siete andati a fare le fotocopie, Edoardo mi ha detto che quello ha chiesto in giro di te e sembrava un po' troppo interessato a quello che porti sotto il vestito e la cosa non mi va. Non voglio più che tu stia con lui. Me lo devi ».
Ero così infuriata e scioccata da quello che mi stava chiedendo che spalancai la bocca ancor prima di iniziare a inveirgli contro. « E io allora ci sto ancora di più perché non puoi impedirmi di avere una vita. Io non ti devo proprio un bel niente, Alex, e non puoi di certo impedirmi di avere contatti con altre persone all'infuori di te.
Oh, certo, tu sei tutto contento e tranquillo di sapermi sempre in posti che conosci, sapere che nessuno mi parla, che nessun ragazzo ha mai mostrato interesse per me, mentre io devo sopportare ogni santo giorno il fatto che la metà delle ragazze che adesso sono qua sotto non aspettano altro che infilarti le loro lunghe unghie smaltate dentro i boxer; e so bene quello che ti farebbero perché nelle loro stupide conversazioni nei bagni della scuola le descrizioni sono sempre molto chiare e particolareggiate. Quello che mi stai chiedendo non è affatto giusto ed è... cazzo, Alex, è insano; io non cambierò di una virgola a meno che tu non diventi ragionevole », sbottai infine, me ripensai subito alle ultime parole della mia invettiva e la mia parte orgogliosa mi costrinse a rettificarle per metterci più energia. « Anzi, nemmeno in quel caso potresti impedirmi di vedere Andrea e passare del tempo con lui, perché farei esattamente l'opposto ».
« Allora te lo vuoi scopare. Dillo, ammettilo che è così. Fanculo, ti ho visto come eri rimasta imbambolata a fissarlo quando lo hai visto per la prima volta in corridoio a scuola e anche adesso lo guardi come se fossi una deficiente decerebrata ».
« Vaffanculo, Alex, rimangiati subito quello che hai detto! » sbraitai fuori di me e lo spinsi con le mani sul suo torace, facendolo indietreggiare appena.
E poi lo fece davvero: mi spinse all'indietro di rimando. Mi spinse, esattamente come faceva da piccolo quando lo mettevo alle strette e lo tormentavo, quando non sapeva più come fare per farmi smettere una volta che le sue parole finivano. Non rimasi di stucco per il gesto, per tutta la vita il nostro rapporto era sempre stato caratterizzato da una certa fisicità come quello di tutti i fratelli naturali, e parlo di veri ceffoni e calci compresi da entrambe le parti; quello che più mi sorprese fu il suo sguardo e le parole che mi lanciò addosso in seguito.
« Non mi rimangio un bel niente perché se non sei disposta a fare questa cosa per me, significa che per te io non valgo niente, che non sono nessuno. E in tal caso, se io non sono nessuno per te, allora tu lo sarai per me. Se hai trovato qualcun altro che ti sopporti, meglio per te.
Posso trovare di meglio anche io ».
E così dicendo girò sui tacchi e mi lasciò al centro della stanza completamente senza parole.
Ferita, ferita nel profondo dell'amore che provavo per lui e che credevo lui provasse per me; ferita nell'orgoglio di non essere stata abbastanza per lui; e ferita per la sua mancanza di fiducia in me, come se io, dopo tutto quello che avevamo passato, avrei potuto tradirlo con Andrea per un semplice colpo di testa.
Mi sedetti sul letto che le lacrime avevano già iniziato a scendere copiose e nascosi la testa tra le gambe mentre quelle parole continuavano a riecheggiarmi nella testa con profondo dolore.
Come aveva potuto farmi questo? Come aveva potuto dirmi certe cose? Lui era tutto per me e mi aveva appena annullata con una semplice frase, come se lui non avesse fatto altro che sopportarmi per tutta la vita, come se quello che mi aveva donato fosse stato uno sforzo sovraumano.
« Ehi? »
Mi accorsi della voce solo quando fu accanto a me, così mi rannicchiai ancora di più per non farmi veder piangere da Andrea.
« Tu e tuo fratello avete litigato? » domandò titubante.
Per fortuna avevo deciso di evitare mascara e altro, altrimenti in quello stato lacrimoso avrei fatto invidiare persino un panda; Andrea si sedette sul mio letto accanto a me e mi passò un braccio sulle spalle per avvicinarmi a lui. « Allora? Perché piangi? »
« Lascia perdere », mormorai uscendo dal mio guscio e asciugandomi le lacrime.
Un paio di occhi grigi comparirono nel mio campo visivo alla ricerca di un mio sguardo; notai solo in quel momento quanto fossero simili ai miei, ma molto più scuri e tendenti al grigio. « Ok... ma sono quasi, quasi certo che nello stato in cui ti trovi ci sia una sola e unica medicina in grado di farti stare meglio », enunciò in tono serio e concentrato.
Asciugai le ultime lacrime e tentai di ricompormi. « Se riguarda quella roba di prima del letto e della gentilezza, credo proprio di passare », risposi in tono sconsolato.
Mi strinse di più a lui e mi baciò una tempia con le labbra tirate in un sorriso che non riuscivo a vedere ma che udivo dalla sua risata leggera. « Anche se quella sarebbe una magnifica idea, a dire il vero mi stavo riferendo all'alcol che, per inciso, di sotto è l'invitato più presente, sai? »
Scrollai la testa. « Non scendo di sotto manco morta; non mi va ».
« Ma smettila e non fare la rompipalle. Bevi, ti diverti e poi vai a dormire e dimentichi quello che devi dimenticare. Si fa così nella vita », enunciò in tono deciso.
« Ma se hai la mia età: cosa vuoi saperne tu della vita? »
Era ancora accanto a me, il suo respiro tra i miei capelli, eppure non provavo imbarazzo e la cosa mi sorprese non poco. Mi sentivo a mio agio accanto a lui, ma non era quell'agio che provavo con Alex, dove il filo di attrazione era sempre ben presente e vibrante. Con Andrea stavo bene senza aver bisogno di altro.
« Pensavo lo sapessi: io sono alla mia seconda bocciatura ».
« Hai quasi diciotto anni? » domandai voltandomi di scatto verso di lui.
« Li farò ad Agosto, quindi ci vorrà ancora un po' per la patente, ma sì: sono più grande quindi posso darti dei consigli ».
Alzai un sopracciglio. « E l'alcol credo che sia un consiglio molto saggio e maturo da dare ».
« Esattamente ».
« E mi spieghi perché un pluribocciato sovversivo con una faccia come la tua va in giro alle feste vestito fighetto-primo della scuola ? »
« Non sono vestito da fighetto », ribatté immediato.
« Oh sì invece: camicino e maglioncino tutto in coordinato ».
« Dovrei andare in giro con pantaloni di pelle e borchie e farmi un sacco di tatuaggi idioti sulle braccia? »
Presi un respiro profondo e lo guardai da sotto in su. « No, direi di no... dai, andiamo di sotto e fammi sbronzare come si deve ».
« Ecco, brava bambina », disse lasciandomi andare.
« Non sono una bambina. E poi scordati di tutto questo », dissi alzandomi in piedi e facendo saettare la mano per indicare il mio corpo. « Non pensare di farmi ubriacare per poi venire a letto con me perché non te la do nemmeno se preghi in ginocchio ».
Come al mio solito ero stata troppo rude, però Andrea non sembrò prenderla a male e si mise a ridere. « Oh, non ti preoccupare. Sarai tu a venirmelo a chiedere in ginocchio un giorno, e allora mi divertirò io », si alzò in piedi con sguardo soddisfatto e camminò verso la porta con il sorriso.
Lo seguii fuori dalla camera, dove il rumore assordante della musica che usciva dallo stereo al piano di sotto mi schiaffeggiò l'udito, e scendemmo per le scale. Non avevo davvero voglia di scendere, ma in effetti bere qualcosa forse mi avrebbe aiutato a dimenticare, o per lo meno era quello che mi ripetevo per convincermi; e poi, il mio orgoglio mi impediva chiaramente di farmi vedere debole e ferita da Alex, e rinchiudermi in camera come una cretina glielo avrebbe mostrato chiaramente.
Al piano di sotto e al centro del salotto, gli amici di Alex avevano spostato il divano e il tavolino e avevano improvvisato un piccola pista da ballo, dove una ventina di persone si agitava a tempo di musica con i bicchieri di plastica in mano. Anche se vedere il caro tappeto persiano calpestato dalle scarpe logore dei ragazzi mi fece provare un improvviso moto di piacere all'idea della faccia che Luisa avrebbe fatto se fosse venuta a scoprire di quella festa a sorpresa, da una parte mi sentii innervosita per l'intrusione non voluta.
Probabilmente nel tempo che io avevo impiegato a vestirmi, truccarmi e litigare con Alex, si erano aggiunte ancora altre persone alla festa e tutto il pian terreno era occupato da corpi danzanti e ben ricolmi di alcol e fumo; i ragazzi e le ragazze erano sparsi nel salotto per ballare o per stare a lato pista-improvvisata a parlottare tra loro, oppure nascosti in cucina per prendere da bere dalle numerose borse piene di bottiglie di liquore che venivano passate di mano in mano fino a destinatari sconosciuti.
Andrea mi prese per mano per non perdermi in mezzo al marasma e mi fece strada fino alla cucina come se io non fossi a casa mia e non sapessi come muovermi; però lo lasciai fare. Ero così tanto arrabbiata con Alex che avrei alzato quelle nostre mani unite al cielo solo per assicurarmi che lui le vedesse chiaramente.
In cucina mi feci spazio sul tavolo e mi sedetti tra le bottiglie, mentre Andrea si arrangiava a preparare due bicchieri con un qualche cocktail che non conoscevo; era bravo già allora, muovendo con maestria le bottiglie così come avrebbe poi fatto in futuro nel locale in cui sarebbe diventato un barman decisamente rispettato e ricercato. Durante la preparazione cercai di concentrarmi solo su di lui e su nient'altro, anche se non ricercare Alex con lo sguardo tra la folla non fu affatto facile e mi costò un'enorme dose di autocontrollo.
Quando Andrea ebbe finito si piazzò accanto a me e mi porse il bicchiere proprio mentre stava iniziando una nuova canzone dance e che io, nonostante la mia vena rockettara, conoscevo benissimo.
« La canzone-orgasmo! » esclamai dopo che ebbi ingurgitato metà di quell'intruglio rosa tutto d'un fiato.
Andrea stava facendo lo stesso e quasi si strozzò dalle risate a quella mia uscita. « Cosa? I Like The Way you Move? »
« Non so come si intitola questa canzone, ma io la chiamo la canzone-orgasmo ».
« E perché mai? » domandò incuriosito.
« Come perché? Ma dai, non lo senti il cantante che voce sexy che ha? Ti fa sciogliere le mutande con una sola parola », borbottai come se non fosse ovvio. Ma in effetti lui era un uomo, e quindi per lui non poteva essere così ovvio.
Si mise a sogghignare, prese un sorso del cocktail e si fece più vicino. « There's so many things I like about you », iniziò a cantare insieme alla musica. « I just don't know where to begin ».
« Piantala », gli dissi facendomi un po' indietro, ma continuò imperterrito.
« ... I like the way you look at me with those beautiful eyes ».
Per la miseria, aveva una voce niente male anche lui, ma mi concentrai sul mio bicchiere per evitare ogni pensiero-mutandine dipendente. « Smettila, scemo ».
Fece un passo ancora più avanti e si fermò soltanto quando le sue labbra furono a pochi centimetri dalle mie. « I like the way you act all surprised ».
Restai con il fiato trattenuto per qualche breve secondo, incapace di pensare, di agire, di capire se avessi voglia di allontanarmi o di avvicinarmi ancora di più a lui e a quella voce seducente che poteva essere paragonata soltanto a quella di una dannatissima sirena. E continuò così per tutto l'intro della canzone e io restai a fissargli le labbra, abbindolata e raggirata, fino a che non si allontanò di scatto e terminò di bere il suo drink, tutto divertito e soddisfatto dell'effetto che la sua voce roca e profonda aveva avuto su di me, evidentemente ben visibile dal rossore che era salito alle mie guance.
« Sei una merda », borbottai finendo il mio drink.
« Te l'ho detto che aspetto la tua richiesta in ginocchio... e mi sa che non arriverà tanto tardi », disse convinto facendomi l'occhiolino.
L'alcol stava già iniziando a fare effetto, la sua voce l'effetto lo aveva già avuto sulle mie ovaie in crisi da quella verginità che iniziava a starmi un po' troppo stretta, così scesi dal tavolo e cercai di allontanarmi da lui; con la testa leggera mi piazzai tra la cucina e la sala osservando quelli che ballavano come gli stupidi cretini che erano e scorsi immediatamente la testa di Alex in mezzo al gruppo che, muovendosi a tempo di musica, teneva le labbra premute su quelle di Susan.
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Spazio Ape:
lo so che la canzone è vecchia, ma qui siamo nel passato e non posso di certo metterci qualcosa di nuovo ;-)
Allora... cosa ne pensate del capitolo e di come si sta evolvendo la storia? E dei personaggi?
Lo so, sul finale mi avete odiato... vi lovvo anche io eheheheh
Probabilmente ci sono delle cose che non quadrano, ma più avanti tutto verrà spiegato :-)
Vi lascio con la camminata improponibile di Jamie e ridete insieme a me... su questa storia ci rivediamo domenica prossima!
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