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15. Il Filler

Per tutto il pomeriggio restai fuori casa ad aspettare il ritorno di Alex, arrovellandomi il cervello su dove si potesse essere cacciato visto che era giovedì e quel giorno non aveva allenamenti di pallacanestro o nessun altro impegno.

L'aria era molto fredda e, seduta sugli scalini di pietra davanti al portone di entrata, restai abbracciata a Nana a osservare null'altro che il cielo incupirsi sempre di più man mano che si avvicinava la sera.

Non sapevo nemmeno che ore si fossero fatte, percepivo solamente i miei piedi e le mie mani diventare sempre più freddi e insensibili, quando ritrovai i fanali dell'auto della Coppia risalire il vialetto di casa e lasciare la macchina accanto al garage.

Si sorpresero di trovarmi lì. « Sara? Come mai sei qui fuori? Fa freddo, ti prenderai un malanno », esordì Luisa scendendo dalla macchina.

Io ero molto preoccupata, eppure non volevo dire nulla perché se Alex avesse fatto solamente qualcosa di sconveniente, avrei dovuto cercare di coprirlo come lui aveva fatto tante volte con me. « Vi stavo aspettando », mentii alzandomi in piedi.

Luisa arcuò le sopracciglia con gran sorpresa mentre evitava le feste di Nana, dietro di lei Gianluca la raggiunse affannato tenendo tra le mani un cespo di fogli e lunghi rotoli di carta. « Cosa succede? »

« Sara dice che ci stava aspettando », spiegò Luisa, ordinando poi a Nana di starsene buona senza intralciarle il cammino.

Entrambi mi guardarono sconcertati e un tantino preoccupati visto che non avevo mai fatto nulla del genere e, tendenzialmente, attendevo il loro arrivo chiusa in camera mia senza nemmeno scendere a dar loro il bentornato come invece faceva sempre Alex.

« Hai preparato qualcosa da mangiare, Sara? Alex te l'ha detto che si ferma da Luca per cena e resta lì per studiare? »

Finsi di accarezzare Nana che era venuta da me per cercare conforto e riuscii così a nascondere il sollievo che quella notizia mi procurava. No, non me lo aveva detto. Doveva aver chiamato La Coppia per avvisarli, ma non si era preso la briga di rispondere ai miei messaggi e alle mie chiamate.

Il problema, quindi, ero soltanto io. « Sì, sì, mi ha mandato un messaggio prima... ma non sapevo cosa preparare per cena così vi stavo aspettando », mormorai.

Entrambi sospirarono e alzarono le spalle e io li seguii in casa silenziosamente; Nana si fermò davanti al portone perché sapeva che non poteva entrare in casa, erano le regole, così mi ripromisi di uscire poco dopo per portarle qualche avanzo oltre alle sue tristi crocchette.

Perché Alex avesse inscenato un comportamento del genere ancora non riuscivo a capirlo. Una parte della mia mente suggeriva che fosse a causa del nuovo ragazzo arrivato a scuola, ma mi sembrava così poco plausibile una gelosia così immediata e immotivata che smisi di crederci persino io e la mia parte più insicura, malignamente, non fece altro che suggerirmi che forse quello che avevamo fatto quella mattina nello stanzino del piano fantasma per lui non era stato nulla di che, che forse io non ero abbastanza per lui e infine che, anche se mi sembrava tanto remota quanto la possibilità che un buco nero si materializzasse in cucina e fagocitasse La Coppia improvvisamente, forse Alex fosse andato a cercare qualche altra ragazza per sfogare quello che io non avevo avuto il tempo di rendergli.

Scrollai la testa a quell'idea insulsa mentre mi avvicinavo ai fornelli e afferravo la pentola per iniziare a preparare un po' di pasta; quello non sarebbe stato proprio un comportamento dell'Alex che conoscevo.

Cercai di concentrarmi sul fatto che lui fosse a casa di Luca e che quindi stesse bene e, provando a estraniarmi temporaneamente dalle preoccupazioni, mi impegnai a preparare la pasta alla carbonara, misurando in eccesso le quantità per avere sempre una porzione in più da tenere nel frigo nel caso in cui Alex avesse avuto fame al suo ritorno: la sera aveva il vizio di scendere a cercare qualcosa da mangiare e lo faceva con tutto e senza distinzioni, dal dolce al salato, dall'arrosto alla Nutella. E le volte in cui cucinavo io, e cioè quasi sempre visto che tendenzialmente eravamo sempre e soltanto io e Alex a casa per pranzo e a volte anche a cena, gli lasciavo sempre qualcosa in più. Non mi piaceva molto cucinare a essere sincera, ma con il tempo era diventato necessario, e ormai potevo considerarmi bravina; a parte per la questione dolci: in quello ero un completo disastro, difatti per le torte se ne occupava Alex, il fratello paziente e preciso che a volte si metteva persino a pesare la quantità di tuorlo e albume nelle preparazioni più complicate. La pasticceria per me sarebbe sempre rimasta un mistero insondabile.

« Sara, abbiamo già avvisato Alex che c'è stato un cambiamento sulla tabella di marcia per il viaggio in Alaska », annunciò Luisa gustandosi la mia carbonara.

Una parte di me stava per esultare all'idea che non fossero riusciti a ottenere i visti per la partenza e che io e Alex fossimo costretti a restare a casa, ma non andò affatto come speravo. « Dobbiamo anticipare la partenza di una settimana e purtroppo dovremmo partire divisi a causa di un errore nei biglietti aerei presi dall'università. Noi partiremo martedì prossimo, e tu e Alex invece giovedì ».

« Ma mercoledì è il compleanno di Alex! » esclamai.

« Certo, lo sappiamo bene », rispose Gianluca senza scomporsi troppo.

« E non restate a casa per festeggiarlo? Anche l'anno scorso non c'eravate », mi lamentai.

Luisa si prodigò immediatamente a dare manforte al marito. « Lo so, ma è lavoro, Sara. Lo sai che non possiamo esimerci da ».

« Fanculo il lavoro, chi cazzo se ne frega », sbottai gettando la forchetta nel piatto.

Entrambi raddrizzarono la schiena al mio tono furente. « Sara », mi ammonì Gianluca.

« Sara un cazzo. Voi non ci siete mai per Alex e la prossima settimana dovreste essere a casa e fargli un regalo. Lo sapete che ci tiene molto ».

Luisa si aggiustò semplicemente gli occhiali sul naso senza fare nessuna piega ulteriore quando si rese conto che non li avrei azzannati saltando sul tavolo come un puma inferocito. « In camera », furono le sue semplici parole. « Subito ».

Sbuffai e ricercai lo sguardo di Gianluca per trovare un minimo di pentimento o tentennamento, ma teneva lo sguardo basso sul suo piatto e capii che non avrei potuto fare nient'altro.

Spinsi il piatto al centro del tavolo facendoli sussultare e mi diressi in camera sbattendo i piedi su ogni singolo scalino. « E pensa a quello che hai detto ai tuoi genitori! » urlò Luisa, in quel tono isterico ma sempre tendenzialmente controllato, almeno nella facciata.

« Voi non lo siete mai stati! » urlai di rimando quando ormai ero di fronte alla porta di camera mia; mi tuffai sul mio letto, infilai le cuffie del lettore mp3 nelle orecchie e mi nascosi sotto le coperte rannicchiata in me stessa. Avevo solamente una gran voglia di piangere e sapevo che una piccola parte di tutto quel mio malessere fosse dovuta all'arrivo del ciclo prevista per il giorno seguente.

Rimasi a letto tutta la sera, alzandomi ogni dieci minuti per scrutare il cancello e sperare nell'arrivo di Alex il più presto possibile, ma alle undici e mezza ancora non era arrivato. Ero talmente preoccupata e fuori di me per il subbuglio ormonale che finii per mettermi alla scrivania e leggere una parte della lezione di storia che avrei dovuto studiare per il giorno seguente, estremo indicatore del mio profondo malessere; ma avevo bisogno di staccarmi dai miei pensieri almeno per dieci minuti, anche se finii con il rileggere sempre lo stesso paragrafo più e più volte senza concludere nulla.

Il tocco di una mano leggera sulla mia spalla mi fece sussultare e restai delusa quando mi resi conto che era solamente Gianluca. Sfilai le cuffie per capire cosa stava cercando di dirmi. « Hai sentito Alex al telefono? »

« Che succede? » chiesi allarmata.

« La mamma ha provato a chiamarlo ma non rispondono né lui, né Luca », spiegò rimettendosi a posto gli occhiali rotondi.

Non sapevo cosa dirgli, così provai a mentirgli per coprire Alex, qualsiasi cosa stesse facendo. « Sì, mi sono dimenticata di avvertirvi che ha detto di dormire da Luca: mi ha mandato un messaggio poco fa. Probabilmente si sono addormentati e non rispondono per quello ».

L'idea che un ragazzo di sedici anni potesse addormentarsi a casa di un amico prima di mezzanotte poteva bersela solamente uno come Gianluca, quella persona che mi ero sempre immaginata al liceo come il ragazzo perennemente con la testa pucciata nella tazza del cesso, mentre Luisa doveva essere la ragazzina dai capelli crespi sempre pieni di palline di carta imbevute di saliva.

Quando Gianluca uscì dalla mia camera, provai a chiamare Alex sul cellulare almeno altre dieci volte ma senza sortire alcun effetto. Avevo provato persino a chiamare Luca, il suo migliore amico, ma il suo telefono risultava essere spento.

Poi, quasi alle due di notte, il telefono vibrò sul cuscino accanto alla mia testa e io lo afferrai con ansia per leggere di chi fosse il messaggio in arrivo, ma trovai solamente un numero sconosciuto.

Sconosciuto: Sara?

Diceva semplicemente il messaggio.

Sara: Chi sei?

Risposi quasi immediatamente.

Sconosciuto: Allora il numero è giusto. Sono Andrea.

Tutto il mio mondo di illusioni si dissolse in quell'istante. Non mi importava niente di Andrea, volevo solo sapere dove si fosse cacciato mio fratello e iniziavo ad essere seriamente preoccupata. Non gli risposi quindi, sinceramente non ero per niente in vena di parlare con chicchessia, ma un altro messaggio arrivò un paio di minuti dopo.

Andrea: Per caso ti manca un fratello all'appello?

Mi si gelò il sangue nelle vene e presi subito a scrivere il più velocemente possibile.

Sara: Dov'è? Cosa gli è successo?

Andrea: È qui al Filler, non so se conosci questo pub; è qui da oggi pomeriggio ed è ubriaco perso. Ti conviene venirtelo a prendere prima che il locale chiuda e venga lasciato sul marciapiede.

Automaticamente mi venne da chiedergli se fosse sicuro che si trattasse di mio fratello. Che cosa ci faceva in quel locale? Non ci era mai andato in vita sua e, soprattutto, non si era mai ubriacato prima.

Guardai la porta della mia stanza e pensai al da farsi; non potevo dirlo alla Coppia o lo avrebbero scuoiato vivo, ma io ero chiusa in camera in punizione e non potevo fare molto.

Scrollai la testa e digitai velocemente un messaggio mentre iniziavo a cercare le felpe più pesanti che tenessi nel mio armadio.

Sara: Arrivo subito.

Non potevo scendere al piano di sotto per prendere la giacca a vento o mi avrebbero sentita; così presi il mio zaino svuotato dai libri, mi vestii nel modo più pesante possibile per combattere il gelo di quella fredda notte di gennaio e, con molta cautela, mi calai dalla grondaia che passava accanto alla finestra della mia camera. Lo avevo fatto così tante volte che ormai Alex mi chiamava scimmietta, anche se lui non aveva mai osato farlo.

Nana tirò solamente su il naso dalla sua cuccia per notarmi e poi si rimise a dormire, osservandomi da sotto in su mentre issavo la bici sotto braccio e passavo sull'erba per non fare rumori e uscire dal cancello con le chiavi che tenevo nello zaino.

Il buio e il silenzio erano a dir poco inquietanti, ma per fortuna il locale in questione non era molto lontano e non avrei impiegato molto per arrivarci. Chiusi bene le due felpe, mi nascosi nel cappuccio e iniziai a pedalare a gran velocità per contrastare il freddo che mi attanagliava le gambe, coperte solamente dai pantaloni del pigiama. Non incontrai nemmeno una macchina fino al locale e, al mio arrivo, trovai Andrea fuori dall'entrata ad aspettarmi. Scesi dalla bici e la lasciai a terra lì accanto.

« Come sta? » chiesi immediatamente e con apprensione.

Mi fece entrare e trovai Alex addormentato su uno dei divanetti in fondo al locale.

Il Filler era uno di quei pub dove i ragazzi passavano ore e ore il sabato sera a parlare e fumare, mentre in settimana restava deserto per la maggior parte del tempo a eccezione di un paio di ubriaconi che ormai si erano aggiudicati il posto fisso davanti al bancone. Io non ci ero mai andata e Alex nemmeno, o almeno era quello che avevo sempre creduto. « La tonalità verdognola della sua faccia non mi convince molto », commentò Andrea guardandolo.

Andrea lasciò una mano sulla mia spalla mentre mi accompagnava, ma io guardavo soltanto Alex, il viso nascosto tra le braccia che teneva incrociante sul tavolino come uno scomodo cuscino.

Sarei dovuta essere infuriata con lui, per la sua stupidità e per il fatto di avermi lasciata senza nemmeno un avvertimento, facendomi così preoccupare a morte; eppure, tutte le invettive che avevo accumulato nella mia testa durante la veloce pedalata e che ero pronta a riversargli addosso una volta che l'avrei rivisto svanirono improvvisamente nel ritrovarlo addormentato con la testa sul tavolino, tutto solo e circondato solamente da bicchieri vuoti; vederlo così solo mi riempii di profonda tristezza e malinconia.

Io lo sapevo e l'avevo sempre saputo bene, nonostante Alex non avesse mai parlato apertamente con me della questione e a volte negasse l'evidenza, ma anche lui come me era un ragazzo fondamentalmente solo. Aveva due genitori e degli amici, certo, ma in cuor suo era stato sempre un animo malinconico e sua madre, l'unica persona che lui agognava di soddisfare più di ogni altra per potersi sentire in qualche modo appagato e sicuro di sé, sembrava accorgersi a malapena della sua esistenza.

Mi sedetti accanto a lui e gli accarezzai la testa, chiamandolo sottovoce per svegliarlo.

« È qui da oggi pomeriggio », spiegò Andrea avvicinandosi al tavolo e osservando Alex con muto interesse. « Prima c'era un suo amico con lui, poi se n'è andato ».

« E lo ha lasciato qui solo in questo stato? » chiesi allarmata e scioccata. "Se scopro chi è, gli taglio le palle e le uso come coriandoli per Carnevale", pensai immediatamente.

« Sì, infatti ho pensato di avvertirti perché non sapevo che fare ».

« E come hai fatto ad avere il mio numero? » domandai con poco interesse tornando a scrollare Alex per svegliarlo, stavolta con un po' più di energia.

« Ho chiesto in giro oggi pomeriggio », rispose vagamente accucciandosi accanto a me per osservare più da vicino Alex con gli occhi appena strizzati dalla concentrazione. « Anche se non è stato facile, sai? Il tuo numero sembra non avercelo nessuno ».

Alex finalmente sembrò muovere le spalle. « Io non ho molti amici a scuola », spiegai guardando la testa di Alex che, finalmente, aveva deciso di muoversi e tirarsi su per capire cosa stesse succedendo; aveva gli occhi gonfi e rossi e sbatté numerose volte le palpebre prima di riuscire a mettermi a fuoco. « Sara? »

Gli accarezzai il viso in apprensione e gli spostai i capelli dalla fronte. « Sei un coglione di proporzioni colossali. Lo sai questo, vero? »

Probabilmente non capì nemmeno quello che gli stavo dicendo, ma almeno il mezzo sorriso che ritrovai sul suo viso sfatto e decisamente pallido mi fece intuire che mi aveva davvero riconosciuta.

« Vieni, ti do una mano », si offrì Andrea di aiutarmi a issarlo in piedi ma, quando Alex lo riconobbe, si allontanò immediatamente dalla sua presa.

« E tu... cosa... qui? » biascicò le parole a metà guardando me e poi lui alternativamente.

« Io ci lavoro », rispose Andrea come se fosse ovvio.

Mi voltai a guardarlo stranita; in effetti, fino a quel momento ero stata così concentrata su Alex che non mi ero posta minimamente la questione sul perché Andrea si trovasse lì da tutto il pomeriggio. « Tu lavori qui? »

« Sì, ma sono in cucina nel retro: lavo piatti, bicchieri, aiuto il cuoco... cose così. Ci lavoro da un paio di giorni... forza, ragazzone, muovi le chiappe », e così dicendo ritornò da Alex afferrandolo per un braccio.

Andrea riuscì a sollevarlo caricandone quasi completamente il peso sulle spalle. Il padrone, dal bancone del bar, lanciò un'occhiata d'intesa e di avvertimento ad Andrea e lui gli rispose con un cenno affermativo della testa.

Una volta fuori, Andrea mi chiese come avrei fatto a portarlo a casa. « Se riesce a tenersi attaccato a me, lo porto con la bici », proposi.

« Se vuoi, posso accompagnarlo io con lo scooter », si propose gentilmente e io accettai di buon grado, visto che l'idea di trattenerlo traballante sulla mia piccola bici mi dava i brividi; Alex aveva già quasi raggiunto il metro e ottanta che lo avrebbe accompagnato fino all'età adulta e aveva il peso tipico di un atleta decisamente in forma; così pensai bene di approfittarmi di Andrea, anche se dai grugniti che fuoriuscivano dalla bocca di Alex immaginai che lui non ne fosse così entusiasta come la sottoscritta.

Alex tentò di assicurarsi contro la schiena di Andrea e io seguii con pedalate rapide l'andamento lento dello scooter; di tanto in tanto il braccio di Andrea si assicurava che mio fratello non perdesse l'equilibrio, cadendo così a terra di faccia sul ruvido asfalto; anche se forse se lo sarebbe meritato dopo quello che aveva combinato.

Una volta davanti a casa, la mia unica preoccupazione era quella di entrare senza farci sentire dalla Coppia.

« Grazie mille, Andrea, davvero », gli dissi, sperando di infondere in quelle parole tutta la riconoscenza possibile.

Lo caricò di nuovo in spalla e me lo lasciò solamente quando si fu assicurato che si reggesse in piedi. « Non ti preoccupare, intanto avevo finito il mio turno », spiegò, come se tutto quello che aveva fatto per me non valesse nulla, quando invece immaginavo bene cosa avesse dovuto inventare con il suo capo per non buttare fuori dal locale a pedate Alex.

Gli sorrisi di nuovo con riconoscenza e Andrea mi aiutò a portare in giardino la bici e a richiudere il cancelletto alle mie spalle prima di andarsene. Nana, uno dei cani più pigri della storia canina, nel frattempo non si scomodò dalla sua cara cuccia e tenne solamente un occhio vigile per assicurarsi che fossimo solo io e Alex e non due estranei.

Aprii la porta e iniziai a salire le scale fino alle camere con gran fatica per fare silenzio, ma Alex non riusciva a rendere meno rumorosi i suoi passi e, quando a metà scala mi sussurrò all'orecchio la parola bagno, intuii che fosse meglio trascinarlo il più rapidamente possibile verso il primo buco di scarico disponibile prima che mi vomitasse addosso. E infatti, appena lo lasciai in ginocchio di fronte al water, Alex si liberò rumorosamente di tutto quello che aveva bevuto nelle ore precedenti.

Era la cosa più disgustosa che avessi mai visto e dovetti tapparmi il naso per non vomitare insieme a lui, ma questo non mi impedì di continuare a maledirlo come se non ci fosse un domani.

E mentre lui era ancora chino sul water, con me che gli tenevo la testa ma con gli occhi puntati lontano da quella poltiglia incolore e rivoltante, la porta del bagno si aprì ed entrò sua madre, che ci fissò con gli occhi sbarrati.

« Si può sapere cosa sta succedendo qui?! » esclamò a mezza voce.

La mano di Alex si mosse in aria in mia direzione come se volesse avvertirmi di voler parlare, ma un nuovo conato di vomito lo smosse e gli tenni la fronte salda guardando Luisa. « Non è niente... è tornato prima a casa da Luca perché deve essergli venuta l'influenza intestinale. Mi ha chiamato sul cellulare e sono scesa a prenderlo », risposi con sicurezza.

Sua madre ci guardò con una smorfia di disgusto, indecisa se entrare o fuggire via il più lontano possibile dalla vista e soprattutto dall'odore che aleggiava in quel bagno. Preferii toglierla dal disturbo di occuparsi di suo figlio, gentilezza di cui evidentemente mi fu davvero grata. « Sto io qui con lui; se peggiora, ti vengo a chiamare ».

Annuì rapidamente. « Ok, ok... ma ricorda che se ha la febbre e sale troppo devi dargli il paracetamolo ».

Annuii e tornai ad occuparmi di Alex che, appoggiato con le mani alla tazza, sembrava essersi svuotato completamente anche della voglia di vivere; lo aiutai ad alzarsi e lo lasciai a lavarsi la faccia e i denti nel lavandino e, visto che adesso sembrava reggersi in piedi da solo almeno per stare fermo, io cercai di pulire il disastro.

« Andiamo in camera? » gli chiesi passandogli il braccio sulla mia spalla.

Alex annuì e restò in silenzio fino a che non si sedette sul bordo del suo letto, senza mostrare l'intenzione di allungarsi ma volendo ciondolare ancora un po' in posizione semi eretta.

« Alex, ora cerca di dormire », lo incitai provando a spingerlo giù, ma lui mi catturò improvvisamente in un abbraccio, cingendomi la vita e posando la testa poco sotto il mio seno.

« Lo sai che ti amo, vero? » quasi gemette con la bocca premuta sulla mia felpa.

Gli accarezzai i capelli e lo strinsi amorevolmente a me. « Ma certo, Alex. Si può sapere cosa ti prende? Che ti è successo oggi? »

« Perché eri con quello là questa sera? » domandò all'improvviso.

« Con chi? » domandai confusa.

« Non fare l'ingenua », rispose a denti stretti, stringendo più intensamente il suo abbraccio.

« Alex, non ero con nessuno questa sera; ti ho aspettato tutto il giorno perché non ti vedevo tornare e mi hai fatto preoccupare un mondo », lo sgridai ma con il tono più paziente che potevo tirare fuori.

« No, tu eri con lui », continuò a dire e a stringere.

« Alex, mi stai facendo male », mi lamentai e, qualche istante dopo, mi lasciò completamente andare; e solo allora, quando si staccò da me e mi mostrò il suo viso, mi accorsi delle sue guance rigate di lacrime silenziose.

Mi sedetti accanto a lui e lo osservai passarsi le mani sul viso stanco e umido.

Quel ragazzo che tutti credevano perfetto, senza un problema al mondo e sempre ottimista nei confronti della vita, io sapevo che in fondo non esisteva, che era tutta una facciata di circostanza e che i suoi veri problemi li portava silenziosamente dentro di sé; mentre io gridavo contro il mondo intero con rabbia e sfrontatezza, lui camminava dentro di esso in silenzio e seguendo sempre le strade tracciate per lui dagli altri, quando invece avrebbe voluto dare fuoco a tutto quanto come me per non dover più rispettare le regole imposte. Io e lui ci eravamo sempre bastati e completati vicendevolmente perché nessun altro si era mai occupato di noi e del nostro affetto, e se per me era una condizione di vita, prima abbandonata dai miei veri genitori e poi presa da una famiglia che mi aveva accettata come figlia soltanto a metà, per Alex la questione era ben diversa: i suoi veri genitori gli avevano dato sempre e solo il minimo affetto necessario per farlo crescere, ma tutto ciò che cercava come legame affettivo e sostegno morale lo aveva sempre e solo trovato in me, e io avevo fatto lo stesso con lui.

Gli tolsi le mani dal viso e gli asciugai le lacrime dalle guance con un lembo della mia felpa. « Io non ero con Andrea questa sera. Lui lavora al Filler e ti ha visto lì da solo, così mi ha chiamata e mi ha avvertita di venirti a prendere prima che chiamassero la polizia per farti riportare a casa. È stato molto gentile », gli spiegai.

« Oggi sei stata con lui? » chiese fermandomi le mani che tenevo sul suo viso e cingendomi i polsi. Mi scrutò negli occhi, serio, come se pensasse davvero che io potessi mentirgli su una cosa del genere.

« No, non ti ho più visto sullo scuolabus e ho passato il tempo oggi a casa ad aspettarti. Mi hai fatto preoccupare da morire », ripetei per l'ennesima volta e cercai di tranquillizzarlo, anche se sinceramente il suo comportamento stava iniziando a innervosirmi.

Abbassò lo sguardo e io ripresi a togliere le lacrime che non accennavano a smettere. Aveva soltanto bisogno di riposare e il giorno dopo, cercavo di convincermi, sarebbe tutto tornato come prima. « Mettiti a let ».

« No... », mi interruppe di scatto, « come ha fatto ad avere il tuo numero di telefono? »

Sospirai ricercando tutta la scarsa pazienza che possedevo un tempo. « Mi ha detto di averlo chiesto in giro perché non sapeva come altro contattarmi per farti venire a prendere ».

« Ti piace, vero? » mormorò sconsolato con lo sguardo basso in una confusa via di mezzo tra una domanda e un'affermazione.

Sbarrai gli occhi. « No, ma che cosa vai a pensare, Alex? Io amo te, non mi importa di nessun altro », bisbigliai per non far uscire la voce dalla camera, ma cercai di infondere ogni sillaba di energia e convinzione.

Restò a riflettere qualche istante sulle mie parole, mordendosi il labbro umido di lacrime, e alla fine con un scatto mi prese tra le sue braccia e mi strinse di nuovo a sé, posando una mano sulla mia nuca e lasciandosi stringere a sua volta. « Dimmi che mi ami », mi pregò.

« Ti amo, Alex », lo rassicurai accarezzandogli la schiena.

« Dimmi che ci sono solo io per te », continuò a mormorare sulla mia spalla.

« Esisti solo tu e nessun altro ».

« Non parlare più con lui, ti prego », disse infine e io rimasi sorpresa da quella richiesta insensata.

« Alex, sei ancora ubriaco, mettiamoci a dormire perché è molto tardi ».

« No. Voglio che me lo prometti ».

Ho già detto che la pazienza non è mai stata la mia virtù principe?

« Io non ti prometto un bel niente. Non ho fatto nulla di male oggi da incitarti a ridurti in questo stato. Io non parlo mai con nessuno e Andrea è l'unica persona con cui ho parlato da mesi oltre a te e non ha senso che tu mi chieda di non parlargli più », ribattei seccata. Capivo che era ubriaco, ma stava iniziando a stancarmi sul serio.

Alex si staccò dall'abbraccio e mi fulminò con lo sguardo. « Promettimelo. Non voglio più vederti sola con lui come è successo oggi ».

Probabilmente capiva soltanto la metà di quello che stava dicendo, e forse io avrei potuto sopportarlo soltanto quella sera e poi aspettare il giorno seguente per parlarne con più calma e lucidità, però la mia pazienza si era improvvisamente esaurita dopo tutta quella lunga ed estenuante giornata, così mi alzai di scatto dal letto e lo guardai dall'alto in basso. « Tu hai fatto tutto questo casino solo perché ci hai visto andare a fare delle fotocopie insieme?! Ti rendi conto che non è normale?! »

« Ci ha provato con te, vero? » continuò come se io non avessi aperto bocca.

Alzai le braccia senza più sapere cosa dire. « Smettila immediatamente e mettiamoci a dormire ».

« No, vattene in camera tua stanotte », ribatté lui invece con la voce intrisa di rabbia.

Spalancai la bocca dallo stupore, le mani ancora a mezz'aria. Non avevamo mai litigato fino a tal punto e non mi aveva mai cacciata dalla sua camera con tutta quella stizza.

« Che cosa?! » dovetti costringermi a non urlare.

« Ho detto di andartene. Non ti voglio vedere questa notte », disse senza più degnarmi di uno sguardo.

Ricercò il lenzuolo e si infilò a letto ancora vestito, così io non potei fare altro che andarmene via e lasciarlo lì solo, rodendomi lo stomaco per il desiderio di prenderlo a sberle in faccia.

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Spazio Ape:

rieccomi con un nuovo capitolo :-)

Lo so, stavolta Alex era da prendere a ceffoni... ma il bello deve ancora arrivare!

Cosa ne pensate della storia fin'ora? Spero davvero che vi stia piacendo... aspetto i vostri commenti e ci ribecchiamo domenica prossima con un nuovo capitolo!

P.S. ho messo una gif di Sam in alto e per giustizia ne devo mettere un'altra qui sotto... non sia mai che Jamie si offenda... ahahahahahahahah

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