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13. Il piano fantasma

Durante la terza ora, un bigliettino apparve improvvisamente sul mio quaderno degli appunti. Sì, avevo persino deciso di comprarmi un quadernino degli appunti: stavo diventando una ragazza seria e giudiziosa.

Dovresti deciderti a iniziare a usare quel quadernino e scriverti un po' qualcosa della lezione di Diritto.

Era così carino quel quaderno che mi dispiaceva doverlo rovinare iniziando ad usarlo. Guardai male Alex e gli risposi velocemente.

Mi sembra di aver già dato il mio importante contributo aprendolo e fingendo di interessarmi alla lezione. Mi sembra sia abbastanza per oggi, no?

Alex, con un mezzo sorriso, scrollò la testa mentre leggeva e riprese a scrivere. E io, nel frattempo, non potei fare a meno di spostare per un istante lo sguardo verso il ragazzo nuovo, Andrea, che avevo individuato di tanto in tanto a fissarmi dall'angolo opposto della classe.

Hai dieci mesi in meno di me e sei proprio una poppante. Se ti decidessi una buona volta di prendere appunti della lezione, il pomeriggio non dovremmo passarlo ad aspettare che tu copi dai miei riassunti e potremmo impegnarlo in qualcosa di deeeeeecisamente più piacevole rispetto ai contratti di lavoro e alle Società a Responsabilità Limitata.

E oltre a questo scrisse anche un paio di riferimenti sconci a quello che avevamo fatto la notte prima, cosa che mi fece sorridere e arrossire improvvisamente.

Sogghignai e, con fare ostentato per dimostrargli il mio impegno per la nostra giusta causa, decisi di prendere in mano la penna e iniziare a prendere appunti come da lui suggerito ma, proprio in quel momento, la voce della professoressa Bergaglio si alzò perentoria ad azzittire la classe. « Signorina Testa, ora mi ha davvero stancato. Porti immediatamente qui quel biglietto, così mi farà vedere cosa c'è di così divertente da sorpassare persino quello che dico ».

Sbiancai all'improvviso e mi bloccai a fissarla; non me ne ero accorta ma si era alzata in piedi dalla cattedra e quella donna, così tanto alta e ben piazzata che mi aveva sempre ricordato un'inquietante versione femminile dell'Hagrid di Harry Potter, era riuscita a scorgere quello che stavo facendo dietro la mia solida barriera fornita dall'astuccio aperto, dietro al quale scrivevo biglietti o sbirciavo il telefono di tanto in tanto.

Non sapevo cosa dire, né tantomeno che fare, e l'unica cosa che sapevo per certo era che quel biglietto non lo avrebbe dovuto leggere mai nessuno, e non di certo per i riferimenti alle SRL.

Che stupidi ingenui che eravamo stati; verba volant, scripta manent, avrebbe detto il prof di latino... ma io ho già detto che non ero una gran studiosa al tempo, no?

Non vedendo una mia reazione, la professoressa Bergaglio si affrettò ad avvicinarsi ai nostri banchi, traballando appena sulle sue spesse e tozze caviglie che terminavano in quelle orrende scarpe tacco cinque, decisamente pendenti da una parte sotto il suo notevole peso. Anche Alex era rimasto senza parole e io, non sapendo più che fare e immaginandomi chiaramente le conseguenze che sarebbero arrivate una volta che gli occhi neri della prof si fossero posati sulle frasi sconce di Alex, e visto che pensare di ingoiare la carta sporca di inchiostro mi dava semplicemente il voltastomaco, optai per la più grande cazzata che avrei mai potuto fare: afferrai l'accendino da sotto il banco, l'accendino giallo della Bic che usavo le volte in cui mi chiudevo in bagno per fingere di fumare e di essere adulta, e diedi fuoco al biglietto tra le mie dita, gettandolo poi subito sul pavimento prima che toccasse il mio quaderno e appiccasse un incendio di proporzioni colossali.

Tutti restarono a fissarmi allibiti, per prima la professoressa che tentò di scagliarsi col suo piede formato famiglia sul piccolo incendio terrestre, ma concluse soltanto con lo spegnere il fuoco quando ormai tutta la carta si era dissolta in coriandoli di cenere.

I suoi occhi sembrarono uscire dalle orbite e il suo fiato ritardò di parecchi secondi prima di gonfiarle di nuovo il torace e liberare le sue parole.

« Tutti e due. Nell'ufficio del preside. ORA! » Urlò fuori di sé.

Era così infuriata e fuori controllo che io e Alex ci alzammo di scatto come due molle e filammo via dalla classe a gran velocità.

Avevo fatto un'immane stupidaggine, e adesso ne avremmo pagate le conseguenze in due.

Quando chiudemmo la porta alle nostre spalle, io tirai un profondo sospiro di sollievo e di arresa, mentre Alex scoppiò improvvisamente a ridere senza alcun motivo. E dovette pure tenersi lo stomaco e appoggiarsi alla parete per tenersi in equilibrio.

« Si può sapere cosa ti diverte tanto? » domandai inacidita sfilandogli davanti in direzione presidenza.

Continuando a ridere, ma abbassando il tono quando il bidello del nostro piano ci ebbe lanciato una lunga occhiataccia ammonitrice dietro i suoi spessi occhiali a bottiglia, Alex mi seguì. « E chi l'avrebbe mai detto? In una mattina sono arrivato in ritardo a scuola e ora finisco pure in ufficio dal preside. Ho fatto bingo ».

Per conto mio, io non ci trovavo nulla di divertente. Ero già stata nell'ufficio del preside parecchie volte e non ci tenevo a tornarci di nuovo; i motivi erano stati molteplici: la prima volta fu perché, a detta del prof. di latino, passavo troppo tempo delle sue lezioni nei corridoi, mentre io tentavo solamente di preservare il mio cervello dall'invecchiamento precoce a furia di ripetere tutte quelle declinazioni insieme agli altri come una massa di zombie. Un'altra volta il bidello - sì, quello dei fondi di bottiglia- con sua gran soddisfazione mi aveva fiutata a fumare nei bagni, dopo mesi di accurate investigazioni per cercare di trovare il colpevole di "cotanta strafottenza", così aveva additato il mio comportamento.

Ci furono altre motivazioni che mi avevano portata al cospetto divino del capo dei professori, ma quella più rocambolesca e degna di nota avvenne durante un intervallo dell'anno precedente e che merita seriamente una menzione speciale: accanto alle macchinette del caffè e dei panini avevo inscenato un breve ma intenso battibecco, arredato con tanto di schiaffi e sonore tirate di capelli, con una ragazza del terzo anno che aveva preso a tormentarmi chiamandomi la "adottata-disadattata"... che poi, se volete mettervi a fare i bulli e a prendere in giro qualcuno che considerate più debole di voi, almeno fatelo con stile; gli schiaffi che le diedi furono più per la scelta di quell'orrendo nomignolo che per il dolore in sé che quelle parole mi causavano. Ero riuscita a trascinarla per i capelli fino al vicino bagno e, con mia immensa soddisfazione nonostante lei fosse più alta e robusta di me, a infilarle la testa nella tazza del cesso e a tirare lo sciacquone.

Devo dire che di quel giorno mi resta un gran bel ricordo: Alex era subito intervenuto per togliere le mie mani dalla faccia inondata di quella cretina, io finii in fretta e furia e in corsia preferenziale nell'ufficio del preside, ma all'uscita da scuola mi godetti i miei tre minuti e mezzo di celebrità, visto che diverse ragazze e anche parecchi sfigatelli del sesso opposto mi ringraziarono per aver rimesso in riga la bulletta che li tormentava.

Io e Alex, dopo l'incendio scampato, iniziammo a camminare per i corridoi deserti mentre le risate molto poco sommesse di Alex ci accompagnavano. « La vuoi piantare? Fanculo, adesso potrebbero sospendermi una buona volta e tu ridi? »

Gli tirai un pugno sul braccio, che lui accusò in silenzio massaggiandoselo in seguito. Poi, sempre continuando a sorridere ma un po' meno intensamente di prima, si guardò intorno e mi passò un braccio sulla spalla.

« Ma che stai facendo, sei scemo? » tentai di divincolarmi, ma lui non si tolse.

« E perché? Non c'è nessuno », si lamentò lanciando lo sguardo in avanti per mostrarmi quanto le sue parole fossero giuste.

Tolsi il braccio dalle mie spalle, probabilmente in malo modo.

« Che scorbutica del cazzo che sei », sbottò innervosito.

« Io non sono scorbutica, ma ci tieni così tanto che tutti ci vedano abbracciati? » ribattei piccata bloccandolo per un braccio e mettendomi di fronte a lui; « potrebbe uscire qualcuno dalle aule ».

Si avvicinò con il viso al mio e mi penetrò con il suo sguardo più serio. « Vaffanculo, allora. Scusami se doverti camminare sempre vicino senza mai nemmeno poterti toccare davanti agli altri non mi risulta così semplice come lo è per te ».

Scartò la mia figura a destra e riprese a camminare, e io lo seguii allungando il passo. « Io non ho mai detto questo ».

« Non lo dici ma me lo fai capire ampiamente: ogni volta che cerco di toccarti in presenza di altri fai tutta la sostenuta, come se mi conoscessi a malapena ».

« Ma certo, cosa vorresti fare, scusa? Vuoi che tutta la scuola sappia che », ma mi bloccai senza aggiungere l'ovvio.

Alex si fermò a girarsi verso di me. « Sappia cosa? Avanti, parla ».

Sbuffai e questa volta lo scartai io, ma Alex mi bloccò per tempo imprigionandomi il polso nella sua mano. « Allora, perché non te ne vai con occhi dolci? Così con lui forse non ti dispiacerebbe farti vedere in giro ».

Restai a bocca aperta e non mi resi nemmeno conto che la sua stretta si faceva troppo intensa. « Chi? »

« Ma sì, quel coglione di stamattina contro cui ti sei scontrata ».

Più che sorprendermi per quello che stava dicendo, cosa di cui in quel momento poco mi importava, restai sempre più sconcertata per la mole crescente di parolacce che Alex stava usando, cosa che prima si era sempre trattenuto dal fare persino con me.

« Cos'è, sei geloso di uno con cui ho parlato per venticinque secondi? »

Si avvicinò e puntò l'indice alla base del mio collo. « Io sono geloso anche dell'aria che respiri. Sono geloso del fatto che tu possa parlare con chiunque in pubblico senza problemi; e, nonostante a te non sembri importare nemmeno un po', io soffro come un cane a starti vicino tutto il tempo ma non poter mostrare e urlare al mondo intero quanto ti amo ».

Senza aggiungere altro riprese a camminare verso la porta della presidenza, come se il suo discorso non fosse stato una pomposa dichiarazione d'amore in piena regola ma soltanto un semplice e pragmatico dato di fatto. Restai immobile sui miei piedi a cercare di riprendere lucidità, soffrendo per la sua improvvisa lontananza quando, dopo le sue parole, avrei soltanto avuto voglia di abbracciarlo e stringerlo a me.

Sentendo i suoi passi allontanarsi veloci, mi voltai a cercarlo con lo sguardo e lo ritrovai praticamente davanti alla presidenza; lo inseguii con una veloce corsa e Alex bussò alla porta con la grossa targa appesa con scritto Dirigente Scolastico prima ancora che lo raggiungessi.

« Avanti ».

Alex tentò di aprire, ma quella porta era difettosa e gli feci cenno di alzare appena la maniglia prima di spingere verso l'interno; in effetti, era una cosa molto triste per il mio ego il solo fatto di sapere quel particolare.

Alex entrò per primo e io subito dopo, tentando di racimolare tutta la mia concentrazione e mostrare il mio miglior cipiglio colpevole da piccola ragazzina problematica arrivata da un affidamento difficile. Di solito, funzionava sugli adulti.

« Oh, Testa, di nuovo qui? » domandò il preside sarcastico quando mi vide entrare; stava prendendo in mano dei fogli che la segretaria gli stava porgendo.

Finsi un sorriso tirato, ma la sua attenzione fu subito catturata da Alex. « E il nostro Alessandro... qual buon vento la porta nel mio ufficio? Il campionato interscolastico mi dicono che procede a gonfie vele ».

La schiena di Alex era dritta e sicura, sembrava pronto a ricevere qualsivoglia punizione senza battere ciglio. « Sì, siamo primi per ora, anche se il campionato è appena a metà ».

Ci sedemmo nelle poltrone davanti alla larga scrivania in legno lucidato, sulla quale capeggiavano parecchie targhe dei campionati di basket e pallavolo che organizzava la scuola con gli altri istituti della provincia, le olimpiadi della matematica vinte, le borse di studio... e su troppi di quei pezzi di metallo tirati a lucido splendeva il mio cognome, anche se ovviamente il Testa in questione non ero di certo io. Aspettammo silenziosamente che il preside ci chiedesse qualcosa di più e che alzasse lo sguardo dai fogli che stava firmando con fare rapido e scattoso sotto gli occhi della segretaria. Speravo che fosse Alex a intavolare il discorso, come sempre, ma in quel momento non ero poi così sicura che dopo la sfuriata di qualche istante prima avesse ancora voglia di coprirmi.

Osservai il preside, un uomo giovanile e affascinante nel timore che emanava; doveva essere stato un professore alla mano qualche anno prima, uno di quelli che è in grado di stimolarti nello studio parlandoti come a un suo pari ma allo stesso tempo senza abbassarsi a un livello di mancanza di rispetto.

La segretaria raccolse tutti i fogli e ci lasciò al nostro destino. Il preside raddrizzò la schiena sulla poltrona e puntò i palmi sui braccioli imbottiti. « Allora, qual buon vento vi porta entrambi qui? »

Presi un respiro profondo per iniziare a parlare, ma Alex alzò la voce sopra la mia. « Preside, è stata colpa mia. La professoressa Bergaglio ci ha mandati qui perchè ci ha scoperti mentre eravamo disattenti alla lezione e ci scambiavamo dei bigliettini sotto il banco ».

Il preside alzò un sopracciglio. « E la Bergaglio vi ha mandato fin qui per dei bigliettini? »

Mi schiarii la voce per intervenire nel discorso. « Io... io ho dato fuoco al bigliettino con l'accendino per non farglielo leggere ».

Questa volta, entrambe le sue sopracciglia ebbero un fremito. « Oh », fu il suo semplice commento.

Alex mi guardò per un attimo per avvertirmi di stare zitta e di lasciar fare a lui. « Io avevo scritto delle stupidaggini e mia sorella ha cercato solo di coprirmi. La colpa è mia ».

« La colpa non è solo tua, smettila », sbottai all'improvviso.

Si voltò verso di me e mi fulminò con lo sguardo.

Nel nostro battibecco semi silenzioso, il preside si intromise sporgendosi sulla scrivania.« E quali stupidaggini richiederebbero il dare fuoco in classe a un pezzo di carta, con il serio rischio di appiccare un incendio all'intera scuola e, per inciso, far finire in galera la professoressa Bergaglio e il sottoscritto di conseguenza? »

« Galera? » chiesi sorpresa. Avevo dato io fuoco al bigliettino, al massimo la colpa sarebbe stata mia.

« Nonostante voi crediate di essere adulti con una decennale esperienza di vita alle spalle, voi tutti siete ancora dei minori e tutto quello che fate viene soppesato nelle conseguenze a spese degli adulti responsabili che sono con voi in quel preciso momento. Se dipingete un muro con la vernice spray, se in gita decidete di sparire dalla fila per infilarvi in panetteria, se otturate il lavandino per allagare la scuola », e per quest'ultima evenienza mi riservò un'occhiata di riferimento ai miei vecchi trascorsi, « tutto quello che fate è responsabilità vostra, ma anche dei vostri genitori indirettamente e degli adulti maggiorenni che sono preposti alla vostra sorveglianza ».

Si rilassò sullo schienale della poltrona. « Ora, o mi dite che cosa c'era scritto su quei bigliettini, e io fingerò di apprezzare la vostra sincerità e proverò a chiudere un occhio sul suo disastroso andamento scolastico, signorina », disse guardandomi e sfilando dai pantaloni il suo pacchetto di sigarette; ne accese una come faceva ogni volta, cosa che però lasciò di stucco Alex visto che era vietato per legge fumare a scuola, e restò a guardarci alternativamente con il braccio appoggiato al bracciolo e il rigagnolo di fumo che saliva in una danza scoordinata. « Oppure, in caso contrario, sarò costretto a sospendere la signorina Testa per tre giorni, a condannarla ovviamente alla bocciatura perché è la prassi a seguito della sospensione, e a lei invece », continuò serenamente riferendosi ad Alex, « riserverò una nota di demerito che non gioverà di certo alla sua domanda per la borsa straordinaria di studio organizzata dalla regione a cui lei ha fatto domanda ».

La borsa di studio. La Coppia aveva convinto Alex a inizio anno a fare domanda per i sei mesi all'estero e, anche se Alex non ne era mai stato troppo convinto del progetto, alla fine aveva ceduto. Anche se a lui non importava nulla di quella borsa di studio e che, nonostante quella macchia sul suo fascicolo dello studente avrebbe potuto tranquillamente sopravvivere alla nota di demerito, ero certa che non avrebbe mai messo in mezzo me e la mia carriera scolastica.

« Ho scritto delle cose sulla professoressa », ammise infine Alex abbassando lo sguardo.

« Alex, non », ma il preside mi interruppe.

« Signorina, lo lasci spiegare. Sono curioso di sapere quali cose c'erano scritte a questo punto », disse con un mezzo sorriso mentre lasciava defluire il fumo tra le labbra.

Alex si schiarì la voce e tenne lo sguardo basso. « Cose... a carattere sessuale ».

« Continui », lo incitò, mettendosi pure comodo per godersi la scena.

« Beh... ecco... cose che si potrebbero fare con una... una donna di una certa età », buttò lì senza guardare nessuno, e notai il rossore salire prepotentemente dal colletto della felpa.

Alzai la testa per osservare l'espressione del preside, ma quel mezzo sorriso non bloccato per tempo come il suo ruolo avrebbe richiesto mi divertì non poco. « Con la Bergaglio? » domandò infine, stranito e quasi incuriosito.

« Ehm, sì », Alex stette al gioco.

Il preside alzò un sopracciglio e prese una nuova boccata dalla sigaretta, probabilmente con in testa le immagini della donna Hagrid alle prese con un giovincello di quindici anni.

« Beh, devo ammettere che almeno è un ragazzo fantasioso », disse infine scuotendo la testa. Si allungò per afferrare il posacenere, che dovetti passargli io perché troppo lontano, spense la sigaretta con un unico gesto e si rimise comodo con le dita intrecciate sullo stomaco. « Sentitemi bene, tutti e due. Voi non avete la più pallida idea di quanto lavoro io abbia da sbrigare in questo maledetto ufficio, e anche se a me non importa un bel niente di quello che scrivete della professoressa Bergaglio, visto che io alla vostra età scrivevo cose ben peggiori, mi fa girare i cosiddetti l'idea di dover perdere del tempo prezioso per stare a sentire le lamentele di ragazzini che non sanno fare il loro lavoro. Qui dentro tutti lavorano e si fanno il mazzo, e voi dovreste fare lo stesso.

Quindi, per oggi potete andarvene e farò finta di dimenticarmi dell'accaduto. Ma che non capiti mai più perché, se vi vedo oltrepassare la soglia una prossima volta, non sarò così magnanimo. Intesi? »

Io e Alex annuimmo insieme e, dopo un breve saluto e un sentito e profondo ringraziamento, filammo fuori dalla sua porta, più leggeri di parecchi chilogrammi di ansia.

Svoltammo l'angolo di corsa per fuggire il più lontano possibile da quell'ufficio e io volevo solo appoggiarmi al muro per riprendermi e ritrovare il fiato lasciato dietro quella porta difettosa, ma Alex non me lo permise; mi afferrò la mano e prese a correre verso le scale esterne di emergenza. « Che stai facendo? » sibilai esterrefatta.

« Sta' zitta e seguimi senza far rumore », disse senza lasciarmi andare.

Aprì una porticina che dava all'esterno, chiusa con una catena e un lucchetto che però, evidentemente, sapeva che non erano chiusi. « Come facevi a sapere che la porta era aperta? »

« La usano sempre i miei amici per uscire a fumare all'intervallo. La tengono aperta da mesi ».

Alex mi trascinò sulle scale e, osservandoci intorno furtivi, arrivammo al quarto piano mentre il vento gelido invernale mi faceva rabbrividire nella mia semplice felpa. Rientrammo al piano fantasma, come l'intera scuola lo chiamava, un piano deserto troppo vicino al tetto pericolante e interdetto agli studenti. Sapevo che qualcuno a volte si era spinto fin lì per fumare o fare altro con le ragazze, ma nemmeno io ci ero mai andata, e non sapevo che Alex ne conoscesse nemmeno l'esistenza.

« Ma ci sei mai venuto qui? » chiesi una volta all'interno.

Si guardò intorno. « Una volta », rispose vago.

« Con Susan? » domandai di getto.

Volevo davvero saperlo?

E lo sguardo che mi lanciò Alex mi tolse ogni dubbio, facendomi rodere lo stomaco e il cuore nel petto. Mi lasciai trascinare fino alla porta di uno sgabuzzino chiuso a chiave; Alex lo aprì con una chiave nascosta sopra alla cornice in legno e mi spinse dentro, lanciando un'ultima occhiata al corridoio semibuio e deserto. A differenza del buio all'esterno dello sgabuzzino, quel minuscolo parallelepipedo di polvere e scope era illuminato dalla luce chiara del tiepido sole invernale che filtrava da una piccola finestra circolare situata a un metro sopra le nostre teste.

Alex chiuse la porta dall'interno e mi spinse contro, sorprendendomi all'improvviso con un bacio. Mi agguantò il viso tra le mani e spinse la lingua contro la mia rapidamente. Tentai di dire qualcosa, di fare qualcosa, ma tutto il suo comportamento, i suoi atteggiamenti, le sue parolacce, tutta quella parte nuova che non conoscevo di lui mi avevano lasciata completamente interdetta, confusa. Mi aggrappai automaticamente a lui posando le mani sulla sua nuca, e lui posizionò le mani sulla porta, ai lati della mia testa.

« Alex », tentai di mormorare nella sua bocca. « Che ti succede? »

Scrollò la testa e scese a baciare il mio collo. « Non lo so », soffiò proprio sotto al mio orecchio, facendomi rabbrividire. « Ho tanta di quell'adrenalina in corpo che mi sembra di scoppiare ».

Afferrò una mia gamba e se la portò su un fianco per avvicinarci di più, e quella stessa mano si fece immediatamente strada sotto la mia felpa, arrivando immediatamente al reggiseno.

Sapevamo che buona parte di quello che provavamo era quell'eccitante senso del pericolo, del vietato; eravamo appena stati cacciati dalla classe e la ramanzina del preside sembrava essere solamente riuscita ad accendere ancora di più la nostra eccitazione che, seppur latente, era sempre presente sotto le nostre rispettive superfici. Eravamo in uno stupidissimo sgabuzzino nella parte di scuola vietata dove, se mai qualcuno ci avesse scoperto, non avremmo più potuto sfuggire alla sospensione questa volta.

Ma non potevamo chiedere di meglio in quel momento.

Le sue labbra mi accarezzavano delicatamente tutta la lunghezza del collo, solleticando i ciuffi di capelli che scendevano sulla nuca. La sua mano, che prima vagava alla ricerca disperata di un punto singolo di appoggio sotto la mia felpa, decise di cambiare improvvisamente rotta e riuscì a infilarsi con un singolo movimento deciso sotto a tutta la stoffa che nascondeva la parte più intima di me. Le sue dita fredde, rapide e impazienti si fecero immediatamente spazio sotto gli slip e il mio sospiro sorpreso passò direttamente dentro le sue labbra.

« Ciao », mormorò lui divertito in risposta.

Le sue dita mi abbandonarono per un istante e Alex mi guardò con un sorriso soddisfatto, più rilassato di qualche momento prima, come se avesse improvvisamente trovato quello che stava cercando e di cui aveva bisogno per calmarsi, e poi restò a osservarmi mentre faceva riprendere alle sue dita il movimento con cui mi aveva cullata durante la notte precedente. I sospiri che cercavo di trattenere sembravano perdersi e concentrarsi in quel ristretto spazio luminoso; non riuscivo a tenere gli occhi aperti, eppure tentai di farlo lo stesso perché la sua espressione mentre mi osservava con muto divertimento era l'appagamento più grande che potessi afferrare da ciò che non era il mio semplice godimento. La luce arrivava dietro di lui e lasciava in ombra i nostri visi, e vederlo così felice e spensierato mi fece rispondere al suo sorriso.

« Ti piace? » mormorò avvicinando le labbra alle mie. Mi sporsi più avanti per baciarlo ma, con un cenno malizioso di rifiuto si fece poco più indietro e non me le lasciò raggiungere. Entrò con più forza da togliermi il respiro e farmi riportare la testa alla porta. « Rispondi ».

« Sì », mugugnai socchiudendo gli occhi al piacere che mi stava dando.

« E lo sai che posso fare solo io questo? » domandò.

Aprii gli occhi, confusa da quelle parole. « Cosa stai dicendo? »

« Quel ragazzo... lo sai che vorrebbe farti esattamente questo, no? »

Ansimai. « Non è vero ».

Mi artigliò un seno con l'altra mano e chiuse gli occhi, spingendo contro di me. « Sei mia, vero? Sei solo mia ».

Non capivo che cosa gli stesse prendendo in quel momento, e per qualche minuto mi sembrò di ritrovarmi in compagnia di un completo sconosciuto. C'era rabbia nella sua voce, malinconia, dolore, eccitazione, e non sapevo da che cosa fossero causati.

« Sì », gemetti infine.

« Dillo che sei mia... ti prego », disse con una nota ben udibile di disperazione nella voce.

Percepivo il fiato scemare più lui continuava a toccarmi, e le parole arrivarono solamente dopo qualche momento. « Tua... solo tua ».

Sorrise a aprì di nuovo gli occhi, questa volta avvicinandosi e sfiorando con la punta del naso il collo.

« Sai che l'ho sognato questa notte? » disse al mio orecchio, mentre le mie palpebre calavano di nuovo dolcemente per assaporare le sensazioni che la sua voce mi procurava. « Ho sognato che eravamo proprio qui dentro... ».

Come se non bastasse tutto il resto, la situazione e quello che mi stava facendo, solo il suono caldo della sua voce sarebbe bastato per farmi perdere il controllo.

« Ma non facevamo soltanto questo », disse affondando un'ultima volta più a fondo, più a lungo, e poi ritrasse la mano improvvisamente, facendomi sbarrare gli occhi per la sorpresa del suo improvviso e ingiustificato allontanamento.

Pensai di ritrovarlo con un sorriso malizioso e soddisfatto stampato sul volto per lo scherzetto stupido che mi aveva fatto allontanandosi, ma Alex si era inginocchiato davanti a me e mi sollevò la felpa per iniziare a baciare la pelle appena al di sopra dell'elastico dei leggins.

In quel momento, il mio cervello si era completamente scollegato da ogni altra cosa che non fosse lui, la sensazione delle sue mani che mi toccavano e mi tenevano ferma, della sua bocca che mi cercava, e probabilmente Alex impiegò pure qualche lungo secondo per sfilarmi giù dalle cosce i leggins e gli slip, facendoli superare persino la barriera delle scarpe e buttandoli a terra; ma io quasi non me ne rendevo conto. E la mia mente fece un ultimo collegamento solamente quando sentì la sua bocca avvicinarsi sempre di più al mio punto critico. « Alex, aspetta ».

A quelle parole, le sue labbra furono sostituite dai denti che, delicati anche se non troppo, mi pizzicarono la pelle appena vicina all'inguine. « Che c'è? » ringhiò esasperato.

« Non...non », non sapevo nemmeno io che dire. Noi donne abbiamo sempre quel sottinteso timore che il nostro piacere sia proibito, che sia necessario e basilare il nostro ritrarci di fronte alle conquiste di libertà sessuale e fingerci ritrose davanti alle proposte del sesso opposto.

« Cosa vuoi fare? » optai infine per chiedere.

« Mi sembra evidente », osservò con sarcasmo tornando a baciarmi l'inguine e scendendo nel punto esatto di congiungimento tra la gamba e il bacino.

« Aspetta », ripetei affondando le dita tra i suoi capelli e trattenendolo per quello che individuai essere, infine, solo puro e semplice imbarazzo.

Sospirò una seconda volta. « Sara... è il mio sogno... fammelo godere in santa pace », disse senza più ascoltare i miei vaghi lamenti che si spensero in un mormorio sommesso quando il suo respiro e le sue labbra terminarono il loro agonizzante viaggio verso il punto prestabilito, dove restò per parecchio tempo a gemere insieme a me, a muovere le dita e la sua lingua in sincrono, regalandomi sensazioni ancora diverse, nuove, mai provate prima. Erano solo le sue braccia a sostenermi oramai, avevo perso il controllo del mio equilibrio e del mio stesso essere ed esistere in quel preciso momento; era incredibile come Alex sapesse osservare, ascoltare e percepire ogni dettaglio che il mio corpo manifestava, rallentando o aumentando la velocità e l'intensità dei movimenti solo nei momenti giusti.

Persa nel mio piacere, sentivo i suoi capelli tra le dita, la forma solida della sua testa sotto i palmi delle mie mani, e godevo profondamente della sensazione illusoria di detenere una qualche sorta di controllo su di lui, quando invece ero io che avevo perso le redini di tutta la situazione e della nostra relazione non appena le mie labbra si erano incontrate per la prima volta con le sue. E, quando il piacere arrivò al culmine e mi travolse, io mi accorsi di sentire in bocca l'acre sapore del sangue per aver stretto con troppa forza il labbro inferiore tra i denti per costringermi a zittire i gemiti nella speranza che nessuno potesse sentirmi.

Quando ritrovai il primo barlume di equilibrio e lucidità, nonostante il mio fisico volesse solamente spegnersi per qualche secondo e bearsi di quella lunga sensazione di calore e brivido caldo che il piacere appagato regala, il mio cuore mi ordinava a gran voce di restituire ad Alex quello che lui aveva dato a me; così, le mie dita quasi tremanti, lo tirai su in piedi e feci scontrare la sua bocca contro la mia, masticando un ti amo sussurrato nel sapore di me che sentivo sulla sua lingua.

Era così agitato e pronto che i suoi baci erano trepidanti e carichi di aspettativa. Ricercai con ansia i bottoni dei suoi jeans e stavo già per far scendere la cerniera quando dei passi fuori nel corridoio ci fecero immobilizzare.

Qualcuno stava fischiettando.

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Spazio Ape:

Cosa ne pensate del capitolo? Immaginarmi tutte le cose che Sara ha combinato in passato mi diverte sempre un sacco. Non mi piacciono le ragazze troppo rigide e sempre perfettine, anche quando leggo spero sempre di trovare personaggi femminili interessanti, e spero proprio che il personaggio di Sara vi piaccia :-)

p.s. Lei non me lo ha chiesto ma io non posso non cercare di pubblicizzare il più possibile la storia di VampireHuntress_ Incest .... e il titolo è tutto un dire.

Vi giuro, credo che sia la storia che fin'ora mi sta emozionando di più ed è scritta benissimo quindi ve la stra stra straconsiglio!!!!!!!

A presto!!!

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