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12. Occhi antracite

La mattina seguente, dopo aver praticamente dormito niente visto che avevamo occupato il tempo a fare tutt'altro che riposare, io e Alex scendemmo dalle scale come due zombie dopo esserci già cambiati per la scuola e aver fatto una doverosa capatina al bagno al piano di sopra. La Coppia era già indaffarata in cucina, pronta per partire alla volta del sapere universitario.

« Ragazzi, abbiamo una bella sorpresa per voi », esclamò Luisa tutta entusiasta con la tazza di caffè americano che preparava tutte le mattine per lei e Gianluca; cioè, il suo tono di voce era entusiasta, ma la sua monoespressione gelida e frigida non si allontanava dalla sua solita piattezza.

Osservai la tavola sparecchiata con fare annoiato - non fosse mai che per una mattina ci preparassero la colazione - mentre Alex invece sembrò decisamente interessato alla questione. « Di cosa si tratta? »

Gianluca si appoggiò al mobile della cucina con la schiena e sorseggiò la sua tazza di caffè, tenendosi la cravatta premuta contro la camicia con il palmo della mano per non sporcarsi. « Tra due settimane, come sapete, dobbiamo partire per l'Università dell'Alaska e staremo via per una ventina di giorni ».

Dentro di me, già da parecchi giorni, stavo esultando all'idea di poter restare due lunghe settimane in casa da sola con Alex.

A completare il discorso intervenne Luisa, in quel modo fastidioso al limite dell'urticante che usavano di passarsi la parola l'un l'altro, completando i rispettivi discorsi a vicenda. « Abbiamo fatto richiesta anche per i vostri visti, così potrete venire con noi! »

Abbassai le spalle a quell'orrenda notizia e mi diressi e prendere i miei cereali, la freddezza dipinta sul mio volto deluso. « Forte », commentai semplicemente, mentre Alex alzò la voce di botto. « Ma è fantastico! In Alaska! »

Lo guardai di traverso per capire se stesse scherzando o meno, e sembrava davvero felice per quella notizia. "Chi cazzo se ne frega dell'Alaska", riuscivo solo a pensare. Non sapevo nulla di quei posti sperduti tra neve, ghiacciai e foreste se non che non c'era un cazzo da vedere, un cazzonda visitare... e poi, io volevo stare a casa con Alex da soli. Punto.

La Coppia se ne andò poco dopo, quando io ero ancora immusonita a mangiare il mio latte e cereali china sul mobile della cucina, pensierosa e infastidita.

Alex mi balzò accanto, tutto radioso di prima mattina come sapeva essere solo lui. « Hai sentito, Sara!? Sei contenta che andiamo in Alaska? »

Sbuffai e mi infilai un altro cucchiaio di cereali in bocca. « No ».

L'improvviso mutamento in delusione che ebbe la sua espressione riuscì a strapparmi un sorriso. « E perché? » domandò preso alla sprovvista.

« Perché io volevo restare qui con te a casa », ribattei senza guardarlo.

Schioccò la lingua sul palato in segno di diniego. « E tu pensi mamma e papà ci avrebbero lasciati completamente soli per due settimane? Come minimo avrebbero chiamato gli zii per venire a vivere qui per tutta la durata della loro assenza », borbottò lui. « E lo sai come sono invadenti gli zii quando ci si mettono. Se sapessero che dormiamo insieme, e intendo solo dormire, ce ne direbbero di tutti i colori ».

Ingoiai un nuovo blocco di cereali e non risposi, anche perché ormai la decisione era stata presa, quindi non avevamo più molta voce in capitolo entrambi. Alex posò una mano sulla mia schiena e restò in silenzio, accarezzandomi appena. Non riuscivo a vedere cosa stesse facendo, che cosa si fosse soffermato a guardare mentre io restavo con lo sguardo perso alle piastrelle della cucina. Pensai distrattamente al fatto che il suo sedicesimo compleanno si avvicinava, sarebbe stato esattamente due giorni prima della partenza, e io ancora non gli avevo regalato niente.

« Sara? Potresti sederti al tavolo a mangiare, per piacere? »

Mi voltai a guardarlo con un sopracciglio ben inarcato. « Perché, scusa? Hai paura che io lasci troppe briciole in giro? » lo presi in giro.

Notai il suo pomo d'Adamo fare su e giù un paio di volte e vidi che non stava affatto guardando me, la mia faccia o le mie labbra, ma i suoi occhi erano ben fissi e piantati con insistenza sul mio fondoschiena.

« Per me puoi mangiare anche seduta sul water, ma vederti così mi fa fare strani pensieri », commentò abbassando appena il tono di voce e rendendolo giusto un po' più dolce.

Ingenuamente, ci misi qualche istante a capire a che cosa si riferisse. Poi mi raddrizzai di scatto quando intuii e mi voltai verso di lui, ma ormai era tropo tardi. Alex si avvicinò di un passo e, lentamente, fece scendere le sue mani sulla vita e poi sui fianchi e mi accarezzò fino alle mie natiche, avvicinandomi a lui e strizzando con sempre più insistenza. Sentii il ripiano della cucina premere sulla schiena e il corpo di Alex davanti a me e, se mai le sue parole non fossero state abbastanza chiare, ciò che sentivo irrigidirsi contro il mio bacino lo avrebbe reso noto in altro modo. Si chinò appena per riuscire ad arrivare alle mie labbra, ma la serratura della porta che scattava mi fece staccare all'improvviso da lui e, nell'agitazione, colpii la tazza di latte ancora colma per metà e la feci cadere a terra, rompendola in mille schegge e schizzi di latte e cereali.

« Avevamo dimenticato i computer portatili e... », disse Gianluca entrando in cucina, la bocca aperta nel vedere il disastro che avevo appena combinato. « Sara, per la miseria, vuoi stare attenta una buona volta? »

« Sono stato io, papà », provò a dire Alex mettendosi davanti a me.

Sbuffai e mi inginocchiai per raccogliere il disastro. « Smettila, Alex. Sono stata io, ora pulisco tutto ».

Suo padre afferrò le borse con i computer e guardò l'orologio. « E vedete di sbrigarvi, voi due: il pulmino passa tra pochi minuti ».

« Sì, papà », fu la risposta di Alex, mentre io la accompagnai con un grugnito.

Quando la porta si richiuse, Alex si accucciò per aiutarmi, ma io lo scacciai in malo modo. « Si può sapere che ti prende? Ti stavo difendendo poco fa », si lamentò.

I suoi occhi verdi, resi più chiari dal sole limpido che quella mattina di gennaio ci stava regalando, si tinsero di offesa e premura.

« Non mi devi difendere sempre, cazzo! Lo fai di continuo e non devi. So difendermi benissimo da sola », sbottai raccogliendo i pezzi della tazza sul palmo ben aperto della mano.

« E che male c'è a difenderti, scusa? Lo faccio per te, lo sai che non mi va come ti trattano ».

« Perché non voglio che lo fai, mi fai sempre sentire in difetto, un passo indietro a te e... Ahi! » esclamai quando mi tagliai l'indice con una scheggia.

Alex mi prese la mano e la guardò, tenendomela ferma con forza visto che io continuavo a dimenarmi per riprenderne il possesso. « Fa' vedere, poppante ».

« Devo solo sciacquarla e metterci un cerotto, non è niente », borbottai ancora nervosa.

Mi alzai buttando nel lavandino le schegge che mi erano rimaste in mano e lasciai l'indice sotto l'acqua fredda, ma il sangue sembrava non arrestarsi e stava iniziando ad essere tardi. « Alex, tu vai, al massimo arrivo in ritardo io a scuola e falsifico la giustificazione. Non fa niente ».

Chiuse l'acqua e guardò attentamente la ferita senza prestare attenzione alle mie parole. Dovevo prendere un cerotto, e anche lui lo sapeva, e tutto si sarebbe messo a posto, ma non sapevo allora per quale motivo Alex restò a fissare il piccolo taglio sull'apice dell'indice, il debole flusso sanguigno che sgorgava verso l'alto come un piccolo e morbido rubino e si accumulava in piccole gocce che avevano iniziato a scendere giù lungo il dito, il dorso della mano e infine al polso. Stavo per richiamarlo da quella che mi sembrava una sorta di trance quando Alex si avvicinò con un singolo movimento e si portò delicatamente il mio dito alle labbra.

Restai così sorpresa da quell'azione inaspettata che rimasi a fissarlo con la bocca socchiusa e lo sguardo immobile. La pelle martoriata dalla ferita percepiva chiaramente il movimento caldo, umido e lento della sua lingua che mi ripuliva, che mi disinfettava, e i suoi occhi, dopo un primo smarrimento in quel gesto che colse di sorpresa anche lui stesso, tornarono a cercare i miei. I ciuffi di capelli spettinati gli ricadevano sulla fronte, arricciandosi appena sulle punte; le sopracciglia dritte e folte sembravano non avere altra funzione che dare ancora più intensità al suo sguardo, come se già non fosse una calamita senza la loro presenza.

Probabilmente, se lui fosse stato chiunque altro, se io fossi stata una qualsiasi altra ragazza, avremmo reagito in maniere differenti. Forse sarei rimasta stranita, scioccata, forse anche schifata da quel gesto, e di sicuro lui non avrebbe ripetuto quell'azione se io non fossi stata la sua Sara.

Ma in quella cucina, quella mattina, in quel preciso momento quando l'orologio segnava dieci minuti all'arrivo dello scuolabus, l'unica cosa che il mio cervello riuscì a decifrare e interpretare di quello che gli occhi gli stavano comunicando era che lo sguardo deciso e fisso di Alex puntato su di me, insieme al modo in cui le sue labbra si ammorbidivano e si plasmavano intorno al mio dito, fosse la cosa più erotica che io avessi mai visto in tutta la mia vita.

Avevo quindici anni al tempo; non ero di certo una donna vissuta, ma non ero nemmeno più una bambina ingenua e sapevo già un bel po' di cose sul sesso e tutto quello che ne faceva parte. Però, era una parte della vita che non aveva mai destato molto interesse su di me prima, probabilmente perché non avevo mai trovato nessuno che potesse anche darmi l'idea di potermi far provare certe cose. In fondo, per tutta la vita, avevo avuto occhi sempre e solo per Alex.

Di conseguenza avevo una vaga idea di che cosa potesse voler dire l'aggettivo erotico, ma non credevo che potesse espandersi in maniera così vaga e lontana dal concetto minimale del bacio e del sesso.

Ma quella mattina, guardandolo negli occhi e percependo chiaramente quanta voglia avesse di me, capire come con quel gesto aveva inconsapevolmente o meno cercato di unirci ancora di più di quel che già eravamo, compresi davvero il significato di quella parola.

Con un gesto fluido tolsi la mano dalla sua bocca e la sostituì con le mie labbra, scontrandomi contro di lui con velocità. La mia lingua trovò rapido accesso tra le sue labbra e gustò immediatamente il sapore ferroso del mio stesso sangue, e quella sensazione riuscì ad accendermi ancora di più. Avvicinai il bacino al suo e Alex mi strinse tra le sue braccia, lasciando che le mani prendessero a vagare di nuovo verso sud. Mi afferrò le cosce improvvisamente e mi caricò su con le braccia, muovendosi per la cucina e finendo per posarmi sul tavolo con vigore, dove continuò a baciarmi, muovendo la lingua insieme alla mia con agitazione e premura. Non mi resi nemmeno conto del momento in cui riuscì a sfilarmi la felpa e la maglia, lasciandomi solo con il reggiseno. Infilai le mani sotto la sua maglietta e godetti silenziosamente della sensazione del suo petto duro e scolpito sotto le mie mani.

« Ti amo », sussurrò a occhi chiusi.

« Ti amo », dissi quando lo sentii scendere con le labbra giù dal mento e poi al collo, mentre le sue mani, prima impegnate sui miei fianchi, avevano preso a risalire sulla schiena per artigliarsi al gancetto del reggiseno.

E solo in quel momento riuscii a riacquisire un minimo di lucidità. « Lo scuolabus! » esclamai.

Alex era evidentemente troppo impegnato con la testa molto lontana dalla mia bocca e sembrò non sentirmi subito. Gli alzai la testa dal mio reggiseno e lo guardai fisso. « Lo scuolabus, Alex. Sono le sette e venti, lo abbiamo perso! »

Invece di preoccuparsi, come il solito Alex avrebbe sicuramente fatto, magari chiedendosi come fare per rientrare a scuola senza dover falsificare firme di ogni sorta, in quel momento sorrise. « Bene, allora restiamo a casa ».

Tornò ad avventarsi su di me, ma lo scostai di nuovo e riuscii a scendere dal tavolo. « Ieri non ho studiato tutto il pomeriggio per saltare la verifica di letteratura. Per una volta che studio, vorrei andare a prendere la mia sufficienza ».

Mi abbassai a prendere i miei vestiti lanciati a terra, ma continuai a fissarlo di sottecchi, come se potesse ritornare all'attacco da un momento all'altro. Il suo sguardo non mi sembrava molto d'accordo sul concetto andiamo-a-scuola, ma alla fine l'Alex responsabile tornò a fare capolino e, con un profondo respiro, tornò a occuparsi della macchia di latte per terra.

« Lascialo lì, lo puliamo quando torniamo. Forse il pulmino è in ritardo e abbiamo ancora tempo », provai a dire mentre mi rivestivo.

Sbuffò rialzandosi da terra. « Figuriamoci... ormai andiamo a piedi a scuola e arriviamo in ritardo. Non morirà nessuno se saltiamo dieci minuti di Biologia ».

Spalancai la bocca. « Dimmi chi sei e cosa ne hai fatto di mio fratello! »

« Fottiti », disse divertito.

La mia bocca si fece ancora più larga. « Stai pure iniziando a dire le parolacce », dissi. « Sono a dir poco allibita ».

Buttò lo strofinaccio nel lavandino e si avvicinò con due passi a me, prendendomi il mento tra le dita mentre la mia bocca era ancora spalancata dallo stupore. « Punto uno: mai restare davanti a un ragazzo con la bocca così aperta: gli metti strani pensieri in testa su cosa infilarci dentro per chiuderla ».

Gli tirai una gomitata, che lui accusò con una mezza risata.

« E secondo? » domandai a braccia conserte.

Si raddrizzò piano e andò a prendersi la giacca, e io lo seguii insieme al mio sconcerto. « E secondo: non sono mai arrivato in ritardo in vita mia a scuola, stanotte ho fatto venire un orgasmo a mia sorella e oggi mi sento particolarmente bad boy. Non ti pare? »

Mi fissò con le mani strette a pugno premute sui fianchi in una strana imitazione della posizione di Superman, mentre io tornavo ad essere di nuovo con la bocca come non avrebbe dovuto essere, scombussolata da quelle parole che non credevo potessero essere contenute in quello che pensavo fosse il noioso cervellino per bene di mio fratello.

Quanto mi sbagliavo e quanto poco conoscevo ancora di lui. Sarebbe cambiato così tanto negli anni che avrei faticato a riconoscerlo a volte.

Scrollai la testa e andai a prendermi la giacca. « Non sei un bad boy, sei solo un deficiente ».

Balzò davanti a me e, aiutandomi con il nodo della sciarpa, mi stampò un bacio sulle labbra con un gran sorriso di soddisfazione. « Sì, ma sono incredibilmente affascinante ».

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« Dici che ci faranno la nota? » domandò Alex con solo un minimo velo di preoccupazione; per il resto era agitato in senso positivo, come se non vedesse l'ora di vedere una nota negativa sul suo diario, tutto colmo di belle copie di dieci e nove.

Roteai gli occhi al soffitto mentre svoltavamo nel corridoio del primo piano che portava alla nostra classe. « Non se sarai tu a spiegarlo al prof, armato con il tuo bel faccino da ragazzo per bene; dirai solo che non ci è suonata la sveglia. Non succederà nien ».

Ma non riuscii a terminare la mia frase perché mi scontrai violentemente con un ragazzo che usciva da un corridoio laterale con alcuni fogli in mano.

« Ma che cazzo! » esclamai con il sedere per terra.

Il ragazzo si prodigò ad aiutarmi e mi ritrovai sollevata per un braccio da Alex e dall'altra parte dallo sconosciuto.

« Ehi... scusami se ti sono venuto addosso. Stavo cercando la classe e mi sono perso ».

Mi misi in piedi e massaggiai il fianco senza nemmeno guardarlo in faccia. Avevo intuito mentre mi rovesciavo a terra che avesse i capelli castano chiaro, molto simili a quelli di Alex, ma per il resto e a una prima occhiata fugace mi era sembrato un ragazzo abbastanza anonimo. « Ma come fai a perderti in questo buco di scuola? Che c'è, sei nuovo? »

Raccolsi il cellulare, per fortuna intatto, e le chiavi che erano cadute dalla tasca e finalmente guardai in viso il ragazzo. E, in tutta sincerità e in completa segretezza, dentro di me mi chiesi che cosa avessi fumato per averlo giudicato semplicemente anonimo. Nonostante i suoi tratti fossero fini, seppur già mascolini per essere ancora intrappolati nel viso di un ragazzo, nonostante i lineamenti fossero regolari, così come la sua altezza e il suo fisico, furono gli occhi a colpirmi più di tutto: non tanto per il colore in sé, di un grigio intenso e profondo, con solamente un accenno a un azzurro scuro e lontano; la cosa che più mi colpì fu la natura del suo sguardo: era fermo, deciso, intenso.

Mi sorrise di un sorriso soltanto accennato, lasciando alzare appena le guance e gli angoli della bocca. « Sì, sono appena arrivato », disse porgendomi la mano. « Sono Andrea ».

Se potessi rivedere la mia espressione ora con occhio esterno, forse potrei soltanto ridere degli occhi sbarrati e la bocca semi aperta che portavo. Impiegai qualche secondo a ritrovare il collegamento tra cervello e muscoli labiali.

« Sara », dissi semplicemente mentre realizzavo chiaramente del calore che aveva appena circondato la mia mano quando le nostre si toccarono.

Andrea mi guardò fisso, senza mai distogliere lo sguardo. « È un vero piacere, Sara ».

Tenne la mia mano stretta nella sua qualche istante di troppo a giudicare dal tono stridulo con cui Alex si schiarì la voce accanto a me. Per riprendermi più in fretta e scendere da... non so, qualsiasi posto metafisico io mi fossi elevata in quel momento alla vista di quel ragazzo e di quello sguardo, mi schiarii la voce insieme ad Alex e mimai una certa superiorità verso l'accaduto, presentando mio fratello con eccessivo entusiasmo. « E lui è mio fratello Alex », mi affrettai a dire, mostrandolo accanto a me con la mano a mo' di trofeo, come se non fosse già abbastanza alto per essere notato.

Gli occhi di Andrea si spostarono solo allora sulla figura accanto a me, ma lo fecero per un breve istante, quasi come se gli costasse uno sforzo incredibile. Gli fece un cenno con la testa, e ripeté semplicemente il suo nome.

Alex lo stava guardando malissimo, non lo avevo mai visto comportarsi in quel modo con qualcuno, e la cosa mi sorprese non poco. Lui era sempre cordiale, gentile con tutti.

Cercai infine di intromettermi nella gara a chi guardasse peggio l'altro per evitare brutti proseguimenti. « In che classe devi andare? »

« Seconda C », rispose sicuro.

Spalancai gli occhi e commentai, nuovamente, con troppa enfasi. « Ma è la nostra classe! Ehi, Alex, hai sentito? Abbiamo pure una scusa per il ritardo: stavamo salvando questo povero ragazzo dalla dispersione scolastica », esclamai iniziando a incamminarmi verso l'aula e piazzandomi in mezzo ai due.

All'entrata della nostra classe mi misi d'accordo nuovamente con Alex di lasciar parlare lui, visto che qualsiasi cosa dicesse sembrava oro colato dal cielo e tutti i professori gli credevano sempre senza ombra di dubbio. Mi infilai in classe dietro l'ombra di Alex, così sarei potuta passare relativamente inosservata e, una volta finite le scuse da angioletto, lasciammo il ragazzo-scusa con il prof alla cattedra e andammo a sederci nei nostri rispettivi posti in fondo all'aula.

Lontana da quello sguardo indagatore, da quegli occhi antracite che sembravano avermi bruciato nel profondo, riuscii a riordinare con più freddezza i miei pensieri e, in silenzio, svuotai libri, quaderni e astuccio e li posizionai sopra e sotto al banco.

La verifica di Letteratura sarebbe stata alla seconda ora così, mentre il prof di Biologia presentava il nuovo compagno alla classe e terminava la sua noia-spiegazione a proposito di... non so, qualsiasi cosa uscisse dal foro che si ritrovava seminascosto sotto i suoi baffetti sale e pepe, io aprii il libro sotto il banco e mi misi a ripassare gli ultimi canti dell'Inferno di Dante in vista della verifica, concentrata come mai avevo fatto prima nella mia carriera scolastica.

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Spazio Ape:

Giuro.

Ci ho provato... ma non ho resistito. Jamie Dornan ho dovuto piazzarlo in qualche modo ahahah

Alla fine sarà Andrea ( Ho cambiato nome: è quello che nel primo capitolo si chiamava Simone, il ragazzo con cui Sara si era appena lasciata).

Per ora è ancora giovane, ma crescerà pure lui.

Cresceranno tutti... ( mmmm, suona come una minaccia, mi sa....)

Al prossimo aggiornamento! :-)

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