1. 3 Dicembre 2015
« Ehi! Ma sei un ghiacciolo, Sara! » si lamenta Alex quando mi infilo sotto le lenzuola accanto a lui.
« Lo dici tutte le sere... lo sai che la mia camera è peggio dell'Alaska e che La coppia non si vuole degnare di aggiustarmi il calorifero », gli rispondo scocciata.
Mi piazzo accanto a mio fratello e posiziono abilmente i miei piedi gelidi tra le sue lunghe gambe. Rabbrividisce con un sbuffo, ma ormai ci è abituato: lo faccio tutte le notti da quando ne ho memoria, e poi non è colpa mia se riesce a dormire soltanto in boxer in pieno inverno.
Alex si schiarisce la voce e parla usando quel tono vagamente imbarazzato che conosco bene. « Vedo che ricordi ancora la vacanza in Alaska... è passato qualche anno, ormai », commenta mentre mi stringe tra le sue braccia, plasmandomi alla perfezione contro il suo corpo. Sento i muscoli delle braccia e del petto tendersi mentre mi avvicina a lui.
La sua stanza è completamente buia, eccetto per gli stretti spiragli di luce che penetrano dalle persiane chiuse, ma non ho bisogno della gelida luce dei lampioni notturni per orientarmi nella camera di Alex, quella camera che conosco alla perfezione fin da quando sono bambina, e non mi serve la luce nemmeno per immaginarmi la sua figura nascosta nell'oscurità: i capelli color del bronzo disordinati e spettinati dal cuscino, e che mi ritrovo puntualmente in bocca a ogni risveglio; i suoi occhi verde prato, che tendono al grigio nelle giornate nuvolose e che virano invece verso un dorato più profondo quando il sole li accende con il suo calore; il suo torace ampio che termina nelle infinite gambe che, nemmeno allungandomi con tutto il mio metro e settanta, riesco a raggiungerne il termine.
Rannicchiata con le mani a pugno davanti al viso, soffio il mio alito caldo all'interno dei palmi uniti per ritrovare la sensibilità perduta della mia pelle. « Come potrei dimenticare l'Alaska? » domando senza indugi.
Quei quindici giorni di freddo e gelo avevano rappresentato il giro di boa della mia adolescenza, il biglietto per quella fuga di speranza da me stessa e dalla vita che mal sopportavo; quel biglietto che mi aveva procurato Alex, insieme al cuore che aveva deciso senza indugio di donarmi.
L'occasione per quel viaggio era arrivata grazie a un impegno di lavoro dei nostri genitori; entrambi professori e ricercatori di biologia all'università di Milano, erano partiti per l'ennesimo viaggio di lavoro e studio, ma questa volta con noi al loro inseguimento; opzione decisamente preferibile a quella di restare a casa con l'ennesima baby sitter/ guardiana di turno, esattamente come avevamo sempre fatto. A quel tempo avevamo entrambi quindici anni, anche se avevamo parecchi mesi di differenza da colmare quasi un intero anno di gap, ed eravamo rimasti chiusi in quel buco di appartamento per tutti i quindici giorni, mentre i nostri genitori girovagavano e si assentavano di continuo per convegni o prelievi sul campo.
« Sono passati già dieci anni... riesci a crederci? » mi chiede lasciandomi un bacio delicato sulla fronte.
Mi prende le mani tra le sue e inizia a soffiarci sopra, sfregando i suoi palmi sopra al dorso delle mie per riscaldarmi.
« Non me ne parlare... dopo i diciotto il tempo ha preso a volare », commento amaramente. Prendo un respiro profondo, e il profumo del dopo barba che Alex ha usato questa mattina mi pizzica piacevolmente le narici. Così mi avvicino per annusarlo meglio.
« È il mio preferito, vero? » domando in un sussurro.
Sento il materasso muoversi, mentre Alex si assicura di avermi coperto la schiena con la trapunta.
A giudicare dal silenzio sulla strada, deve essere notte fonda, e probabilmente ha anche iniziato a nevicare di nuovo.
« Sì... esattamente quello che ho dovuto ricomprare perché l'ultima confezione me l'hai fatta cadere », si mette a borbottare.
« Non sono stata io! » mento spudoratamente, e lui lo sa alla perfezione.
« Oh, sì, certo... allora è stato il nostro gatto invisibile ».
« Guarda che io ci credevo davvero », ribatto facendomi più vicina per annusarlo più a fondo. Questo profumo è sempre stato come una droga per me, e sono fiera di essere stata io a regalarglielo per i suoi diciassette anni.
Alex si muove appena sotto il mio tocco, ma mi lascia fare senza lamentarsi, nonostante la leggera pelle d'oca che percepisco formarsi al passaggio delicato del mio respiro. « Eri l'unica bambina ad avere un gatto invisibile anziché un amico invisibile, come tutta la gente normale ».
« Mi reputi una persona normale? E da quando in qua? » domando stranita.
Si mette a ridere debolmente, non mi sembra abbia così tanta voglia di parlare e scherzare come le altre sere: deve essere stanco dal lavoro in ufficio. « E poi ti lamenti della mia scarsa considerazione di te, Sara », dice mentre mi avvicina definitivamente a lui e mi stringe in un abbraccio.
« Domani dirò a papà di dare un'occhiata al tuo termosifone », promette.
« Se fosse il tuo ad essere rotto, La coppia accorrerebbe in tuo soccorso seduta stante con le sirene spianate », commento acida.
« Ma si può sapere da dove hai tirato fuori questo nomignolo per i nostri genitori? La coppia? Sembra il titolo di un film su un improbabile duo poliziesco ».
Scrollo appena le spalle, ma sono intrappolata da lui e quindi riesco solo a far vibrare il materasso. « Non sono i miei genitori, lo sai bene ».
Il suo respiro arriva a solleticarmi i capelli sulla fronte. « Ma smettila di fare l'adolescente ribelle, ormai sei fuori tempo massimo. E poi, lo sai che mamma e papà ti hanno cresciuta come se tu fossi figlia loro, proprio come me ».
Sbuffo appena. Mi sento davvero un'adolescente in piena ribellione a volte, ma è più forte di me. « Beh, forse non si sono impegnati abbastanza ».
Mi pizzica il fianco. « Smettila ».
« E invece è la verità », ribatto. Su questo punto siamo sempre stati in disaccordo.
E ricomincia a pizzicarmi, stavolta più a fondo nel fianco, ma io non mi lamento.
« Se papà non si mette a farlo, domani ti prometto che lo guardo io il tuo termosifone, sei contenta? »
Gli bacio l'incavo del collo, sollevata della fiducia che so di poter riporre sempre in lui senza remore. « Sì ».
Sto per ritrarmi, ma invece resto ferma e indugio ancora qualche istante, le mie labbra premute su quella pelle morbida che sembra sempre essere accaldata come dopo una corsa.
« Cosa stai facendo? » chiede debolmente, anche se conosce già la risposta.
« Io? » domando con finta ingenuità quando stacco le labbra da lui, « non sto facendo niente ». E ricomincio nuovamente da dove avevo lasciato, muovendomi più in giù verso la gola e l'accenno di pomo d'Adamo che percepisco scattare appena al mio passaggio.
« Non è il momento, Sara... sono stanco stasera e domani devo alzarmi presto per andare in ufficio: ho una riunione importante ».
Questo è quello che dice, eppure sento la sua presa farsi più intensa per trattenermi.
« Hai sempre riunioni importanti a cui presiedere », spezzetto la frase tra un bacio e l'altro mentre salgo lentamente fino alla linea della mascella, percorrendola tutta mentre sento il lieve pizzicore della barba già cresciuta di poco nel giro di una singola giornata.
Le sue mani iniziano a scendere lungo la mia schiena, fermandosi poi sui fianchi e spingendomi verso di lui. « Sono un tipo importante, lo sai... », e poi tutta la magia si spezza e Alex mi lascia andare. « Ma ora è meglio dormire ».
Mi stiracchio e mi rilasso al suo fianco; di solito è lui a dare il via ai giochi, ma stasera ho voglia di divertirmi un po' io. « Mi manca l'Alaska, sai? » cinguetto in tono vagamente allusivo.
Alex respira a fondo, lasciando fuoriuscire un profondo suono gutturale a quel ricordo che sono riuscita a far tornare alla sua mente. « Sei perfida, Sara... vuoi lasciarmi dormire senza tormentarmi sì, o no? »
Sì, sono perfida, così gli volto le spalle e mi spalmo ben bene contro di lui. « Ok, dormiamo », rispondo candidamente.
In tutta risposta, e in piena contraddizione alle sue parole, sento il suo bacino avvicinarsi lentamente, facendomi ampiamente capire che non è così assonnato come tenta di farmi credere.
« Sei tremenda, lo sai? »
Torna a stringermi contro di lui, e questa volta è il mio collo quello preso d'assalto; proprio in quel punto più delicato, quello appena sotto all'orecchio, che sa bene quanto mi faccia impazzire. Annuisco in silenzio alle sue accuse, godendomi le sue carezze e attenzioni che negli ultimi giorni mi sono parecchio mancate.
« Sara... non possiamo, lo sai... », mormora appena, soffiando il suo fiato caldo sul mio orecchio.
Annuisco di nuovo, in preda a profondi brividi di piacere. E lui non accenna a smettere di toccarmi; sento la sua mano scendere e infilarsi sotto la maglia del pigiama, l'unica cosa che indosso.
L'unica, in tutti i sensi.
E lui se ne accorge immediatamente quando ormai il suo palmo ha superato il limite assente degli slip. E allora si blocca di scatto.
« Cristo, Sara, mi vuoi far morire stanotte? »
Sorrido appena della sua sorpresa, ma poi mi lascia andare improvvisamente, e l'incantesimo si spezza nuovamente, lasciandomi accaldata e in preda al desiderio. Mi giro verso di lui velocemente, di nuovo a ricercare uno sguardo che non riesco a vedere ma che percepisco nonostante tutto.
« Scusa, Alex, ma è stato un periodo orribile e volevo solo... rilassarmi un po', tutto qui », sussurro.
Lo sento sospirare a fondo. « Non me ne hai più parlato... sei sempre stata in silenzio le scorse notti. Che ti succede? »
Lascio andare la testa sul cuscino, concentrandomi per ricercare con lo sguardo il lampadario nascosto nel buio. « Non volevo darti noie, hai già le tue cose al lavoro, non mi ci volevo mettere pure io con i miei problemi ».
« Cazzo, Sara, sono tuo fratello. Se non ne parli con me, con chi dovresti? Ci siamo sempre raccontati tutto, da sempre ».
Sbuffo a fondo e incrocio le braccia. « Non sei mio fratello, smettila di ripeterlo in continuazione. Abbiamo condiviso cose che i fratelli non condividerebbero mai ».
Il suo tono si fa improvvisamente più duro e spazientito. « Sei cresciuta insieme a me da quando sei arrivata in questa casa all'età di cinque anni, Sara. Sei mia sorella, sei la mia amica e la mia... », ma le sue parole si perdono nel buio e nel silenzio. E io non le completo, anche se entrambi sappiamo quale sia la parola più adatta a rappresentare lo speciale rapporto che abbiamo creato negli anni.
Durante il mio attacco improvvisato si era irrigidito nei modi e nei gesti, ma ora lo sento rilassarsi e allungarsi accanto a me. « Scusa se ho alzato la voce. Non volevo. Ora raccontami che ti succede ».
Ricerco nel buio la sua guancia e lascio una scia di carezze dalla tempia al mento. « Oggi ho lasciato il lavoro », dico, sputando il primo segreto con gran fatica.
« E perché?! » esclama.
« Beh, la titolare mi ha costretto a farlo. Oggi ho... beh, ho discusso con una cliente al negozio ».
« Discusso? »
« Animatamente », aggiungo cauta.
« E immagino che il graffio che hai accanto al labbro non c'entri nulla », il suo tono è chiaramente sarcastico.
Automaticamente porto le dita alle labbra. « Come fai a vederlo? È buio ».
« L'ho visto prima a cena », spiega.
« Mmm... non ho voglia di stare a parlarne adesso ».
« C'è dell'altro, però », aggiunge.
« Sì... ho lasciato Andrea ».
Ok, l'ho detto, ci sono riuscita. La sua risposta tarda molto ad arrivare, visto che sta evidentemente scandagliando con attenzione le conseguenze del fatto che io sia ritornata single dopo più di due anni passati con quel demente.
« Non che me ne dispiaccia chissà quanto, ma potrei sapere il motivo? Mi sembrava che filasse tutto abbastanza bene tra di voi ».
« Se te lo dico, tu prometti di non arrabbiarti? » domando cauta.
Dalla sua gola sale una sorta di grugnito di disapprovazione, ma alla fine annuisce.
« Ho trovato dei messaggi sul suo telefono... messaggi di una ragazza ».
« E l'hai lasciato solo per quello? »
« Beh, se ci trovi scritto "Non vedo l'ora di leccarti tutto di nuovo, mio stallone", credo di avere avuto le mie buone ragioni ».
Le coperte iniziano a muoversi animatamente sotto la sua collera e, prima che inizi a urlare e imprecare in preda alla rabbia, gli piazzo la mano sulla bocca. « Hai promesso di non arrabbiarti! E smettila di far così, altrimenti La coppia ci sente ».
Qualche secondo per calmarsi, e poi il suo respiro sulle mie dita torna regolare. « Mi dispiace, tesoro. Vieni qui », mormora riaccogliendomi tra le sue braccia.
Il mio posto preferito in assoluto.
Sento dei rumori nella camera accanto: Luisa, la madre di Alex, deve aver parlato nel sonno.
« Era un coglione. Lo è sempre stato e continuerà a esserlo », mormoro contro il suo petto.
« Posso ucciderlo? » domanda.
« No... quello lo farò io, stanne certo ».
« Posso almeno fargli male? »
Mi fa ridere quando scherza così. Alex non ha praticamente mai fatto a botte con nessuno, è buono come una fetta di pane, e invitante come la nutella spalmata sopra.
« Vedremo... ma ora coccolami un po' ».
Sospira di rassegnazione, affondando la testa tra i miei capelli. « Sara... Non ce la faccio come le altre sere... ti... ti voglio troppo », sussurra, le parole che si spezzano sul finale.
« Ti voglio anche io », rispondo, lasciando appena un fragile secondo di silenzio a mimare un tentennamento che in realtà non ho. « Voglio ritornare a sentirti come un tempo... mi manchi così tanto, Alex ».
È incredibile come i nostri corpi sembrino riuscire a bypassare ogni controllo consapevole quando si tratta di desiderio fisico; i nostri corpi, le nostre gambe, i nostri fianchi, si plasmano nei movimenti, avvicinandosi sempre di più mentre ancora la nostra mente è ferma, in subbuglio, preda di rimorsi e remore che l'istinto cancella con un soffio, un sospiro.
La bocca di Alex torna allora su di me, la sento salire lenta ma avida dalla mia gola fino alle labbra, per ritornare in quel luogo che tante e tante volte abbiamo condiviso nelle notti passate assieme quando ancora eravamo adolescenti e ingenui, quando ancora non avevamo tracciato quella linea che ci avrebbe tenuti vicini, ma a distanza di sicurezza da ogni cedimento, da ogni tentennamento, da ogni rischio di perdita di controllo. Quel luogo che è rimasto al limitare dei nostri desideri, quella stanza chiusa le cui chiavi ha sempre tenuto in custodia solo e soltanto lui, e che io premo da tempo per rubargliele e poter tornare a esplorare quelle altre stanze che abbiamo conosciuto tanti anni fa, per la prima vera volta in quella fredda notte in Alaska.
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Primo capitolo modificato; ho dovuto cambiare alcune cose e, se tutto va bene, domani pubblicherò il secondo capitolo (Ne ho scritti più o meno quindici in due settimane ahahah).
Cosa ne pensate? Spero proprio possa intrigarvi come storia! :-)
A presto!!!
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