Capitolo 8
«Ecco. Leggi qui». Gli indicai le righe sul foglio che avevo in mano. Derek si era spostato sulla sedia accanto alla mia, piuttosto che starmi di fronte per poter leggere meglio i documenti che mi ero portata dietro. Bevve un sorso della sua birra, mentre scandagliava accuratamente le parole scritte.
«Tre delle quattro donne uccise suonava in un'orchestra. Tutte e tre sono state uccise qui a Chicago, mentre l'ultima uccisa era un compositore, ricercava giovani talenti da poter inserire nel mercato di tutto il mondo, ed è stata uccisa nel suo appartamento a San Francisco. Stesse modalità di omicidio: affogate nelle rispettive vasche da bagno» lessi sotto voce, in modo tale che solo Derek potesse sentire. Annuì pensieroso e quando alzò lo sguardo dai fogli per rivolgerlo a me, ebbi un tuffo al cuore alla vista dei suoi occhi.
«Mi avevi accennato ad un uomo ieri» gli ricordai con voce quasi nulla.
Riprenditi, Brosnan!
«Sì. Come ti stavo dicendo l'altro giorno, c'era un uomo quando ero ad Alcatraz. Dean Collins. Fu sbattuto ad Alcatraz per omicidio. La particolarità delle sue esecuzioni era proprio la stessa che è descritta nei tuoi referti».
«Vuoi dire che l'assassino che stiamo cercando è proprio questo Dean Collins?» domandai, guardandolo attentamente.
«Chi altro potrebbe essere? Fu considerato uno psicopatico dai medici del carcere. Per questo fu sottoposto ad uno degli esperimenti di Alcatraz» sussurrò attentamente.
«E-Esperimenti? Che genere di esperimenti?»
«Testavano la resistenza, le capacità intellettive e cazzate del genere di ogni detenuto, etichettandolo come pazzo o sano». Mi portai la mano alla bocca in un gesto istintivo. Non riuscivo a controllare il disgusto e l'orrore. Era comprensibile che avevano deciso di chiudere quel posto. Era altrettanto inspiegabile però com'era possibile che fino a qualche anno prima quel carcere accoglieva clandestinamente dei detenuti, rinchiusi come cavie da laboratorio.
«Troppo oscuro per una come lei, Miss Brosnan?» chiese Derek , assimilando la mia reazione. Scossi la testa e abbassai lentamente la mano, riappoggiandola sul tavolo.
«È impossibile anche solo da pensare che siano potute accadere cose del genere, Derek » sussurrai, distogliendo lo sguardo dal suo viso, per guardare dritto di fronte a me, un punto indefinito.
Dovevamo trovare quell'uomo. Ma da dove potevamo iniziare?
«Hai qualche idea su dove potrebbe essere?» chiesi subito dopo.
«Olivia sono anni che non vedo quell'uomo. Da quando sono stato rilasciato e sono venuto qui a Chicago».
«Certo. Scusa ... » mormorai delicatamente.
«Però adesso che ci penso ... »
«Cosa?»
«Limerick John» mormorò Derek tra sé.
«Chi?» domandai confusa.
«Limerick John» ripeté. «Ho avuto sue notizie qualche mese fa da Bob, un ex detenuto, trasferitosi a Chicago con la famiglia. Limerick era detenuto ad Alcatraz e ha tentato la fuga quando ero lì dentro. Era riuscito a raggiungere le spiagge di San Francisco, ma a causa del freddo fu riportato lì dentro. Il direttore aveva redatto il suo certificato di morte al tempo perché credeva sarebbe morto per ipotermia nel giro di poche ore. Era uno spettro lì dentro» disse Derek, fissando nuovamente i suoi occhi nei miei dopo aver finito il racconto.
«E cosa collega questo John Limerick con Dean Collins?» chiesi incuriosita e intenzionata a scoprire la verità.
«Limerick aveva legato con Collins per via di un esperimento a cui entrambi furono sottoposti».
«E questo Bob sa dove si nasconde John Limerick?»
«Nasconde? Olivia quell'uomo non si nasconde. Attende da anni la morte perché è troppo codardo per farlo da solo» ribattè con una nota di mezza ironia nella voce.
«Okay» sorrisi. «Ciò che intendo è se questo Bob può portarci da lui» dissi risentita. Mi sentivo ad un passo dal risolvere il caso, ma ero ancora con le mani vuote.
«Ti posso portare da lui, sì».
«Beh, ti ringrazio. Se sa dove si trova e riusciamo a parlare con Limerick, dobbiamo solo sperare a quel punto che sappia dove si trova l'uomo che stiamo cercando».
«Ottima analisi, Miss Brosnan. Ma per questa sera potremmo smetterla di parlare di lavoro e goderci la serata?» domandò divertito, alzandosi in piedi.
Non resistetti. Lo guardai in faccia e scoppiai a ridere. Derek mi fissava con divertito distacco dall'alto, mentre si infilava il cappotto, dopo aver abbassato le maniche della sua camicia che aveva alzato su durante la cena. Non potei fare a meno di notare i numerosi tatuaggi. Era un ex galeotto era vero, ma non aveva nulla che lo riportasse a quell'esperienza. Niente teschi o strane incisioni, per quel che avevo potuto vedere dalle braccia scoperte.
Lo imitai, indossando nuovamente il mio cappotto.
«Cos'hai in mente?» domandai, mentre mi stringevo al mio cappotto e mi preparavo all'aria fredda dell'esterno.
«La serata non è ancora giunta al termine, Miss Brosnan» mormorò con voce bassa. «Le andrebbe di fare una passeggiata con me? Ci sarebbe una cosa che vorrei mostrarle» chiese con un'espressione galante dipinta in viso, mentre mi offriva il braccio come un vero cavaliere. Decisi di restare al gioco. Afferrai il suo braccio.
«Accetto, ma devo informarla, Mr Bomer che indosso delle scarpe per nulla convenienti ad una passeggiata» dissi divertita dei nostri toni, riferendomi ai tacchi che indossavo.
«Non è molto lontano da qui» mormorò Derek , risalendo velocemente il mio corpo con lo sguardo, prima di iniziare a muoversi trascinandomi con sé.
Mentre camminavamo pensai distrattamente che quello era l'unico primo e vero contatto che io ed Derek avevamo avuto.
Parlammo per un po', più che altro Derek mi chiedeva di me. Avevo notato che non amava molto parlare di sé, così l'assecondavo evitando in ogni modo di frapporre ogni sorta di imbarazzo tra di noi. Dopo circa tre isolati, raggiungemmo Millennium Park e non appena scorsi l'enorme scultura che dominava quella piazza, capii le intenzioni di Derek.
Il Cloud Gate si ergeva in tutta la sua magnificenza, e dopo due anni che avevo imparato ad ammirare quella scultura ogni qual volta avevo l'occasione di passarvi accanto, non avevo ancora compreso quale atmosfera rendeva irresistibile quell'enorme opera d'arte, se la luce notturna che con le sue innumerevoli luci artificiali, che permettevano al Cloud Gate di ricreare una magnifica Chicago sempre attiva e sveglia anche di notte, sotto la luce della luna e del manto stellato del cielo americano o quella diurna, dominata dal sole che splendeva alto nel cielo ricreando giochi di luci e ombre che erano capaci di mozzare il fiato anche a chi non si impressionava poi tanto facilmente.
«Derek» sussurrai letteralmente senza fiato, mentre lo seguivo fino ad arrivare proprio di fronte all'imponente scultura.
«Ha il potere di farti guardare la realtà da tutti i punti di vista, di spingerti a non soffermarti allo strato superficiale delle cose, di scavare più a fondo» mormorò con voce quasi assente accanto a me. Mi staccai da lui per avvicinarmi. Non l'avevo mai vista di notte. Mi avvicinai e la toccai. Accarezzai l'acciaio e mi specchiai nella scultura. Il mio viso aveva assunto una forma strana. Era un'immagine distorta, perfettamente definita, ma pur sempre distorta. Sorrisi. Sembravo davvero buffa: il corpo era impossibilmente piccolo e non in proporzione con il viso esageratamente grande. Tutta colpa o merito delle curve del Cloud Gate. Per questo veniva definito The Bean, il fagiolo.
Distolsi lo sguardo dalla mia figura, per posarlo sull'immagine riflessa di Derek che era rimasto qualche passo indietro. Mi stava fissando intensamente e sentii montare un improvviso senso di disagio. In realtà credevo fosse il suo sguardo a rendermi nervosa. Intimidiva a tal punto da far spegnere la tua mente e renderla inutilizzabile per un tempo indefinito.
Scossi la testa impercettibilmente e mi scostai, inoltrandomi all'interno della scultura. Non era molta la gente presente lì intorno, ma il chiacchiericcio generale permise alla mia mente di non naufragare, consapevole della presenza di Derek dietro di me, quando raggiunsi l'ombelico del Cloud Gate che moltiplicava i riflessi della gente lì presente.
Derek mi raggiunse, ma nessuno dei due osò aprir bocca per un interminabile momento. Ci limitammo a guardarci e solo quando le nostre espressioni serie e pensierose mutarono in un sorriso sincero e forse imbarazzato, riafferrai il braccio di Derek e ritornammo indietro, lasciandoci alle spalle l'esperienza inspiegabile di qualche istante prima.
Derek mi destabilizzava in un modo che forse non era chiaro nemmeno a lui.
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