Capitolo 3
«Ma questo uomo esiste davvero?» domandai al limite dell'esasperazione.
«Certo che esiste. Ti fidi di me?»
«Francamente, Zack? No» dissi, sorridendo.
Zack scosse la testa divertito, ma come poteva darmi torto. Era oramai una mezz'ora buona che eravamo seduti al tavolo di quella caffetteria, in attesa. La nottata trascorsa di ritorno da Alcatraz non era stata delle migliori, così come il brusco risveglio a causa di Nerone.
Le giornate non erano da meno naturalmente: sembravano rispecchiare gli animi di tutti quanti. I continui omicidi iniziavano a spaventare la gente. Se la polizia non riusciva a proteggerli, chi poteva farlo? Dovevamo assolutamente risolvere quel caso.
I miei pensieri furono scossi dal movimento di Zack che si alzò in piedi come ad accogliere qualcuno. Seguii il suo sguardo, fino ad intercettare una figura che si avvicinava a noi lentamente, ma sicura di sé.
Mi alzai di scatto anch'io, pronta ad accogliere il nostro ospite, quando l'uomo misterioso si posizionò proprio davanti al nostro tavolo.
«Signor Bomer» lo salutò Zack. Si conoscevano già.
«Signor Dicory» lo salutò di rimando, per poi voltarsi verso di me. Ero tuttavia completamente bloccata, guadagnandomi un'occhiataccia da parte di Zack e inducendo il signor Bomer lì presente, a sorridere della mia goffaggine. Non mi fidavo di lui, ecco cos'era.
«Olivia Brosnan» mormorai alla fine.
«Derek Bomer» disse l'uomo, togliendosi gli occhiali da sole e scoprendo i suoi occhi chiari. Perché indossava gli occhiali da sole quando del sole non vi era traccia?
«Prego, si accomodi» disse Zack. Conosceva la mia difficoltà nel fidarmi della gente, ma quell'uomo sembrava diverso. Mi concessi silenziosamente il diritto di poterlo osservare. L'uomo dinanzi a me, era alto molto più di Zack e continuava ad attirare l'attenzione su di sé, passando la sua mano sui suoi capelli ondulati. Questo uomo sapeva il fatto suo e ne era dannatamente a conoscenza, a parer mio. Paragonandolo a lui, Zack perdeva quasi il suo fascino e Zack era un bell'uomo, a detta delle donne del distretto e anche di mia madre. Non era il mio tipo, ma era pur sempre un bell'uomo; una bellezza completamente diversa dall'uomo dinanzi a noi, certo.
«Se hai finito, potremmo iniziare» mormorò Zack in modo tale che solo io potessi sentire. Annuii impercettibile, prima di richiamare l'attenzione del cameriere.
«Desiderate ordinare?» chiese cordialmente.
«Due caffè per me e il mio collega. Lei, signor Bomer, cosa prende?» chiesi.
«Anch'io un caffè. Grazie» disse, senza distogliere lo sguardo dal mio.
Il cameriere si allontanò, ma me ne accorsi appena. Questo uomo aveva uno sguardo troppo profondo. Mi rendeva nervoso. Distolsi per prima l'attenzione dal suo viso, per spostarlo sui fogli sparsi sul tavolino.
«Bene, signor Bomer, mi dica perché vuole aiutarci» dissi velocemente, riacquistando la mia professionalità.
«Perché voglio essere definitivamente libero, signorina Brosnan» rispose semplicemente.
Certo, aveva senso.
«E come esattamente ha intenzione di aiutarci?» si intromette Zack.
«Ho vissuto con quegli uomini per molti anni. Forse potrei sapere chi cercate». Lo fissai mentre si rivolgeva a Zack. Smisi di ascoltare. Bomer non si stava più rivolgendo a me. Potevo fidarmi di lui, di un ex galeotto? La sua teoria poteva anche essere accettata: desiderava la completa libertà e per ottenerla si doveva servire di noi.
Dovevo tuttavia fare le mie indagini e non sarei stata più affiancata da Zack. Potevo farcela. Dovevo farcela. Non potevo tollerare altre morti.
«Ecco il vostro caffè» disse gentilmente il cameriere, porgendomi la tazzina. Lo ringraziai velocemente, prendendo a bere il mio secondo caffè in meno di due ore. Aveva ragione mia madre: ne ero assolutamente dipendente.
«Tu cosa ne pensi, Olivia?» domandò improvvisamente Zack.
Scossi impercettibile la testa. Merda! « Riguardo cosa?»
«Mac mi ha affidato un altro caso. Lavorare da sola adesso... »
«Mac mi aveva già informato di questo, e poi non è la prima volta che risolvo crimini da sola» dissi con fare altezzoso, sorseggiando il mio caffè. Sentii signor Bomer ridacchiare silenziosamente. Tanto silenziosamente da passare inosservato a Zack, ma non a me. Mi voltai verso di lui, facendolo immediatamente smettere di ridere. Conoscevo il pregiudizio proprio degli uomini e avevo imparato ad odiarlo.
«Intendevo dire...» Zack s'intromise nuovamente.
«Cosa, Zack?»
«Niente. Lascia perdere. Comunque sia, io devo tornare in centrale» disse alzandosi. Il signor Bomer lo seguì, così mi alzai anch'io.
Zack si allontanò, raggiungendo la sua auto, mentre io e il signor Bomer ci allontanavamo dal bar.
«Quindi da oggi in poi lavorerò con lei, Miss Brosnan. Sarà ... interessante» disse lui, indossando nuovamente i suoi occhiali. Incutevano un certo timore, forse era proprio quello il motivo per il quale li indossava indipendentemente dalla presenza o meno del sole nel cielo. Si volò ridacchiando, raggiungendo la sua auto.
«Ho già il suo numero» gridò in lontananza.
«Sia puntale questa volta» gridai di rimando, guardandolo raggiungere il lato del guidatore. Scusa, bloccandomi quasi il respiro. Era un sorriso accondiscendente quello? Scossi pietosamente la testa, raggiungendo la mia auto.
Avevo delle ricerche da fare e del lavoro da svolgere.
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