Capitolo 18
Quando l'alba si levò quella mattina, una forte ansia prese ad attanagliare il mio corpo come d'improvviso. Erano passati circa un paio di giorni e il ritorno a San Francisco era arrivato. Tra poche ore saremmo partiti lontani da Chicago, verso la città eterna, piena di segreti. Continuai a guardare il soffitto della mia camera. Non ero riuscita a chiudere occhio. Mac si era raccomandato di organizzare questo viaggio nei minimi dettagli e aveva messo a disposizione una delle sue squadre se mai ne avessimo avuto bisogno, ma dubitavo avessimo avuto bisogno d'aiuto. La parte difficile del viaggio sarebbe stata sopportare Zack dopo le accuse che aveva fatto a Mac, e sapevo che non vedeva di buon occhio neppure Mr Bomer. Scossi la testa e mi districai dalle coperte. Abbandonai il mio letto, saltellando fino al bagno. Il pavimento del mio loft diventava sempre più freddo man mano che l'autunno di Chicago lasciava libero campo al caro e accogliente inverno. Avevo litigato non so quante volte con mia sorella Anna quando eravamo entrambe nient'altro che due bambine. Insomma lei era sempre stata un'amante della bella stagione. Il sole che ti baciava la pelle, la brezza del mare che ti accarezzava serenamente. Io invece ero sempre stata l'opposto, anche in quello. Avevo sempre amato i periodi freddi, da passare in famiglia, nel candore della propria casa, e questa la diceva lunga su di me. Prossima ai trent'anni e completamente sola gran parte delle giornate. Ma perché cambiare? Non mi era mai importato. Le mie priorità erano ben altre e lo erano tuttora, benché io fossi consapevole della volubilità del tempo. Non aspettava nessuno, e non l'aveva mai fatto.
Scossi impercettibilmente la testa ancora una volta. L'acqua calda percorse insistente il mio corpo. Avevo bisogno di sciogliere un po' la tensione, e in casi come quello, non conoscevo modo migliore. Era un toccasana. Talvolta riuscivo a spegnere la mente e a concentrarmi solo sul getto d'acqua che impetuoso continuava a bagnare il mio corpo. Talvolta invece mi rilassavo a tal punto da riuscire a pensare in maniera lucida e razionale. Erano i momenti migliori, e anche quelli più gratificanti. Avvolsi il mio corpo in un asciugamano e raggiunsi la cucina. Avevo bisogno di un caffè, e dovevo anche sbrigarmi. Derek sarebbe arrivato a momenti.
«Perché guidi un pick-up oggi?» domandai a Derek una volta averlo raggiunto in strada.
«Buongiorno anche a te. Io sto bene, grazie e tu?» rise di rimando, prendendosi gioco di me.
«Molto divertente. Sei sempre così giocoso la mattina?»
«Dovresti scoprirlo da sola» mormorò lui avvicinandosi e prendendo il mio borsone, lasciato ai miei piedi. Non riuscivo a credere che l'avesse detto realmente.
«Invece di fare lo spiritoso potresti rispondere alla mia domanda» gli feci notare, risentita.
«Ordini del tuo capo. Ti eri affezionata alla mia auto?» domandò divertito, avvicinandosi al cofano.
«A essere sincera ... sì» mormorai, seguendolo. Posò il mio borsone in auto, voltando lo sguardo verso di me, quando udì la mia risposta.
«Stai cercando di uccidermi, Miss Brosnan?» rise, trascinandomi in una risata liberatoria, che cancellò la notte in bianco che avevo passato. Richiuse il cofano con un forte colpo, facendo sobbalzare l'auto, prima di prendere posto al suo interno. Entrai anch'io, chiudendo la portiera.
«Zack» mormorai, salutando l'uomo seduto davanti, accanto a Derek.
«Olivia». Scambiai una rapida occhiata con Derek sullo specchietto retrovisore, incrociando i suoi occhi, prima che facesse partire l'auto.
Mi chiesi oziosamente perché Derek avesse voluto guidare, lasciando Zack in disparte. Forse non si fidava della sua guida, anche se Zack non era male. Scossi impercettibilmente la testa, rilassandomi sui sedili posteriori, lanciando una rapida occhiata ai due uomini davanti a me, tanto diversi quanto attraenti, prima di distogliere lo sguardo e rivolgerlo al paesaggio esterno.
Il viaggio era stato lungo come si era presagito. Avevamo fatto poche pause e sempre per rifornirci. Derek aveva lasciato che Zack prendesse il controllo dell'auto solo una volta, per poi prendere nuovamente il posto di guida. Era evidente che Derek non si fidasse di nessun altro a parte sé stesso, e non potevo dargli torto. Come lui ero sempre cresciuta con una sorta d'indipendenza e sicurezza che mi aveva spinta sempre di più a credere più in me stessa piuttosto che negli altri. Ero sempre stata restia a fidarmi della gente. Volevo che le cose andassero in una certa maniera e volevo avere io il controllo.
Tirai un sospiro di sollievo, quando l'auto si fermò in quello che doveva essere il parcheggio di un motel. Saltai giù, sgranchiendo i miei arti più che atrofizzati.
«È stato uno dei viaggi più lunghi della mia vita» mormorai a bassa voce tra me, mentre cercavo di ritrovare la sensibilità delle mie gambe.
«Siamo arrivati sani e salvi, principessa. Ringrazia solo questo» mormorò la voce di Derek. Se ne stava fermo a osservarmi come se non avesse niente di meglio da fare, con le sue braccia strette al petto a risaltare il suo corpo. Che diavolo stava facendo?
Distolsi lo sguardo, non appena la risata di Derek rimbombò nella mia testa, ma ci pensò Zack a salvarmi.
«Derek è questo il motel?» gli chiese, voltandosi verso la struttura. Mi voltai anch'io. Lo ricordavo, io e Derek avevamo dormito al Season Motel quando ci fermammo a San Francisco quella notte. Volsi lo sguardo, concentrando la mia attenzione nuovamente su Derek che non aveva cambiato la sua posizione. Scrollò le spalle, quando colse la mia espressione, prima di staccarsi dal cofano dell'auto e incamminarsi lungo il parcheggio, verso il motel.
«Esattamente quanti giorni rimarrete al Season, signori?» ci chiese l'uomo oltre il bancone della reception. Distolsi lo sguardo quando posò gli occhi su di me. C'era qualcosa nel suo modo di osservarmi che non mi piaceva, mi intimidiva e iniziava a non piacermi quella sensazione. L'avevo provata durante l'incontro con John Limerick che si era rivelato poi disastroso. Incrociai per un breve istante i miei occhi con quelli di Derek, sorpreso a spostare lo sguardo dall'uomo a me. Percepiva la mia stessa sensazione?
«Non lo sappiamo ancora» rispose Zack quando notò che sia io che Derek eravamo più impegnati a fissarci che interessati a rispondere.
«Buon soggiorno al Season allora» disse la voce dell'uomo, prima che varcassimo le porte d'ingresso e uscissimo all'esterno per recuperare le nostre borse e raggiungere le nostre camere.
Il mio braccio fu improvvisamente bloccato dalla forte stretta di una mano attorno ad esso. Mi voltai incrociando lo sguardo di Derek diventato più severo.
«Voglio che tu stia il più lontano possibile da quella stanza» mormorò con voce bassa, indicando con un gesto del capo la reception, lontana dalle stanze vere e proprie del motel. «Non mi piace come ti guarda quell'uomo» continuò. La voce sempre più bassa, più intima. Percepivo il suo timore, come se stesse cercando di proteggermi. Avevo notato quella caratteristica del suo carattere molte altre volte. Annuii, consapevole che sarebbe stato esattamente ciò che avrei fatto. Nemmeno a me piaceva come mi guardava quell'uomo.
«Stà attenta, Olivia. Sarai anche un detective, ma sei pur sempre una donna e molti uomini non si fanno scrupoli» disse infine, rilasciando la presa sul mio braccio. Presi un profondo respiro che mi morì in gola quando le dita di Derek si sollevarono per posarsi sul mio viso e spostare alcune ciocche dei miei capelli dietro il mio orecchio, ribelli a causa del leggero vento.
Solo quando il suono di sblocco automatico dell'auto risuonò nella notte, io e Derek sembrammo ritornare alla realtà, allontanandoci l'una dall'altro e raggiungendo l'auto.
Zack aveva già la sua borsa posata sulla spalla quando lo raggiunsi insieme a Derek . Ci guardava con una strana espressione nello sguardo, che non mi curai però di interpretare, non volendo pensare ad altro se non a chiudere i miei occhi e lasciarmi andare ad un sonno profondo.
«La prendo io» mormorai a Derek quando lo vidi prendere anche la mia borsa.
«Non è un problema» replicò, chiudendo l'auto e incamminandosi verso le nostre camere, lasciandomi poca possibilità di controbattere.
Iniziai a seguirlo, rimasta a qualche passo di distanza, quando nuovamente fui fermata.
Guardai Zack con disapprovazione, cercando di capire il motivo dietro il suo atteggiamento.
«Cosa c'è tra te e quell'uomo?» domandò, indicando Derek con lo sguardo.
Cosa?
«Olivia» mi richiamò quando non ricevette risposta. «Non mi piace come ti guarda e soprattutto come tu guardi lui».
«Zack. Cosa. Vuoi?» gli chiesi cercando di rimanere tranquilla, benché stessi già perdendo la pazienza. «Perché ti dovrebbe importare?»
«Voglio solo che tu rimanga al tuo posto».
«Questo ti autorizza a fare le tue cavolo di supposizioni su me e su di lui?» gli domandai. Era tutto il giorno che dovevo dirlo. Anzi no! Era da quando Mac aveva gettato questa bomba che volevo uccidere Zack Dicory e le sue cavolo di sensazioni del cavolo.
«Quindi Mac te l'ha detto?»
«Quindi Mac te l'ha detto?» ripetei facendogli il verso. «Ma ti senti? Sì, me l'ha detto. Ciò che non capisco è perché tu abbia fatto una cosa del genere».
«Olivia ...» mormorò con voce grave, come se fosse pentito. «Stà solo attenta a come ti comporti» concluse, girando i tacchi e lasciandomi sola ed interdetta in un parcheggio desolato di San Francisco.
*
Perdonate la mia assenza prolungata. Spero semplicemente che sia stato da voi gradito questo capitolo. Se posso anticipare qualcosa, seguiranno capitoli interessanti.
Detto questo, adesso torno alla spiegazione della mia prof. Buona giornata!
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