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Capitolo 17

«Olivia, hai dato un'occhiata ai dossier che ti ha portato Scott?» domandò la voce lieve di Rebecca, quando fece capolinea nel mio ufficio. Ero più che sicura l'avesse mandata Mac. Da quando avevamo avuto quella discussione al distretto, non aveva smesso di controllarmi un attimo.

«Gli darò un'occhiata adesso, Rebecca. Puoi rassicurare Mac al posto mio. Grazie» dissi, afferrando la cartellina riguardante i referti sull'ultimo omicidio, che Scott aveva fatto recapitare nel mio ufficio già da un paio di giorni. Quando vidi l'espressione di Rebecca cambiare, capii di aver fatto centro. Mac mi stava controllando, ma sapeva con chi aveva a che fare, diamine. La vidi arrossire leggermente e annuire piano, prima di voltarsi e lasciare il mio ufficio.

Fissai quella porta per non so quanto tempo, prima di scuotere la testa e aprire la cartellina che avevo di fronte.

Cristo Santo!

Quella ragazza aveva poco più di vent'anni e gli strani graffi sul corpo, altro non erano che vere incisioni. Iniziai a sfogliare le pagine quando scivolarono un paio di fotografie dell'autopsia. Rappresentavano quegli strani segni. Iniziai a fissarli, a studiarli, mentre il tempo passava e quelle incisioni rossastre non acquisivano alcun significato per me.

Mi alzai di scatto, afferrando le fotografie e uscii dal mio ufficio. Il distretto era affollato, nonostante stesse quasi tramontando il sole. Mi avvicinai all'ascensore, intenta a raggiungere Scott nel suo ufficio nel seminterrato.

«Avanti» rispose cordialmente la voce al di là della porta che mi ritrovavo davanti.

«Salve, Scott» salutai l'uomo di spalle intento a studiare qualche particolare sul tabellone a lui davanti. Si voltò di scatto quando udì la mia voce.

«Miss Brosnan. Non viene molto spesso qui» disse, togliendosi gli occhiali e venendomi incontro, chiaramente sorpreso. Odiavo quel posto ad essere sincera. L'idea di ispezionare cadaveri su tavoli metallici come fossi un piccolo chimico in esplorazione non mi allettava affatto.

«Non ho un debole per questo piano in effetti» sorrisi, mentre stringevo la mano che mi aveva porto.

«Immagino debba essere importante allora» disse, studiando la mia espressione. «Prego, si accomodi» continuò cordialmente, indicandomi una delle poltrone all'angolo.

«Non è necessario che mi sieda, Scott. Volevo solo farle vedere una cosa». Posai sul bancone accanto a noi, le foto che egli stesso mi aveva fatto avere.

«È l'autopsia».

«Esatto» annuii. «Volevo sapere cosa significavano per lei questi segni. È tutto il giorno che ci rimugino su, ma non capisco cosa vogliano dire».

«Beh ...» sospirò, indossando i suoi occhiali. «Non ho detto nulla neppure a Mac, ma io ho le mie supposizioni».

«Che supposizioni?» gli chiesi a quel punto.

«Sulle fotografie che possiedi non si nota bene, ma se sei disposta a vedere il corpo della vittima posso mostrarti quello che intendo». Rabbrividii all'istante. Merda. Merda. E ancora merda. Presi un profondo respiro, cercando di ignorare la battaglia che si stava svolgendo al mio interno.

«Devo vedere tutto il corpo?» domandai, incrociando inconsciamente le mie dita.

«No. Ti mostrerò solo una parte della sua schiena» disse, incamminandosi lungo un corridoio, oltre il suo ufficio. Lo seguii, benché fossi esitante e restia a vedere un cadavere. Riportava a galla ricordi di una bambina immobile nel cuore della notte sul ciglio della strada. Scossi la testa. Erano ricordi che dovevano rimanere sepolti. Quando decisi di intraprendere quella strada, sapevo che avrei dovuto convivere con quella mia paura, ma d'altronde era esattamente come quando un uomo decideva di diventare un medico ma il suo stomaco si rivoltava alla semplice vista del sangue. Lì capisci che la tua carriera è stroncata prima ancora di nascere se non vinci la tua paura. Così ero io. Ma avevo da sempre persistito verso il mio sogno e avevo fatto in modo che esso un giorno diventasse realtà. Era il mio obiettivo ed ero riuscita a raggiungerlo.

«È la parte più significativa». La voce di Scott, risvegliò la mia mente. «Quelli sulla parte anteriore del corpo sono graffi dovuti al trascinamento, mentre questi ... » disse, affievolendo la sua voce sul finire. Scostò il lenzuolo che copriva il corpo della vittima, scoprendo solo una piccola parte della sua schiena.

Mi avvicinai immediatamente, incuriosita, iniziando a studiare quel piccolo lembo di pelle.

«Le tue supposizioni?» ricordai a quel punto.

«Ah già». Scott mi si avvicinò, portando una luce con sé ad illuminare il corpo. La pelle era pallida e la temperatura gelida la si percepiva anche se non la si toccava realmente. «C'ho messo giorni a identificarli, ma alla fine quando li vidi un'altra volta, apparivano sempre più come delle note musicali».

«Note musicali?»
La sorpresa era chiara nella mia voce. Scott annuì, indicandomi il corpo.

«Dia un'occhiata». Avvicinai maggiormente la luce, guardando attentamente lì dove Scott mi indicava. Era difficile da dire. Ci voleva un pizzico in più di immaginazione, ma la sua teoria poteva essere vera. Soprattutto quando mi avvicinò un foglio di pentagramma con delle note musicali scritte su di esso.

«Credo che tu abbia ragione, Scott» mormorai, aggrottando la fronte. Poteva avere senso. Ricordai le informazioni che avevo letto negli altri referti e in particolare gli accenni al mondo della musica. Aveva senso. Ciò che non mi spiegavo era il perché quell'uomo uccideva qui a Chicago se John Limerick stesso mi aveva assicurato che si trovasse a San Francisco.

Quattro delle cinque vittime erano di Chicago.

Ringraziai Scott, per poi raggiungere l'ufficio di Mac.

«Oh». Sobbalzai quando aprii la porta dell'ufficio di Mac. Non mi ero curata neppure di bussare, ma nessuno parve rendersene conto.

«Olivia. Questi sono la signora e il signor Maurier. I genitori della giovane vittima che abbiamo ritrovato nel vecchio porto» disse Mac. Andai incontro ai signori che abbandonarono le loro sedie per stringere la mia mano.

«Olivia Brosnan» mormorai presentandomi.

«Olivia si sta occupando del caso» spiegò Mac ai due signori. «Hanno fatto un lungo viaggio da San Francisco per vedermi» continuò rivolgendosi a me.

«San Francisco?» domandai sorpresa a quel punto.

«È lì che viviamo, Miss Brosnan» mi rispose Mrs Maurier.

«Credevo viveste qui a Chicago». Aggrottai la mia fronte e fui vagamente consapevole che dovetti sembrare strana ai due signori davanti a me con domande che non erano affatto inerenti al caso.

«No. Nostra figlia Maggie si era trasferita da poco per seguire alcune lezioni» disse affievolendo la sua voce.

Avevo dato per scontato che vivessero qui a Chicago.

E mentre formulai quel pensiero, ignorai la conversazione che Mac stava avendo con i signori Maurier. Mi sembrò improvvisamente di aver trovato la risposta alla domanda che mi ero porta nello studio di Scott. A quel punto dovevo controllare nuovamente i referti delle vittime. Forse quell'uomo, Dean Collins aveva ucciso qui a Chicago perché le ragazze si erano trasferite da San Francisco. Ma dovevo accertarmene.

«Signori Maurier, perdonatemi. Conoscevate un uomo di nome Dean Collins? Magari vostra figlia seguiva qualche lezione con lui» chiesi, interrompendo la conversazione. I genitori della giovane si voltarono verso di me, ignorando Mac che mi rivolse un'occhiata che non mi curai di interpretare.

«Non che io sappia» rispose Mr Maurier, guardando la moglie sperando che smentisse la sua risposta, immaginai.

«Maggie mi aveva parlato egregiamente di un Dean, ma non sono sicura si chiamasse Collins di cognome» disse Mrs Maurier.

«Si può spiegare meglio» intervenne Mac, avvicinandosi a me.

«Era l'aiutante della sua insegnante. Credo mi avesse detto che si chiamasse Dean. Suonava il pianoforte» chiarì la donna. Aggrottai la mia fronte. Se quello che diceva corrispondeva alla verità e quell'uomo suonava il pianoforte, cosa c'entrava l'arco di violino? Non riuscivo a spiegarmelo. Dovevo andare a San Francisco. Ritornare ad Alcatraz. Controllare personalmente.

Scambiai una veloce occhiata con Mac, quando Mr Maurier attirò la mia attenzione.

«Cosa significa, Miss Brosnan?» domandò l'uomo, afferrando la mano della moglie che si era rattristata.

«Non lo so ancora, ma sono intenzionata a svelare l'identità dell'assassino di vostra figlia signori Maurier» dissi convinta delle mie parole. Mac scambiò qualche parola con loro, prima che ci salutassero e uscissero dall'ufficio.

«Chi diavolo è Dean Collins?» domandò a quel punto Mac.

«Una mina vagante per adesso» mormorai, accasciandomi sulla poltrona del suo ufficio.

«Pensi sia lui?» mi chiese, sedendosi di fronte a me, al di là della scrivania.

«No. È troppo facile. Mi sta sfuggendo qualcosa».

«Cosa intendi fare allora?»

«Tornerò a San Francisco e andrò in quel carcere, Mac» mormorai, alzandomi dalla poltrona.

«Ti serve qualcosa?» chiese con tono un po' più dolce.

«Solo il tuo permesso, capo» dissi sarcastica.

«Hai bisogno davvero solo di questo? Posso accontentarti, Brosnan» ribattè ridacchiando.

«Beh. Ti ringrazio, capo» ridacchiai prima di abbandonare il suo ufficio.

*

Buon pomeriggio a tutte quante.
Spero che la storia vi stia piacendo nonostante il cambiamento subito dal protagonista.
Fatemi conoscere le vostre impressioni. Vi ricordo inoltre la mia nuova storia: Fumo negli occhi.

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