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Capitolo 16

«Olivia». La voce rabbiosa di Mac mi colpì nonostante fossimo a miglia di distanza, costringendomi ad allontanare il telefono dall'orecchio.

«Buongiorno anche a te, Mac» mormorai con tono sarcastico.

«Non scherzare con me. Dove sei?»

«Sto tornando a Chicago» mormorai, gettando un'occhiata alla mia sinistra. L'attenzione di Derek era ferma sulla strada davanti a noi. Eravamo vicini a Chicago e il mio desiderio di tornare a casa era sfumato dalla strigliata del mio capo furioso.

«Porta il tuo sarcasmo nel mio ufficio» urlò prima di mettere giù. Guardai il telefono scioccata.

Mi aveva appena chiuso il telefono in faccia?

«Problemi con il capo?» Voltai lo sguardo, guardando Derek. Gli andava di scherzare?

«Niente che non possa risolvere» borbottai, improvvisamente sollevata quando vidi l'insegna stradale indicare l'ingresso nella città di Chicago.

«Vuoi che ti accompagni in centrale?»

«No. Ho bisogno di una doccia. Mac dovrà aspettare». Così imparava a chiudermi il telefono in faccia. In realtà sapevo che non aveva tutti i torti. Non avevo avvisato la centrale della mia piccola gita e Mac avrebbe dato di matto quando l'avrei informato del mio ritorno a San Francisco. Dovevo trovare quel maledettissimo assassino.

«Sissignora!» scherzò Derek, facendomi ridere. Da quando avevamo aperto gli occhi quella mattina, quella risata sembrava una vera benedizione. La notte passata non era stata delle migliori. Non ero riuscita a chiudere occhio, a differenza di Derek che aveva dormito profondamente, russando appena. Lo avevo invidiato tutto il tempo, e quando finalmente ero riuscita a cadere in un leggero stato di dormiveglia, la sveglia era suonata poco dopo l'alba. Un risveglio non poi dei migliori.

Ringraziai Derek quando accostò la sua auto sotto il palazzo che ospitava il mio appartamento. Abbandonai la sua auto, fiondandomi all'interno del mio loft.

«Quando ti ho detto che ti volevo in centrale intendevo subito, Olivia» disse Mac non appena varcai le porte della centrale.

«Avevo bisogno di una doccia». Scrollai le spalle, andando dritta nel mio ufficio. Non mi curai di chiudere la porta alle mie spalle, poiché Mac non aveva ancora finito con me. Mi seguì con le braccia incrociate, in attesa della mia mossa successiva. Io invece mi tolsi il cappotto e lo poggiai sulla poltrona, reggendomi al bordo della mia scrivania per guardare Mac in faccia.

«A che gioco stiamo giocando, Olivia?» chiese immediatamente. Lo guardai confusa per poi rispondere con un'altra domanda. «A che gioco dovrei giocare, Mac?»

«Questo dovresti dirmelo tu. Io sono il tuo capo» disse, enfatizzando il concetto indicandosi con le mani.

«Questo lo so».

«No. Sembrerebbe invece il contrario. Tu non puoi semplicemente andare via da Chicago, Olivia» disse con espressione contrita. «San Francisco. Davvero? Cosa hai fatto a San Francisco? Hai voluto quei dannati dossier e non ne hai voluto sapere di andarli a prendere. Qualche giorno dopo però parti per una gitarella come se niente fosse. Come se questo posto, la gerarchia di questo posto non contasse nulla».

Lo fermai, alzando il palmo della mia mano per chiedere un po' di tregua. «Primo: so perfettamente che sei il mio capo e rispetto la gerarchia di questo posto». Lo ammonii quando cercò di interrompermi. «Secondo: non sono andata a San Francisco a prendere quei dossier perché era una perdita di tempo per me. Terzo: sono andata a San Francisco per parlare con uno degli uomini che stavo cercando».

«E pensi di incontrare i criminali da sola?» domandò furioso. La sua voce risuonò in tutta la stanza. Non era la prima volta che trattava quell'argomento. Per Mac il semplice fatto di essere un detective non cancellava l'importante dettaglio che ero una donna e quindi più facilmente esposta alle percosse di qualsivoglia uomo.

«Non ero da sola. Derek Bomer era con me» mormorai a quel punto.

«Cosa?» domandò alzando maggiormente il tono della sua voce. «Derek ... Derek Bomer? Stai scherzando?»

Lo guardai e mi trattenni dal ribattere, attendendo che a quel punto continuasse. Dove voleva andare a parare?

«Derek Bomer» mormorò tra sé, iniziando a girovagare per l'ufficio. «Questa sì che è bella. E Zack che mi aveva pure avvertito».

Oh, Alt! Cosa?

«Zack cosa?»

«Dovevo credere a quel povero ragazzo quando mi aveva detto dei tuoi dannati sguardi. Davvero, Olivia? Ti credevo una donna che non si faceva abbindolare da un bel faccino» disse, ma a quel punto non risposi più di me stessa. La pazienza era un dannato punto debole e in quel momento aveva deciso di nascondersi da me. Lasciai il mio ufficio, percorrendo la centrale come una furia. Di Zack però nemmeno l'ombra.

«Ti vuoi fermare e ascoltarmi?» domandò Mac quando mi raggiunse davanti le porte d'ingresso della centrale. Io però non lo ascoltai. Uscii fuori, infischiandomene di indossare una semplice camicetta e ignorando anche il tempo grigio. «Mi chiedo come i tuoi genitori richiamassero la tua attenzione quand'eri piccola, Olivia» sbuffò sarcastico, cercando di smorzare la mia rabbia. Io però benché mi fossi fermata, continuavo a respirare velocemente a limite della mia sopportazione.

Mi voltai a guardarlo, lanciandogli un'occhiata che ricambiò con divertimento mentre si accendeva probabilmente la sua centesima sigaretta. Fumava fin troppo per avere la sua età, ma nonostante la moglie provasse da anni a farlo smettere, Mac continuava a farlo. Diceva che per il lavoro che conduceva, la nicotina fosse l'unico calmante.

«Olivia, senti» richiamò la mia attenzione, avvicinandomisi. «Sinceramente non m'importa di quello che succede tra te e quell'uomo. Sei una donna adulta e il più delle volte responsabile. È vero, ti considero come una figlia ma non ho l'autorità di dirti nulla. Ciò che mi fa ... imbestialire» continuò, prendendo un lungo respiro, ignorando temporaneamente la sua sigaretta. «Ciò che mi fa davvero diventare matto è che fai cose del genere: vai in un posto senza avvisare. Come dovrei comportarmi? Sono il tuo superiore, Olivia. Sei sotto la mia responsabilità. Che tu voglia accettarlo o meno».

Annuii, continuando però a rivolgere lo sguardo davanti a me, all'enorme piazzale della centrale. Strinsi le braccia attorno al corpo, cercando di provare un po' di sollievo. Potevo farlo, in fondo si trattava solo di informarlo. Non appena finii di formulare quel pensiero mi venne in mente subito qualcosa che dovevo dire a Mac.

«A questo proposito, Mac. Tra qualche giorno ritornerò a San Francisco» dissi con voce pacata, voltandomi per sondare la sua reazione. Si fermò con il braccio a mezz'aria, pronto a prendere un altro tiro della sua sigaretta, ma rinunciando immediatamente. Sospirò pesantemente. «Sai ... inizio a pensare che Margaret ti paghi per non farmi fumare» disse, facendomi ridere al menzionamento della moglie. Mi rivolse un'occhiata d'intesa prima di aggiungere: «Posso accettare che tu faccia ritorno a San Francisco questa settimana, ma Zack verrà con te».

«Non sarà necessario. Derek verrà con me e poi credimi, è molto meglio che tieni Zack lontano da me».

«Zack verrà con voi. Fine della storia. Non si discute, Brosnan. E adesso rientriamo. È stata la sigaretta peggiore della mia vita» borbottò infine, avvicinandosi all'entrata. Io però lo bloccai immediatamente quando mi venne in mente un'altra cosa.

«Ah Mac, mia sorella discuterà la sua tesi di laurea la settimana prossima e dovrò esserci». Si voltò immediatamente verso di me, fingendosi contrariato. Gli sorrisi, sorpassandolo e varcando le porte della centrale prima che potesse ribattere.

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