Capitolo 14
L'atmosfera che si respirava all'interno del Soul's Hell era decisamente raccapricciante, ma d'altronde il nome non ispirava nulla di buono. Il pub al suo interno era vecchio e decisamente molto frequentato dato il numero di clienti lì presenti. Era molto rustico ma con richiami bohemien e il forte odore di birra e tabacco impregnava l'aria, rendendo quasi difficile anche solo respirare.
Mi incamminai verso il bancone solo quando Derek mi spinse a muovermi. Ci avvicinammo ad un vecchio uomo che intuii essere il proprietario quando un giovane cameriere lo chiamò con l'appellativo di Boss. Era abbastanza corpulento e quando ci fermammo di fronte a lui, spostò lo sguardo da Derek a me per poi fissare nuovamente Derek.
«Mi manda Bob Hoflin» disse Derek in tono duro e deciso, quasi glaciale. Quando udì il nome dell'uomo che avevo conosciuto soltanto il giorno prima, l'uomo davanti a noi mutò radicalmente la sua espressione.
«Sedetevi. Vi raggiungo immediatamente» disse, scomparendo dietro una piccola porta in legno proprio dietro il bancone.
Mi voltai verso Derek che mi rivolse uno sguardo che non riuscii bene a decifrare, prima di seguirlo verso uno dei tavoli più isolati del locale. Presi posto accanto a lui, quando vidi l'uomo venirci incontro e sedersi di fronte a noi.
«Sono Leroy» si presentò. «Se Bob vi ha mandati da me, dev'essere importante».
«Stiamo cercando un uomo» disse Derek, senza darmi la minima possibilità di controbattere. Leroy strinse gli occhi, valutando forse se fidarsi o meno, e lì capii perché Derek non mi lasciò parlare. Leroy non si sarebbe mai fidato se avesse saputo che ero un detective. La gente di solito reagiva esattamente come aveva reagito Bob il giorno prima: diventava schiva e diffidente.
«John Limerick» continuò con voce sommessa Derek, valutando la reazione dell'uomo. Egli non si scompose. Si guardò però intorno, controllando forse se qualche sconsiderato stesse ascoltando per poi annuire e farci segno di seguirlo. Ci guidò verso la porta oltre la quale era sparito qualche attimo prima, assicurandoci la massima discrezione e riservatezza per poi mormorare qualcosa all'orecchio di Derek. Qualcosa che non riuscii ad udire.
Leroy se ne andò. Ciò che c'era al di là di quella porta era una rampa di scale alquanto decrepita e pericolante. L'illuminazione era debole e a tratti inesistente. Mi strinsi istintivamente a Derek, afferrando la sua mano sinistra quando la luce andò via di colpo, facendomi sobbalzare.
«Stammi vicina» sussurrò, stringendo maggiormente la mia mano. Annuii energicamente e deglutii. Quel posto non mi piaceva affatto.
Ancora stretta a Derek, iniziai a salire scalino dopo scalino, seguendolo silenziosamente davanti a me. Giunti alla fine degli oltre venti scalini che mi stancai ad un certo punto di contare, ci trovammo lungo un piccolo corridoio che ospitava tre porte rispettivamente sui suoi tre lati, una delle quali era blindata. Derek mi lanciò un'altra occhiata, che io mi ritrovai a ricambiare avidamente, prima di avvicinarsi ad una delle tre porte e battere esattamente quattro colpi, tutti di fila. Non osai fiatare. Mi bastava sapere di non essere sola in quel luogo. Non mi importava di nient'altro.
Quando finii di formulare quel pensiero, la porta fu aperta, rivelando davanti a noi un'ombra nascosta nell'oscurità di quello che doveva essere un piccolo appartamento.
«Bomer?» mormorò la figura indefinita davanti a noi, con voce arrochita e grave.
«Esattamente» replicò Derek. L'ombra scomparì solo per dare spazio ad un improvviso bagliore, dato dalla luce che aveva acceso. L'uomo che ci si presentò davanti mi lasciò senza fiato. Non ero neppure più sicura di trovarmi nel posto giusto. Strinsi nuovamente la mano di Derek, che avevo lasciato solo qualche istante prima. Lo sentii irrigidirsi a quell'improvviso assalto, per poi rilassarsi quando l'uomo ci invitò ad entrare.
Io però non riuscii affatto a rilassarmi.
Seguimmo l'uomo in quello che doveva essere un piccolo e grazioso soggiorno. Non era il massimo, ma immagino che per un uomo morto già da anni quello fosse più che sufficiente.
«Sedetevi pure. P-Posso offrirvi qualcosa?» balbettò leggermente, cercando di essere ospitale, mi venne da sorridere. Era evidente che fosse un uomo provato dal tempo passato: era piuttosto minuto e a tratti sembrava addirittura malnutrito. Provai compassione per lui. Aveva gli occhi spenti e cerchiati, come se avesse perso ore di sonno, e probabilmente era così.
Ricambiò il mio sorriso. Derek ed io prendemmo posto sul divano presente, mentre Mr Limerick si accomodò sulla poltrona accanto.
«Michael Bomer. Erano anni che non ti vedevo» disse Mr Limerick con voce segnata forse dal rammarico. «E lei
è ...?» domandò rivolgendomi un piccolo sorriso, che ricambiai ancora una volta quando mi presentai.
«Olivia Brosnan. È un piacere conoscerla, Mr Limerick». Strinsi la sua mano quando me la porse. Non conoscevo la motivazione, ma per un motivo o per un altro mi sentivo esposta e vulnerabile. Era come se non riuscissi ad essere la solita Olivia. Era strano ed inquietante. La sua mano era fredda. Mi allontanai velocemente, stringendomi nella mia giacca.
«John, Olivia è un detective» disse a quel punto Derek, parlando lentamente come se stesse parlando ad un essere ferito e vulnerabile, e forse era esattamente così.
«Un detective» ripeté sommessamente. «Cosa vuole da me un detective?» chiese a quel punto, spostando lo sguardo da me a Derek.
«Mr Limerick sto lavorando ad un caso, e ho bisogno che mi dica dove si trova Dean Collins» dissi. Non avevo altra scelta. Avevo i nervi a fior di pelle e i giri di parole in quel momento non erano ben accetti. Quando l'uomo sussultò, compresi di aver fatto centro. Stavo riacquistando la mia naturale sicurezza, ma quando vidi i suoi occhi iniettarsi di sangue, deglutii rumorosamente. Limerick iniziò a farfugliare parole incomprensibili, poi si fermò. Si alzò di scatto e si avvicinò a me. Io balzai in piedi, ma prima che l'uomo potesse anche solo pensare di allungare una mano verso di me, Derek mi si parò davanti, nascondendomi dietro il suo corpo. John si bloccò di colpo. Era pronto a farmi del male, mentre nemmeno osava immaginare di farlo a Derek. Era ... strano.
«John, calmati» disse Derek, cercando di placare l'uomo di fronte a noi che aveva preso a camminare nervosamente avanti e indietro.
«Non ... Non potete venire qui e parlare di lui, Michael. Tu ... Tu lo sai» disse a quel punto John, continuando a balbettare e a farfugliare, chiamandolo nuovamente con il suo secondo nome di battesimo. «Io non esisto!» disse ancora. Provò ad avvicinarsi, ma Derek lo bloccò ancora una volta. «Perché cercate Dean?» domandò a qual punto.
«Perché è responsabile di quattro omicidi, Mr Limerick» gli dissi. Lo vidi sgranare gli occhi increduli.
«Omicidi?» ripeté, con un tono sinistro nella voce.
«Oh, andiamo John. Non farmi credere che è la prima volta che senti questa parola. Sai cos'era. Era un maledetto assassino, per questo è stato sbattuto ad Alcatraz» sputò rabbioso Derek. «Ora .. Dimmi. Dove. Accidenti. È» scandì perfettamente ogni singola sillaba, ottenendo il risultato desiderato. John capì. Si sedette nuovamente sulla sua poltrona, mentre io e Derek non accennavamo neanche a sederci.
Volevamo uscire di lì, dannazione!
«Non lo vedo da un po', Michael. Devi credermi».
«Cazzate» sbottò Derek. «Dimmi dov'è».
«Michael ...» bisbigliò Mr Limerick, quasi invocando pietà, ma la clemenza non era ammessa, e quell'uomo doveva saperlo bene.
«Mr Limerick, mi ascolti ...» iniziai. Feci per avvicinarmi a lui, ma Derek mi bloccò. Presi un profondo e lungo respiro prima di parlare. «Ho bisogno che sia sincero con me. Ho bisogno del suo aiuto. Devo trovare quell'uomo».
John Limerick però mi ignorò completamente. «Lo sa da quanto tempo non vedevo una donna, Miss Brosnan?» domandò. Mi si gelò il sangue all'istante. Il tono da lui usato e la sua espressione mettevano i brividi.
«Ritenta, John. Lei non si tocca» disse Derek, stringendo rabbiosamente i suoi pugni e contraendo la mascella.
«È il mio prezzo» mormorò l'uomo.
«Non stiamo contrattando» sputò Derek. Era ad un passo dall'esplodere. Lo sentivo. La sua schiena era un muro protettivo, ed era un fascio di nervi. Era tesa e rigida. Quell'uomo stava oltrepassando il limite.
«Pensavo lo stessimo facendo. La signorina Brosnan ha appena detto che ha bisogno di me, Michael». Lo stava dannatamente stuzzicando e quella consapevolezza stava facendo sbottare anche me. «Te la scopi, Michael? È per questo che è
off-limits?».
Sussultai quando Derek si scagliò contro l'uomo.
Iniziò a colpirlo. Lo colpì ripetutamente più e più volte, senza fermarsi. Neppure quando cercai di fermarlo con le mie mani tremanti, si fermò.
L'uomo d'altra parte aveva il volto coperto del suo stesso sangue, ansimava e all'ennesima domanda da parte di Derek, non osò sfidare la sorte.
«Non so realmente dove si trova perché non ha una dimora». Derek l'afferrò nuovamente per il colletto della sua maglia, sbattendolo nuovamente a terra. «Però ... so che ogni settimana suona all'opera di San Francisco. Lo stabile di fronte l'isola di Alcatraz» continuò con voce quasi nulla, sputacchiando saliva e sangue.
«Ti saresti potuto evitare tutto questo. Non era difficile» disse Derek, dandogli un altro colpo, prima di lasciarlo stare.
«Non ho mai imparato la lezione, Michael. Lo sai» ridacchiò l'uomo ancora steso a terra.
Derek mi si avvicinò. «Stai bene?» mormorò, guardandomi intensamente negli occhi. Mi guardò come se stesse cercando di leggermi nell'anima. Annuii, desiderando ardentemente di lasciare quel posto. Derek sembrò percepire il mio desiderio. Mi prese per mano, avvicinandosi alla porta d'ingresso, prima che però la voce dell'uomo che ancora giaceva in una pozza del suo stesso sangue, parlasse.
«Spero che voi lo prendiate, Miss Brosnan. Se è il responsabile di quegli omicidi merita il carcere. Molti anni fa alcuni di noi non meritavamo la libertà. Non meritavamo di uscire da Alcatraz» sussurrò, prima che Derek si chiudesse la porta alle spalle.
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