IV. L'inizio di una delusione senza fine.
Sblocco lo schermo, ovviamente curiosa di vedere chi mi avesse scritto.
"Sicuro avrà sbagliato" mi ripeto ancora. Si, probabilmente sarà proprio così.
"Ciao Valentina, mi chiamo Stefano e sono un amico di Giulia (quello che era con voi al bar ieri mattina). Le ho chiesto il tuo numero perché volevo ringraziarti in merito all'audio che mi hai mandato con il suo telefono, riguardante i giorni delle esercitazioni di matematica. Ho seguito una lezione ma non ho capito granché, in realtà"
Ah ma ho capito chi è. Beh, ieri mattina mi sembrava simpatico. Ho detto "sembrava", non deve esserlo per forza. Mi sono sbagliata molte volte sulle persone, quindi non do più niente per scontato.
"Ciao! Ma figurati, se non ci si aiuta tra compagni di corso! Guarda, io devo passarlo per forza, mi sono stufata di studiarla!"
Non troppo fredda né appiccicosa. Non lo conosco nemmeno, o almeno, l'ho visto solo qualche volta in aula. Non gli do di certo confidenza, su.
È che vorrei capire perché Giulia gli ha dato il mio numero senza prima chiedermelo. Non è tanto questo il problema, perché alla fine mi ha solamente ringraziata per un'informazione. Il problema è che mi mette ansia questa cosa. Mi mette ansia proprio perché è una persona che non conosco. Non è che ho problemi nel relazionarmi, anzi il contrario, sono molto socievole. Ma
non so, in questo periodo sono ansiosa. Esami, pensieri, esami.
Ieri ho osservato bene questo ragazzo, se devo essere sincera.
Aveva lo sguardo spento, triste.
Io e Giulia parlavamo, lui era come se fosse sulla luna. Sguardo nel vuoto. Zitto.
Sorrideva di tanto in tanto. Spostava lo sguardo dal vuoto a noi, due secondi, poi tornava nel vuoto. Avrà un mondo dentro.
Potrebbe anche urlare, dentro, ma evidentemente nessuno lo sente.
Poi magari, ripeto, mi sbaglio. Ma se gli occhi, dicono, sono lo specchio dell'anima...beh, allora non posso sbagliarmi. Che quegli occhi erano tristi, e si vedeva. E lo dico dopo averlo visto per soli 10 minuti. Figuriamoci.
"Ma hai visto che quindi l'esame è cambiato?" eccolo di nuovo.
"Si guarda, lascia stare. Ero convinta che il lavoro da tre punti in più valesse ancora, invece quest'anno non l'ha nemmeno proposto. Mai una gioia!"
In tutto questo mi sono accorta che i jeans mi vanno larghi, non ho nemmeno una cintura, perché non ne ho mai usata una. Che cazzo mi metto?
L'università mi sta distruggendo, le materie non sono complicate. Il più lo fa l'orario delle lezioni, fino alle sette di sera. Credo sia illegale una roba del genere.
Molte volte non vorrei nemmeno entrarci, là dentro. Non fanno altro che giudicarti.
Là dentro ho conosciuto, che novità, persone che mi hanno fatta stare male.
Ragazzi che mi hanno illusa, amiche che non erano amiche.
E il giro si ripete, ancora e ancora. Ma quanto manca a finire?
E menomale che "ma vedrai, l'università è tutta un'altra cosa! La gente è più matura, troverai persone in grado di ragionare. Non come alle superiori e alle medie". Le ultime parole famose. E invece, qua dentro, sono ancora più infantili.
Il mio gruppetto di amici, beh, non lo cambierei per niente al mondo. Sono pochi, cinque per l'esattezza, ma buoni. Non mi deridono, anzi, mi supportano. E per me, che sono un'eterna insicura, è una boccata d'aria fresca.
Mi fa bene aprirmi con qualcuno, anziché tenermi tutto dentro. E non sono abituata a raccontare le mie ansie, le mie insicurezze, le cose che mi hanno ferita, agli altri. Perché ho paura di svelarmi troppi, di espormi troppo. E di rimanere fregata, come sempre.
E non vorrei mai, mai e poi mai, che le persone usassero le mie paure contro di me. Per questo, anche con i miei amici, mi apro ma non troppo. Molte cose le tengo per me. Che sono l'unica che conosce i miei limiti.
Perché potrò anche disprezzarmi il più delle volte, ma non utilizzerei mai una mia paura contro me stessa.
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