VII - Chiara
Chiamai Chiara, una vecchia amica, e la invitai a casa mia.
Perché un'amica, vi starete chiedendo. Perché non un estraneo.
Non lo so.
Avevo fretta. Una strana frenesia, non saprei descriverla meglio. E io non ho molti amici e, insomma, non avevo né tempo né voglia di farmene uno apposta.
La invitai a casa mia con una scusa. Passammo un po' di tempo a conversare del più e del meno, di come andava il lavoro e la famiglia. Le offrii il tè con dei biscotti alle mandorle, come piaceva a lei. Poi le mostrai lo specchio con orgoglio. Ricordo che fece una smorfia e mi disse che non aveva nulla di speciale, mentre io glielo decantavo come chissà quale meraviglia di design.
Lei vi si specchiò.
Restò tutto normale. Conversammo per un'altra mezz'ora e tentai in tutti i modi di non farla andare via, mentre io ero teso ad ascoltare il minimo rumore venire dall'altra stanza. Ma non accadde nulla. Alla fine Chiara se ne andò, e io rimasi a sorvegliare lo specchio. Tutta la notte. Una lunga attesa, frustrante e di tensione. Non accadde nulla a lungo, e dovetti andare in bagno un paio di volte con l'ansia di perdermi qualcosa.
Poi, verso le quattro, quando il sonno dei giusti è più duro, accadde come con Anna. La superficie dell'oggetto divenne gelatina, e ne uscì, a fatica, un'altra Chiara. Mi nascosi, e vidi che si guardava intorno. Cercava la Chiara originale, pensai. Senza pensarci due volte si avviò giù per le scale e la sentii armeggiare con la porta d'ingresso. Io presi lo specchio e lo chiusi in cassaforte; poi la seguii senza farmi notare. Il resto ve lo racconto senza fornirvi dettagli: non li ricordo. Vissi tutto come un sogno.
Camminò per quasi un'ora, come se sapesse perfettamente dove andare. E così era: arrivammo a casa di Chiara. L'altra si intrufolò dentro e, non so come, ne uscì con la vera Chiara, che era in pigiama e priva di sensi. La portava su una spalla, ma camminava come se non pesasse nulla. Rifece la strada al contrario, verso casa mia.
Entrò e si diresse verso la stanza dov'era prima lo specchio. Rimase un po' a guardare il posto dove lo avevo sistemato e poi, di scatto, si voltò e andò nell'altra stanza, quella della cassaforte. Quasi mi feci scoprire, ma fui veloce a nascondermi e non mi notò. Arrivata lì poggiò la vera Chiara sul pavimento e cominciò a strattonare la cassaforte. Aveva una forza indescrivibile, la cassaforte ballava con degli acuti cigolii metallici e quasi la stava strappando via dal muro. Ma, comunque, resistette e rimase chiusa.
La seconda Chiara non si perse d'animo e uscì dalla stanza, e poi la sentii andare di sotto e rovistare in cucina. Tornò, prese la vera Chiara e se la portò fuori casa. Dalla finestra la vidi gettare il corpo inerme di Chiara in un cassonetto, e poi vidi che aveva preso l'accendigas. Diede fuoco al cassonetto, e si avviò via, probabilmente verso casa di Chiara. Rimasi forse per un'ora come un ebete di fronte alla finestra guardando il cassonetto bruciare. Mi resi conto, dopo, che avevo mormorato almeno un paio di volte: «è orribile... è orribile!». Provai orrore.
Il giorno dopo ripresi un po' di coraggio e decisi che avrei ucciso anche la nuova Chiara, ma non ce ne fu bisogno; era stata abbattuta dalla polizia dopo aver massacrato la propria famiglia e fatto una strage nel quartiere. Non aveva perso tempo.
Ora io... ho bisogno di sapere. Di vedere l'entità che si trova dentro quell'oggetto. Prima o poi si paleserà, lo so. Farà un passo falso. Si affaccerà, e io sarò lì, pronto a ghermirla. Sarò pronto. Per questo vi chiedo... perdonatemi per ciò che ho fatto. Vi state chiedendo, a questo punto, come è fatto davvero lo specchio di Alfio Cristaldi. Se prima di questa storia avessi dovuto immaginare uno specchio maledetto me lo sarei figurato imponente, a figura intera, pieno di cesellature, pesante, dalla fattura antica e dalla cornice istoriata di figure grottesche e ripugnanti tutte intorno. Insomma, qualcosa che appena a vederla verrebbe da dire: «ah! Quello è senza dubbio uno specchio demoniaco!».
E invece no. È normale, anonimo, piccolo. Persino di fattura moderna. Ho cercato anche di rintracciarne l'origine, prima che fosse di Alfio Cristaldi. Alcuni anziani che lo conoscevano mi hanno parlato di un rigattiere ambulante che si vedeva al mercato. E ho domandato di lui, più e più volte. In molti lo avevano visto ma, curiosamente, ognuno si ricordava di un solo particolare e nient'altro. Chi ricordava lo sguardo magnetico, chi il sorriso sardonico, chi un anello dalla foggia inusuale, ma nessuno riusciva a descrivermi il viso o la corporatura. Insomma, era come se tutti lo conoscessero ma nessuno se ne ricordasse davvero. E inutile dire che, nonostante i lunghi appostamenti al mercato, non è mai apparso.
Perdonatemi per quello che ho fatto.
Dicevo, vi starete chiedendo come è fatto lo specchio di Cristaldi. Ah, ma voi in realtà sapete come è fatto. L'ho messo lì perché prima o poi quell'entità si farà vedere. A furia di fare uscire altri, prima o poi si affaccerà.
Perdonatemi per quello che ho fatto, se potete.
Lo specchio che fu di Alfio Cristaldi lo sposto in continuazione. Bar, pizzerie, pub, discoteche, bagni, camerini, sale di posa, cinema...
Lo avete trovato ad un certo punto... Oggi? Ieri?
Magari non lo avete nemmeno notato, insignificante com'è.
Eppure ve ne siete accorti.
Una sottile inquietudine, o una impercettibile sensazione fisica, o una strana tonalità della luce... ci state facendo caso solo ora, vero?
Quando vi ci siete specchiati... vi siete guardati negli occhi?
Ricordate.
Perdonatemi per quello che vi ho fatto, se potete.
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