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Capitolo 5

Ci saranno giorni in cui nessuno sarà lì per te.

È inutile fingere il contrario, poco importa quante persone ti abbiano circondato fino a quel momento o che tu voglia cercare di convincerti del contrario.

Ti ritroverai, qualche volta, inevitabilmente da solo. Potrai e dovrai contare unicamente su te stesso e non sarà facile, non lo sarà mai, perché sì, essere lasciati soli è terribile. Ma c'è di peggio.

Per quanto mi riguarda, penso che non esista solitudine peggiore di quando sei circondato da una marea di gente e senti che l'unica persona che manca sei proprio tu.

Ed è così che mi sento, quasi per tutto il tempo. È una sensazione che ti porta a sentirti costantemente fuori posto, di troppo. Una sensazione che ti opprime e ti porta ad estraniarti dal mondo, perché tu in quel mondo proprio non sai come viverci.

«Sei sicura che ti vada bene, Mallory?»

Alzo lo sguardo su Avalyne, i suoi occhi azzurri sono quasi cristallini alla luce del sole e i suoi capelli ancora più biondi, lucenti. Indossa un vestitino lilla con sopra stampati dei fiorellini, la pancia è sempre più evidente. La gravidanza l'ha resa ancora più bella.

«Se hai altro da fare posso spostare la visita o portare Caiden con noi, può aspettare in macchina con Phoenix», aggiunge, tormentandosi le mani presa dall'ansia. Avalyne è una che si fa troppe paranoie e che non ama chiedere favori al prossimo.

Non so quale visita debba fare ora o per quale ragione, suppongo riguardi la gravidanza, ma non ne capisco nulla di queste cose. So solo che ogni volta che mi chiede di tenere Caiden, è perché ha impegni seri, imprevisti o uscite necessarie.

Sono rare le volte in cui mi ha affidato Caiden per uscire con il resto del gruppo, le sue amiche, insieme a Cairo o per prendersi un po' di tempo per se stessa.

Avalyne è il tipo di mamma che tutti i bambini si meriterebbero di avere. L'ideale di mamma che mi sarebbe piaciuto avere. Caiden e Adhara sono dei bambini fortunati.

«Fa troppo caldo per restare in macchina e sono sicura che Cairo vorrà assistere alla visita», rispondo con un sorriso. L'uomo citato non mi degna neanche di un briciolo di attenzione, ci ho fatto l'abitudine ormai. Finge che non stia ascoltando. «E non ho nessun problema a tenerlo, Ava, te l'ho già detto», la rassicuro.

«È che mi sento come se mi approfittassi di te e della tua disponibilità».

Mi paga per tenere suo figlio anche se siamo amiche o potrebbe farlo tenere gratis a chiunque altro dei suoi amici, la loro famiglia. È palese che ogni volta chiami me perché conosce le mie difficoltà e la necessità che ho di svolgere più lavori possibili.

Quindi direi che è esattamente il contrario, sono io quella che si approfitta di lei.

«Non ti stai approfittando di me, anche perché cederei alle tue attenzioni senza negarmi o fare troppo la preziosa».

Eccola, una reazione da parte di Cairo, che si volta a guardarmi di scatto e mi fulmina con un'occhiataccia. Avalyne invece ride.

«Sai che non intendevo in quel senso».

«Ava, vai a fare quella visita», le dico, perché altrimenti continuerà a trovare un problema dopo l'altro. «Io porto Caiden in giardino e gli faccio fare il bagno nella sua piscina».

«Probabilmente passerà Aiden più tardi, perciò mi scuso in anticipo per qualsiasi cosa dirà o farà», mette un adorabile broncio che mi fa sorridere.

Non avevo dubbi che sarebbe passato, d'altronde darmi il tormento è diventata la sua missione ormai e ogni volta che faccio da babysitter a Caiden ne approfitta.

«Non preoccuparti, riesco a gestirlo».

Non è vero.

«Va bene, non dimenticarti di mettere la protezione solare a Caiden e già che ci sei mettine un po' anche tu sulla faccia e sulle gambe», mi indica i punti citati con un cenno del capo e non menziona il fatto che la parte superiore del mio corpo è coperta con capi d'abbigliamento non adatti al periodo estivo.

La maglia a maniche lunghe che indosso mi fa spiccare in mezzo alla gente ma nasconde ciò che c'è sotto e non mi dispiace, è proprio ciò che voglio, perché Sylas mi ha lasciato altri promemoria sulle braccia.

Non importa quanto stia lottando contro di lui o quanto lontano da me stia provando a tenerlo, lui continua a tornare.

Avalyne e Cairo vanno via, restiamo così soltanto io e il piccolo Caiden, che al contrario di qualsiasi altro bambino al mondo, fa che prendersi cura di lui sia piuttosto facile.

Non è capriccioso, non piange quasi mai, non lascia i suoi giocattoli sparsi in giro, non fa storie per mangiare o dormire. È un mini adulto ed è davvero buffo, mi piace passare del tempo con lui, lo trovo adorabile.

«Perché tu non puoi entrare nella piscina?» mi chiede per la terza volta, essendo testardo e diffidente quanto suo padre e suo zio. Mi osserva con i suoi occhioni azzurri incorniciati da folte ciglia oscure.

Cerco di non ridere del modo in cui dice piscina, ma è davvero difficile. «Non ho il costume, Cai», gli ripeto.

Lui guarda il mio abbigliamento, fa spallucce e riprende a giocare con i giochi che sono tutti intorno a lui, a mollo nella piscina per bambini.

«Mally?» mi chiama poi, alzo lo sguardo su di lui.

Spero che non mi chieda perché indossi una maglietta a maniche lunghe visto il caldo che fa, non saprei cosa rispondergli.

Cerco di essere sempre sincera con lui, pur non superando certi limiti dato che è un bambino piccolo. È ciò che fanno i suoi genitori e anche gli altri, sotto loro richiesta.

«Dimmi, Cai», rispondo, guardandolo in attesa.

«Tu ce l'hai una mamma?» mi domanda, guardandomi con attenzione. Bene, una classica domanda da bambino, posso cavarmela.

«Sì, ho una mamma».

«E hai un papà?» mi domanda poi, al che sorrido e annuisco.

«Anche un papà», confermo, divertita.

«E sono bravi?» mi chiede, io lo guardo per qualche secondo senza sapere cosa rispondere. Poi decido di essere sincera.

«Non come i tuoi, Cai, no», rispondo, «Ma ho una zia davvero divertente». Sono sicura che in questo modo non mi farà domande sconvenienti.

«Come zio Speedy?» mi chiede lui, accigliato in maniera tanto buffa. «Lui mi fa sempre ridere», aggiunge e ne sono certa, Aiden ama questo bambino.

A me più che ridere, però, mi fa incazzare. Insomma, è tutta una questione di punti di vista.

«Mh, sì», confermo controvoglia e con una smorfia, perché è di Aiden che parliamo. «Come lui».

«E hai anche un cane, Mally?», mi domanda poi, senza neanche guardarmi. È concentrato a giocare con uno dei tanti pupazzetti, lo immerge nell'acqua e poi lo tira fuori. «A me piacciono i cani».

«No, non ho un cane», dico, «E piacciono anche a me, ma sono più una tipa da gatti, forse».

I gatti non danno fiducia a chiunque, bisogna un po' guadagnarsela. Certo, è così anche con i cani e tutti gli altri animali, ma è risaputo che i gatti sono più selettivi, un po' come me.

«Anche i gattini mi piacciono».

Poi Caiden alza lo sguardo, guarda dietro di me e il suo visino s'illumina di gioia. Conosco quest'espressione. Non voglio voltarmi.

«Zio Speedy!» strilla e si muove così bruscamente che nel farlo, mi schizza un po' d'acqua addosso. Non riesco a trattenere un sorriso, fortunatamente Aiden non può vederlo.

«Ciao, piccolo terremoto», lo saluta Aiden, affiancandomi. Io tengo ancora lo sguardo fisso su Caiden. «Ti godi la vita alla grande, vedo. L'acqua è fredda?»

«Un pochino», risponde il bambino. «Vuoi entrare?» gli chiede poi, proprio come ha fatto con me fino a poco prima.

«Sono troppo grande, Cai», gli risponde Aiden, «Immagino che tu non voglia che ti rompa la piscina».

Ecco che sul volto del bambino ricompare il cipiglio di suo padre. «No, mi piace la mia piscina», dice, «L'ha comprata il mio papà».

Suo zio gli risponde che piace anche a lui e che perciò non ha nessuna intenzione di romperla.

Poi Caiden riprende a giocare con i suoi giochi, tagliandoci fuori. Io continuo ad ignorare Aiden, per quanto sia possibile farlo, dato che è praticamente seduto accanto a me. Riesco a sentire il suo profumo, vorrei poter dire che è pessimo però mentirei, perché è ottimo e mi piace un sacco.

«E così pensi che io sia divertente», rompe il silenzio e capisco dal tono della sua voce che è divertito.

Mi volto a guardarlo per la prima volta da quando è arrivato, indossa dei bermuda di jeans, una canotta beige e l'immancabile gilet in pelle con il logo del club a cui appartiene. I tatuaggi che ha sulle braccia e sulle gambe sono ben visibili, cerco di non soffermarmi troppo a guardarli.

«Da quanto tempo eri fermo alle mie spalle ad origliare?» gli chiedo, senza però voler conoscere realmente la risposta. «E non ho mai detto niente del genere», preciso, perché l'ha detto Caiden che è divertente, non io.

«Abbastanza da sapere che mi trovi divertente e che sei una tipa da gatti».

«Non si origliano le conversazioni altrui», lo rimprovero come se avesse tre anni. «Sei proprio invadente e maleducato».

«Anche se la conversazione è solo con un bambino?» mi domanda, guardandomi attentamente. Non nasconde il ghigno divertito che ha stampato in faccia.

«Soprattutto quelle con i bambini, tendiamo ad essere più sinceri con loro».

Ed è la verità, tendiamo a lasciarci andare quando parliamo con i bambini, perché alcuni di loro sono così piccoli da non comprendere a pieno ciò che diciamo, a non soppesare o giudicare ogni singola parola che ci esce di bocca.

«Ed è ciò che voglio da te, Malefica, la sincerità».

«Vuoi troppo, Hoffman, accontentati del fatto che ti stia rivolgendo la parola», gli dico, per poi riportare la mia attenzione su Caiden che continua a giocare per fatti suoi.

«A quanto ne so la regina Elisabetta è morta già da un pezzo. Perciò anche meno, Malefica», risponde lui e prima che possa ribattere, il bambino alza lo sguardo su di noi.

Sta per arrivare qualche altra domanda, ho imparato a conoscerlo ormai e a prevedere le sue mosse.

«Perché piove?» ci domanda con aria pensierosa. Sorrido perché le sue domande sono così ingenue ma al tempo stesso assurde.

«Non sta piovendo», risponde Aiden, alzando gli occhi al cielo per controllare. Imbranato.

«Vuole sapere perché piove in generale, Hoffman», gli spiego con un sospiro. Lui mi guarda ed io ricambio lo sguardo.

«Non ero bravo in scienze, non stavo mai attento», dice, «Spiegaglielo tu, sei tu la babysitter, dovresti saperle certe cose».

Ha detto bene, sono la babysitter, non l'insegnante. Però comunque prendo la situazione in mano e dato che non posso mettermi a spiegare il vero motivo per cui piove, rispondo a modo mio.

«Cai, quando ti fai la bua o sei triste, cosa fai?» gli chiedo. Lui sembra pensarci un po' su.

«Mi arrabbio», risponde poi, facendo ridere di gusto Aiden e trattengo una risata anche io. Degno figlio di suo padre, a quanto pare.

«E piangi, immagino, perché senti dolore, perché fa male». Lui non sembra tanto convinto della cosa, ma alla fine annuisce e continua a guardarmi incuriosito. «Ecco, piove quando la terra si fa male».

«La lezione di scienze riguardante la pioggia me la ricordavo un po' diversa», mormora Aiden al mio fianco. Mi rende difficile ignorare la sua presenza se continua a rivolgermi la parola. «Pensavo piovesse perché l'acqua del mare bolliva, il vapore acqueo o una stron...cosa del genere». Corregge la parolaccia solo perché c'è suo nipote, ovviamente.

«Hai appena detto che non stavi attento, quindi ci credo».

«Se la mia insegnante mi avesse spiegato questo, sarei stato più attento e ci avrei capito di più».

Non voglio mettermi a fare una lezione di scienze, perciò proprio come l'arcobaleno e la pentola d'oro alla fine di esso con tanto di gnomo a proteggerla, ho voluto raccontare a Caiden una versione più carina e fantasiosa.

Ma sì, l'acqua che bolle ed evapora sarebbe stato più breve, dritto, conciso e veritiero.

«E perché la terra si fa male?» domanda ancora una volta Caiden, incuriosito. Ci voltiamo di nuovo a guardare lui.

«Quando la inquinano, Cai», rispondo dicendo la prima cosa che mi passa per la testa. «La tua mamma te ne ha già parlato, ricordi?»

Un giorno, io, Avalyne e Caiden eravamo in macchina insieme e quest'ultimo ingenuamente aveva lanciato fuori dal finestrino la carta di non ricordo bene quale cibo, forse gelato, forse patatine. Avalyne è tornata indietro, ha fatto scendere Caiden dall'auto e insieme hanno raccolto la carta da terra per poi buttarla in un cestino vicino.

Ero assurdamente stupita, il Bronx non era conosciuto per essere un luogo pulitissimo. C'erano strada lasciate immacolate e altre, invece, che erano sudicie, una carta in più non avrebbe cambiato la situazione.

Invece Avalyne ha buttato quella carta e ha spiegato a Caiden l'importanza dell'ambiente, usando parole comprensibili per un bambino di quasi cinque anni. Proprio come ho fatto io adesso per spiegarli la storia della pioggia.

«Se fa male mamma dà il bacino e passa tutto, può dare il bacino alla terra», risponde con dolcezza. Sorrido.

«Non funziona proprio così, purtroppo. Il bacino della mamma può guarire solo te».

«La pioggia è bella, però», dice il bambino ed io annuisco. Perché lo è davvero.

«Certo che bella e ti dico un'altra cosa, non sempre piove perché la terra piange, piove anche quando la terra è felice». Lui assorbe quest'informazione e sembra contento di saperlo.

«La mamma piange quando è felice», dice. Ne sono sicura, soprattutto ora che è incinta e gli ormoni sono alterati. «E papà sorride tanto».

Proprio non riesco ad immaginarlo Cairo sorridere, però sono sicura che in presenza loro lo faccia spesso. Probabilmente ride, addirittura.

«Che ne dici di fare un gioco, piccolo terremoto?» gli propone poi Aiden e gli occhietti del bambino si illuminano.

Quindi niente più domande e a me va bene così.

🌈🌈🌈

«Stai fissando quella piscina da più di cinque minuti, è inquietante», la voce di Aiden mi fa quasi sobbalzare. Ero rimasta da sola perché Caiden doveva fare il suo riposino e voleva che lo facesse addormentare suo zio. «Sto cercando di capire se vuoi fare il bagno o vuoi lasciarti annegare lì dentro. Non ce lo voglio il tuo spirito nella piscina di mio nipote».

Come se fosse possibile per un adulto annegare in una piscina piccola per bambini.

«Al massimo potrei affogarci te, lì dentro». Si potrebbe fare, mi basterebbe ficcargli la testa dentro l'acqua e tenerla ferma lì sotto più tempo possibile. «E se sai da quanto tempo la sto fissando, vuol dire che tu hai fissato me per più di cinque minuti. Questo è ancora più inquietante».

«Per essere una schiva e che vuole tenere fuori il mondo, ti dai abbastanza arie», dice, sfottendomi. Poi fa qualche passo nella mia direzione, mi costringo quindi ad alzarmi da terra, perché non voglio spezzarmi il collo per guardarlo.

«Magari voglio tenere fuori solo te».

«Questa ha fatto male, proprio qui». Finge una smorfia di dolore e si porta una mano al petto, proprio dove batte il cuore. «Dai un bacino alla bua, Malefica», si avvicina ed io indietreggio fino a toccare la piscina con le caviglie.

«Preferirei strapparmi via le labbra», rispondo con un sorrisetto falso e per niente gentile.

«Nella tua testa ci sono troppi scenari violenti. È preoccupante, dovresti parlarne con un professionista», suggerisce come se fosse seriamente preoccupato per me e non mi stesse semplicemente infastidendo di proposito.

«Succede solo quando sono in tua compagnia, non c'è alcun pericolo per gli altri».

«Immagino che tu stia morendo di caldo con quella maglietta», dice però cambiando discorso. Indica con l'indice la mia maglietta ed io cerco di nascondere l'imbarazzo.

Perché ha ragione, sto davvero morendo di caldo anche se non lo do a vedere.

«Immagini male, sto benissimo».

Quasi non faccio neanche in tempo a finire di dirlo che succede tutto in meno di un secondo. L'attimo prima ero in piedi davanti alla piscina a discutere con lui e l'attimo dopo mi ritrovo sdraiata dentro la piscina in modo comico e bagnata fradicia dappertutto, mentre sputo l'acqua che mi è entrata in bocca.

«Che cazzo ti dice il cervello?» strillo incurante del fatto che chiunque possa sentirmi, «Perché l'hai fatto?»

Mi metto a sedere nella piscina troppo piccola, bassa e scomoda per contenere un adulto. I miei pantaloncini di jeans sono diventati delle seconde mutandine mentre la maglietta è incollata a me come se fosse una seconda pelle, le scarpe ed i calzini sono zuppi.

Dannazione.

«Stavi per scioglierti come un ghiacciolo al sole, ho pensato di rimediare», risponde con aria innocente, «Dovresti ringraziarmi».

«Hai pensato di rimediare spingendomi in una piscina per bambini completamente vestita?» gli chiedo, cercando di fargli capire quanto sia assurda questa situazione.

«Volevi che ti spogliassi?» mi chiede con un sorrisetto malizioso. «Non sembravi molto propensa a quell'alternativa con quella maglia a maniche lunghe addosso».

«Potrei avere il ciclo», borbotto, ancora piuttosto incazzata.

«E allora?» mi chiede lui, «Vuoi che ti sfili il tampax?»

Ho sentito male, non ha detto... Sì, l'ha fatto.

«Non sei normale», dico con gli occhi spalancati dallo stupore e le guance rosse dalla rabbia. «Tu non hai solo qualche rotella fuori posto, a te mancano proprio tutte».

«Sei proprio in vena di complimenti oggi, mi piace tirare fuori il meglio dalle persone», si pavoneggia, «Andiamo, ti aiuto ad uscire».

Quando mi tende la mano, decido di fargliela pagare con la testa moneta. In un primo momento mi mostro collaborativa mettendo la mia mano nella sua, dopodiché cogliendolo alla sprovvista, lo strattono per farlo cadere nella piscina insieme a me.

Sarebbe stato divertente proprio come l'avevo immaginato, se solo non mi fosse cascato addosso schiacciandomi completamente. L'acqua esce fuoriesce dalla piscina e sono sicura che non reggerà per molto il nostro peso.

«Togliti di dosso, mi stai schiacciando», rantolo, cercando di tornare a respirare mentre provo a togliermelo di dosso. Lui non vuole saperne di spostarsi.

«Non ci penso proprio, tu mi hai tirato addosso a te e ora mi ci tieni».

«Togliti, Hoffman, non sto scherzando», mi divincolo ma lui no si sposta di mezzo centimetro, «Pesi, sto per morire soffocata». Tento di far leva sul buon cuore che dice di avere.

«Non penso che mi dispiacerebbe», risponde lo stronzo. «Ma potremmo rendere la situazione più comoda e interessante».

«Che cosa vuoi...»

Strillo non appena lui con agilità inaudita capovolge le nostre posizioni, fino a farmi ritrovare a cavalcioni sul suo bacino. Cerco di muovermi e alzarmi, lui però non me lo permette, circonda la mia vita con le sue braccia.

«Se non mi permetti di allontanarmi, sappi che ti farò molto male, Aiden», l'avverto seria e con uno sguardo omicida. Ovviamente lui non mi prende sul serio.

«Mi hai chiamato Aiden, la cosa si fa più interessante, oserei dire eccitante».

«È il tuo maledetto nome!»

«Hai parecchie lentiggini», nota, avvicinando pericolosamente la sua faccia alla mia per riuscire a vederle meglio. Mi tiro indietro fino a quasi spezzarmi il collo.

«E tu stai per avere qualche osso spezzato», ribatto, mettendo le mani sulle sue spalle per allontanarlo da me. Cerco di alzarmi ma non ci riesco.

«Smettila di muoverti in questo modo sul mio cazzo se non vuoi che mi venga un'erezione», ora è lui quello che mi avverte in maniera abbastanza seria. «Sto cercando di comportarmi da gentiluomo».

«Tenendomi a forza seduta sul tuo cazzo», aggiungo, sottolineando l'ovvio. «Abbiamo un'idea diversa su cosa significhi essere un gentiluomo».

Continuo a cercare un modo per allontanarlo e alzarmi, per mettere distanza fisica tra di noi ma non ci riesco.

«Malefica, cazzo, smettila di dimenarti», ringhia, stringendo le mani sui miei fianchi per tenermi ferma.

«E tu lasciami stare!»

Improvvisamente le nostre facce sono troppe vicine, così come le nostre bocche, i nostri fiati quasi si fondono fino a diventare uno solo.

Lui mi guarda le labbra e anche se non vorrei, io guardo insistentemente le sue.

No, non baciarmi. Non puoi baciarmi.

Una parte di me però si domanda come sarebbe se lo facesse, mi sentirei sporca? Mi piacerebbe? Sarebbe dolce e paziente o passionale e frenetico?

Prima che possa succedere qualcosa di cui entrambi potremmo pentirci, cambio traiettoria posando la bocca sulla sua spalla. Lo mordo. Inaspettatamente e senza nessuna ragione apparente, lo mordo non tanto forte da fargli male ma abbastanza da far scoppiare la bolla d'intimità che si era creata poco prima.

Quando poi riporto gli occhi nei suoi capisco che la bolla non è affatto esplosa, anzi, è diventata più forte e compatta, nei suoi occhi c'è una luce nuova, eccitazione. Il mio gesto l'ha eccitato.

Prima che me ne accorga ho smesso di dimenarmi, me ne sto semplicemente seduta su di lui con le sue braccia avvolte intorno al mio corpo. E strano ma vero, non mi sento a disagio, non ho voglia di scappare o di scrollarmi le sue mani di dosso.

«Ecco, ora va meglio», dice con un sospiro. Mi accarezza delicatamente la parte bassa della schiena ed io mi irrigidisco solo per un momento. «Ciao, Malefica, sei al sicuro».

Il cuore emette un piagnucolio nel mio petto alle parole sei al sicuro, nessuno me l'aveva mai detto prima. E cosa più importante, mi ci sento davvero al sicuro e nessuno prima mi aveva mai fatta sentire così.

«Sei fuori di testa, te l'hanno mai detto?»

«Tu me lo ripeti spesso», risponde lui con un sorriso, come se la cosa lo divertisse. «Ora che siamo più intimi, vuoi spiegarmi perché indossi una maglietta a maniche lunghe quando ci sono quaranta gradi all'ombra?»

«È comoda», rispondo semplicemente. Sono sicura del fatto che non se la sia bevuta e che non smetterà di fare domande. Lui non è come Avalyne, non gli importa risultare invadente.

«D'inverno con cinque gradi sotto lo zero, forse, ma non d'agosto che rischi di scioglierti anche solo se respiri», mi fa notare, come se non lo sapessi già. «Quindi se ti togliessi questa maglietta ora, sotto non ci troverei dei lividi, giusto?»

Mi irrigidisco di nuovo e cerco di alzarmi ma lui continua ad accarezzarmi dolcemente senza distogliere lo sguardo dal mio.

«Tu prova a togliermi la maglietta e quello ad avere dei lividi sarai tu».

«Cerchi di proteggere te stessa o lui?» mi chiede. «Spero te stessa, Mallory, perché non sembri tanto stupida da continuare a proteggere uno che ti fa solo del male», aggiunge.

«Non sto proteggendo nessuno e tu non sai di cosa stai parlando. Lasciami andare», dico e provo ad alzarmi un'altra volta ottenendo lo stesso risultato delle volte precedenti.

La verità è che non voglio allontanarmi da lui, non ancora almeno. Ma l'argomento che sta toccando non mi piace.

«Lo ami ancora?» mi domanda schiettamente, senza giri di parole.

Non è amore se quando mi sta accanto finisce per fare qualcosa che mi porta ad odiarlo, qualcosa che mi porta ad odiare persino me stessa. La risposta è no, ma non c'è bisogno che lui lo sappia.

«Credo che abbiamo bucato la piscina di Caiden», cambio discorso e lui mi lascia fare. «Gliel'abbiamo proprio distrutta, Cairo ci ammazza».

«Meglio la piscina che il loro letto, no?» domanda con ironia, spostandomi una ciocca di capelli rossi dietro all'orecchio.

Mi tocca come se lo facesse da sempre, senza timore o imbarazzo, in modo del tutto intimo e naturale. Senza farmi provare dolore.

«Quando hai detto che sapevi come gestirlo, non immaginavo questo, devo essere sincera».

Le nostre teste scattano in contemporanea in direzione di Avalyne, perché è lei quella che ha parlato. Accanto a lei c'è Cairo, sembra meno divertito di lei.

«Ciao, Avie del mio cuore, amore della mia esistenza. Mi sei mancata», le dice subito Aiden. Il loro rapporto non sono ancora riuscita a comprenderlo pienamente ma è bello da vedere. «Tu no», dice poi, riferito a suo fratello. Mi viene quasi da ridere. Quasi.

«La ricomprate, entrambi», dice Cairo. Ovviamente si riferisce alla piscina e ovviamente non accetta obiezioni. «Deve essere identica a quella». Non aggiunge altro, ci lancia un'ultima occhiata ed entra in casa.

Poi Aiden va a casa sua a cambiarsi, dato che abita letteralmente accanto. Mentre Avalyne presta a me dei vestiti asciutti con cui cambiarmi, sfortunatamente niente maglietta a maniche lunghe. I lividi sono esposti e Avalyne mi ha dedicato una lunga occhiata preoccupata e triste.

Prima di andare via saluto con un abbraccio veloce Ava, le dico di salutarmi Caiden non appena si sveglierà dal riposino e rivolgo un cenno di saluto a Cairo.

Non faccio in tempo ad uscire di casa, però, che una voce mi costringe a fermarmi. «Alle 17:00 ti voglio al club, prima dell'apertura».

Ovviamente è Cairo, solo lui dà ordini senza se, senza ma o senza forse. E ovviamente per favore e grazie sono banditi dal suo vocabolario.

«Perché?» gli chiedo, «Apriamo prima?»

«Hai bisogno di lezioni di autodifesa». Lo guardo stupita, senza parole e totalmente confusa. Lui resta impassibile, come se mi avesse appena ordinato di bere un bicchiere d'acqua.

«Non credo di aver capito bene», rispondo infatti, quasi sicura che le orecchie mi abbiano giocato un bruttissimo scherzo.

«Hai capito benissimo e io non amo ripetermi», ribatte lui, guardandomi con aria annoiata. Molto da Cairo.

«Io non ho bisogno proprio di niente», rispondo sulla difensiva. Ora ne ho la conferma, gli Hoffman sono tutti pazzi.

«Peccato, perché è una nuova regola del club, le mie cameriere devono sapersi difendere», dice, serio più che mai. «Ed è chiaro che tu non sai farlo». Ovviamente si riferisce ai lividi più che visibili sulle mie braccia.

Mi sento destabilizzata, smascherata. Mi manca l'aria per un momento.

«Lavoriamo in un club, non per l'esercito», mi ostino però a mostrarmi forte e infastidita dalle sue parole. «Non capisco perché tutte dovremmo conoscere delle mosse di karatè, da quando è una regola del club?»

«Non sono cazzi tuoi», risponde diretto e senza il minimo tatto. «Ti sta bene o vuoi lasciare il tuo posto a qualcun'altra?»

So che non scherza, mi rimpiazzerebbe senza pensarci sopra due secondi. Quindi in cuor mio so già che devo accettare e basta.

«Queste lezioni dovresti darmele tu?»

Finirà per ammazzarmi lui stesso, altro che lezioni di autodifesa.

«Faremo a turni», dice, «Io, Wolf e Aiden». Il mio cervello smette di funzionare al nome Wolf, per poi iniziare a chiedere pietà al nome Aiden.

«Perché?»

Di solito è una sola persona che dà lezioni di autodifesa, loro sono tre e ognuno diverso dall'altro.

«Perché è meglio per te riuscire a confrontarti con stazze, personalità e menti diverse. Agiamo tutti in maniera differente, apprenderai di più».

«Ava sa che darai lezioni di autodifesa a Goldy?»

Lo pungo sul vivo, perché so per certo che sarò l'unica a cui daranno queste lezioni di autodifesa. So che non c'entra niente con il lavoro e so che non è un'idea che è partita da lui.

È stata sicuramente un'idea di Ava ed è sempre lei che a chiesto a Cairo di farlo. L'unica persona che avrebbe potuto convincerlo a fare una cosa del genere è solo lei.

«Prima dell'apertura, ragazzina rompicoglioni, oppure sei licenziata».

Non aggiunge altro, mi volta le spalle e si allontana.

🌈🌈🌈

Mi presento al club alle 17:00 precise, non un minuto prima e non un minuto dopo. Cairo non ha pazienza e a me non piace camminare sul filo del rasoio, non quando c'è in gioco il mio posto di lavoro.

«Hai portato il cambio?» mi chiede, nessun ciao, nemmeno un cenno di saluto con la testa. Niente. Mi viene quasi da ridere perché sembra un orso grizzly sempre di cattivo umore.

«Sì, Ava mi ha riferito il tuo messaggio».

«Seguimi», dice ed io anche se odio gli ordini, lo faccio. Perché non sono tanto stupida da essere ingrata, in un modo o nell'altro sta facendo questa cosa per me, l'unica che ne trarrà beneficio -in parte- sarò io.

Camminiamo per circa cinque minuti fianco a fianco ma come se andassimo ognuno per conto proprio. Ci fermiamo davanti a una specie di palestra.

«Ho chiesto di lasciarla libera per un'ora».

Sa che faccio fatica a restare in luoghi dove ci sono solo uomini. Ancora una volta mi sento destabilizzata e troppo esposta, non mi piace.

Mi limito ad annuire con la testa e seguirlo dentro.

Non è la palestra più moderna o pulita del mondo, ma non sta nemmeno crollando a pezzi e sicuramente non è sudicia. È poco attrezzata e al centro della stanza c'è un solo ring che ha visto anni migliori e mi porta a chiedere se non crollerà non appena ci saliremo sopra.

Cairo mi mostra gli spogliatoi e mi permette di cambiarmi per prima. Mi infilo i pantaloni della tuta neri, una canotta bianca e le scarpe da ginnastica, i capelli li lego in una coda. Poi esco e aspetto che si cambi lui.

Torna con un paio di pantaloncini neri sportivi e una canotta, anche quella rigorosamente nera. Mi dondolo sui piedi a disagio, non sapendo cosa fare o dire.

Sto per chiedergli cosa dobbiamo fare o da dove dobbiamo iniziare ma lui mi precede, perciò chiudo la bocca e lo ascolto.

«Ho solo una domanda da farti prima di cominciare, perché non mi piace perdere tempo inutilmente».

«Dimmi».

Dubito che avesse bisogno del mio permesso per farmi la domanda, solo che non volevo restare in silenzio.

«Quei lividi ce li hai addosso perché pensavi che sarebbe cambiato e hai deciso di dargli un'altra opportunità?»

Ancora una volta non ha il minimo tatto o la minima discrezione nel porre la domanda, parte sparato come un treno e mi guarda in attesa di una risposta.

«Non sono tornata con lui e non ho nessuna intenzione di farlo», rispondo, «Lui... Non vuole lasciarmi in pace». Mi costa ammetterlo, soprattutto ad alta voce.

«Allora iniziamo», risponde. Dopodiché mi fa segno di piazzarmi davanti a lui, cosa che faccio.

«Cosa avresti fatto se la risposta alla tua domanda sarebbe stata affermativa?»

Questa volta sono io a fargli la domanda e lo guardo in attesa di una risposta che non tarda ad arrivare.

«Me ne sarei andato».

Non sono stupita dalla sua sincerità, anzi, ne sono sollevata. Le bugie o mezze verità non fanno per me.
Altri lo considererebbero senza cuore, mollare una persona in una situazione del genere, voltarle le spalle, verrebbe considerato come un gesto vile. Io invece penso il contrario, sono incuriosita perché vorrei capire il perché, cosa lo porterebbe a voltarmi le spalle.

«Perché?» gli chiedo infatti. Stavolta però vado a tentativo, non mi aspetto che risponda. Ma lo fa e ciò che dice mi toglie le parole.

«Perché non si salva una persona già morta, Mallory».


Spazio autrice•

Eccomi qui ed ecco il nuovo capitolo ❤️

Ho faticato per scrivere questo capitolo, chi mi segue su Instagram conosce il motivo, ovvero le mie innumerevoli disgrazie💀

Comunque spero tanto che vi piaccia e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate🥹

Come sempre vi aspetto su Instagram per il box domande/pareri riguardante il capitolo e ovviamente leggo tutti i vostri commenti qui👀

Vi ringrazio per la pazienza, il sostegno e l'amore che continuate a darmi giorno dopo giorno❤️‍🩹

Vi abbraccio forte,
Noemi🤍

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