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Capitolo 3

C'è stato un tempo in cui guardavo il mio riflesso nello specchio e non mi riconoscevo. Non ci vedevo niente di me nell'estranea piena di lividi, le labbra rotte e gli occhi spenti che mi guardava dall'altra parte.

Così ho semplicemente smesso di farlo, ho smesso di guardarmi allo specchio.

Guardo mia madre ed è quasi come se avessi davanti a me l'estranea che ho smesso volutamente di guardare nel riflesso dello specchio.

Ha un occhio violaceo e il labbro inferiore rotto. Sussulta ad ogni singolo movimento che compie e fa fatica anche solo a stare seduta, poco importa quanto cerchi di non darlo a vedere.

«Cristo, mamma, non riesco nemmeno a guardarti in faccia». Allontano il piatto con la fetta di torta alle mele che ha preparato. Ho lo stomaco in subbuglio e se la mangiassi ora, vomiterei. «Dovresti mandarlo via, non puoi permettergli di continuare a farti questo».

Alza lo sguardo su di me e mi guarda confusa, come se le mie parole non avessero senso, come se non capisse.

So che non lo farà mai, non lo manderà via anche se dovrebbe. Avrebbe dovuto cacciarlo fuori di casa nel momento in cui le ho raccontato ciò che cercava di farmi quando lei non c'era o quando dormiva, ma non l'ha fatto.

Ha scelto lui a me, sceglierà lui a se stessa. 

«Sono solo caduta, Mallory», risponde lei con un sorriso dolorante e assolutamente falso, come le sue parole. «La gente cade spesso».

Riconosco i lividi sulla sua faccia e conosco alla perfezione le bugie che le stanno uscendo di bocca.

Oggi cadi dalle scale, domani nella vasca da bagno, poi magari nella doccia. Oggi urti ai mobili della cucina, domani a quelli della camera da letto, poi a quelli del bagno. 

È una routine che non ha mai fine e prontamente non ricordi mai come diavolo sia potuto succedere, magari sei solo troppo maldestra o sbadata.

Bugie, bugie e ancora bugie. Non sono nient'altro che questo, maledette bugie. Diventiamo così brave a dirle che oltre a convincere gli altri, finiamo per convincere noi stesse.

«Non farlo», l'avverto, «Non mentirmi e non trattarmi come se fossi stupida». Come se non l'avessi vissuto anche io o non sapessi di cosa sto parlando. Lo so fin troppo bene.

«Pensi che Felix mi abbia picchiata?» mi chiede, quasi indignata. «Non è affatto così». Continua a mentire per proteggerlo, quando l'unica che ha bisogno di essere protetta è lei.

E l'unica persona che avrebbe dovuto difendere, oltre se stessa, sono io. Ma è troppo tardi per questo.

«Hai le impronte delle sue dita intorno al tuo polso, mamma», le faccio notare, indicando proprio il punto in cui ci sono i lividi procurati da una stretta troppo forte. Lei non guarda nemmeno, finge che non ci siano. «Dubito che una caduta ti procuri un occhio nero e questi lividi sul polso».

A meno che il pavimento non abbia due mani.

«Tu odi Felix, l'hai sempre odiato», mi accusa, come se non avessi una valida ragione per trovarlo ripugnante. «Sei un'ingrata, Mallory, si è sempre preso cura di noi». Non l'ha mai fatto.

«Non riesce a prendersi cura nemmeno di se stesso, mamma», le faccio notare e sto dicendo nient'altro che la verità. «Ha sempre picchiato te e molestato me». Ha maltrattato entrambe.

Non ho problemi ad ammettere ciò che mi ha fatto e che lei non mi abbia mai creduta non vuol dire che non sia vero o che smetterò di ricordarglielo.

«Non dirlo, cazzo», sbotta, scattando come una molla dalla sedia. Si alza in piedi e mi guarda con aria minacciosa. «Non azzardarti a ripeterlo mai più, hai capito?»

Non distolgo lo sguardo neanche per un secondo, è lei quella che dovrebbe farlo.

«Cosa?» le chiedo,  «Cosa non devo dire? Che ti picchia o che mi ha molestata?» Perché entrambe le cose sono nient'altro che delle verità.

«Non ti ha mai molestata, sei una bugiarda ingrata. Sei tu che hai provato a sedurlo», mi punta il dito contro e ogni smorfia di dolore sparisce dal suo viso. Difende a spada tratta il suo uomo, poco importa quanto schifo faccia. «Felix ha sempre avuto ragione, hai una specie di ossessione per lui. Sei innamorata di lui».

«Non mi sorprende che quel bastardo ti abbia detto questo genere di cose». Non mi sorprende nemmeno che lei gli creda e non abbia fatto niente per difendermi. Non l'ha fatto quando ero una ragazzina indifesa di tredici anni e non inizierà di certo a farlo ora. «Dio, mamma, come puoi permettergli di parlare così di me? Come puoi credergli?»

Ha semplicemente deciso di voltarsi dall'altra parte e non sentire, non vedere ciò che era palese. A lei non è costato molto, a me è costata la mia infanzia.

«Quella sgualdrina drogata di Jo ti ha deviata» , dice, tirando in ballo sua sorella che nonostante i suoi brutti vizi e i suoi difetti, è l'unico membro della famiglia che posso chiamare tale.

A modo suo è sempre stata presente e a differenza di mia madre, Jo mi ha creduta ed è sempre stata dalla mia parte. È per questo che mi ha permesso di andare a casa sua quando Felix tornava dai suoi viaggi in camion.

«Sei malata, Mallory».

Le sue parole ormai non mi scalfiscono, la guardo impassibile anche se la rabbia mi ribolle nel corpo. Perché ha smesso di farmi male, ma non di farmi arrabbiare.

«Hai permesso che mi molestasse, che ci allontanasse e permetti tutt'ora che ti picchi», le sbatto in faccia. «Quella malata sei tu». E dubito che ci sia una cura per quelle come lei.

«Esci fuori da questa casa e non disturbarti a ritornare tanto presto, Mallory», dice e con un dito mi indica l'uscita. «Sei una disgrazia per questa famiglia».

Non è la prima volta che mi caccia di casa, non è la prima volta che va in escandescenza quando parliamo di Felix, non è la prima volta che mi rivolge parole del genere. Ci sono abituata.

Non me lo faccio ripetere due volte, perciò mi alzo dalla sedia. «Ci vediamo, mamma. Non dimenticarti di mettere una crema sul livido all'occhio e cerca di stare più attenta la prossima volta. Basta cadute», dico, poi le volto le spalle e vado via senza guardarmi indietro.

Lei stessa mi richiamerà presto, lo so perché lo fa sempre. Ha bisogno di me, mentre io non ho bisogno di lei.

🌈🌈🌈

Lavorare al club dei Thunderstorms è proprio come l'avevo immaginato prima di iniziare, quando ancora davo il tormento a Cairo. È caotico, ma meglio di qualsiasi altro lavoro che abbia fatto prima.

Di solito faccio solo la cameriera e servo ai tavoli, capita raramente che mi mettano dietro al bancone dato che quello è il posto di Sheyla. Lei è quella brava a maneggiare gli alcolici, io con una bottiglia in mano rischio di fare danni.

Stasera però mi tocca stare dietro al bancone perché Shey ha avuto problemi con sua nonna e lei è l'unica ad occuparsene, quindi mi ha chiesto di prendere il suo posto e non avrei mai avuto cuore di dirle no. 

Comunque non mi pesa, anzi, direi che preferisco stare dietro al bancone che servire ai tavoli e stare a contatto ravvicinato con gli innumerevoli uomini che vengono qui.

C'è meno gente del solito stasera e ringrazio il cielo perché sono l'unica dietro al bancone, di solito da una mano anche Bobo, però non vedo in giro nemmeno lui. Sono sola.

Ero sola. Perché McKenna si lascia cadere sullo sgabello davanti a me e sembra arrabbiata. «Potranno passare anche secoli, ma continuerò sempre ad aver voglia di spaccare la faccia a quella stronza di Goldy», dice, facendomi ridere.

«Ciao anche a te, Ken», la saluto con ancora il sorriso sulle labbra. Lei è un'altra delle poche ragazze con cui ho legato, che a contarle sono solo cinque. «E sì, posso capire come ti senti. Mi tocca sopportarla ogni dannato giorno».

«Ti prego, spiegami come fai, Mal», mormora, lanciando un'occhiataccia a Goldy che si trova dall'altra parte del locale. «La sua faccia è una calamita per i miei pugni». La capisco.

«La ignoro», faccio spallucce, «O almeno cerco di farlo la maggior parte delle volte». Non sempre mi riesce tanto bene, ma sto facendo di tutto per tenermi stretto questo lavoro. Ne ho bisogno.

«Vorrei riuscire ad ignorarla anche io, ma è troppo fastidiosa, cazzo», borbotta. «Mi fai un mojito?» mi chiede ed io annuisco. Inizio dal prendere il rum bianco.

«Che ha fatto per fartele girare in questo modo?»

McKenna inizia a raccontarmi per filo e per segno del suo breve ma intenso scontro con Goldy. Nel frattempo le servo anche da bere e parlarne a quanto pare l'aiuta a calmarsi, perché ad un certo punto finiamo per parlare di altre cose.

«Non hai di che preoccuparti, secondo me. Brose non ha occhi che per te, non sono esperta in questioni di cuore». Ovviamente non lo sono, anzi, non dovrei proprio parlare di robe del genere. Però conosco Brose e McKenna da un sacco di tempo ormai e so che lei non dovrebbe temere che Brose preferisca Goldy o qualsiasi donna a lei. «Ma lui ti guarda nel modo giusto, Ken».

«Che significa?» mi chiede accigliata mentre gioca con la cannuccia nera del suo bicchiere ormai vuoto.

«Non ti guarda come uno che sa di possedere il tuo cuore e che quindi si approfitta di questo per esercitare il potere che ha su di te, come se  dipendesse da lui la scelta di distruggerti e rimodellarti a suo piacimento», le spiego, «Ti guarda come uno che sa di possederti e si sente fortunato per questo, non si approfitterebbe del suo potere per distruggerti ma anzi, metterebbe il mondo in ginocchio per te se glielo chiedessi e distruggerebbe chiunque fosse una minaccia per te».

C'è silenzio, troppo silenzio, quindi porto lo sguardo su McKenna e la trovo con gli occhi puntati su di me. Mi guarda in silenzio mentre assorbe ogni mia parola. Ha gli occhi lucidi e non credo di averla mai vista scossa da qualcosa o qualcuno, prima d'ora.

Hai parlato troppo, Mallory. Hai decisamente parlato troppo.

«Mi dispiace, Mal». La guardo confusa, non capisco perché dica questo, che io sappia non mi ha fatto niente.

«Per cosa?»

«Che tu abbia sperimentato la prima opzione», dice, dando per scontato che sia così. Io mi limito a guardarla e restare in silenzio. «Nessuno dovrebbe vivere un'esperienza del genere».

Io non ammetto nulla, però tanto meno lo nego. Semplicemente lascio che il discorso cada e ringrazio il tempismo di Brose, perché si avvicina alla sua donna da dietro e le avvolge le braccia intorno al corpo.

McKenna si irrigidisce solo per un momento, colta alla sprovvista, poi però si rilassa e posa le sue mani su quelle di lui, perché lo riconosce. Non c'è bisogno nemmeno che si volti per capire che è Brose, le basta sentire la sua stretta ed essere circondata dal suo profumo per farlo.

Mi domando cosa si provi ad essere abbracciate da dietro dal proprio uomo senza che si debba stare in allerta e temere un attacco. Ho perso il conto di tutte le volte in cui Sylas mi ha spaventata a morte facendomi credere che volesse strangolarmi in quella posizione.

Non aveva intenzione di uccidermi, voleva spaventarmi e ci riusciva, ogni dannata volta.

Fingeva di abbracciarmi per poi stringere un suo braccio intorno alla mio bacino e l'altro intorno alla mia gola, solo per esercitare il suo potere su di me. Per farmi capire che la mia vita era nelle sue mani, dipendevo da lui, in tutti i sensi possibili ed immaginabili.

«Va tutto bene, piccola?» le chiede, stampandole un bacio sulla testa. Lei annuisce stringendosi ancora di più a lui.

Brose è uno di quelli buoni, riesco a capire perché McKenna ha paura di perderlo.

«Sto bene, volevo fare un po' di compagnia a Mal», mi indica con un cenno del capo. Ambrose dirige il suo sguardo verso di me.

«Ciao, Mally», mi saluta come se si fosse reso conto solo ora della mia presenza e credo proprio che sia così. Ha occhi solo per McKenna. «Tutto bene?»

«Incasinata con i drink, ma bene», rispondo con un sorriso. «Sto cercando di non rompere niente, sai com'è, Cairo sta aspettando che faccia una mossa falsa per mandarmi a casa senza pensarci due volte», aggiungo, facendo ridere lui e Ken. «A te, tutto bene?»

«Tutto bene», risponde, «Dubito che Cairo ti cacci via, arrivati a questo punto».

«Quale punto?» domando, non capendo. Poi mi allontano solo un attimo per servire velocemente un cliente, poi ritorno da McKenna e Brose.

«Hai fatto alcuni casini nel corso dell'ultimo anno», risponde alla mia domanda, «Se ha lasciato passare un motivo ci sarà». Non posso ribattere a questo, tanto meno posso negare. È vero che ho fatto alcuni casini da quando ho iniziato a lavorare qui.

Discussioni con Goldy all'inizio, ho quasi spaccato un bicchiere in testa ad un cliente una volta -forse più di una volta- e ho litigato con altri nel corso del tempo. Poi c'è anche il pugno tirato a suo fratello, non so se per Cairo conti, però c'è anche quello e i vari alcolici e bicchieri che mi sono sfuggiti dalle mani.

«Sei una calamita per i guai, Mal», dice McKenna con un sorriso divertito. Lo dice come se fosse qualcosa di buono, un pregio. Per me non lo è. «È per questo che mi piaci».

«In mia discolpa posso dire che ho reagito solo nel momento in cui mi sono sentita attaccata».

Brose annuisce perché ne è consapevole, non attacco mai per prima e mai senza motivo. «È per questo che non ti ha cacciata via», dice, «E perché Avie ti vuole bene», aggiunge poi. Io sorrido.

«Quella donna è meravigliosa». Lo è davvero, non avevo mai conosciuto una persona come lei prima, è sorprendente ed ha una pazienza che sembra non avere mai fine.

«Ah, non dirlo a me, la amo da quando eravamo bambine», dice McKenna, facendomi ridere. «Sarei finita in coppia con lei se solo non fosse piaciuto il cazzo ad entrambe».

Avalyne e McKenna sono come il sole e la luna, le adoro entrambe. Sono quel genere di amiche su cui sai di poter contare in ogni momento, loro non giudicano mai, ascoltano e aiutano, sempre. Lo stesso vale per Eulalia e ovviamente Sheyla. 

«A proposito di Avie, mi aveva chiesto di passare da lei, me ne sono completamente dimenticata», dice McKenna, saltando quasi dalla sedia. Brose la guarda divertito. «Andiamo?»

«Sembra che tu non la veda da dieci anni, quando in realtà sono passate solo quante ore?» Guarda il suo orologio e poi di nuovo lei. «Sei?»

«Da quando è andata nel Kentucky soffro della sindrome dell'abbandono», risponde, «E da quando è tornata se non la vedo per troppo tempo sto male, mi deprimo e piango».

«Poi chiedi perché ti diciamo che sei l'equivalente di Aiden al femminile. Ecco la risposta». I miei occhi scattano automaticamente su Ambrose quando pronuncia quel nome.

Non so il motivo e se lo sapessi, lo ignorerei completamente, un po' come ignoro la sua presenza quando capita, anche se ignorare Aiden Hoffman non è per niente facile. È come ignorare lo scoppio di un fuoco di artificio in una stanza silenziosa e buia.

«Mi ritengo profondamente offesa e ti ricordo che l'ultima volta che mi hai detto una cosa del genere te l'ho fatta pagare», gli risponde McKenna. Come se per lei essere paragonata a Aiden fosse un insulto.

«Me l'hai fatta sudare, vorrai dire», la corregge Ambrose. Trattengo a stento una risata solo perché McKenna gli lancia un'occhiataccia.

Qualcosa mi dice che gliela farà sudare anche adesso. Povero Brose, mi dispiace per lui.

«Troppe informazioni, amici miei», m'intrometto con una smorfia. Entrambi ridono. «Salutatemi Avalyne e Caiden. Mandate un abbraccio Cairo, così gli faccio saltare i nervi anche a distanza».

«Lo farò sicuramente», risponde McKenna con un sorriso divertito. «Infastidire Cairo è uno dei miei hobby preferiti, anche se nessuno ci riesce come Tara».

Taranee infastidisce anche me il novantanove percento delle volte, il restante cerco di ignorarla con scarsi risultati.

«Divertiti, Mally», mi dice invece Brose, «E se hai bisogno di una mano non esitare a parlarne con Wolf o mio fratello. Anche se Bobo verrà a breve per aiutarti al bancone».

Che chiunque abbia preso il comando lassù stasera sia lodato. Bacerò sulla fronte Bobo non appena arriverà.

«Grazie». Lui fa un gesto come per dire "non c'è di che". McKenna mi lancia un bacio volante e poi entrambi si dirigono verso l'uscita del club.

🌈🌈🌈

«Che cazzo?» sbotta un cliente mentre sto cercando di servirne un altro. Rimangio ciò che ho pensato prima, preferisco di gran lunga servire ai tavoli. «È la terza volta che sbagli il mio ordine, sei scema o sorda?»

Guardo l'uomo sui venticinque anni che ho davanti, ha gli occhi lucidi di uno che ha bevuto già un po' troppo. Uno che potrebbe creare problemi.

«Come, scusa?» chiedo, sbattendo le palpebre. Spero di aver sentito male, ma ne dubito. Maleducato del cazzo.

«Ti ho chiesto se sei scema o sorda, ma a quanto pare sei entrambe le cose», risponde il tizio, ripetendo le parole di prima. Sì, è piuttosto su di giri e decisamente tanto maleducato.

Stringo le mani intorno al bicchiere e prendo un respiro profondo prima di rispondergli. «Mi dispiace se ho sbagliato il tuo ordine, stasera sono da sola e voi siete molti. Te ne do un altro, offerto da me».

Non dico "offerto dalla casa" perché dubito che a Cairo farebbe piacere se lo sapesse e come ho detto, ho bisogno di tenermi questo lavoro e non sfidare troppo la sorte.

«Potresti farti perdonare in un altro modo», suggerisce, guardandomi con aria maliziosa.

Fa scorrere il suo sguardo lungo tutto il mio corpo, prima sulla maglietta bianca che indosso, poi sulle gambe scoperte dai pantaloncini di jeans chiari.

«No e non mi interessa», faccio per prendere il suo bicchiere vuoto e andarmene, ma lui mi prende dal polso e mi strattona in avanti. Tanto che mi tocca chinarmi sul bancone.

Sta stringendo, non tanto forte da farmi male ma abbastanza da non permettermi di allontanarmi.

«Lasciami il polso», gli dico a denti stretti. Cerco di divincolarmi dalla sua presa ma non ci riesco.

Mi guardo intorno per cercare qualcosa con cui eventualmente ferirlo per difendermi, c'è solo il bicchiere a portata di mano. A Cairo non piacerà per niente.

«Prima devi farti perdonare per gli ordini sbagliati», il suo alito sa di sostanze alcoliche mischiate tutte insieme. Mi viene da vomitare.

«Sono una cameriera, non una schiava», gli rispondo, cercando di non mostrarmi debole o spaventata. «Mollami o ti rompo il bicchiere in testa».

Prima però che possa aggiungere altro o che lui possa rispondermi, qualcuno lo placca come se fosse una specie di giocatore di rugby. Sussulto perché il tizio mezzo ubriaco prima di finire violentemente a terra, mi strattona il polso troppo forte.

Guardo Aiden Hoffman in piedi dove prima c'era lo sgabello su cui era seduto l'uomo che mi stava importunando. Non ha neanche un capello fuori posto, il suo corpo è rigido e dritto, lo sguardo incazzato puntato sull'uomo steso per terra.

Che. Cavolo. Sta. Succedendo.

«Toccala un'altra volta e non mi limiterò solo a spezzarti le dita, no, te le taglierò e le darò in pasto ai miei pesci e credimi, loro gradirebbero il mio regalo», dice a voce abbastanza alta da farsi sentire. Non si scompone mentre dice queste parole e vedo l'uomo steso per terra sussultare, impaurito.

Conosce Aiden, conosce gli Hoffman e i Thunderstorms. È spaventato a morte.

Non dice niente, si alza in piedi barcollando e si dilegua più velocemente della luce come se avesse il diavolo alle calcagna.

«Hai dei piranha?» È la prima cosa che mi viene in mente di chiedergli quando rimaniamo soli. Lui nega con la testa ed io lo guardo accigliata.

«No, sono dei semplici pesci rossi», risponde. Dio, sto per ridere e l'idea di farlo davanti a lui e per qualcosa che ha detto non mi piace per niente. «In realtà non sono neanche più miei, sono di Caiden».

«Non c'era bisogno di venire in mio soccorso, me la sarei cavata anche da sola», gli dico, perché l'idea di mostrarmi debole e indifesa non mi piace per niente. L'ultima volta che l'ho fatto è finita male.

«Abituati, Malefica, se qualcuno cercherà di farti del male non resterò fermo a guardare», risponde con una sincerità ed una calma disarmanti. Non ricordo l'ultima volta che qualcuno mi ha detto una cosa del genere.

«Cos'è abbiamo fatto una specie di patto di sangue?» gli chiedo con sarcasmo. Perché se lo ringraziassi, ora, probabilmente scoppierei a piangere come una bambina. «Sei diventato il mio cavaliere dall'armatura lucente?»

«Posso insegnarti a maneggiare la mia spada, se vuoi», suggerisce con nonchalance. La rabbia di prima lascia spazio a una scintilla di malizia e divertimento nei suoi occhi.

«Dubito che a lei farebbe piacere», rispondo, indicando con un cenno del capo Taranee che si trova abbastanza lontano da noi ma non tanto da non permetterle di tenerci d'occhio.

Sembra un cavolo di falco.

Lui guarda nella mia stessa direzione e quando lo fa, Taranee si volta velocemente e finge di parlare con Rio. «Tara e io siamo solo amici», dice lui. «E poi, non hai detto di non voler maneggiare la mia spada».

«Ti piace essere rifiutato ripetutamente, Hoffman?»

«Solo se sei tu a farlo, perché questo mi spinge ad impegnarmi di più per farti cedere». È strano Aiden, non è come qualsiasi altro uomo con cui abbia avuto a che fare nella mia vita.

Lui non mente e non finge per ottenere qualsiasi cosa gli passi per la testa, è sincero, non gira molto intorno alle cose e arriva subito al dunque. Non sono abituata a questo tipo di sincerità, però mi piace, perché la maggior parte degli uomini finge e mente, sempre.

«Devo lavorare e tu dovresti tornare dalla tua amica».

Mi guarda incuriosito e incrocia le braccia al petto. «Perché hai detto amica in quel modo?»

«Perché lei ti vuole, Hoffman, solo un cieco non se ne accorgerebbe», rispondo, «E tu non sei cieco, tanto meno stupido. Lo sai già, vero?» Non che siano problemi miei, sto solo sottolineando l'ovvio.

«Vogliamo parlare delle nostre situazioni sentimentali, Malefica?» Mi chiede con un sorrisetto di sfida. «Inizia a parlarmi di Crudelia Demon, allora. Gli piacciono le pratiche BDSM o è solo un coglione che deve picchiare le donne per sentirsi più uomo?» E mentre me lo chiede mi guarda dritto negli occhi.

Occhi talmente tanto azzurri e limpidi che se mi avvicinassi potrei specchiarmici dentro ed io odio specchiarmi.

«Come ti ho detto, devo lavorare», rispondo freddamente e prendo il bicchiere vuoto che volevo rompere in testa all'uomo di prima.

«Come immaginavo», risponde, non nasconde il fatto che abbia toccato il tasto Sylas perché sapeva che mi sarei tirata indietro. «Ci vediamo in giro, Malefica».

Resto sola e continuo a servire cliente dopo cliente. Di Bobo non c'è ancora nessuna traccia e Aiden non si è più avvicinato. È rimasto per tutto il tempo insieme a Taranee e Rio.

Sono stanca e non finirò il turno tanto presto, spero solo che Bobo si presenti qui il prima possibile. Alcuni clienti sono davvero irritanti.

«Buonasera, cosa prende da bere?» chiedo mentre sono ancora di spalle e intenta a mettere al suo posto una bottiglia di vodka pura.

Se solo lo scaffale non fosse così alto, sarebbe un'azione alquanto facile, maledizione.

Non sempre do del lei alle persone, però qui nel club ho imparato a farlo, giusto per far capire alle persone che non ho intenzione di dare nessun tipo di confidenza. Per mantenere una certo distacco.

«Ciao, Mally».

La mia serata schifosa è appena diventata qualcosa di peggio. Rimangio ciò che ho pensato prima, chiunque sia a comando lassù in questo momento, è un sadico figlio di puttana.

Mi volto lentamente, quasi come se avessi davanti un predatore pronto ad attaccarmi. Sylas è seduto sullo sgabello proprio davanti a me e mi guarda con un sorriso da bastardo stampato in faccia.

Che diamine ci fa qui dentro? Ha voglia di morire?

«Che sei venuto a fare?» gli chiedo subito, facendogli capire che non è il benvenuto. Dubito che gli importi.

«È così che tratti tutti i tuoi clienti?» mi chiede, parlandomi come se fossimo vecchi amici. Come se non mi avesse distrutta completamente.

Rimettere insieme i pezzi mi sta costando tanto, più di quanto possa mai immaginare.

«Devi lasciarmi in pace, Sylas, sono stanca di trovarti dappertutto», gli dico, stanca. «Sei diventato uno stalker, la lista dei tuoi problemi sta aumentando a dismisura».

La sua espressione muta, il velo di un'ombra oscura cala nei suoi occhi. Questo sguardo prima mi faceva desiderare di essere da qualsiasi altra parte tranne che con lui.

Ho ancora paura, anche se non voglio dimostrarlo, anche se fingo il contrario. Ho ancora paura e mi odio per questo. Odio anche lui per avermi portata a questo.

«Non mi piace il modo in cui mi stai parlando, Mally», mi dice con aria minacciosa. «Sono solo venuto a bere qualcosa con i miei amici, non è un crimine».

Guardo alle sue spalle in cerca dei suoi amici e ovviamente non c'è nessuno. Meglio, perché detesto profondamente anche loro.

«Non sei mai venuto qui prima d'ora e non vedo i tuoi amici in giro».

«Stanno facendo una partita a biliardo», risponde con nonchalance, «E ti salutano, Mally, manchi anche a loro».

Mi viene da vomitare. Stringo forte i pugni ai lati dei fianchi e non distolgo lo sguardo neanche per un secondo, altrimenti lo prenderà per un segno di debolezza o sottomissione.

«Beh, a me non mancano e non mi manchi neanche tu», dico a denti stretti, «Vattene, Sylas, non c'è niente per te qui».

Non c'è più niente per lui, ha preso tutto e l'ha distrutto in miliardi di pezzi.

«Ne sei proprio sicura?» mi chiede scettico, «Guardami negli occhi, amore».

«Lo sto facendo e ti ho detto di andartene», ripeto per l'ennesima volta. Lui però non mi dà ascolto.

Non so perché, però mi ritrovo a cercare una testa bionda in mezzo alla miriade di gente che c'è in giro. Però non trovo Aiden da nessuna parte e forse è meglio così.

«Chi stai cercando così insistentemente?» chiede Sylas, cercando in giro anche lui. Guarda nei punti in cui ho posato il mio sguardo, poi guarda di nuovo me e sorride. «Aiden Hoffman, suppongo».

«Tu sei pazzo», gli dico. È un dato di fatto. «Hai qualcosa che non funziona in quella testa».

«E tu sei fottuta, Mally», risponde, per niente colpito dalle mie parole. «Ti ho rotta, amore, ti ho sporcata per sempre. Sei legata a me in modo indelebile».

«Se fossi legata in modo indelebile a te, staremmo ancora insieme. Invece ti ho lasciato, Sylas, è ora che ti rassegni»

Non sono così cattiva da augurargli di trovare un'altra ragazza, perché diamine, non augurerei Sylas neanche alla mia peggior nemica.

«Pensi che qualcuno ti vorrà ancora quando scopriranno quanto sei sporca? Quando scopriranno le cose che ti sei lasciata fare e che hai fatto per me?»

So cosa sta pensando adesso, bingo, mi ha colpita e affondata. Sa ogni mio dannato punto debole, sa dove sferrare i suoi colpi.

Con gli occhi pieni di lacrime trattenute, faccio vagare ancora una volta il mio sguardo per tutto il club. Cerco di concentrarmi su qualsiasi cosa che non sia lui.

«Pensi che lui continuerà a volerti?» chiede, pensando che stia cercando Aiden. «Perché non è così, prima o poi se ne accorgerà, non è qualcosa che puoi nascondere. E quando lo farà, quando se ne renderà conto, se ne andrà senza guardarsi indietro».

«Micetta, scusa il ritardo, ho avuto un problema con la moto», Bobo viene direttamente dietro al bancone, ignora la presenza di altre persone e mi bacia la fronte. «Va tutto bene?»

Probabilmente ho perso colore ed ho la faccia e l'entusiasmo di un cadavere. «Sì, è tutto ok. Grazie per essere venuto».

«Quando vuoi, dolcezza», mi fa l'occhiolino, poi guarda Sylas e non so se lo riconosce o meno. Ha visto solo un paio di foto sue. «Ordini qualcosa o ti togli di torno?»

Sylas lo ignora, guarda me e mi sorride per quella che spero sia l'ultima volta. «A presto, Mally».

Sono sollevata perché se ne sta andando, ma non sono tranquilla o felice, perché so che tornerà. Non si fermerà, continuerà fino a sfinirmi.

«Sei sicura di star bene?» mi chiede Bobo quando restiamo soli. Mi guarda come se notasse qualcosa che non va. Io annuisco.

«Ho solo bisogno di prendere un po' d'aria».

«Vai, qui ci penso io», dice, senza fare domande. Lo guardo con gratitudine.

«Grazie».

«Smettila di ringraziarmi, micetta», mi dice con un sorriso dolce. «Vai e torna, ti aspetto qui».

🌈🌈🌈

Esco fuori solo quando sono sicura del fatto che Sylas se ne sia andato davvero. Mi siedo sul marciapiede, lascio fuori il resto del mondo, chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo.

Per quanto ancora potrò andare avanti così? Per quanto riuscirò a sopportare questa situazione?

Mi sento addosso la stanchezza di una che ha vissuto mille vite diverse e tutte quante una peggio dell'altra.

Non so per quanto tempo resto seduta su questo marciapiede con la testa poggiata sulle ginocchia e gli occhi chiusi. So solo che ad un certo punto qualcuno si siede accanto a me ed io scatto in allerta.

«Una volta mi sono ritrovato in una situazione simile».

Mi volto e porto lo sguardo sulla persona che mi sta accanto, Aiden. Si è seduto sul marciapiede, proprio affianco a me, se facessi anche solo un piccolo movimento, le nostre braccia si sfiorerebbero.

«Fammi indovinare, hai fatto sesso con una seduto sul marciapiede?»

«Dubito che ci sia una donna disposta a fare sesso su un marciapiede, io non mi tirerei indietro ma no, la risposta è no», risponde, piuttosto divertito. «Avie aveva litigato con me e mio fratello, sono uscito per cercarla. Non volevo che stesse fuori da sola e al buio, e nemmeno mio fratello lo voleva».

«Io non sono Avalyne», gli dico, come se non lo sapesse già. «Non devi preoccuparti per me».

Il vero problema però è che mi piace fin troppo quando si preoccupa per me, è una sensazione nuova, che non ho mai provato prima d'ora e non dovrebbe piacermi.

«Si preoccupa anche Bobo e lui è sempre così spensierato che quando lo fa, capiamo che si tratta di  qualcosa di serio».

«Nessuno di voi due deve preoccuparsi per me», gli dico. Non ne vale la pena. «Me la cavo sempre, in un modo o nell'altro». Per lo meno è quello che cerco di fare.

«Non permettergli di entrarti in testa, Malefica. Qualsiasi cosa ti abbia detto, non permettergli di avere il controllo sulla tua vita», le sue parole mi fanno irrigidire. «È solo se gli permetti di farlo che vince».

Apprezzo le sue parole e quello che sta cercando di fare, ma non è questo ciò di cui ho bisogno adesso. «Non voglio parlare di Sylas», gli dico. Lui annuisce.

«E non ti obbligherò a farlo, anche perché parlare di Crudelia Demon è l'ultima cosa che vorrei fare, quel tizio non m'interessa minimamente», risponde come se la sola idea del mio ex lo disgustasse. «Di cosa vuoi parlare?»

Faccio spallucce perché non ne ho idea, non ho tanta voglia di parlare. Preferirei restare in silenzio.

«Raccontami qualcosa di te e io ti racconto una cosa imbarazzante su di me».

Perché lo fai, Aiden?

Continuo a chiedermelo ma non riesco a trovare una risposta valida.

«Una confessione per una confessione?»

«Solo che la mia sarà imbarazzante», risponde, facendo spallucce. Pochi uomini racconterebbero storie imbarazzanti su di loro, anzi, forse quasi nessuno a parte lui.

«Ci sto», accetto, «Prima la tua confessione».

«Ti piace proprio l'idea di avere del materiale imbarazzante da poter usare contro di me», dice, ma ancora una volta la cosa non sembra dispiacergli.

«Non immagini quanto», rispondo. Anche se non userei mai nessuna sua confessione contro di lui, non sono quel genere di persona. «Sto aspettando, Hoffman».

«Avevo quindici anni e la ragazza che era chiusa nel laboratorio di chimica insieme a me ne aveva diciassette», inizia a raccontare. Dovevo immaginare che sarebbe stato qualcosa di sporco. «Mi ha fatto il mio primo pompino ed ero così euforico e su di giri che per poco non l'ho strozzata con il mio cazzo. Sono venuto dopo appena tre minuti sui suoi capelli».

Non dice nient'altro, resta in silenzio, per niente imbarazzato e con gli occhi puntati nei miei. Aspetta che dica qualcosa ma l'unica cosa che esce fuori dalla mia bocca è una risata. Rido talmente forte che mi vengono le lacrime agli occhi.

Dio, quella ragazza avrà una specie di trauma, ora, non mi sorprenderebbe se fosse diventata anti-pompino.

Lui mi guarda e basta, quasi come se fosse soddisfatto, come se farmi ridere fosse stato il suo obiettivo fin da quando si è seduto accanto a me.

«Spero per le donne con cui hai rapporti sessuali che le cose siano migliorate», dico, continuando a ridere. Prende le mie parole come una specie di sfida.

«Puoi provare per accertartene», dice, spalancando le braccia come se fosse un invito. «Non ne rimarrai delusa, anzi, potresti diventarne dipendente».

"Ti ho sporcata per sempre", "Pensi ancora che lui continuerà a volerti quando lo scoprirà?"

Le parole di Sylas continuano a ripetersi nella mia testa come un loop infinito.

«La mia bocca non si avvicinerà a nessuna parte del tuo corpo, Hoffman».

«La tua confessione, Malefica». Speravo che se ne fosse dimenticato.

Resto in silenzio per qualche secondo e lui aspetta con pazienza. Non mi mette nessuna fretta.

Penso a qualcosa da dirgli e poi finalmente le parole vengono fuori. «Qualsiasi cosa tu stia cercando di fare con me, dovresti smetterla, Aiden. Non ne valgo la pena». Tengo lo sguardo puntato sulle mie scarpe.

Sussulto quando Aiden mi mette una mano sotto il mento e mi alza la testa per guardarmi negli occhi. Sembra arrabbiato, furioso. «E questo chi lo dice? Il tuo ex psicopatico?» mi chiede, «Lascialo decidere a me se ne vali o no la pena, Malefica».

Non mi scrollo la sua mano di dosso come avrei fatto con qualsiasi altra persona, l'allontano delicatamente e mi rimetto in piedi.

«Volevi una confessione e l'hai avuta, ti ho dato anche un consiglio. Ora devo andare a lavorare».

Lo lascio seduto sul marciapiede e rientro nel club.

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