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Capitolo 2

In questo momento avrei potuto starmene in una stanza di hotel a scopare con qualche ragazza dai capelli rossi, mi sarebbe bastata anche una sveltina in qualche vicolo buio con una che non ha i capelli rossi o una scopata a tre in una delle stanze del club.

Potrei fingere di essere uno schizzinoso, ma non lo sono affatto, non lo sono mai stato, perciò mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa tranne questa. Perché l'unica ragazza dai capelli rossi nel mio campo visivo in questo momento è Mallory.

Sono a casa di Avie e a quanto pare questa dannata ragazza sembra perseguitarmi. Non riesco a liberarmi di lei o forse il destino non vuole che lo faccia, forse è proprio quell'infame annoiato a mettermela sempre tra i piedi.

Beh, per quanto mi riguarda il destino può andare a farsi fottere e lei pure.

Non posso fare a meno di osservarla per bene, però, lo faccio ogni volta che me la trovo davanti. La guardo come si fa con i cubi di rubik, come se volessi scoprire come risolvere il rompicapo.

Sta dipingendo con Caiden, incurante del mio sguardo su di lei. I capelli sono raccolti in una crocchia disordinata, oggi non ha un filo di trucco sulla faccia e le lentiggini sono più evidenti. La sua pelle esposta dai pantaloncini e il top che indossa sembra di porcellana tanto è pallida, ha anche diversi nei sparsi un po' ovunque.

Non posso fare a meno di notare che sul suo braccio destro sono presenti dei lividi che prima non c'erano. Mi impongo di distogliere lo sguardo e mi dico che non dovrebbe interessarmi, soprattutto se ripenso a quando ho cercato di salvarle il culo dal suo ex.

Non dico che avrei voluto un ringraziamento, perché non l'ho fatto per sentirmi dire grazie. Però di certo non mi aspettavo di ricevere parole fredde d'ingratitudine e una voltata di spalle. Stronza, ingrata e pure maleducata.

Eppure una parte di me sente la necessità di volerne sapere di più su cosa sta succedendo, anche se qualsiasi persona al mondo osservandola capirebbe cosa le fa passare quella schifezza del suo ex.

Potrei dire che voglio saperne di più per semplice spirito di giustizia, ma sarebbe una menzogna, non sono un cazzo di Avengers. Niente scudo, pelle verde, armatura o martello. Anche se forse il martello potrei dire di averlo.

È solo la mia malsana curiosità che spesso e volentieri mi ha cacciato in situazioni di merda e sono sicuro che anche questa volta sarà così. 

«Non dovrei mancare per molto tempo, sei sicura di poter restare?» chiede Avie a Mallory. Distolgo quindi lo sguardo dalla rossa e lo porto sulla mia bionda preferita. L'unica, in realtà.

Il pancione è sempre più evidente e lei è radiosa.

Non è la prima volta che la vedo incinta, di Caiden ci sono stato solo per i primi tre mesi, ma la pancia era piccolissima e non aveva mai scalciato perché troppo piccolo. Adhara invece si muove e scalcia spesso, la pancia di Avie assume posizioni strane e curiose a seconda del movimento della bambina.

Ammetto che a volte fa impressione, però sono più le volte in cui mi diverto a poggiare dei peluche sopra la sua pancia, perché prontamente Adhara calcia così forte che il pupazzo finisce per cadere sul divano o per terra.

«Vai tranquilla, Ava», le risponde Malefica, «Io e Caiden finiamo di dipingere e ci troviamo qualcosa da fare».

La stronzetta mi esclude dai suoi piani con mio nipote come se io non fossi qui presente o come se avessi intenzione di lasciarla qui da sola con lui. Non ha capito proprio niente.

«Creerai problemi?» In un primo momento penso che Avie stia parlando con Caiden, ma poi aggiunge: «Aiden, hai intenzione di creare problemi?»

Alzo lo sguardo su di lei fingendomi risentito e profondamente offeso. Però non posso darle torto se è preoccupata dato che io e Malefica ci scanniamo ogni due per tre, è il solo modo che conosciamo per andare d'accordo, suppongo.

E resto volentieri ogni volta che fa da babysitter a mio nipote, perché non mi fido ancora completamente di lei e perché mi piace darle fastidio.

Anche se oggi però non è stata una cosa programmata, ero passato solo per portare il gelato ad Avie, dato che da quando è incinta non ne ha mai abbastanza.

«Sono un uomo maturo, Avie, così mi offendi», mi porto una mano al cuore con fare drammatico e un sorrisetto che non promette nulla di buono.

«Aiden», mi riprende lei, conoscendomi probabilmente meglio di chiunque altro.

«Non farò scappare a gambe levate la babysitter, rilassati», le dico e ignoro completamente l'occhiataccia che mi lancia la rossa.

«La babysitter ha un nome e può sentirti», borbotta Malefica. Io la guardo e le comunico con lo sguardo che non me ne può fregare di meno.

«Non è una semplice babysitter, è mia amica», mi dice Avie e io lo prendo più come un avvertimento. «Comportati bene».

«Io mi comporto sempre bene, mamma», le dico, divertito. «Ti ho anche portato il gelato».

«E ti adoro per questo, ora però devo andare». Dà un bacio sulla testa a Caiden, poi si avvicina, si china sul divano e dà un bacio sulla guancia a me. «Phoenix diventa nervoso e impaziente quando devo fare qualche visita. Non mi sorprenderebbe se entrasse da quella porta e mi caricasse sulla spalla per trascinarmi dalla ginecologa».

In realtà non sorprenderebbe nemmeno me.

«Solo quando devi fare qualche visita? Mio fratello è sempre nervoso e impaziente», le faccio notare. Con la coda dell'occhio vedo Mallory che cerca di reprimere un sorriso divertito. «E non credo che ti caricherebbe sulla spalla con quel pancione, al massimo ti prenderebbe in braccio».

«Sì, ma preferisco camminare sulle mie gambe», risponde lei. Poi prende la sua borsa e si volta di nuovo verso di noi. «A dopo, comportatevi bene, tutti e tre».

Caiden la saluta con la sua manina, Mallory le dice di non preoccuparsi e io le mando un bacio volante. Dopodiché restiamo soli.

Cala un silenzio piuttosto imbarazzante, non per me ma per la rossa. Ogni volta che restiamo soli si irrigidisce, come se potessi saltarle addosso e divorarla da un momento all'altro. Punta gli occhi ovunque tranne che su di me. Non mi piace, mi fa sentire come se mi paragonasse alla peggiore feccia del mondo.

Mi schiarisco la gola e guardo mio nipote, quindi parlo direttamente a lui. «Visto che qualcuno qui ha il mutismo selettivo, ti va di fare qualcosa?»

«Sta già dipingendo insieme a me», la rossa si ricorda come si fa a parlare e mi regala l'ennesima occhiataccia. Fantastico, le sto proprio simpatico.

«Perdonami, Picasso, però quello non lo chiamerei dipingere», dico, indicando i loro fogli. «Sembra che sia passato Rio dopo una sbronza a vomitare sul foglio».

«Cos'è una sbronza?» chiede mio nipote, facendo scattare le nostre teste verso di lui.

Guardo subito Mallory in cerca di aiuto perché in teoria dovrebbe essere lei quella brava con i bambini, ma la stronza ora mi sorride apertamente e si gode il mio momento di difficoltà.

«Te lo spiega tuo zio», dice infatti, posando il pennello sul tavolo per godersi meglio la scena.

Di certo non posso spiegare a un bambino di tre anni cosa significa sbronzarsi, dubito che sappia dell'esistenza dell'alcol e dubito che Avie sarebbe contenta, per non parlare di mio fratello.

Quindi faccio ciò che mi riesce meglio, mi salvo il culo come meglio posso.

«A chi va di aiutarmi a fare una torta?» chiedo, sapendo che il cibo è il punto debole di mio nipote. Infatti i suoi occhietti si illuminano e alza subito entrambe le braccia, mentre la rossa resta impassibile. «Non sbracciarti troppo, Malefica, rischi di slogarti le braccia».

«Non ho intenzione di ripulire il casino che combinerai, te lo dico subito», dice lei, puntandomi contro l'indice smaltato di fucsia. Molto sobria, come sempre. «Chi sporca pulisce».

«Sei proprio noiosa», le dico. Poi guardo mio nipote. «Cai, ti è toccata una babysitter noiosa, menomale che ci sono io».

«Facciamo la torta?» mi chiede, avvicinandosi a me e prendendomi per mano. Io annuisco. «Mally, vieni?» chiede poi alla rossa, che porta lo sguardo su di lui e si addolcisce subito.

«Già, Mally, vieni?»

Non credo di averla mai chiamata Mally prima d'ora, solo Mallory a volte, mentre Malefica e stronza quasi sempre.

«Prima cosa, non chiamarmi Mally», dice, per poi alzarsi da terra, dove prima era seduta con Caiden. «Seconda cosa, l'idea è stata tua, quindi pulirai comunque tu».

Fingo di non ascoltarla, le volto le spalle e fischiettando mi dirigo in cucina insieme a Caiden. Lei non ci mette molto a raggiungerci.

«Sai accendere il forno senza dar fuoco all'intera cucina?» mi chiede Mallory, dubitando delle mie doti culinarie o di me in generale.

«Attenta, l'unica cosa che potrebbe andare a fuoco sono le tue ovaie, vedermi cucinare una torta è un'esperienza erotica che non ha eguali».

Non che mi abbiano visto in molte mentre ero preso dal cucinare una torta. Ora che ci penso, l'unica che mi ha visto farlo è Avie.

Dubito che Malefica si meriti questo privilegio però non me ne frega un cazzo, c'è mio nipote e la torta è solo ed esclusivamente per lui.

«Non dovresti parlare in questo modo in presenza di un bambino», mi rimprovera, lanciandomi un'occhiataccia. Come se Avie non mi avesse già istruito per bene.

«Lui non ci sta dando nemmeno ascolto», le faccio notare, indicando con un cenno del capo mio nipote che non bada alla nostra presenza perché è troppo preso dal cercare la farina, è l'unico ingrediente che si ricorda sempre.

In meno di un minuto Caiden riesce a prendere la farina e riesce anche a rovesciarsela addosso. C'è farina su di lui, farina intorno a lui e ai suoi piedi, su tutto il pavimento. 

«Ops, non l'ho fatto apposta», dice con aria colpevole. Poi si guarda le manine tutte bianche, così come il suo pigiama. «Sono un fantasma!» esclama poi, ridacchiando.

Inizia per davvero a fingersi un fantasma e sia io che la strega che mi sta davanti non possiamo fare a meno di sorridere davanti alla scena comica e dolce allo stesso tempo.

«Ottima idea quella della torta, Hoffman, voglio proprio vedere come ti divertirai a pulire ora», dice Mallory, indicando il casino sul pavimento.

«Non importa, piccolo terremoto, per ora puliamo solo il pavimento», dico a mio nipote, ignorando l'aria divertita che ha la rossa al pensiero di vedermi pulire. Come se non ne fossi capace. «Poi ci dedichiamo alla torta e subito dopo ti fai il bagnetto, va bene?»

Caiden annuisce con aria solenne e fa qualche passo indietro per allontanarsi dal disastro che ha combinato.

Quindi prendo tutto il necessario e inizio a pulire il pavimento sotto gli occhi della rossa che non muove un dito per aiutarmi. Fanculo. Non ho bisogno del suo aiuto.

A pulizie finite, mi accorgo di avere ancora della farina sulle mani, quindi mi viene in mente di fare una cosa e non ci penso due volte prima di mettere in atto la mia idea. 

«Hai qualcosa sulle guance», dico alla rossa, indicandogliele con un gesto della mano.

«Dove?» domanda, accigliata. Faccio un solo passo verso di lei e i suoi occhi scattano su di me come se avesse davanti un leone pronto a lanciarsi sulla preda.

«Proprio qui», le tocco delicatamente le guance e anche se noto che si irrigidisce, ignoro la sua reazione e fingo di pulirgliele.

In realtà però le sto mettendo la farina in faccia, due linee per ogni guancia, come quelle di un guerriero indiano.

«Non l'hai fatto davvero», mormora quando si accorge che effettivamente al posto di pulirla, l'ho sporcata.

E non immagina nemmeno in quali altri mille modi vorrei sporcarla in realtà.

«Sembri sempre in guerra contro di me, tanto valeva colorarti la faccia come se fossi su un campo di battaglia».

Lei mi guarda e sbatte le sue ciglia lunghe come se fosse stupita dalle mie parole o forse dal mio gesto. Non si aspettava che mi avvicinassi così tanto o che la toccassi.

«Ma non ce l'hai una ragazza tu?» domanda, poi guarda gli angoli della mia bocca sollevarsi in un sorrisetto e probabilmente si pente quasi subito della sua domanda.

«No, perché? Vuoi chiedermi di uscire?» le domando, prendendola in giro. «Dovrai impegnarti per convincermi, sono uno che va corteggiato».

Inaspettatamente lei ride e lo fa di gusto. La osservo, perché non ride quasi mai a causa mia, in mia presenza sì, però mai per qualcosa che dico o faccio io.

Mi piace. Dovrebbe ridere più spesso.

«Zio, voglio la torta», dice Caiden, ormai stufo di aspettare. «Per favore». L'impazienza l'ha presa da me e suo padre, le buone maniere invece da sua madre.

«Andiamo a fare questa torta», gli dico. Poi guardo la rossa, «Malefica lì sotto c'è lo sbattitore per le uova, prendilo e passamelo».

Penso che stia per dirmi qualcosa sul fatto che gliel'ho praticamente ordinato e non gliel'ho chiesto educatamente, però non lo fa, si limita a darmi le spalle e piegarsi per prendere lo sbattitore, regalandomi così la bella vista del suo sedere alto e tondo fasciato dai pantaloncini.

Ricordo che la prima e l'ultima volta che le ho palpato il culo ho potuto constatare che è sodo ma morbido e improvvisamente ho voglia di rifarlo. Però dubito che lei ne sarebbe contenta e non ho voglia di beccarmi un altro pugno in faccia, perciò mi astengo dal mettere in atto le mie fantasie.

Per ora.

Cerco di distogliere lo sguardo per non sembrare un arrapato del cazzo, ma non è facile. Riesco a pensare soltanto al fatto che le uova sono l'ultima cosa che vorrei sbattere in questo momento, la prima è lei, senza dubbi. Me la scoperei senza pensarci due volte, non è un segreto e non ho intenzione di nasconderlo.

***

Dopo aver aspettato che la torta cuocesse e si raffreddasse, Caiden ha divorato due pezzi belli grandi. La rossa invece ha declinato la mia offerta perché ha pessimi gusti sia in fatto di uomini che di cibo a quanto pare.

Ora stiamo finendo di pulire la cucina, Caiden sta facendo il suo riposino pomeridiano e Mallory si tiene a debita distanza da me. Di tanto in tanto mi lancia delle occhiate per assicurarsi che sia abbastanza lontano da lei.

Come ho già detto, la cosa non mi piace, mi fa sentire sotto esame, come se fossi un maniaco pronto a saltare addosso da un momento all'altro. Dovrebbe sentirsi al sicuro da sola in una stanza con me, non dico a suo agio dato che non siamo così tanto in confidenza, però al sicuro sì, perché non le torcerei nemmeno un capello, mai.

«Il tuo comportamento mi sta facendo girare i coglioni», le dico, mollando la presa sullo straccio dato che mi sono rotto le palle anche di pulire. La cucina risplende ormai.

Lei alza lo sguardo su di me confusa e sorpresa dalle mie parole. «Non ti sto nemmeno rivolgendo la parola, che diamine vuoi?»

«Voglio capire perché ce l'hai con me», rispondo, voltandosi completamente verso di lei. La stronza si irrigidisce ma continua a guardarmi dritto negli occhi sfidandomi. «Di solito sto simpatico a tutti».

«Sei proprio modesto, forse è per questo che stai simpatico a tutti».

Lo so che mi sta prendendo per il culo, comunque non demordo, sono testardo e non lascio perdere tanto facilmente. «Il motivo, Malefica».

La guardo in attesa e lei assottiglia gli occhi. Poi incrocia le braccia sotto al seno. «Mi hai palpato il culo», risponde, come se l'avessi fatto in questo momento.

Cristo, è proprio rancorosa.

«È successo un sacco di tempo fa, so che il mio tocco è indimenticabile però dovresti superarlo e andare avanti, proprio come ho fatto io», le suggerisco, «Di solito è così che fanno le persone mature».

Lei mi guarda con aria scettica e quasi incredula. «Mi dai il tormento da più di un anno, ormai, ogni volta mi rinfacci il pugno che ti ho tirato come se ti avessi lesionato qualcosa», dice, «A parte l'ego».

«Il mio ego è ancora integro, non preoccuparti», le dico con un sorrisetto. «E smettila di guardarmi come se potessi scaraventarti sull'isola della cucina e scoparti senza troppi giri di parole».

L'immagine di lei a gambe spalancate sull'isola di marmo della cucina e di me che affondo ripetutamente dentro di lei o che la divoro come ho fatto poco prima con la torta si fa vivida nella mia testa.

Cancella tutto, cazzo, non pensarci. Smettila di pensarci.

«Non ho paura di te, Hoffman, se è questo che stai pensando», risponde, «Ti guardo in questo modo solo perché...»

«...Non ti fidi», concludo per lei che non smentisce la mia affermazione.

«Lo so che ci conosciamo da un anno, più o meno, ma non so ancora niente di te», dice, appoggiandosi al marmo freddo dietro di lei.

«Sai quanto basta per smetterla di guardarmi in quel modo». Mi girano veramente le palle. «Senti, mi dispiace se ti ho palpato il culo senza consenso quella volta, ma non l'ho più rifatto dopo, dammene credito».

In più lei mi aveva fatto credere che le piacesse, dato che mi aveva sorriso e si era seduta sulle mie gambe. Questo però non lo dico, altrimenti si metterà sulla difensiva e ritornerà a guardarmi in quel modo.
Non che abbia smesso, solo che adesso che gliel'ho fatto notare sta cercando di rilassarsi.

«Non l'hai più rifatto solo perché ti ho tirato un pugno in faccia», specifica, come se fosse stato quello a fermarmi. Non mi conosce affatto, bisogna rimediare.

«No, perché voglio che le donne che tocco siano consenzienti, sempre», rispondo categorico, sperando che il messaggio le arrivi forte e chiaro.

«Fammi capire bene, cos'è che vuoi?» mi domanda, «Una tregua?»

La guardo come se avesse perso il senno. «Col cazzo», rispondo, «Continuerò a darti il tormento, ma vorrei che ti sfilassi la scopa dal culo quando sei in una stanza da sola con me». E che non mi guardassi come se fossi un dannato maniaco.

«Se continui a dire che ho una scopa su per il culo, ti prendo a pugni nelle palle», mi minaccia, facendomi sorridere divertito.

Vorrei poter dire che non riuscirebbe mai a farcela, ma io sono molto più alto di lei e raggiungerebbe le mie palle in un battito di ciglia. Meglio non rischiare.

«Le tue minacce mi eccitano, Malefica».

«Tu sei mentalmente disturbato». Ovviamente non mi offendo, anzi, il mio sorriso si amplifica.

«Ho capito bene?» le chiedo, «Vuoi sapere se mi sono masturbato?» Le sue gote prendono fuoco tingendosi di rosso, Malefica è appena arrossita, non so però se questa reazione è dovuta all'imbarazzo o alla rabbia.

«Sto per prendere il matterello e spaccartelo in testa», mi minaccia un'altra volta guardandomi di sottecchi. Sorrido ancora.

«Avanti, andiamo», le faccio cenno con la testa di seguirmi. Lei però resta ferma dov'è e mi guarda diffidente. Alzo gli occhi al cielo. «Non voglio portarti nella camera di mio fratello e Avie, stai tranquilla. Non ti scopo, Malefica, a meno che tu non lo voglia».

Ancora. A meno che lei non lo voglia ancora. Perché prima o poi lo vorrà, è solo questione di tempo e io stranamente non ho nessuna fretta.

«Non lo voglio», risponde veloce, mettendolo subito in chiaro. Le lancio un'occhiata ed annuisco.

«Permettimi di dirti che ti pentirai di queste parole in futuro e che mi pregherai di scoparti fino a toglierti il respiro».

Le sue guance prendono di nuovo colore, sono sicura che sia per l'imbarazzo questa volta, però riesce a celarlo bene. Mi guarda dritto negli occhi e non distoglie mai lo sguardo.

«Perché mai dovrei volere che qualcuno mi scopi fino a farmi perdere il respiro?»

«Non uno qualunque, Mallory, ma io», la correggo. Poi decido di smetterla di tirare la corda, a meno che non voglio che si spezzi e non è questo il caso. «Andiamo a sederci sul divano così possiamo parlare un po' e conoscerci meglio».

«Ok, dov'è la fregatura?» chiede, guardandomi con aria sospetta. Sembra una gattina diffidente pronta a tirare fuori le unghie e graffiarmi.

«Nessuna fregatura», rispondo sinceramente, «Hai bisogno di sapere più cose su di me per tranquillizzarti e ficcarti in testa che non ti assalterò come una bestia in calore».

Contro ogni mia previsione lei mi segue in salotto senza minacciarmi di tagliarmi le mani se osassi sfiorarla o cose del genere.

Prendo posto comodamente sul divano e porto gli occhi su di lei che resta a debita distanza, ancora in piedi.  «Accomodati, non mordo», batto la mano sul posto libero accanto a me per invitarla a sedersi.

«Buon per te, perché se lo facessi ricambierei con più forza», fa spallucce e prende posto accanto a me. Si gira di lato però, così siamo faccia a faccia anche se distanti.

«A me piacerebbe, Malefica», le dico, «A te?»

«Stai partendo male con questa storia del conoscersi meglio, Hoffman», mi avverte, «Sto per alzarmi e andarmene».

«Ho già scoperto due cose su di te, sei rancorosa e suscettibile», le dico e rido per la smorfia che fa.

«Tu sei poco modesto». Vero. «Parli troppo». Vero. «E rompi tanto i coglioni». Vero anche questo.

«Facciamoci qualche domanda per conoscerci meglio», le propongo, poi ignoro la sua espressione che diventa un'altra volta diffidente. «Inizio io», aggiungo. «Per cosa sei maggiormente grata?»

Lei spalanca gli occhi come se le avessi appena chiesto di abbassarmi la zip dei pantaloni, tirarmi fuori il cazzo e farmi una sega. «Che razza di domanda è?»

«Ti aspettavi che partissi banalmente da "qual è il tuo colore preferito"?» le chiedo con sarcasmo. «Hai fatto male i calcoli, Malefica, io non sono mai banale».

«E se non volessi rispondere?»

«Non mi sembri una codarda» le dico, «Niente giudizi e sincerità assoluta, queste sono le uniche due regole, Malefica».

«Sono grata di essere viva», risponde dopo qualche secondo di silenzio. «Tu?»

«La mia famiglia», rispondo io, senza dubbi. «Tocca a te».

Lei resta in silenzio per qualche istante, ci pensa su. «Credi nelle seconde possibilità?» mi chiede poi, scrutandomi con i suoi occhioni azzurri.

«Credo che non tutti le meritino», rispondo, «Tu?»

Fa spallucce e con cenno della mano mi invita a proseguire, perciò lo faccio.

«Hai delle fobie?»

«Claustrofobia, anche se il più delle volte cerco di combatterla», risponde, «Tu?»

«Odio i topi, i clown, gli scarafaggi e babbo Natale». Mi aspetto che rida dopo la mia confessione, però si limita a guardarmi sorpresa e confusa.

«Babbo Natale?»

«Sì, quel tizio con la barba bianca, gli occhialini, il naso grosso e la pancia di una donna incinta».

«Come diamine fai ad avere paura di babbo Natale?» mi domanda senza riuscire a trattenere un sorriso divertito. Pian piano e senza accorgersene si sta sciogliendo.

«Siamo qui per giudicarci a vicenda o per conoscerci?»

«Va bene, andiamo avanti, tocca a te», dice, spostandosi un po' sul divano e poggia un braccio sullo schienale.

«Qual è la tua paura più grande?» le chiedo e questa volta anche se la domanda non sembra piacerle molto. Risponde senza fare storie.

«Tornare a dipendere emotivamente e fisicamente da qualcuno», mi guarda aspettandosi che inizi a farle delle domande. Sembra sollevata quando si accorge che non lo farò. «La tua?»

«Tornare a dipendere dalla droga», rispondo altrettanto sinceramente. Lei solleva i suoi occhi su di me e anche se sono consapevole del fatto che vorrebbe farmi delle domande, resta in silenzio.

Ci limitiamo a guardarci e basta. Poi è lei quella che smorza la tensione. «Preferiresti essere brutto e intelligente o bello e molto stupido?» domanda, «No, aspetta, conosco già la risposta». Il sorrisetto che mi rivolge è sarcastico e provocatorio.

«Come puoi ben vedere posseggo sia la bellezza che l'intelligenza», rispondo, «Non si può dire lo stesso di te».

«Maledetto bastardo», dice, scuotendo la testa divertita.

«Con quanti cuscini dormi?» le chiedo, ignorando le sue parole.

Lei mi guarda accigliata. «Tu non sei normale». Mi diverte proprio tanto sorprenderla e lasciarla senza parole. «Uno, perché tu con quanti cuscini dormi? Trenta?»

«Uno anche io». Stavolta sono io quello che le fa cenno di andare avanti e proseguire con le domande.

«Qual è la cosa più pazza che tu abbia fatto per amore?»

«Niente, non mi sono mai innamorato. Probabilmente però non mi porrei limiti neanche in quel campo», rispondo, lei mi guarda e basta. «Quand'è stata l'ultima volta che hai riso fino a piangere?»

«Non me lo ricordo».

Andiamo avanti con le domande fin quando Caiden non fa capolino nella stanza con gli occhi assonnati e un peluche sotto al braccio.

Noto che ad un certo punto lei inizia a controllare il suo cellulare mal ridotto, ha lo schermo un po' scheggiato, me ne sono accorto quando l'ha poggiato sul ripiano della cucina.

«Se devi andare puoi farlo», le dico. Lei distoglie lo sguardo da mio nipote e lo porta su di me. «Avie mi ha scritto che arriverà a momenti, posso tenere io Caiden».

Tutto ciò che fa è annuire con la testa. Si china verso mio nipote, lo saluta dicendogli che tornerà presto a giocare con lui e poi gli bacia una guancia.

«Malefica?» la chiamo prima che possa uscire di casa, «Sono contento di vedere che hai finalmente posato la scopa». Le regalo un sorrisetto divertito.

Lei si accerta che Caiden non la stia guardando e solleva la mano per mostrarmi il dito medio. Rido e lei mi volta le spalle per poi andarsene.

«E rimasero in due», dico a Caiden, poi gli scompiglio i capelli. «Che ti va di fare, piccolo terremoto?»

***

È sera, sono ancora a casa di mio fratello, Caiden sta dormendo e io sono seduto, anzi sdraiato, sul divano. Avie è in mezzo a me e mio fratello, che ha lo sguardo sul televisore e il film che ha scelto.

La mia migliore amica avrà senz'altro parlato con la rossa perché mi ha ringraziato di non averla fatta scappare a gambe levate, parole sue.

«Non fa che muoversi ultimamente», dice Avie, indicando il suo pancione scoperto dal top bianco che indossa. «È bellissimo sentirla, ma dopo un po' fa davvero male», aggiunge con una smorfia.

Mi chino all'altezza della pancia. «Ciao stellina, dovresti dare un po' di tregua alla tua mamma», ignoro l'occhiata che mi lancia mio fratello. Starà sicuramente pensando che sono un'idiota. «Dio, Avie, è disgustoso», dico poi, quando è evidente dall'esterno che Adhara si sta muovendo.

Devo ancora abituarmi ai movimenti della bambina nella pancia. Anzi, credo che non mi ci abituerò mai, in realtà.

«Non è disgustoso», borbotta la mia migliore amica, mettendo il broncio. Mi tira uno schiaffetto sul braccio.

«Ok, non è disgustoso», mi correggo, «Però fa senso».

«Anche la tua faccia fa senso ma non stiamo qua a sottolinearlo», risponde mio fratello, continuando a guardare la televisione.

«Qualcuno ha parlato?» chiedo ad Avie, ignorandolo.

«Prova ad accarezzare la pancia, Speedy», dice lei. La guardo come se mi avesse chiesto di spogliarla o peggio. «Dai, hai fatto cose più schifose e strane, ne sono sicura».

Oh, non puoi nemmeno immaginare quante cose strane io abbia fatto, Avie...

«L'accarezzo sempre quando è coperta», le faccio notare. «Così però mi fa troppo senso».

«Allora smetterò di parlarti», mormora, mettendo di nuovo il broncio. Incredibile.

«Questo è un ricatto bello e buono».

«Accarezza la pancia e chiudi la bocca», s'intromette mio fratello, «Voglio vedere il film senza sentire le vostre voci in sottofondo».

Guardo Avie e le chiedo senza giri di parole: «Davvero hai permesso a quest'essere orribile d'ingravidarti?»

«Vuoi che ti cacci fuori da casa mia a calci in culo?» mi minaccia e questa volta mi guarda. Io sorrido.

«Troppa violenza, c'è una bambina qui», indico con un gesto il pancione di Avie.

«Non è ancora nata, coglione».

«Ma può sentire tutto, stronzo».

È Avie quella che come sempre ci costringe a tacere, lo fa prendendo la mia mano e quella di Phoenix, poi se le poggia entrambe sul pancione scoperto.

«Io e Adhara abbiamo bisogno di coccole mentre guardiamo il film, basta discutere».

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