Capitolo 18
Se c'è una cosa che ho imparato sugli Hoffman, è che mantengono sempre le loro promesse, buone o cattive che siano. È con questa consapevolezza che entro in palestra, sapendo già che sarà una giornata lunga e stressante, ma non mi lascio scoraggiare e non mi tiro indietro.
Posso essere tante cose, ma non sono una che molla.
Sarò più che felice di darne la prova a Aiden Hoffman.
Appena entro la prima cosa che vedo è lui che mi dà le spalle, rigorosamente senza maglietta. Siamo a ottobre, che cavolo, un po' di freddo dovrebbe sentirlo ormai.
Per terra, ai suoi piedi, giacciono una corda, dei guantoni che servono per incassare i pugni e altri che invece servono per darli. Chissà che ha in mente.
La prospettiva di prenderlo a pugni, però, non è male.
«Hai una specie di avversione alle magliette?»
Si gira verso di me tutto tranquillo e sulla sua bocca spunta un sorrisetto. «Avermi davanti a petto nudo ti crea problemi?»
Sapevo che avrebbe detto una cosa del genere. «Sì, allo stomaco.»
«Hai paura di non saper resistere a tutto questo ben di Dio, dì la verità.» Indica il suo busto nudo e interamente tatuato. Non distolgo lo sguardo solo per dimostrargli che non mi fa né caldo e né freddo, ma la realtà è che sfortunatamente ciò che vedo mi piace più del dovuto. «Se fai la brava potrei concederti una toccata e fuga, e con te sarebbe in senso letterale, dato che sei brava a dartela a gambe.»
È chiaro che si riferisce al nostro bacio.
Il solo ricordo è in grado di farmi rabbrividire e non in senso cattivo, purtroppo. È solo uno stupido bacio, la gente si bacia di continuo. Non dovrei darci tanto peso e non dovrei provare le sensazioni che provo al ricordarlo. Pensa ad altro, Mallory.
«Hai intenzione di impiccarti con quella?» Indico la corda ai suoi piedi. Lui la guarda e poi guarda me, sogghignando.
«O potrei usarla per legarti» dice, poi fa qualche passo in avanti. «Forse da legata saresti più condiscendente e docile.»
«Nemmeno nei tuoi sogni più selvaggi, Hoffman.»
Lui continua a sorridere. «Nei miei sogni più selvaggi sei tu che leghi me e dopo ti siedi sulla mia faccia.» risponde con tranquillità.
Lo ignoro e vado a poggiare le mie cose al solito posto. Poi decido di sfilarmi la felpa e rimanere con il top sportivo e i leggings. Avrei preferito indossare una tuta, bella spessa, come quelle per andare sulla neve, così da evitare qualsiasi tipo di contatto corporeo con Aiden, ma purtroppo non ne posseggo nessuna.
Mi costringo a tornare da lui, che mi sta guardando in attesa. «Allora?» Lo incalzo con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi. «Hai intenzione di restare a guardarmi per tutto il tempo o facciamo qualcosa di produttivo?»
«Sentiamo, cos'è che vorresti fare?» Domanda con un ghigno malizioso. «Io sono aperto a qualsiasi proposta.»
Alzo gli occhi al cielo. «L'unica cosa produttiva che mi viene in mente di fare al momento è lasciarti qui e andarmene.»
«Sei antipatica, Malefica.» Si china per prendere i guantoni da terra, così facendo i suoi muscoli si flettono. Distogli lo sguardo, Mallory. Cazzo. «Dovresti rilassarti di tanto in tanto», aggiunge quando si rimette dritto, dopodiché mi porge i guantoni.
Quando li afferro con titubanza, lui prende quelli che servono per incassare e se li infila. «Cosa devo fare?»
«Di certo se ti ho passato quei cosi enormi non è un invito a farmi una sega», dice. Ormai sono così abituata alle sue battute, che non inorridisco nemmeno più. «Fammi vedere se oltre a fare commenti velenosi, riesci a tirare qualche pugno come si deve».
Oh... è questo, pensavo di peggio.
Mi metto in posizione, pronta per prenderlo a pugni, che è praticamente l'unica cosa buona della giornata e ciò a cui aspiravo da quando sono arrivata. Sono così presa dall'entusiasmo che per una volta nella vita stia andando come volevo io, che schivo per un soffio il colpo che mi sferra con un movimento preciso.
«Che cazzo fai?»
«Forse non sei così lenta come pensavo», dice, con una punta di sarcasmo nella voce. Poi veloce più di prima, affonda di nuovo un colpo, non forte, non sento nemmeno il dolore al fianco, che è il punto in cui mi colpisce. Provo solo l'immenso fastidio di essere stata colpita e non aver evitato il colpo. «Ah, no, lo sei.»
Decisa a non farmi umiliare e a cancellargli quel sorrisetto arrogante dalla faccia, mi faccio avanti e contrattacco. Provo a sferrargli un gancio destro, ma lui para con una facilità che mi fa incazzare da morire.
«Stai diventando tutta rossa in faccia, Malefica.» Inizia a girarmi intorno come un lupo con la sua preda. Ma cazzo non ho alcuna intenzione di farmi cacciare o di farmi mettere all'angolo. «È per l'eccitazione, la vergogna di essere una frana o per la rabbia?»
Quando cerco di colpirlo un'altra volta con tutta la forza che posseggo. Lui sogghigna. «Hai cercato di colpirmi con forza, quindi rabbia. È senza ombra di dubbio per rabbia.»
«Pensavo che il punto fosse proprio questo».
«Il punto è anche schivare, parare i colpi e controllare i tuoi sentimenti», mi fa notare. Poi si avvicina tanto che i nostri corpi si sfiorano. «E poi non mi sembra che tu mi abbia colpito.» Mi deride.
Presa da un impeto di rabbia, gli sferro una gomitata nel fianco che lui non riesce a prevedere. «Invece ti ho colpito eccome.» Gli dico con un ghigno soddisfatto. Se lo merita.
Lui si massaggia il punto dolente, ridendo. «Sei sleale».
«Se devo difendermi, non c'è bisogno che lo faccia con lealtà».
Poi provo a sferrargli un altro colpo, ma stavolta mi prende dal braccio e con una sola mossa me lo gira dietro alla schiena, aspetto che il dolore si irradi lungo tutto il mio corpo, ma non succede. Ancora una volta ha dosato la sua forza per non farmi male.
Mi attira a sé, tanto che gli vado a sbattere contro. Il battito del mio cuore mi martella nelle orecchie e il suo profumo mi annebbia i sensi. «Piano, Malefica. Rischi di farti male», mi sussurra sulla faccia. Poi mi lascia andare e si allontana, prima di ricominciare dall'inizio.
Non so per quanto tempo lui prova a colpire me e io provo a colpire a lui, ma quasi sicuramente più di un'ora. Per non parlare di tutte le volte in cui mi ha costretta a saltare sulla corda, mi fanno male le braccia e le gambe, e il fiato mi sta abbandonando. I miei polmoni stanno collassando, ne sono sicura. Il bastardo si sta divertendo un sacco mentre mantiene la sua parola, perché mi sta facendo sudare come mai prima d'ora.
«Ora togliti i guantoni e vediamo se hai imparato qualcosa», mi dice, mentre lui si toglie i suoi. Li lascia cadere a terra senza curarsene troppo.
Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Perché fino adesso che abbiamo fatto?»
Sulle sue labbra si apre un sorrisetto. «Abbiamo giocato un po'.»
«Giocato un po'?» gli chiedo con voce stridula. Mi sento stremata, porca miseria, se questo me lo chiama giocare... «Mi sento come se mi fosse passato addosso un carro armato, cazzo. Sono stanca».
A stento riesco a respirare senza piangere dal dolore.
«Hai la resistenza di una formica», mi prende in giro lui. Ma è la verità, non ho chissà quale resistenza, non mi vergogno ad ammettere che prima d'ora non mi ero mai allenata in vita mia.
«E ci credo, per chi mi hai presa? Rocky Balboa?»
Lui sorride, poi indica le mie mani. «Togli i guantoni e avvicinati.»
Scuoto la testa. «Non ci penso proprio».
Lo vedo alzare gli occhi al cielo e sbuffare, come se fosse lui quello stanco. Lui. Che non ha sudato nemmeno per sbaglio e sembra fresco come una rosa. La vita è ingiusta. Crudelmente ingiusta.
«Che stai facendo?» Lo guardo con diffidenza quando in silenzio inizia a camminare nella mia direzione.
«Mi avvicino e te li tolgo io», risponde tranquillamente. Quando vede che faccio qualche passo indietro, però, e inizio a togliermi questi guanti maledetti, si ferma.
«Ti detesto, cazzo», brontolo, dopodiché getto i guanti a terra.
«Il sentimento è reciproco», dice. Poi mi fa cenno di avvicinarmi e prima che lo faccia lui o che mi costringa a farlo, cammino da sola. «Ora vediamo come te la cavi in uno scontro con uno che è il doppio di te. L'ultima volta non è andata benissimo».
«Ma sentilo... il doppio di te. Non ti sembra di esagerare?»
«Per guardarmi manca poco e ti spezzi il collo. Fisicamente potrei sopraffarti in due minuti netti, e sono gentile quando dico due minuti, dato che vista la resistenza che hai ci riuscirei in due secondi». Lo guardo indignata, chiudo e apro la bocca due volte, senza sapere cosa dire. «Perciò sì, sono il doppio di te. Ora chiudi quella bocca velenosa e metti in atto ciò che io e i miei fratelli ti stiamo insegnando».
«Siete bravi solo a dare ordini voi Hoffman», brontolo, paonazza in faccia e tutta sudata. Lui sogghigna.
Quando penso che stia per rispondere con: «Anche a tenere il tuo culo al sicuro.» Lui mi sorprende facendo il contrario.
«Siamo anche molto bravi a farli rispettare gli ordini che diamo», dice. «In qualsiasi ambito, Malefica», aggiunge poi, allusivo.
«Non mi interessava saperlo», borbotto. Poi sospiro. «Facciamo questa cosa... ma sei mi fai male, giuro che distruggo pezzo per pezzo la tua moto del cazzo». Lo minaccio.
Lui mi guarda serio e per un attimo penso sia per la sua moto, ma poi: «Ti ho mai fatto male fin ora?» chiede guardandomi negli occhi.
«No», rispondo, perché è la verità. Questo non significa niente, però. «Ma c'è sempre una prima volta», aggiungo. E lo so per certo.
«Non con me. Mai».
Lo guardo negli occhi e sembra sincero, so che lo è. Ma la parte più diffidente di me, quella rotta e segnata dalle botte di Sylas, non ci crede. Non vuole e non può permettersi di crederci.
«Sto aspettando che tu mi dica cosa fare, Hoffman».
All'inizio procede tutto normalmente, mi mostra delle nuove mosse, mi chiede di fargli vedere mosse che ho già imparato. Ma la situazione cambia quando a un certo punto mi ritrovo a cavalcioni su di lui. Ho l'affanno mentre lui sembra che non abbia fatto il minimo sforzo.
Cerco di regolarizzare il mio respiro, ma non ci riesco, soprattutto perché lui ha le sue mani su di me. Il suo tocco la maggior parte delle volte, a differenza di quello di chiunque altro, non mi dispiace. Ma ci sono volte come questa in cui non so cosa potrebbe succedere, in cui sono colta alla sprovvista, che entro nel panico e mi chiudo in me stessa, temendo il suo tocco.
Abbasso involontariamente lo sguardo sulla sua bocca e so per certo che lui sta guardando la mia. Alzo gli occhi e li punto nei suoi. So che nella sua testa stanno passando le stesse immagini che stanno passando nella mia.
«Sta per succedere di nuovo», sussurro, rassegnata a qualsiasi cosa stia succedendo tra di noi. All'attrazione fisica che ormai, arrivati a questo punto, non si può negare. «Vero?»
«Dipende», risponde lui, abbassando di nuovo gli occhi sulla mia bocca. Poi mi sposta una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
Mi acciglio, mentre resto aggrappata alle sue spalle forti come se ne andasse nella mia vita. «Da cosa?»
Aiden mi guarda negli occhi. «Vuoi che succeda?»
Mi struscio involontariamente su di lui tanto che mi sfugge un gemito dalle labbra e lui trattiene il fiato con le mani strette sui miei fianchi. «Mi sembra che questo sia un sì», dice con un mezzo sorriso. «Fermami se non lo vuoi», aggiunge poi, prima di fare qualsiasi cosa.
Ma non lo faccio, non lo fermo perché anche se ammetterlo mi spaventa e mi fa incazzare, voglio qualsiasi cosa stia per succedere.
Baciare Aiden Hoffman è come essere scossi da un terremoto di magnitudo nove: una catastrofe assicurata in grado di scuotere tutto il tuo mondo, di abbattere le tue barriere e creare ripercussioni che possono alterarti la vita in modo permanente.
Ma, dannazione, lo bacerei fino alla fine del mondo, fino a non avere più fiato nei polmoni, fino a rimanere seppellita dalle macerie dei danni irreparabili che sicuramente causerà.
La sua lingua si intrufola con prepotenza nella mia bocca, mentre con una mano si aggrappa al mio fianco e con l'altra alla mia nuca. Mi attira a sé come se volesse fondere i nostri colpi fino a diventare uno solo e io ricambio come meglio posso.
Vorrei poter dire che riesco a lasciarmi andare, ma non è così. Non riesco a lasciarmi andare come vorrei. Resto in allerta, rigida e lui se ne accorge. Quindi si ferma, allontana le mani dal mio corpo e mi guarda. Non sembra arrabbiato, anzi, è piuttosto tranquillo.
«Legami», dice a un tratto, cogliendomi totalmente di sorpresa. Sbatto le palpebre impietrita, ma Aiden non fa una piega. Prende la corda che aveva abbandonato sul pavimento e me la passa.
Guardo prima la corda e poi lui, incredula. «Che cosa!?» Spero che stia scherzando, ma per la prima volta non c'è traccia d'ironia nella sua voce e la sua faccia è più seria che mai.
«Ti ho detto di legarmi.» ripete, guardandomi dritto negli occhi. Non c'è traccia di titubanza nei suoi, ma totale fiducia.
«Per quale assurdo motivo dovrei fare una cosa del genere?»
Poi mi ricordo ciò che mi ha detto sui suoi sogni più selvaggi e mi irrigidisco maggiormente. Lui sembra capire dove sono andati a finire i miei pensieri.
«Non ha niente a che vedere con me», dice per tranquillizzarmi. «Voglio che mi leghi così avrai la certezza che non ti toccherò.»
Il cuore nel mio petto ha un fremito. Nessuno mai ha avuto così tanta premura nei miei confronti. Le sue parole mi tranquillizzano, mi si infilano sotto pelle e mi si imprimono nel cervello.
Gli metto le mani sulle guance, la presa è salda, stringo un po' più del dovuto, ma lui non si lamenta quando lo attiro a me per avventarmi sulla sua bocca, decidendo di mettere a tacere i miei pensieri invasivi.
Lo bacio con trasporto, gratitudine e forza. Infilo la mia lingua nella sua bocca senza il minimo ritegno e lui ricambia con lo stesso trasporto, senza mai toccarmi, nemmeno una volta.
«Dammi le mani, Hoffman», gli sussurro sulla bocca e non distolgo mai lo sguardo dal suo. Le sue pupille si dilatano. Credo che questa cosa del legarlo gioverà a entrambi anche se in modi diversi.
Senza dire niente, lui mi porge le mani come se dovessi ammanettarlo. Prendo la corda da terra e inizio ad avvolgerla intorno ai suoi polsi. «Dimmelo se ti faccio male», gli dico. «Non sono molto brava con i nodi», aggiungo. Poi alzo lo sguardo su di lui preoccupata, ma non sembra che stia provando dolore, anzi.
«Stringi quanto vuoi», risponde, restando fermo. Quindi seguo il suo consiglio e per la prima volta faccio come dice.
A opera conclusa, lui alza le braccia in aria, allora faccio l'unica cosa che mi passa per la testa in questo momento, gliele abbasso e mi ci infilo in mezzo. Ho le sue braccia strette intorno al mio corpo, ma lui non ha alcuna possibilità di toccarmi con le mani.
Ci ritroviamo così vicinissimi, occhi negli occhi. Lui mi sorride. Io provo una strana sensazione nel petto quando lo fa. Mi muovo su di lui un po' a disagio, senza sapere cosa fare, tanto che poi glielo chiedo: «Ora che si fa?»
Lui respira piano, il suo fiato caldo si scontra con la mia bocca. Tiene gli occhi fissi nei miei. «Voglio che ti prendi ciò che vuoi senza pensare alle conseguenze, perché non ce ne saranno», dice con il solo scopo di rassicurarmi. «Cavalcami, Malefica», aggiunge poi.
Le sue parole arrivano dritte a ogni mia terminazione nervosa.
Mi sento così su di giri che non so nemmeno da dove cominciare.
«Smettila di pensare e segui solo l'istinto», dice, stringendomi a sé.
Allora lo faccio, prendo alla lettera ciò che mi dice e quando muovo il bacino sulla sua erezione, chiudo gli occhi e rilascio un sospiro. Appoggio la fronte alla sua e mi reggo forte alle sue spalle.
«Brava, così», dice, quando inizio a dondolarmi su di lui, sfregando la mia parte più intima contro la sua. «Sei bellissima».
Le sue parole mi fanno aprire di scatto gli occhi. Questa è un'altra cosa alla quale non sono abituata. Sylas non mi ha mai fatto dei complimenti, non in questo modo. Smettila di fare paragoni. Smettila di pensare. Concentrati sull'uomo che hai davanti.
«Non guardarmi in questo modo», mi rimprovera. Sbatto le palpebre confusa. «Sei una stronza dalla lingua biforcuta, è vero. Ma che tu sia bellissima è innegabile», aggiunge.
Dio, spero di non arrossire. Non sono mai arrossita in vita mia e non vorrei cominciare ora.
«Sta zitto».
«Sapevo che eri il genere di donna a cui piace dare ordini».
«Non l'ho mai fatto prima».
È vero. Non ho mai dato ordini, né in situazioni normali che in situazioni intime come queste.
Lui sorride, eccitato. «Oh, continua, non sarò di certo io a fermarti».
Gli tappo la bocca con un bacio. Aiden geme e di conseguenza lo faccio anche io. Non avrei mai pensato di dirlo, ma amo i suoi gemiti. Amo i versi che emette quando mi struscio contro la sua erezione o gli mordo le labbra.
Non so come, ma arrivo a baciargli il collo, che mordicchio e stuzzico mentre continuo a ondeggiare il bacino su di lui. «Mi piace il tuo odore», mi sorprendo a dirgli. Ed è vero. Sa di bagnoschiuma al talco. Sa di buono. Sa di Aiden.
«Il mio sapore ti piacerebbe ancora di più», ribatte prontamente. Quindi faccio una cosa che lo sorprende e lo lascia inerme per qualche istante. Passo la lingua sul suo collo, poi ci poggio le labbra sopra e succhio piano.
«Mh, sì. Hai ragione. Anche il tuo sapore non è male».
Mi guarda con gli occhi carichi di lussuria.
«Non è quello che intendevo ma...» Lo bacio di nuovo, stavolta in maniera più prepotente.
Mi sento bagnata in mezzo alle gambe tanto da farmi vergognare di me stessa. Non sta letteralmente facendo niente, mi sta solo sussurrando cose all'orecchio e permettendo di muovermi come meglio credo, eppure, è in grado di farmi provare cose che non ho mai provato prima.
Non voglio immaginare cosa succederebbe se gli permettessi di toccarmi o di fare... altro.
«Guardami, Malefica», mi ordina e i miei occhi finiscono in automatico per cercare i suoi. «Voglio che mi guardi mentre ti strusci sul mio cazzo». E lo faccio. Lo guardo negli occhi mentre continuo a strusciami su di lui.
Inizio a sentirmi più accaldata e riconosco la sensazione che sto iniziando a provare nello stomaco. Sto per venire.
Non ho un orgasmo da anni, mi ero quasi dimenticata quanto fosse bella e devastante la sensazione che si prova.
«Dio, ci è voluto così poco e ti stai solo strusciando su di me attraverso i vestiti», mormora sulla mia bocca, continuando a stringermi a sé. «Immagina come sarebbe avere il mio cazzo dentro di te». L'immagine che mi inculca nella testa non fa altro che eccitarmi di più, portandomi quasi al culmine.
«Aiden...» gemo, sempre più sensibile. Tutto questo durerà pochissimo, ma ne è valsa assolutamente la pena.
«Ripetilo», ringhia. Per la prima volta strattona le corde, quasi come se volesse liberarsi. «Ripeti il mio nome».
Decido di accontentarlo, perché ciò che lui sta regalando a me, le sensazioni che sto provando, il fatto che lui mi stia permettendo di usare il suo corpo come meglio credo, è più di quanto mi stia chiedendo di fare al momento.
«Aiden», gemo ancora. Continuando a cavalcarlo attraverso i vestiti. «Io... sto per...»
«Lasciati andare, sei al sicuro».
I miei occhi si spalancano alle sue parole e l'orgasmo mi travolge senza lasciarmi scampo, facendomi perdere ogni traccia di lucidità. Appoggio la fronte alla sua mentre cerco di riprendere fiato.
Lui mi schiocca un bacio veloce sulle labbra. «Stai bene?»
«Più stanca di prima, ma bene».
Lo sento ridere. «Dobbiamo lavorare sulla tua resistenza, Malefica».
«Mh.»
«Ora slegami i polsi, per piacere. Voglio baciarti e voglio farlo come si deve». Apro gli occhi e lo guardo.
Decido che per una volta, forse, posso fidarmi. Quindi faccio come mi dice, gli slego i polsi e lui non perde tempo, mi prende dalle guance e mi attira a sé, schiantando la sua bocca sulla mia.
La sua erezione è ancora sull'attenti, perché a differenza mia, lui non è venuto.
Aiden per l'ennesima volta sembra capire dove sono diretti i miei pensieri, quindi mi prende la faccia tra le mani, mi schiocca un bacio sulle labbra e dice: «Non ti preoccupare. Ho una mano agile e una fervida immaginazione».
«Sei un idiota».
«Un idiota sincero», ribatte. «La prossima volta ti voglio seduta sulla mia faccia, Malefica». Le sue parole mi fanno irrigidire e questa volta in senso buono. Cerco di cancellare dalla mia testa l'immagine di lui con la testa seppellita in mezzo alle mie cosce.
«Non ci sarà una prossima volta».
Lui mi guarda con aria di sfida. «Scommettiamo?»
«Smettila».
«È inutile negare l'innegabile, sei attratta da me tanto quanto io lo sono da te. Non c'è niente di male in questo».
«Non ti fare strane idee, continuo a non sopportarti».
A volte. Non sempre. Per mia sfortuna.
«Se il risultato è questo, continua quanto ti pare», fa spallucce con un sorriso divertito.
«No, forse non hai capito. Io non ti sopporto davvero».
«Nemmeno io, ma il mio cazzo non è d'accordo a quanto pare. Non recepisce il messaggio, perciò tanto vale accontentarlo», risponde con noncuranza. La sua schiettezza a volte mi lascia completamente senza parole, il che non succede spesso di solito. «Mi sopporti quando mi usi per darti piacere, è abbastanza. È ciò che vogliamo l'uno dall'altra, no?»
«Io non voglio proprio niente da te. È successo e basta. Non si ripeterà».
Spero che non si ripeta. Ne va della mia sanità mentale e non me ne è rimasta molta.
«Pensavo fossi tanto cazzuta da riuscire ad ammettere ciò che è palese, ma a quanto pare mi sbagliavo».
Lo guardo indispettita. Mi sta dando della codarda. Io non sono codarda. «Non ho mai negato di essere attratta fisicamente da te, ma finito tutto, una volta che inizi a parlare, l'unica cosa che vorrei fare è cucirti la bocca con ago e filo».
«Se lo facessi non potrei più leccartela e addio sogno selvaggio».
Presa dalla nostra conversazione non mi ero nemmeno accorta che mi stesse accarezzando la spalla con delicatezza facendo scorrere le sue mani su e giù. Lui sembra notare che mi sono accorta del movimento e sorride per rassicurarmi.
«Andiamo, ti accompagno a casa», dice, poi con delicatezza mi solleva dalle sue gambe e mi tende la mano per farmi alzare dopo che l'ha fatto lui.
Prendo la sua mano e lascio che mi aiuti ad alzarmi, perché al momento le mie gambe sembrano fatte di gelatina.«Non devi».
«No, ma voglio», dice e poi prima che io possa ribattere, mi precede: «È tardi, è già buio e non ti lascio tornare a casa da sola. So che non è la prima volta che lo fai, ma se ci sono io, evitiamo che ciò succeda. No, non c'è nessuno scopo dietro. Sì, terrò le mani al posto. No, non lo prenderò a vizio. Sì, ti scarico a casa e vado via». Dio è irritante davvero quando fa così. «Ho risposto a tutti i tuoi dubbi?»
«Tuo fratello ha ragione, sei proprio insopportabile».
«Ma sono anche il preferito di tutti, chissà perché».
«Già, chissà perché, non me lo spiego. Non credo che una cosa del genere sia umanamente possibile».
«Guardami, sono bello, simpatico, intelligente, altruista, divertente e ho un cazzo da cento e lode, è geneticamente impossibile non amarmi».
Sbuffo, esausta. «Se mi lascio accompagnare a casa, starai zitto?»
«Vuoi che stia zitto?»
«Sì»
«Allora no».
E non lo fa, per tutto il tragitto fino a casa mia, parla di qualsiasi cosa gli passi per la testa solo per darmi fastidio.
In cosa mi sono andata a cacciare...
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