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Capitolo 15

L'ultima volta che sono stata a casa di mia madre ovvero l'ultima volta che ci siamo viste o sentite, era lei quella ad essere messa male con l'occhio violaceo e il labbro rotto. Questa volta, invece, sono io.

Ammettere a me stessa che forse in fin dei conti siamo due facce della stessa medaglia è più difficile di quanto si possa immaginare. Accettare che pur impegnandomi con tutta me stessa per far sì che non succeda, probabilmente finirò comunque per fare la sua stessa fine e seguire le sue stesse orme, è ancora più difficile.

Detesto che sia così.
Detesto essere così simile a lei.
Detesto la nostra debolezza.

«Dovresti usare un po' di fondotinta, sei troppo pallida», è la prima cosa che dice non appena mi vede. Se ne sta ferma sulla porta con la mano sulla maniglia e finge che i lividi sulla mia faccia non ci siano.

I suoi occhi mi guardano, ma lei non mi vede. O forse per lei guardarmi è come guardare il suo riflesso allo specchio, è come vedere se stessa. È talmente abituata ai suoi lividi che vederne di uguali sul mio corpo, non fa alcuna differenza per lei. Non le smuove niente dentro.

«Ciao anche a te, mamma», le dico, già sfinita. Entro, mi chiudo la porta dietro e la seguo fino alla cucina. «Io sto bene, grazie per averlo chiesto. Tu come stai?»

«Se sei venuta con l'intenzione di litigare, puoi andartene già da adesso, te lo dico subito».

«Mi hai chiesto tu di venire», le faccio notare. Come volevasi dimostrare, dopo ogni litigio o discussione, è lei che mi chiama perché ha bisogno di me.

Ho speso i soldi che Felix mi ha dato per le bollette al bingo, Mallory, non è che potresti prestarmeli?

La spalla mi sta dando filo da torcere, non è che potresti aiutarmi a pulire in cantina, Mallory?

Dovevo andare a fare pulizie a casa della signora Winslow, ma oggi non mi sento tanto bene e se le dò buca non mi richiamerà più. Non è che potresti andarci al posto mio, Mallory?

Ho speso tutti i soldi per le bollette, non è che potresti farmi un po' di spesa, Mallory?

Non posso andare dal parrucchiere, non è che potresti farmi la tinta, Mallory?

«Perché non ti sei degnata di farmi nemmeno una chiamata», risponde, avendo anche il coraggio di fingersi offesa. «Non è così che dovrebbero comportarsi i figli nei confronti dei genitori».

«Mi hai davanti a te con un'ematoma sull'occhio e il labbro rotto, non ti sei degnata di chiedermi come mi sento o cosa mi sia successo. Non è così che dovrebbero comportarsi le madri con i figli, perciò direi che siamo pari».

«Non ti riconosco più, Mallory», piagnucola, come se le mie parole l'avessero ferita. So per certo che non è così. «Cos'ho sbagliato con te?»

Sono le sue parole a ferire me, anche se non lo dò a vedere. «La domanda che dovresti farti è: cos'ho sbagliato con me stessa? E non appena troverai una risposta da darmi – se la troverai –, sarò tutta orecchi. Fino ad allora cerca di non farmi la predica, mamma».

Non aspetto che risponda, mi limito ad andare in cucina e sedermi al solito posto. Non sento questo posto casa mia, mi sento un'estranea.

Lei mi segue, ma non sembra intenzionata a lasciar perdere. «È colpa di Jo». Ovviamente è sempre colpa di qualcuno che non sia lei. Di mio padre. Di Jo. La mia. Mai sua. «È lei che ti mette strane idee in testa».

«Se non te ne fossi accorta, sono una donna adulta e perfettamente in grado di pensare con la propria testa», le rispondo. «Jo non parla di te, mai. A differenza tua che non fai altro che screditarla».

«Sei venuta per litigare, ragazzina?»

«No, sono venuta perché mi hai chiamata», rispondo. Se avessi voluto litigare, l'avrei già fatto al telefono e non mi sarei presa il disturbo di venire perché non c'è niente che mi leghi a questo posto. A parte lei. Ma non so per quanto altro tempo sarà ancora così. «Di cos'hai bisogno?»

«Ho ricevuto delle bollette e...»

La interrompo subito. «Non ho soldi da prestarti al momento, mamma». E anche se li avessi avuti, non sono sicura che questa volta glieli avrei dati.

«Non ti sto chiedendo un prestito», ribatte indignata, come se non fosse un comportamento da lei. Ma comunque è vero, lei non chiede mai un prestito, si limita a chiedere i soldi e basta. Non ci pensa nemmeno a ridarmeli indietro o quanto meno a fare almeno il gesto. «Voglio solo che dai un'occhiata perché non riesco a capire se ciò che mi hanno mandato è una lettera di rimborso oppure sono io che devo altri soldi a loro».

Conoscendola è più plausibile la seconda opzione. Deve sempre dei soldi a qualcuno, sia lei che Felix.

«Dammi questa lettera così controllo».

Va a cercare la lettera in mezzo ai tremila documenti che ha. Dopo qualche minuto di ricerca e varie imprecazioni, la trova e me la porge. Inizio a leggerla con attenzione, non che ci voglia poi molto per capire cosa c'è scritto.

«A proposito di lettere», dice, mentre sono concentrata a leggere. «Tuo padre si è fatto sentire?»

Alzo lo sguardo su di lei, stranita. «Come sempre».
Ogni settimana mi arriva una lettera da parte di papà, non me salta mai una. Lui, però, non riceve mai risposta.

«Gli hai risposto?» mi guarda con circospezione.

C'è qualcosa che non va, qualcosa che non mi sta dicendo. Mi sembra strano che sia tutto ad un tratto interessata a questo argomento, non mi chiede di papà da anni.

«Perché tutte queste domande?» le chiedo, perché di certo non sono venuta qui per tirare ad indovinare ciò che le passa per la testa.

«Mi ha mandato qualcuno a casa».

La guardo confusa. «In che senso?»

«Un uomo si è presentato come un amico di tuo padre, ma con ogni probabilità era il suo compagno di cella o qualcosa del genere», spiega e sembra preoccupata, io, invece, sono soltanto sorpresa.

In tutti questi anni papà non ha mai scritto una lettera alla mamma e non l'ha mai cercata nemmeno prima. Ha semplicemente accettato la fine della loro relazione.

«Cosa voleva?»

«Mi ha lasciato un messaggio da riferire a Felix», dice. Il mio cuore accelera impazzito. «Mi ha chiesto di dirgli di starti lontano, di non guardarti nemmeno, altrimenti non gli piacerà come andrà a finire».

Resto senza parole, sbatto le palpebre più volte e stringo forte la lettera che ho in mano. Non so cosa dire. Non so cosa pensare.

«Ne sai qualcosa, Mallory?» chiede, «Hai detto qualcosa a tuo padre?» insiste e solo mi conoscesse, se sapesse qualcosa di me, me lo leggerebbe in faccia che non ne so niente di questa storia.

Non le presto attenzione, mi perdo per qualche attimo nei miei pensieri.

Al mio papà interessa ancora di me.
Gli importa di me.
Vuole proteggermi.

«Rispondimi».

La guardo. «Non parlo con papà da anni».

Sa di Felix.
Com'è possibile?
Come fa a saperlo?
Non gli ho mai detto niente.
Ho smesso di parlargli proprio per questo.
Come...

«Se succede qualcosa a Felix sarà soltanto colpa tua».

Sbatto le palpebre due volte, scioccata dalla sua accusa immotivata. «Non credo di aver capito bene», dico. «È colpa mia se Felix mi ha molestata più volte e papà l'ha scoperto?»

«Felix non ti ha...»

Non le dò nemmeno il tempo di finire la frase. «Non azzardarti a dire che non l'ha fatto, mamma. Non importa quanto ti ostini a negarlo, il tuo compagno mi ha molestata e tu non hai mai fatto niente per impedirlo. Non sei mai stata dalla mia parte. È questa la realtà dei fatti».

«Avevo ragione, allora», lo dice come se mi avesse colta sul fatto. «Sei stata tu a dire tutte queste stronzate a tuo padre».

Stronzate. Le chiama stronzate.

«Ti ripeto che non parlo con papà da anni, non gli ho detto niente anche se avrei voluto e dovuto farlo».

«Devi scrivergli e dirgli che Felix si è sempre comportato bene con te, perché è ciò che ha fatto».
Ecco perché mi ha fatto venire qui oggi, per parare il culo all'ubriacone del suo compagno.

«Non mentirò a mio padre».
L'ho già fatto in passato, ho già dovuto mentire e omettergli delle cose, non lo farò più. Non posso.

«Lo ucciderà, Mallory. Lo capisci?»
Sembra disperata, lo sembra davvero.

È più disperata all'idea che qualcuno possa fare del male a Felix, che all'idea che qualcuno possa fare del male a me.

«Papà non è un assassino», lo difendo. Ha commesso i suoi sbagli e sta pagando, ma non è un assassino.

«Non lo era, ma il carcere cambia le persone», risponde lei, «Non puoi sapere cos'è diventato adesso».

«Mio padre non è un assassino», ripeto, «Preoccupati del tuo compagno pedofilo e maniaco, piuttosto».

«Non ti permetto di parlare di lui in questo modo», alza la voce e mi punta il dito contro. Sbatto la lettera sul tavolo e mi alzo facendo stridere la sedia a terra.

«Ed io non ti permetto di parlare a me in questo modo», dico. «Se è per questo che mi hai fatto venire qui, allora sappi che io non ho niente a che vedere con tutto ciò. Anche se ammetto che mi piacerebbe molto che qualcuno desse una lezione a Felix, non voglio che questo qualcuno sia papà. Non l'ho mai voluto».

Se avessi voluto che papà facesse qualcosa, gli avrei raccontato tutto già dall'inizio e invece non l'ho mai fatto, anzi, ho scelto di allontanarlo.

Ho allontanato l'unica persona che mi ha sempre amata, protetta e messa al primo posto.

«Devi parlargli, Mallory», ripete, rifiutandosi di accettare il mio no. «A te dà ascolto, ha sempre dato ascolto».

È vero, probabilmente sono l'unica persona alla quale papà abbia mai dato ascolto, ma questo non cambia niente. Non farò ciò che mi ha chiesto.

«Non scrivo a papà da anni e di certo non riprenderò ora per salvare il culo a quel pedofilo che ti ostini a chiamare amore. Te lo puoi scordare».

«Se non lo fai, per me sei morta».
Le sue parole sono come uno schiaffo in faccia che non fa altro che infierire sulle ferite sia fisiche che emotive che mi sono già state procurate da qualcun altro.

«Diciamoci la verità, per te sono morta già da anni, mamma. Probabilmente non sono mai esistita. Non nutri un briciolo di affetto o senso di protezione nei miei confronti. Al posto di proteggere Felix, avresti dovuto proteggere me, dovresti proteggere me, ma non l'hai mai fatto e questo è quanto», le dico, «Ti sei chiesta cosa mi è successo alla faccia quando mi hai vista? Ti sei chiesta se magari fosse stato un ex violento, un incidente, una tentata rapina oppure un aggressione per strada? Ti sei chiesta se fossi stata violentata oltre che picchiata?»

Per un solo istante mi sembra di scorgere un po' di rimorso nei suoi occhi, ma dura poco, così poco che mi domando se non mi sia limitata a vedere ciò che speravo e basta. «Non saresti ne la prima ne l'ultima», dice poi, spezzandomi completamente le braccia.

«Quando penso che non potresti toccare il fondo più di quanto tu non abbia già fatto... Mi sorprendi sempre e non in senso positivo».

Decido di andare via e lei mi segue. «Dove stai andando?» chiede. Non le rispondo, continuo a camminare per lasciare questa casa che sta iniziando a soffocarmi. «Mallory, ti sto parlando».

«E io ti sto ignorando», rispondo, senza guardarmi indietro o fermarmi. Apro la porta di casa e quando sto per uscire, lei mi prende dal braccio.

«Te lo sto chiedendo per favore, se mi vuoi almeno un po' di bene, scrivi a tuo padre».

«È stato sempre questo il problema, mamma. Il bene che provo nei tuoi confronti e quello che tu non provi nei miei», mi giro a guardarla, stupita per l'ennesima volta dalle cavolate che le escono dalla bocca. «Non scriverò a papà», ripeto. «E comunque, se davvero ti interessava saperlo, la lettera dice che devi dei soldi a quelli dell'energia elettrica. Ci vediamo».

La lascio sulla soglia della porta e inizio ad allontanarmi. «Non azzardarti a tornare qui», mi grida dietro. «Se non hai intenzione di fare qualcosa per Felix, allora non tornare qui. Non farti più vedere», continua a gridare mentre io mi allontano sempre di più. «Mi hai sentita, Mallory?»

Ignoro le sue urla. Ignoro anche il familiare senso di abbandono e di tradimento che mi attanagliano lo stomaco e svolto l'angolo per allontanarmi il più possibile da lei e dal dolore che mi arreca ogni volta.

🌈🌈🌈

Guardo l'insegna vintage del The Cozy Cup, una vecchia caffetteria che sta qui da sempre, poi il cartello verde con su scritto aperto attaccato alla porta di legno che apro per entrare. Il tintinnio del campanello attaccato alla porta annuncia il mio arrivo.

All'interno, ad ogni passo che faccio, il pavimento in legno consumato dal tempo e dai passi di centinaia se non migliaia di persone, scricchiola leggermente.

Le pareti sono adornate con vecchie fotografie di famiglia e del quartiere, di chi da questo posto è riuscito ad andarsene per realizzare qualcosa di buono nella vita e di chi, invece, non ce l'ha fatta e adesso è tre metri sotto terra.

Ci sono poster di concerti di band che non conosco e artisti storici che invece chiunque conosce. I tavoli sono in legno massiccio e disposti in modo informale, circondati da sedie di diverse forme e colori, il tutto ha una patina di usura che racconta storie di incontri passato. C'è storia, qui dentro, c'è vita dappertutto.

L'atmosfera è calda, accogliente e intima come sempre. Venivo qui insieme a mio padre quando ero piccola e ho continuato a venirci negli anni a venire, senza di lui. Riesco a sentirmi più a casa qui che a casa di mia madre.

Mi guardo intorno alla ricerca di un posto libero e lo trovo subito. A parte me, oggi, ci sono solo altri quattro clienti. Saluto con un cenno del capo i due che conosco, ignoro gli altri due che invece non conosco e prendo posto in attesa che Lynn, la nipote dei proprietari, venga a prendere la mia ordinazione.

Il profumo di caffè appena tostato si mescola con quello dei dolci fatti in casa, esposti sul bancone in vetro. Una piccola lavagnetta scritta a mano annuncia la specialità del giorno, come muffin ai mirtilli, dolcetti al cocco e biscotti al cioccolato.

C'è un angolo dedicato a una piccola libreria, dove chiunque può prendere un libro e lasciarne uno in cambio. Nel corso degli anni alcuni non sono mai tornati indietro, ma se ne sono comunque aggiunti altri.

«Ciao, Mal», mi saluta Lynn non appena si avvicina. Tiene i capelli castani raccolti in uno chignon morbido. Indossa un grembiule di lino color crema sopra una camicetta a quadretti pastello e una gonna a vita alta bianca che le arriva alle ginocchia. «Come stai? Cosa ti porto?» chiede poi, guardandomi con i suoi occhi marroni che mi ricordano tanto quelli di Nellie, sua nonna. Tiene in mano un blocco di carta e una penna, in attesa di scriverci sopra la mia ordinazione.

«Un caffè mocha, per favore. E un muffin al cioccolato», dico e lei inizia a scrivere velocemente sul blocco. «Sto bene, comunque, tu come stai? Nellie e Walter?»

«I nonni stanno alla grande, sono andati fuori città a visitare non ricordo quale galleria d'arte. Se la godono decisamente più di noi», racconta. Sono felice di sapere che stanno bene. «E io sto bene», aggiunge. «A parte il fatto che tutti i muffin che sto mangiando stanno andando a finire sui miei fianchi e che prendere il comando della caffetteria si sta rivelando un po' più difficile del previsto. Sto bene».

Lynnette è un po' troppo severa con sé stessa e sulle curve che madre natura le ha donato. Il seno e il sedere prosperosi, la sua altezza e le curve morbide, sono caratteristiche di sé che non apprezza. Ha ventisei anni e ha preso il comando della caffetteria da uno.

È andata al college e avrebbe potuto fare qualsiasi altra cosa, invece ha deciso di restare in questa città per gestire la caffetteria dei nonni. Ama questo posto, l'ha sempre amato. Lo amo anche io, ma non so se al posto suo avrei preso la stessa decisione. Forse sarei corsa lontano da qui senza pensarci nemmeno due volte.

Ma siamo due persone diverse e amiamo questo posto in due maniere completamente diverse.

«Stai benissimo e stai facendo un ottimo lavoro qui».

Tutti pensavamo che avrebbe stravolto ogni cosa di questo posto. Insomma, essendo giovane pensavamo che avrebbe modernizzato l'ambiente. Invece no, non ha fatto chissà quale cambiamenti invasivi, ha solo riparato ciò che c'era da riparare e aggiunto il suo tocco per rendere la caffetteria anche sua.

«Lo dici soltanto perché sei mia amica», risponde lei con una smorfia. «Ma lo apprezzo comunque».

«Lo dico perché è la verità, Lynn».

Il tintinnio del campanello ci fa voltare entrambe verso la porta. «Guardate un po', sono riuscito a beccare finalmente le mie due ragazze insieme», dice Jamal, ovvero l'uomo che è entrato in caffetteria. Ci guarda con un sorrisetto stampato in faccia.

Lynn sbuffa. «Ciao anche a te, Jamal», lo saluta, fingendosi scocciata dalla sua presenza, ma so che sotto sotto è contenta di vederlo.

Tra questi due c'è un flirt che va avanti da anni, ormai, e da quando è tornata un anno fa la cosa è cresciuta a dismisura.

«Ehi, Jamie», gli dico. Lui si avvicina e prende posto di fronte a me. Non avevo dubbi su questo. «Belle le treccine, mama Kia ha le mani d'oro».

«Concordo pienamente, mama Kia è fantastica», dice anche Lynn. Mamma Kia è la madre di Jamal, nel quartiere l'adorano tutti.

«Sai chi altro è fantastico, Lynn?» le chiede lui con un sorrisetto. «Io».

«Vado a preparare il tuo mocha e arrivo», mi dice Lynn, ignorando completamente Jamal.

Lui non sembra demoralizzato da questo, anzi, gli piace. È un input ad impegnarsi di più per farla cedere.

«Non mi chiedi cosa prendo?»

«Mallory ha la precedenza», risponde lei. «Prendo il tuo ordine al ritorno». Non aspetta che risponda, gira i tacchi e se ne va a preparare il mio ordine.

«Un altro asso di picche», dico a Jamal quando restiamo da soli. Lui distoglie lo sguardo dal sedere di Lynn e mi guarda confuso, non capendo cosa voglia dire. «Ecco cosa prendi, un altro asso di picche».

«Ah ah ah, sei molto divertente, piccola».

«Lo so, grazie».

Si guarda intorno e io faccio lo stesso per capire cosa o chi stia cercando. «Non hai la guardia del corpo alle calcagna, oggi?»

«Di che stai...» faccio per dire, ma poi capisco. «Aiden».

Lui sorride, divertito. «Non pensavo fossi amica degli Hoffman, è stata una sorpresa».

«Non sono amica di Aiden», borbotto. Non credo che la nostra si possa definire amicizia se ci tolleriamo a stento e non facciamo altro che dircene di tutti i colori alla prima occasione. Siamo conoscenti.

«Degli altri sì?»

«Sì».

«Sono brave persone», dice, «Fuori di testa a volte, ma brave persone». Concordo con lui.

«Mi fa piacere che approvi le mie amicizie, papà Jamie».

«Dopo quello che ha fatto a Kraus, stimo Denny ancora di più».

Lo guardo confusa, non capendo di cosa stia parlando. Ma non faccio in tempo a chiederglielo perché Lynn torna con il mio ordine.

Mi mette il mocha e il muffin davanti. «Ecco a te, Mal», dice. Io la ringrazio, distratta. «Tu cosa vuoi?» chiede poi a Jamal.

«Un tuo bacio potrebbe andare bene».

Aiden non può essere andato da Sylas.
Gli ho detto di non farlo, gli ho detto di lasciar perdere.
Forse ho semplicemente capito male.
Oppure Jamal si sta inventando qualche storia, non sarebbe la prima volta.

«Qualcosa che si possa esaudire», ribatte Lynn, alzando gli occhi al cielo. Poi inizia a picchiettare la penna sul blocchetto degli appunti in attesa che Jamie faccia un'ordine serio.

«Il tuo numero?» chiede. «Ah, no. Quello già ce l'ho».
Era ovvio che prima o poi sarebbe riuscito a farselo dare, se non da lei, da qualcun altro.

«Jamal».

«Lynn».

«Dimmi cosa prendi, devo lavorare».

«Vorrei prendere te, ripetutamente, dappertutto e per sempre», risponde lui, serio più che mai. Credo che Jamal sia davvero interessato a Lynn, se non proprio innamorato. «Ma non me lo permetti».

«Jamal».

Lui le piace. Può negarlo quanto vuole, ma a Lynn, Jamal piace. Ciò che non gli piace di lui sono il suo lavoro e i suoi vizi, per questo non si lascia andare e rifiuta tutte le sue avance.

«Ripeti ancora il mio nome, mi fa eccitare, piccola».

«Non vomito sul tavolo solo perché poi mi toccherebbe ripulirlo».

Lui ride. «Una ciambella al pistacchio», le chiede poi.

Lei fa una smorfia. «Hai dei gusti tremendi».

«Anche tu», ribatte lui e non si riferisce ai suoi gusti in fatto di cibo.

«Torno subito».

Quando Lynn si allontana, sposto il piatto con il muffin e guardo Jamal. «Che cos'hai detto prima?»

«Che vorrei farmi Lynn in tutte le posizioni possibili e immaginabili», risponde, ripetendo ciò che ha detto alla ragazza. Ha ancora gli occhi puntati su di lei.

Faccio una smorfia disgustata, perché non è ciò che mi interessava sapere. «Non quello. Ciò che hai detto prima che venisse Lynn».

«Ah», dice, distogliendo finalmente lo sguardo per prestarmi attenzione. «Ho detto che stimo Denny per aver dato una lezione a Kraus».

Allora non ho capito male. «Di che stai parlando?»

«Non lo sai?» chiede e arrivati a questo punto mi sembra più che palese che io non abbia idea di cosa stia parlando.

«No. Spiegami».

«Kraus ha un braccio rotto ed è tutto ammaccato grazie a Denny».

Sbatto le palpebre ripetutamente mentre cerco di realizzare ciò che mi ha appena detto. «Gli ha rotto un braccio?»

Lui annuisce, prende il bicchiere con il mio mocha e inizia a berlo al posto mio. «Probabilmente anche qualche costola e dente».

«Non è possibile».

È per questo che mi ha chiesto se fosse destro o mancino?

«È possibile, invece, perché è successo».

«Tu come fai a saperlo?»

«Me l'hanno detto», risponde, «E poi ho avuto la conferma quando ho visto Kraus con il gesso al braccio».

La rabbia che pian piano si era assopita, si risveglia dentro di me. Non mi sento grata per ciò che ha fatto, mi sento presa in giro e incazzata da morire.

Gli avevo chiesto di non fare niente e non mi ha dato ascolto. Non ho bisogno di qualcuno che combatta le mie battaglie al posto mio, tanto meno se quel qualcuno è Aiden Hoffman.

Non voglio dover provare gratitudine per un gesto violento.

«Non ci posso credere».

«Magari tu non lo consideri tuo amico, ma non credo che sia lo stesso per lui».

Avevo deciso di presentarmi alla lezione con Aiden con un'ora di ritardo giusto perché mi ha dato buca, per questo sono venuta in caffetteria. Ora, invece, ho cambiato idea.

«Dove vai?» mi chiede Jamal non appena mi alzo e inizio a cercare il portafoglio nella borsa per pagare ciò che ho preso anche se non ho più intenzione di mangiare o bere.

«Ho appena ricordato di avere un impegno».

«Non porti via il muffin?»

«Mi è passata la fame».

Lui mette una mano sulla mia prima che possa tirare fuori i soldi. «Pago io, vai pure», dice.

«Non c'è bisogno».

«Il tuo mocha è diventato il mio, l'ho bevuto io, quindi tocca a me pagarlo».

Faccio per ribattere, ma lui mi toglie il portafoglio dalle mani e me lo ficca in borsa. «Va bene, grazie», gli dico. Poi mi avvicino e gli stampo un bacio veloce sulla guancia. «La prossima volta pago io».

«Vedi di farti viva, però».

«Lo farò», dico. «Ciao, Jamie», lo saluto e mi allontano dal tavolo. Poi guardo Lynn dietro al bancone. «Ciao anche a te, Lynn».

«Ci vediamo, Mal», risponde lei, mandandomi un bacio volante.

«Abbi cura di te, piccola», mi grida alle spalle Jamal.

Esco fuori dalla caffetteria con un diavolo per capello.

🌈🌈🌈

Arrivo in palestra che non riesco nemmeno a pensare lucidamente tanto sono incazzata. Di solito una volta arrivata poso tutto in un angolo della palestra, mi lego i capelli e raggiungo chi dei tre fratelli mi sta aspettando.

Questa volta, invece, lascio cadere il borsone per terra e cammino sparata come un treno verso Aiden che si volta verso di me non appena sente il tonfo del borsone che casca per terra.

Mi avvicino a lui con passi decisi, immagino che sulla mia faccia si legga la frustrazione e la rabbia che provo in questo momento. Mi guarda accigliato mentre avanzo verso di lui e io, senza dire una sola parola, una volta arrivatagli davanti, lo spintono con forza. Vacilla, sorpreso, ma non oppone resistenza.

«Ma che cazzo ti dice il cervello?» gli grido contro mentre lo spintono di nuovo, stavolta con più forza e poi un'altra volta ancora e ancora, come se ogni colpo potesse alleviare ciò che sento. «Ti avevo detto di starne fuori!»

«Datti una calmata, Malefica», dice, ma non fa niente per opporre resistenza. Non alza un dito su di me, nemmeno per allontanarmi. «Che cosa avrei fatto questa volta, a parte esistere?»

Sentendomi presa in giro, faccio per spingerlo un'altra volta, ma lui con i suoi dannati riflessi pronti, para i miei colpi e mi prende le mani tra le sue per tenermi ferma. «Lasciami», gli ordino a denti stretti, mentre cerco di scrollarmi le sue mani di dosso e liberarmi per potermi allontanare.

«E tu smettila di comportarti da pazza», ribatte, tenendomi ancora ferma.

«Da che pulpito», sbotto. «Hai rotto il braccio a una persona, idiota che non sei altro».

Un lampo di consapevolezza gli balena negli occhi. «È per questo che sei così incazzata, allora».

«Complimenti per esserci arrivato, Einstein».

«Glielo volevi rompere tu?» chiede con un sorrisetto divertito. Mi divincolo un'altra volta e cerco di spingerlo via, senza riuscirci.

«Non sono proprio in vena delle tue battute del cazzo», gli urlo contro. «E lasciami», continuo a dimenarmi come un'anguilla.

Lui però non ne vuole sapere di lasciarmi andare, anzi, si avvicina ancora di più. Noto però che sta comunque dosando la forza per non farmi venire dei lividi sui polsi. Mi fa incazzare anche questo.

«Mi hai appena aggredito, no che non ti lascio».

Assottiglio gli occhi. «Pensi mai alle conseguenze delle tue azioni prima di agire?»

Per me la risposta è no. Non pensa affatto.

«Non mi aspettavo un ringraziamento da parte tua, perché non è per avere la tua gratitudine che l'ho fatto, ma non mi aspettavo nemmeno che reagissi in questo modo. Hai qualcosa che non funziona nel cervello, Malefica».

«Tu vai in giro a picchiare la gente a caso e io avrei qualcosa che non funziona nel cervello?»

È davvero il colmo, cazzo.

«Non vado in giro a picchiare la gente a caso», mette in chiaro. Questo sotto sotto lo so. Aiden non è Sylas. Non sarà mai Sylas. «Avevo un conto in sospeso con Kraus».

E no, dannazione. Se c'è qualcuno che ha un conto in sospeso con Sylas, quella sono io. Non lui. Non Cairo. Non Wolf. Nessuno di loro. Solo io.

«Tu non avevi nessun conto in sospeso con Sylas», gli dico, «È a me che ha fatto qualcosa, non a te».

«Gli avevo consigliato di starti lontano, ma lui non ha voluto ascoltare  il mio consiglio. È un problema suo, non mio».

«Non ti ho chiesto di farlo».

Lui si irrigidisce, incazzato. «Quel figlio di puttana ti picchia da anni e nessuno ha mai fatto niente per fermarlo, nemmeno tu. Non c'era bisogno che mi chiedessi di farlo, era ora che arrivasse il suo turno».

«Non avevi il diritto di intrometterti».

«Qual è il vero problema, Mallory?» chiede, perdendo la pazienza. «È il fatto che non ti abbia chiesto il permesso per picchiare un'idiota senza palle o che l'abbia picchiato?»

Lo guardo malissimo per ciò che sta insinuando. «Il mio problema è che non capisci quando devi stare al tuo posto».

«Ti dispiace per lui?» chiede, facendo qualche passo in avanti. Io ne faccio tre indietro. «Dopo tutto quello che ti ha fatto, a te dispiace comunque per lui?»

Non è così. Non è per lui che mi dispiace. «Non...» faccio per dire, ma Aiden mi interrompe.

«Allora mio fratello ha ragione, sei proprio stupida». Sta chiaramente parlando di Cairo.

Le sue parole mi fanno incazzare ancora di più. «Come ti permetti?»

«Mi permetto eccome. Non puoi venire qui ad accusarmi di picchiare la gente a caso. Non ho mai picchiato qualcuno per il solo gusto di farlo, quello è Kraus e ci sei stata insieme per anni», mi sbatte in faccia la dura e cruda realtà. «E nonostante tutto continui a difenderlo».

«Non capisci un cazzo».

«No, sei tu quella che non capisce un cazzo».

«Non dovevi intrometterti».

«Non dovevi entrare nella mia vita e in quella della mia famiglia, allora», sbotta lui. «Noi non voltiamo le spalle a nessuno, Mallory. Ci prendiamo cura l'uno dell'altro e ci proteggiamo a vicenda. Non faremo mai finta di non vedere», dice. «E tu sei una stupida se continui a preoccuparti per quello stronzo». Mi volta le spalle e fa per allontanarsi, ma lo raggiungo e mi piazzo davanti a lui.

«Non ho ancora finito di parlarti, perciò non voltarmi le spalle».

«Dai troppi ordini per essere una senza spina dorsale», mi prende in giro e questo mi fa arrabbiare maggiormente.

«Hai dimostrato di essere un vero maschio alpha, complimenti. Ti aspettavi che ti ringraziassi per aver difeso il mio onore, prode cavaliere?»

«Mi aspetto che tu tolga la testa dalla sabbia e capisca che quell'essere non merita neanche un briciolo della tua compassione», ribatte prontamente. Le sue parole mi bruciano addosso.  «La compassione che provi per lui, dovresti provarla per te stessa».

«Non ti sopporto, Hoffman. Non ti sopporto proprio, cazzo!»

«Nemmeno io», dice e tutto ciò non ha il minimo senso. Perché cazzo ha picchiato Sylas se non mi sopporta? Perché si è messo in mezzo?

«Perché vuoi aiutarmi allora?» gli urlo contro, gesticolando come una furia.

La sua mano si chiude intorno al mio polso, mi strattona e per poco non gli finisco addosso. «Perché anche se non ti sopporto, non meriti quello che quel bastardo ti ha fatto. Anche se non ti sopporto, non resterò mai a guardare quando qualcuno cercherà di farti del male».

Ci guardiamo e per un istante il silenzio si insinua tra di noi, perché non so cosa dirgli, non so come rispondere a ciò che mi ha appena detto. Mi rendo conto solo adesso di quanto siamo vicini. Se ne rende conto anche lui. In un attimo tutto intorno a noi scompare.

Lo guardo confusa, sentendomi vulnerabile sotto al suo sguardo, esposta. Il mio cuore batte forte, quasi come se avessi appena finito di correre una maratona, ma stavolta non è per la rabbia, è per qualcosa di nuovo che non riesco a comprendere, e che forse non voglio comprendere.

Sto per dirgli di lasciarmi stare e di allontanarsi, ma lui accorcia di più la distanza schiantando le sue labbra sulle mie. Mi bacia.

Non è un bacio dolce o pianificato, è un gesto fatto d'impulso, carico di emozioni represse, di desiderio, rabbia, e confusione. Sorpresa, in un primo momento mi irrigidisco, ma poi ad un tratto smetto di pensare. È come se un interruttore nella mia testa si spegnesse. Ricambio il bacio con altrettanto desiderio, rabbia e confusione.

Non ricordo più per cosa stavamo discutendo, non ricordo più cosa sono venuta a fare qui, non ricordo nemmeno più il mio nome. Non so più niente. So solo che gli avvolgo le braccia intorno al collo e mi spiaccico contro il suo corpo alla ricerca del suo calore e di maggiore contatto fisico.

Aiden capisce il bisogno improvviso che ho di sentirlo vicino, perciò avvolge le braccia intorno al mio bacino e mi stringe a sé. Non mi dà il tempo di pensare, di respirare o di fare qualsiasi altra cosa. Mi bacia in maniera decisa, ma al tempo stesso con un attenzione e una cura che nessuno aveva mai usato prima d'ora con me. La sua lingua si intreccia alla mia, i nostri respiri diventano uno solo e i nostri corpi sono così vicini che non ci passerebbe un foglio di carta in mezzo.

Mi solleva piano per permettermi di avvolgergli le gambe attorno ai fianchi ed è ciò che faccio. Mi aggrappo a lui come un koala, senza avere alcuna intenzione di allontanarmi.

«Questa bocca, cazzo. Non sai da quanto tempo fremevo per assaggiarla», dice. Poi si tuffa nuovamente sulle mie labbra. Bacia, morde, lecca. Si prende tutto, ogni cosa. Tutto ciò che ho da offrirgli e tutto ciò che non credevo di potergli offrire. Si prende i miei pensieri, le mie preoccupazioni, le mie insicurezze e i miei dubbi.

Si ferma solo per mettere ad entrambi di respirare, ma non si allontana, poggia la fronte alla mia.

«Non è per lui che ero preoccupata», sussurro sulle sue labbra. Tengo gli occhi chiusi perché in questo momento non riuscirei a guardarlo negli occhi.

«Non è il momento di parlare di Kraus», brontola, cercando di baciarmi un'altra volta. Gli permetto di farlo, ma solo per pochi secondi. Emette un gemito di dissenso quando mi allontano.

«Ero preoccupata per te», gli confesso inaspettatamente. A mente lucida non l'avrei mai ammesso ad alta voce. «Sono preoccupata per te».

Non voglio che si metta nei guai a causa mia. Non me lo perdonerei mai e nemmeno la sua famiglia me lo perdonerebbe.

«Hai uno strano modo di dimostrarlo, Malefica».

«Sono in grado di difendermi da sola, Aiden», dico, «Avrei fatto qualcosa io se solo mi avessi dato il tempo di riprendermi».

«Puoi sempre rompergli il braccio sinistro», propone, facendomi venire da ridere. Infatti non riesco a nascondere il sorriso che mi spunta sulle labbra.

«Non devi metterti nei guai per me», gli dico. «Nessuno di voi deve». Non ne vale la pena.

Lui ignora le mie parole e mi schiocca un bacio prepotente sulle labbra, non so se è per via di questo gesto, ma ad un tratto come se mi fossi risvegliata da uno stato di trance, realizzo dove siamo, in che posizione siamo e cosa abbiamo appena fatto.

Entro nel panico. Gli poggio le mani sulle spalle e spingo con le gambe per fargli capire che voglio scendere, che deve mollare la presa. Lui mi lascia andare.

Mi ha baciata.

Lo guardo e sento le guance andare in fiamme, come se stessero prendendo fuoco. Io sto prendendo fuoco.

Mi ha baciata.

Mi guarda e non dice niente, capisce che sto andando nel panico e che ho bisogno di allontanarmi. Non so come faccia, ma in un modo o nell'altro mi capisce sempre.

Ho lasciato che mi baciasse.

Faccio dei passi indietro con ancora gli occhi puntati nei suoi e le labbra gonfie a causa dei suoi baci.

Mi è piaciuto essere baciata da lui.

Gli volto le spalle, prendo velocemente la borsa da terra e corro via.

Mi ha baciata, e tutto ha iniziato ad avere un senso.

✍🏻 Spazio autrice ✍🏻

Ok, ci siamo. Ho sudato sette camice per scrivere questo capitolo e per far sì che uscisse proprio come volevo.

FINALMENTE SI SONO BACIATI🥳

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, mi dispiace per il ritardo. Tornerò più attiva ❤️
Infatti il prossimo capitolo non tarderà ad arrivare 👀

Mi dispiace anche se troverete qualche errore di battitura, non ho avuto tempo per correggere. Detto questo, vi aspetto come sempre su Instagram per parlarne insieme✍🏻

Leggo anche tutti i vostri commenti🦦

Vi ringrazio per la pazienza, l'affetto e il supporto. Vi abbraccio forte🫂

Noemi

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