Capitolo 11
Non so cosa sia peggio, se avere un attacco di panico in piena regola per la prima volta nella vita o se averlo davanti ad Aiden Hoffman. Per quanto mi riguarda entrambe le cose.
Oggi fatico a reggermi in piedi, un po' come Jo dall'altra parte della stanza, anche se per due motivazioni completamente diverse. Io perché non ho chiuso occhio per tutta la notte a causa sua, lei perché ieri si è devastata fisicamente e mentalmente.
L'uomo con cui ha passato la notte l'ha scaricata sotto casa alle otto del mattino e io l'ho trovata stesa per terra davanti all'uscio della porta poco dopo. Mi ha sorpresa il fatto che sia riuscita a salire le scale senza cadere e rompersi qualche osso.
Comunque l'ho aiutata a rialzarsi, l'ho infilata sotto il getto dell'acqua fredda per darle una svegliata e anche una ripulita. Poi l'ho aiutata a sdraiarsi sul divano ancora avvolta nell'accappatoio, ci ha messo un po' a riprendersi, ma in qualche modo ci è riuscita.
«Sento il tuo sguardo addosso, Mally», brontola con gli occhi chiusi e la testa poggiata al bracciolo del divano. «E anche i tuoi pensieri scorrere veloci come l'acqua di un fiume», aggiunge, poi sospira.
«Bene, vuol dire che il tuo cervello funziona ancora».
Le scappa una risatina ma io non volevo risultare divertente e speravo si intuisse dal tono della mia voce.
«Stai progettando di uccidermi?»
Stavolta scappa a me una risatina, ma sarcastica. «Perché dovrei prendermi il disturbo?» le chiedo. «Ci stai già pensando da sola».
Lei apre gli occhi e mi guarda, per niente infastidita dal mio tono o la mia schiettezza, ci è abituata. Ed io dovrei essere abituata alle sue cazzate, ma a quanto pare non è così.
«Qualcuno si è svegliato bello carico oggi».
Stringo i pugni e ricambio lo sguardo, sperando che noti tutto il mio disappunto e la mia rabbia, ma anche il senso d'impotenza che provo continuamente. «Non posso credere che tu sia così incosciente, Joanne».
«Siamo passate a Joanne», dice con tono divertito. «Allora sono davvero nei guai, mammina».
«Continui a prendere tutto con una leggerezza disarmante, come se fosse un gioco», le dico, «Anche la tua vita». Soprattutto la sua vita. Non gliene importa proprio niente di vivere o morire, fa lo stesso per lei.
«Hai detto bene, la mia vita».
«È la tua vita, certo, ma io ne faccio parte, tengo a te. Mettendoti costantemente in pericolo mi fai stare male, possibile che non te ne importi un cazzo?»
Stavolta non c'è traccia di ironia o divertimento sul suo volto o nel tono della sua voce quando dice: «Mi dispiace». Ma io non le credo, mi è impossibile farlo.
«Non è vero».
«Mi dispiace che tu stia male, demonietto, è l'ultima cosa che voglio», dice, mettendosi a sedere. Prende a giocherellare con la cintura dell'accappatoio.
«Ma non ti dispiace fare ciò che fai», dico, perché è questo ciò che intendeva. Le dispiace farmi star male ma non le dispiace continuare a fare ciò che fa.
«Ciò che faccio è ciò che sono, non c'è nessuna differenza».
«Non è vero», lo nego ma in fondo so che è la verità. È diventata ciò che ho davanti, è sempre stata ciò che ho davanti. Non ricordo che sia mai stata diversa da questo.
«Sappiamo entrambe che è la verità ed io me ne sono fatta una ragione», dice con un mezzo sorriso rassegnato. «Ora tocca a te».
«Mi stai chiedendo di rassegnarmi ad assistere mentre ti uccidi giorno dopo giorno senza far niente?»
«Sei fottutamente tragica, demonietto», dice, per niente toccata dallo scenario imminente. «Non mi sto uccidendo, so darmi un limite».
Stai mentendo. Sei una pessima bugiarda, Jo.
«Non posso farlo».
Non posso più restare a guardare. Ti prego, non voglio più restare a guardare.
Lei mi guarda, sbatte le palpebre due volte, attende che io dica qualcosa. Poi capisce. «Non sei obbligata a farlo».
Guardo il modo in cui continua a giocherellare con l'accappatoio, le sue mani ossute e pallide, le unghie mangiucchiate e per niente curate, i lividi sulle gambe scoperte.
«Ogni volta che metti piede fuori casa mi domando se sarà l'ultima volta che ti vedrò», confesso, «Ogni volta che torno a casa conto fino a dieci prima di entrare, perché ho paura di trovare il tuo cadavere steso da qualche parte», continuo. Mi bruciano gli occhi e ho voglia di piangere, ma non lo farò. «Questa non è vita, Jo».
«Mi dispiace, demonietto. Mi dispiace tanto», ripete, come se fosse un disco rotto. Come se non potesse fare altro. «Se potessi farlo, se riuscissi a farlo, lo farei per te». Se potesse finirla con la droga, se potesse riprendere in mano la sua vita. Ma non può.
«Ma la droga viene prima di tutti, anche di te stessa», concludo per lei. Il succo è questo. È ciò che voleva dire.
«Mi dispiace».
«Già, continui a ripeterlo».
Dopodiché mi giro e mi dirigo verso la porta per uscire da questa casa, perché ho la sensazione che le mura intorno a me si stiano restringendo per schiacciarmi.
«Dove vai?» mi chiede con una punta di panico nella sua voce.
Non so se ha paura di perdermi perché mi vuole bene oppure perché ha bisogno di me e le servo, in questo momento sono più propensa a credere che sia per la seconda motivazione.
«Per quanto desideri farlo, per quanto abbia bisogno di farlo, non andrò via. Perché l'idea di voltarti le spalle e lasciarti morire da sola mi spaventa più di trovare il tuo dannato cadavere», le dico, «Torno stasera».
Sto per uscire di casa quando lei dice: «Mally». Quindi mi giro a guardarla. Non le chiedo cosa voglia, precedo le sue parole.
«Sì, lo so. Ti dispiace».
Continuare a ripeterlo non cambierà le cose. Sono solo due parole, non hanno alcun significato, le porta via il vento.
«Fa attenzione», dice però e sento la sua mano ossuta stringersi intorno al mio cuore fino a stritolarlo.
In questo momento la odio quasi più di quanto odi mia madre, il suo compagno e Sylas.
Questa volta non rispondo con il mio solito "cerca di rimanere viva, Jo". Le rispondo con il silenzio, perciò esco fuori casa e mi chiudo la porta alle spalle.
🌈🌈🌈
Continuo a tirare un pugno dietro l'altro al sacco da boxe che ha portato Wolf l'altro giorno prima del nostro allenamento. È vero che aiuta a scaricare la rabbia, sì, ma purtroppo non del tutto.
Ci ho pensato sopra durante tutto il tragitto se venire qui fosse una buona idea o no. Sono arrivata alla conclusione che non è una delle migliori, ma neanche la peggiore in assoluto.
Nel peggiore dei casi torno a casa, nel migliore invece Aiden Hoffman prende il posto del sacco da boxe. Non nascondo che il secondo scenario mi alletta più del primo.
«Mi fa piacere non essere al posto di quel sacco», dice con la sua voce fastidiosa alle mie spalle. «Dubito che il mio naso sopravvivrebbe una seconda volta al tuo attacco alla Kung Fu Panda».
Smetto di tirare pugni al sacco e mi giro a guardarlo. Metto le mani sui fianchi. «Possiamo provare, non ho nessun problema a riguardo».
«Per questa volta passo», dice con un sorrisetto divertito. «Tua zia è tornata?»
Cerco di non soffermarmi troppo sul suo petto nudo ricoperto da innumerevoli tatuaggi e tengo gli occhi puntati nei suoi, tanto chiari da sembrare cielo. «A te cosa importa?»
«Ieri ho passato gran parte del mio tempo a cercarla. Chiedere mi sembra lecito».
«Anche non rispondere lo è», ribatto, ma lui rimane impassibile davanti al mio cattivo umore e modo brusco in cui gli rispondo. «Sì, è tornata. Lo fa sempre».
«Come sta?» chiede, come se gliene importasse qualcosa. Non la conosce nemmeno.
Lo guardo con diffidenza. «Credo che tu lo sappia meglio di me».
Non è la prima volta che alludo al suo passato sentendomi subito dopo in colpa. Ma purtroppo le parole mi escono fuori di bocca prima che possa fermarle e basta.
«Probabilmente ci metterà qualche ora ad alzarsi dal letto», risponde con nonchalance, come se le mie parole non lo turbassero affatto. Io al contrario suo mi incazzerei.
«Dal divano», lo correggo, «L'ho lasciata lì».
«Hai provato a...»
Lo interrompo subito. «Ti prego, risparmiami la moina sui centri di disintossicazione. Ha funzionato con te, fantastico, ne sono contenta. Ma non c'è speranza per Jo».
Alza gli occhi al cielo, stufo della conversazione e forse anche di me. «Ti stavo chiedendo se hai provato ad immergerla in una vasca d'acqua ghiacciata. Di solito aiuta, magari non tanto, ma aiuta».
Apro e chiudo la bocca due volte senza sapere cosa dire. Sembro un pesce che boccheggia.
«Ogni tanto dovresti provare a chiudere quella boccaccia velenosa che ti ritrovi e lasciare che la gente concluda una semplice frase», dice e le mie guance vanno a fuoco.
«Magari non mi interessa quello che hai da dire», ribatto, recuperando la parola. Lui sorride.
«Meno chiacchiere e più fatti, Malefica», risponde lui, cambiando discorso. «Porta il tuo culo pigro qui. Non ho tutto il giorno».
«Come se avessi altro da fare a parte sparare cazzate e guardarti allo specchio ventiquattr'ore su ventiquattro», borbotto, restando accanto al sacco da boxe.
«Sai, dovresti fare qualcosa per tutta questa rabbia repressa che hai», risponde, «Ad esempio scopare. Funziona, sai?»
Alzo gli occhi al cielo. «Passo, grazie. Chissà dove l'hai infilato quel coso».
«La mia non era una proposta, non ti ho chiesto di scopare con me. Ti ho consigliato di trovare qualcuno con cui scopare», dice. Sento le guance diventare bollenti. «Non fraintendermi, mi immolerei per la causa, ma dovrei metterti una museruola».
«Vai a farti fottere, Hoffman».
«Pensavo stessimo contrattando per farlo».
Lo guardo di sottecchi. «Nemmeno nei tuoi sogni più selvaggi», gli dico, sperando che il messaggio gli arrivi forte e chiaro.
Lui incrocia le braccia al petto e mi guarda negli occhi. «Avvicinati».
«Te lo puoi scordare», gli dico. «Qualsiasi cosa tu abbia in mente possiamo farla anche mantenendo questa distanza».
Riesco a vedere quasi nitidamente il luccichio divertito nei suoi occhi, poi sulle sue labbra si apre un sorrisetto divertito. «Sono il primo ad elogiare le mie dimensioni, Malefica. Ma tu stai un po' esagerando».
«Che...» lo guardo accigliata perché non capisco cosa diamine voglia dire. Poi realizzo. «Mi riferivo alle lezioni di autodifesa, idiota montato che non sei altro», strillo.
Spero che il rossore delle mie guance non si sia esteso anche al collo e il petto. Questa è la condanna di quelli che come me, hanno la pelle così bianca da sembrare un latticino.
«Andiamo, Malefica. Avvicinati», dice ancora. Io però continuo a restare lontana da lui. «Ti ho già dimostrato che non mordo, non in questo ambito».
Sospiro e mi decido ad avvicinarmi a lui, che mi guarda soddisfatto e non cerca nemmeno di nasconderlo.
«Spero che questa tortura finisca presto».
«Finirà quando Avie si riterrà soddisfatta».
«Finirà quando io mi stancherò di vedere la tua stupida faccia e di sopportare il tuo carattere di merda», dico, sposando il mio peso da una gamba all'altra. Mi sento irrequieta, devo muovermi e fare qualcosa, restare ferma in piedi come una statua davanti a lui non è un opzione.
«Allora mai, ti piaccio troppo», ha la sfacciataggine di dire. Lo guardo come a dire "sul serio?".
Quando mai gli avrei fatto credere una cosa del genere? Da quando lo conosco non ho fatto altro che respingerlo, insultarlo o ignorarlo. Forse non ha ben chiara la definizione della parola piacere.
«Hai dei veri e propri problemi di comprensione».
«Tu sei una bugiarda patologica», ribatte.
«Prima iniziamo e prima finiamo, quindi datti una mossa». Decido di cambiare discorso perché se dipendesse da lui andremmo avanti così per tutto il tempo. Gli piace troppo darmi fastidio.
Lui inarca un sopracciglio. «Il prossimo passo sarà darmi ordini con un frustino in mano?» chiede beffardo.
«Il frustino te lo farei ingoiare», rispondo acidamente.
«Io ti farei ingoiare il mio...»
Invado il suo spazio personale e gli poggio una mano sulla bocca per zittirlo. «Se hai almeno un briciolo di sale in quella zucca che tu chiami testa non finirai quella frase», gli dico.
Lui abbassa lo sguardo sulla mia mano, poi torna a guardarmi in faccia. Siamo troppo vicini, il suo profumo mi entra nelle narici e riesco a percepire il calore che emana il suo corpo.
Faccio per allontanarmi ma lui mi precede e avvolge un braccio intorno alla mia vita, poi posiziona una mano sul retro della mia testa e prima che possa anche solo rendermene conto, finisco sdraiata per terra con il suo corpo sopra al mio.
Tolgo subito la mano dalla sua bocca e lui toglie delicatamente la sua da sotto alla mia testa. Realizzo dopo appena qualche secondo che mi ha messo la mano lì per attutire il colpo contro il pavimento.
«Che stai facendo?» gli chiedo con il cuore che mi è schizzato in gola e il petto che si alza e si abbassa velocemente per via dell'agitazione.
«Mi sto dando una mossa», risponde lui con calma. «Ora respingimi, Mallory. Lotta contro di me».
Mi irrigidisco in maniera del tutto inevitabile. «Non farò niente del genere, Hoffman. E adesso togliti di dosso». Gli piazzo entrambe le mani sul petto e premo abbastanza forte per farlo allontanare, ma ciò non accade. Lui non si sposta nemmeno di un centimetro.
«Se vuoi che mi tolga, dovrai trovare un modo per far si che accada», risponde, «Altrimenti resto qui, sei comoda e sai di buono. Hai un odore dolce, sai di torta alle fragole».
Annusa il mio profumo senza la minima traccia di vergogna, come se fosse un gesto del tutto naturale e non un comportamento da disturbato mentale o maniaco.
La fragranza del bagnoschiuma e della crema per il corpo che uso è panna e fragola, ma questo non c'è bisogno che lui lo sappia.
«Guardami», dice, spostandomi delicatamente le ciocche di capelli che mi sono finite davanti agli occhi. «Non ho intenzione di farti niente, stiamo simulando un'aggressione. Non ti torcerò un capello». Mi guarda negli occhi e la mia titubanza pian piano svanisce. Qualcosa dentro di me capisce che sono al sicuro. «Ribellati, Mallory. Respingimi».
Alle sue parole qualcosa dentro di me scatta, quindi mi ritrovo a eseguire il suo ordine senza pensarci sopra due volte. Inizio a divincolarmi dalla sua presa, cerco di respingerlo con tutte le mie forze, cosa che non è per niente facile. Quest'uomo è tutto muscoli e testosterone.
Poi dopo svariati tentativi, mi chiede di fermarmi e pazientemente mi spiega come dovrei reagire a un attacco del genere. Proviamo tre volte questa mossa di cui ho già dimenticato il nome. Mi sento già esausta.
«Andiamo, mettici più impegno, rossa. Mi basterebbe un minuto per strapparti leggings e mutandine», brontola, annoiato. «E mi ci vorrebbe ancora meno tempo per spingermi dentro di te».
Perché diamine mi sta mettendo in testa un'immagine del genere? È ripugnante, dannazione.
Continuo a ripetermelo, ma per poco non gemo forte quando nel bel mezzo dell'esercitazione il suo membro mi sfiora proprio lì.
Okay, il mio corpo non lo trova affatto ripugnante. Messaggio ricevuto, ora resettiamo tutto.
Il suo cazzo ci mette relativamente poco a reagire all'attrito e alla vicinanza fisica, perciò ad un tratto lo sento duro come il marmo contro di me.
Mi sorprende che sia bastato strusciarmi per sbaglio sul suo pacco per ottenere questo effetto e mi sorprende ancora di più il fatto che non stia andando nel panico più totale.
«Non dare di matto, non ho intenzione di fare ciò che ho detto. È una reazione del tutto involontaria», dice, a pochi centimetri di distanza dalla mia bocca. «Il fatto che abbia un erezione perché il tuo corpo si sta strusciando contro il mio da diversi minuti ormai non significa che mi approfitterò della situazione o di te».
Respiro piano e il suo profumo mi inebria i sensi, cerco di restare ferma il più possibile. Il suo corpo è in mezzo alle mie gambe divaricate e il suo pene ora non è più premuto contro il mio clitoride. Si è allontanato quanto basta da non far sfiorare le nostre parti intime ma non tanto da permettermi di tornare a respirare regolarmente o riprendere le mie piene capacità mentali.
«Riprendiamo», dice con voce profonda e calda. «Non ti vedo lottare con le tue unghiette affilate, gattina», aggiunge con un sorrisetto seducente.
«Posso sempre rimediare e strapparti la faccia».
«Limitati a seguire i miei consigli e prova a liberarti».
Per un po' ci provo davvero a concentrarmi per farlo, ma il suo corpo è troppo vicino al mio e il continuo sfregamento delle nostre parti intime non fa che mandarmi in tilt. Quindi ad un certo punto non riesco a trattenere un gemito osceno e mi ritrovo a pregare Dio di fulminarmi all'istante.
«Cristo, Mallory. Non farlo mai più», ringhia lui, appoggia la fronte alla mia e chiude gli occhi.
Mi acciglio per un attimo. «Hai chiesto tu le unghie». Non l'avrei mai graffiato se non mi avesse provocata.
«Non gemere mai più in quel modo mentre sei sotto di me se non sei disposta a farti scopare», dice però lui, cogliendomi di sorpresa. Mi sento andare a fuoco.
«È stato un riflesso involontario, come la tua erezione», spiego e sono sicura di essere appena arrossita ovunque sia visibile. «Okay, è chiaro che questa posizione non funziona», gli faccio notare.
«Funziona fin troppo, invece».
«Hoffman, sto per prenderti a ginocchiate nelle palle».
«È ciò che avresti dovuto fare dall'inizio, invece hai preferito farmelo venire duro», dice e inizio a muovermi irrequieta per via dell'imbarazzo.
Voglio alzarmi e voglio anche cancellare ogni secondo di questa giornata. È piuttosto umiliante, cazzo.
«Io non ho fatto proprio niente», mi difendo. Non è che mi sono impegnata per fargli venire un erezione, un'idea del genere non mi è nemmeno passata per l'anticamera del cervello.
«Smettila di muoverti», dice a denti stretti e sembra seriamente in difficoltà. Accidenti.
«Oh...» gemo quando per l'ennesima volta finisco per strusciarmi involontariamente contro la sua erezione per via della posizione in cui siamo.
Lui trattiene il fiato e io lo seguo a ruota. «Stronza che non sei altro», dice con ancora la fronte appoggiata alla mia e gli occhi chiusi. Sembra stia cercando di non perdere il controllo.
«Mi dispiace», gli dico anche se non è del tutto vero. Non può dispiacermi per qualcosa che non ho mai avuto intenzione di fare.
Lui apre gli occhi e li punta dritti nei miei. «Ne dubito». Accidenti i suoi occhi azzurri da vicino sono ancora più intensi. Troppo intensi.
Le nostre facce sono troppo vicine e di conseguenza lo sono anche le nostre bocche, perciò prima che possa succedere qualcosa di cui finiremmo entrambi per pentirci, decido di mettere fine a questa situazione. «Alzati, Hoffman. Ne ho abbastanza», dico.
Lui lo fa subito, senza farselo ripetere due volte. Non importa quanto sia eccitato, non importa la posizione in cui siamo o l'evidente attrazione fisica. Mi basta dirlo una sola volta e lui si allontana dal mio corpo come se non fosse accaduto niente.
«A meno che tu non voglia che ti faccia una visita ginecologica o guardi i tuoi leggings bagnati, dovresti chiudere le gambe e alzarti, Malefica».
Alle sue parole scatto come una molla, chiudo le gambe e mi alzo velocemente da terra. «I miei leggings non sono...» cerco di dire che non sono bagnati ma non posso esserne troppo sicura, perché mi sento bagnata.
Voglio morire. Voglio morire in questo istante.
«Non puoi negare qualcosa che posso vedere», ribatte lui. Dubito che la situazione possa diventare più imbarazzante di così e lui non ci prova nemmeno a lasciar cadere il discorso per risparmiarmi la vergogna che sto provando.
«E hai anche il coraggio di definirti un galantuomo».
«Mi sono sempre definito un gentiluomo, il che è diverso», puntualizza lui, come se ci fosse una grande differenza. «Non ho mai detto di essere galante. Sexy sì, irresistibile pure, ma mai galante». Ha dimenticato di aggiungere modesto alla sua lista.
«Gentiluomo e galantuomo per me significano la stessa cosa».
«Questo è un problema tuo».
«Abbiamo finito?» gli chiedo e non mi riferisco al nostro battibecco ma a questo assurdo allenamento.
«Abbiamo appena iniziato», risponde guardandomi con un entusiasmo che non riesco a capire. «Magari questa volta invertiamo i ruoli e stai tu sopra».
«Perché tutto ciò che ti esce dalla bocca sembra avere un doppio senso osceno?»
«Magari sei tu ad avere una mente perversa e oscena».
«Quanto deve durare questa cosa?»
«Perché?» chiede, «Hai fretta di correre a cambiarti i leggings e le mutandine?»
Dire che lo fulmino con lo sguardo è dire poco. Se gli sguardi potessero uccidere ora io sarei in carcere e Aiden tre metri sottoterra.
«Potrebbero essersi bagnati a causa tua». Lui mi guarda come a dire "è ciò che sto dicendo" e sembra anche piuttosto soddisfatto da quella che crede sia la mia ammissione. «A volte capita che gli uomini vengano nelle mutande per una strusciatina come dei tredicenni inesperti, non è un problema, Hoffman. Non lo dirò a nessuno».
«Vieni qui e infilami una mano nei boxer, Malefica. Verifica tu stessa se hai ragione o torto», dice allargando le braccia a mo' di invito. «Sono sicuro che se mi avvicinassi e infilassi le mani nelle tue di mutandine, troverei la prova inconfutabile del fatto che sei una pessima bugiarda».
«Avvicinati e ti spacco il setto nasale».
«Tranquilla, non ti toccherò, non ho alcuna intenzione di beccarmi la rabbia», ribatte. «Ritorna vicino al sacco da boxe e mostrami quello che sai fare».
Lo faccio, ci provo, ma il mio cervello è da tutt'altra parte e di certo non aiuta il fatto che lui sia dietro di me con un erezione ancora piuttosto evidente e che all'occorrenza mi tocchi un po' ovunque anche se è solo ed esclusivamente per farmi capire dove sbaglio e come poter fare meglio.
Forse con il senno di poi avrei fatto meglio a restare a casa insieme a Jo.
✍🏻Spazio autrice✍🏻
No, non è uno scherzo e no, non è meno la vostra immaginazione che vi gioca brutti scherzi. Ho davvero aggiornato due volte in un mese🫵🏻
Che dire del capitolo? Finalmente si è smosso qualcosa (letteralmente💀). Spero che vi sia piaciuto, a me ha divertito molto scriverlo e nulla, cercherò di aggiornare prestissimo👀
Vi aspetto su Instagram per parlarne insieme e leggere i vostri pareri a riguardo. Ovviamente leggo anche tutti i vostri commenti qui🧚🏻♀️
Come sempre vi ringrazio per la pazienza, il sostegno e l'affetto che mi dimostrate ogni giorno. Sono profondamente grata❤️
Noemi
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