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Capitolo 10

Devo imparare a farmi i cazzi miei.

Continuo a ripetermelo passo dopo passo, cercando di inculcarmi il messaggio così profondamente nella mente tanto da non dimenticarlo e finalmente prenderlo alla lettera.

Ma so già che questo non accadrà. Sono stato geneticamente creato per farmi i cazzi degli altri. C'è poco che io possa fare.

Questa zona della città non è una di quelle che Mallory dovrebbe percorrere da sola nel cuore della notte. Lei però non fa una piega, sembra perfettamente a suo agio e cammina come se conoscesse a memoria tutto di queste vie, come se fosse in grado di percorrerle anche ad occhi chiusi.

Non ne faccio una piega nemmeno io, perché come lei, conosco ogni angolo di questa città. Mi limito a camminarle accanto con le mani in tasca. Non ci sfioriamo nemmeno per sbaglio e ad entrambi va bene così.

Le strade sono illuminate solo dalle luci di alcuni lampioni mezzi scassati, le mura sono ricoperte di graffiti e in quasi ogni vicolo buio c'è almeno un tossico. Più di uno, in realtà. Non c'è bisogno che guardi per averne la certezza, lo so e basta.

Decido di rompere il silenzio perché la mia pazienza ha un limite e non riesco a stare zitto per troppo tempo. Questa è un'altra cosa per cui sono stato geneticamente creato: parlare fino allo sfinimento.

«Vieni spesso sola da questa parti?»

Potrebbe essere una domanda scontata, ma per esperienza personale ho imparato a non dare nulla per scontato, neanche una domanda, come in questo caso. E poi sono anche curioso di capire se è davvero fuori di testa come penso che sia.

Mi lancia un'occhiata, sta cercando di capire se la sto giudicando. O meglio, sta cercando di capire se sto giudicando sua zia. Decide che lo sto facendo, quindi contrattacca. «Potrei farti la stessa domanda».

È palese che si stia riferendo al mio passato, a quando nei vicoli bui c'ero io. A quando la persona che veniva cercata in giro ero io. Sono l'ultima persona che potrebbe permettersi di giudicare sua zia e questo lo sa perfettamente.

Ero un tossico, lo so io e lo sa anche lei. Negarlo non cambierebbe la realtà, non è qualcosa di cui vado fiero, ma non è neanche qualcosa che voglio cercare di nascondere. È il passato, non posso cambiarlo.

«No, non più», rispondo tranquillamente. Se pensava di mettermi in difficoltà, ha sbagliato di grosso perché è praticamente impossibile farlo e presto lo capirà anche lei.

Non mi aspetto che risponda, però mi lancia un'altra occhiata veloce e lo fa. «Più spesso di quanto vorrei», dice con voce sommessa, come se le costasse una fatica ammetterlo.

Continuiamo a camminare, lei in silenzio e sulla difensiva, ma anche in un certo senso disperata. Non c'è traccia di sua zia in giro e questo di certo non la tranquillizza.

Avie dice sempre che parlare aiuta le persone in difficoltà a distrarsi, lo stesso pensa Lali. Quindi decido che tentar non nuoce. «Ci vieni sempre da sola?»

Non so perché mi dia così tanto fastidio il pensiero di lei, sola, piccola e indifesa, che si aggira da queste parti a notte fonda. È così e basta.

«Jo ha solo me e mia madre. In realtà solo me, perché lei non è una sua grande fan», dice con gli occhi puntati sulle sue scarpe. «Non è neanche una mia grande fan, a dirla tutta», aggiunge e non appena si rende conto di ciò che ha detto, alza subito lo sguardo di scatto, pentita. È chiaro che non voleva lasciarsi sfuggire niente del genere. «Lascia perdere, non so perché l'ho detto».

Potrei lasciar perdere, ma decido di non farlo. «Nemmeno mia madre è una mia grande fan».

Tempo fa ammetterlo ad alta voce mi avrebbe fatto male. Pensarci mi procurava un dolore sordo e costante che mi comprimeva il petto.

Ora, invece, è una consapevolezza, qualcosa che ho elaborato e accettato, qualcosa che non posso cambiare perché ho capito che non dipende da me.

«A quanto pare è così per tutti da queste parti. Siamo rotti, delle cause perse», dice con voce smorta. «Non esiste una famiglia sana, ci sono solo dei componenti che cercano di tenerla unita facendo da colla o da capo espiatorio, a seconda dei casi».

«Anche noi eravamo rotti. Io e i miei fratelli. Forse una parte di noi lo sarà per sempre», dico, perché nemmeno questo è un segreto. Abbiamo sempre cercato di andare avanti come meglio potevamo e dopo tanto tempo finalmente abbiamo trovato una nostra stabilità, ci siamo creati la nostra propria famiglia. Non è stato sempre così, non quando eravamo piccoli, almeno. «Ma la nostra famiglia è diversa, è unita. Noi ci amiamo e ci proteggiamo a vicenda da sempre e fino al nostro ultimo respiro».

«Gira a destra, c'è un posto a cui non avevo pensato prima», dice, cambiando discorso. La seguo senza dire niente e quando lo faccio, capisco subito dove stiamo andando. Da chi. «Cerca di tenere la bocca chiusa, le cose che dici potrebbero metterci nei guai».

La guardo sorpreso dalle sue parole. «Lo sai con chi stai parlando?» le chiedo, perché a quanto pare l'ha dimenticato.

Io, a differenza sua, sono bravissimo a socializzare e non guasta il fatto che ho vaste conoscenze. La mia parlantina non è mai stato un problema. O quasi mai.

«Un gran rompicoglioni che riesce a far saltare i nervi a tutti, sì, lo so», dice. Mi porto una mano al petto fingendomi offeso. «Stai zitto e lascia parlare me».

Alzo le mani in segno di resa fingendo che mi stia bene, ma non è così. Non prendo ordini da nessuno, tanto meno da una ragazzina dai capelli rossi e la lingua velenosa. Capirà anche questo.

Ci addentriamo nel ritrovo di Jamal Hughes e Paco Castillo, due spacciatori che conosco da anni. Con il primo ci andavo a scuola, il secondo invece è coetaneo di Wolf, una testa di cazzo che parla spagnolo per la metà del tempo e tira più coca di quanta ne vende. Sono entrambi innocui.

Mi guardo intorno, non metto piede in questo posto da un sacco di tempo. Avrei preferito che le cose non cambiassero, ma a quanto pare doveva andare così.

In giro non c'è traccia di Paco, ma vedo subito Jamal. E lui vede quasi subito noi.

Sarebbe stato impossibile non notarlo, è l'unico ad avere le treccine afro e la pelle scura qui in mezzo. E sarebbe stato impossibile anche per lui non notare me e Mallory. Spicchiamo in mezzo alla gente. Io con i miei capelli tanto biondi, la pelle bianca come il latte e ricoperta di tatuaggi. Lei con i capelli tanto rossi, la pelle bianca come il latte e ricoperta di lentiggini.

Non c'è molta gente in giro stasera, di solito ce n'era molta di più. Ma come ho detto, non bazzico da queste parti da un bel po' di tempo, ormai, quindi alcune cose potrebbero essere cambiate.

«Ehi, Mal, piccola», saluta la rossa con un sorriso mentre si alza dalla sedia e ci viene incontro. Stringe velocemente Mallory in un abbraccio che lei ricambia senza irrigidirsi come fa di solito. «Come butta?»

Si fida di lui. Perché si fida di lui?
Devi farti i cazzi tuoi, Aiden, ricordi?

«Ciao, Jamal, sto cercando Jo», risponde. Lui la guarda come a dire ovviamente. Non è la prima volta che si trova in questa situazione e non è di certo la prima volta che viene qui a cercare sua zia, non ci vuole un genio per capirlo. «È passata da queste parti?»

Nega con la testa. «Non le vendiamo più niente qui, piccola. Una promessa è una promessa», dice. La rossa lo guarda con gratitudine e anche con un pizzico di quello che credo si affetto. «Quindi no, non si è fatta viva».

È risaputo che la gente mente, ma gli spacciatori e i tossici mentono il doppio. In questo caso però non credo che Jamal stia mentendo, è probabilmente uno degli uomini più di parola che conosca.

Se ha promesso a Mallory che non venderà più niente a sua zia, non lo farà. Non so per quale motivo le abbia fatto una promessa del genere, va contro ai suoi interessi. Qualsiasi cosa sia, però, sembra averla presa parecchio sul serio, per non dire a cuore.

«Per caso sai dove potrebbe essere andata?»

Lui ci pensa sopra qualche secondo, «Prova a cercare da Kendrik». Conosco anche lui e non mi sta simpatico quanto Jamal. Anzi, a dirla tutta, non mi sta simpatico per niente.

Mallory annuisce perché sa di chi sta parlando e mi ritrovo a chiedermi quanti spacciatori conosca.

Di sicuro non tanti quanti ne conosci tu, risponde la mia coscienza. La bastarda si ricorda di esistere qualche volta. La metto subito a tacere.

«Fantastico», dice la rossa, anche se dubito stia pensando che ci sia qualcosa di fantastico in questa situazione. «Grazie, Jamie».

Jamie. Mi viene da ridere. Non credo di aver mai sentito qualcuno chiamarlo in questo modo e se l'avessero fatto non sarebbero sopravvissuti così a lungo da raccontarlo in giro. Suppongo che anche lui, come me, si lasci intenerire dalle ragazzine sole e senza un briciolo di spirito di autoconservazione.

D'altronde anche Superman aveva la sua kryptonite.

«Figurati, tesoro», le risponde lui. Poi guarda me, per niente sorpreso. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, starà pensando questo. Beh, fanculo Jamie, in questo caso il lupo ha perso il pelo e anche il vizio. O almeno ci sta provando. «Hoffman, tu chi stai cercando?»

L'ultima volta che ho controllato era uno spacciatore, non James Bond, che cazzo. A quanto pare è diventato un cerca persone. Buono a sapersi.

Sorrido. «Un chirurgo plastico in grado di sistemare la tua faccia di merda».

Mallory mi guarda e le si legge chiaro in faccia cosa sta pensando in questo momento. Lo sapevo che avresti fatto danni con la tua boccaccia.

Non sa che io e Jamal ci conosciamo da tempo, che ci siamo detti cose peggiori di queste. Molto peggiori.

Si acciglia quando Jamal scoppia a ridere e si avvicina a salutarmi con il nostro classico saluto da uomini, almeno così lo definisce Tara. «È bello vederti da queste parti, amico», dice.

La mia famiglia avrebbe qualcosa da ridire a tal proposito, ma va bene se sono qui per aiutare e non per iniettarmi qualcosa nelle vene. Deve andar bene.

«Stai facendo passi avanti, piccola», dice poi a Mallory. Lei lo guarda accigliata. «Questo qui è probabilmente il diretto discendente di Satana, ma almeno non è quella mezza cartuccia di Sylas Kraus». A quanto pare Crudelia De Mon sta sul cazzo proprio a tutti.

Mallory sta arrossendo sulle guance, sul collo e sul petto, non per la rabbia, credo sia imbarazzo. «Noi non stiamo insieme», dice subito e sta bene attenta a non guardarmi neanche per mezzo secondo.

«Siamo qui insieme, quindi tecnicamente in questo momento stiamo insieme», la prendo in giro. Diventa ancora più rossa. Cazzo, mi diverte troppo stuzzicarla.

Stavolta però si gira a guardarmi, incrocia le braccia sotto al seno ed io non sono così gentiluomo da non farle notare che le sto guardando le tette. Non sono grandi, ma nemmeno inesistenti come le ho detto una volta. «Seguendo il tuo ragionamento allora starei anche con Jamal», ribatte. «E anche tu staresti insieme a Jamal», aggiunge con un ghigno perfido.

«Un threesome non era quello che mi aspettavo da questa serata», rispondo ed ecco che le si infiammano un'altra volta le guance. È una reazione involontaria del suo corpo, perché in realtà Mallory non è per niente timida. «Di solito li preferisco quando sono l'unico uomo presente nella stanza».

In realtà sempre. Li preferisco sempre quando sono l'unico uomo. Quelli del mio stesso sesso non mi attraggono, peccato per loro. Una gran perdita.

«Posso lasciarvi soli, se volete», ribatte prontamente la rossa, facendomi ridere. Dopodiché lancia un'occhiata a Jamal come a dirgli scusa per questa scenetta patetica.

«Preferirei tranciarmi il cazzo di netto», rispondo. Poi guardo anch'io Jamal, «Senza offesa, ma anche con tutta l'offesa, amico».

«Mi offenderebbe di più se volessi scoparmi», risponde. Rido un'altra volta. Anche sulle sue labbra comprare un sorrisetto. «Ma a quanto pare vuoi scopare lei», indica con un cenno del capo la rossa alla sua destra.

Non lo nego. «O magari è lei che vuole scopare me». Ma non lo ammetto nemmeno. Sono liberi di pensare quello che vogliono.

«Ti ha praticamente scaricato a me, dubito che voglia scoparti», risponde Jamal. Poi però lancia un'occhiata a Mallory e dice: «Anche se guardandola meglio...»

«Va bene, basta così», dice, un'altra volta rossa in faccia e sul petto. «Grazie per l'aiuto Jamie. Ci vediamo». Si avvicina per stringerlo in un abbraccio veloce che lui ricambia senza troppe storie.

Non la tocca e non la guarda come se fosse interessato a lei, come se volesse scoparla.
La tocca e la guarda come se ci tenesse a lei, come se la vedesse come una sorella minore da proteggere.

Tutto il contrario di come la guardo io. Sì, voglio aiutarla e mi viene voglia di proteggerla, ma non disdegnerei scoparmela.

«La prossima volta in un fast food a mangiare qualcosa», le dice, dandole una pacca leggera sulla spalla. Lei sorride.

«Triplo cheeseburger e maxi coca cola?»

«Tu sì che parli la mia lingua, ragazza», alza una mano per farle battere il cinque e lei lo fa. «Ovviamente offro io», le fa l'occhiolino e Mallory annuisce.

Inaspettatamente lei mi guarda come a dire andiamo? Ed io faccio qualche passo nella sua direzione per farle capire che sono pronto a seguirla, che non mi sono ancora rotto le palle.

«Denny, vorrei scambiare qualche parola con te», dice Jamal. «Mal, piccola, inizia ad andare, non ci metteremo molto tempo». Lei guarda prima me, poi lui e poi di nuovo me come se volesse chiedermi qualcosa.

È preoccupata? Per me?

Riderei se non trovassi la cosa estremamente carina per una come lei. Non mi spingo oltre considerandolo un gesto dolce, perché di dolce in lei c'è poco e niente.

«Vai, faccio veloce e poi andiamo a cercare tua zia», le dico per tranquillizzarla. Lei annuisce, ancora poco convinta, poi saluta un'ultima volta Jamal e si allontana.

Questa è la prima volta che mi dà ascolto. Segnerò questo avvenimento sul calendario del mio cellulare.

«Se mi minacci, ti prendo a calci in culo, Jamie».

Lui ride, «Non credo ce ne sia bisogno, amico. Niente minacce». Ma, c'è un ma, è palese. «Solo un piccolo avvertimento». Infatti.

«Per questo potrei tirarti un pugno in faccia, a tuo rischio e pericolo», gli dico. Lui fa spallucce, come se non gliene importasse niente. Masochista.

«Non farle del male, ha già sofferto abbastanza, probabilmente soffre ancora abbastanza. Se vuoi aiutarla, ben venga, ne ha bisogno. Ma se vuoi essere l'ennesima delusione della sua vita, fai dei passi indietro», dice e il pugno va a farsi fottere.

Non posso picchiarlo perché si preoccupa per lei, quindi me ne resto qui in piedi a sorbirmi una ramanzina da parte di qualcuno di cui mi interessa poco e niente. «Avresti dovuto fare questo discorso al suo ex».

«Chi ti dice che non l'abbia fatto?»

«Hai perso la mano, allora, perché sappiamo bene entrambi che non hai concluso un cazzo», gli rinfaccio. Se ci tiene così tanto a lei, avrebbe dovuto fare il culo al suo ex ragazzo al posto di mettere in guardia me.

«Ho fatto quello che ho potuto», dice e decido di non indagare oltre. Non sono cazzi miei. «Mallory è brava a mentire», aggiunge, come se fosse una scusante valida. Ha semplicemente preferito tirarsene fuori perché sa come funzionano le cose per quelli come noi e non gliene faccio una colpa, non del tutto almeno.

Calcare la mano non sarebbe servito a niente, anzi, avrebbe finito per allontanare ancora di più Mallory e spingerla maggiormente verso Kraus. È così che funziona, non è la prima volta che vediamo o sentiamo di una donna succube dell'uomo che avrebbe dovuto soltanto amarla e proteggerla.

«Tratti con bugiardi ogni giorno, dovresti esserci abituato ormai», ribatto. «Non ho intenzione di torcerle un capello, se è questo che ti preoccupa e potrei prenderti davvero a calci nel culo per averlo anche solo pensato».

«Sai che non è quello che intendevo», risponde. «Non picchi le donne e non lo faccio nemmeno io. Abbiamo fatto e probabilmente continueremo a fare molte cose brutte nella vita, ma mai quello».

«Allora è inutile stare a parlare, la rossa mi sta aspettando e sono sicuro che non lo farà ancora per molto».

«Tienila d'occhio».

Sì, beh, se posso evitarlo lo farò sicuramente. «Non sono il suo babysitter».

Lui sorride e non ci trovo un cazzo da sorridere, ma probabilmente si è fulminato il cervello insieme al suo compare. «Ci si vede, amico», dice poi.

Gli faccio solo un cenno di saluto col capo e con le mani in tasca mi dirigo verso l'uscita. Inaspettatamente trovo Malefica appoggiata al muro con le braccia conserte, pensavo avesse colto la palla al balzo e fosse andata via lasciandomi indietro.

«Stavo per andarmene, Hoffman», dice e intravedo le chiazze rosse che si iniziano a formare sul suo petto, tra poco toccherà anche alle sue guance. La imbarazza avermi aspettato, sono sicuro che si stia pentendo di averlo fatto.

Non trattengo un sorriso e lei mi lancia un'occhiataccia. «Non ne dubito».

«Togliti quel sorrisetto soddisfatto dalla faccia», brontola. Prima o poi inizierò a chiamarla Malefica Brontosauro.

«Io al contrario tuo sorrido alla vita».
Il fatto che la vita raramente ricambi il sorriso è un'altra storia.

«Ma io sorrido alla vita, è solo a te che non sorrido», ribatte prontamente. Mimo una pugnalata al cuore e lei alza gli occhi al cielo.

Sto per dirle qualcosa ma il suo cellulare inizia a suonare, qualcuno la sta chiamando. Lei lo prende e legge il nome sullo schermo, poi risponde subito. «Jo», dice.

È sua zia. Se ha chiamato vuol dire che è viva, questo è un buon segno.

«Dove diamine sei?» chiede a voce alta. Ha le sopracciglia corrugate, è confusa. «Aspetta, così non riesco a sentirti». Mette il vivavoce per provare a sentirla meglio e se ne frega del fatto che ci sia anche io qui con lei.

«Sto...» sua zia strascica le parole e questo non è per niente un buon segno. «Bene», riesce a dire dopo qualche secondo. «Torno a casa domani».

«Che cazzo, Jo, non farai niente del genere», sbotta la rossa, preoccupata da morire. «Tu torni a casa adesso, dimmi dove sei così vengo a prenderti se non ce la fai a tornare da sola e nessuno può accompagnarti».

Inizia a camminare avanti e indietro in maniera nervosa, non riesce a stare ferma nemmeno un attimo.

«Sono a casa di... un tizio che ho conosciuto... dove l'ho conosciuto?» fa una pausa nell'intento di pensarci sopra, poi ridacchia. «Non riesco a ricordarlo, Mally. Ma sto... bene... torno presto».

«Non stai bene, Jo. Sei fatta e forse anche ubriaca, a stento riesci a parlare. Non puoi stare a casa di un estraneo in queste condizioni, hai capito?» Sua zia in risposta biascica qualcosa di incomprensibile. «Cristo, Jo, stai capendo almeno una parola di ciò che ti sto dicendo?»

«Domani ti accreditano...» si blocca per cercare di ricordare «lo stipendio... sì ho capito», farfuglia. «Ora devo andare. Ci... vediamo domani».

«Non azzardarti a riattaccare».

«Jojo, vieni», si sente dire da una voce maschile in sottofondo. «Avevi promesso di succhiarmi di nuovo il cazzo, ora ne ho voglia».

La linea cade, Malefica sbianca e sembra sul punto di vomitare. Le sue spalle cedono ed è questione di tempo prima che lo facciano anche le sue gambe. Sembra atterrita. Provo ad avvicinarmi per fare qualcosa, la prima cosa che mi passa per la testa, lei però fa un passo indietro.

«Non farlo, non abbracciarmi. Perché se lo fai piangerò», dice e a quanto pare in questo momento non ha problemi ad ammettere una cosa del genere.

«Le stronze non piangono», dico con la speranza che ritorni in sé e me ne dica quattro, ma niente da fare. Resta con gli occhi bassi e riesco a vederle le mani che tremano. «Possiamo continuare a cercarla, ispezioniamo da cima a fondo ogni angolo di questa merda di posto fin quando non troviamo qualcuno che ci sappia dire qualcosa», propongo in un attimo di impeto.

Non credo che riusciremmo a trovarla, ma sono disposto a provarci se questo vuol dire farla sentire meglio.

«Probabilmente è fuori città», lo dice così piano che mi è quasi difficile riuscire a sentirla. «Non è la prima volta che lo fa e... Dio, chissà cosa si lascerà fare con i sensi annebbiati da qualsiasi cosa abbia preso. Mi viene da vomitare».

Sta per avere un attacco di panico, proprio qui, davanti a me. Riesco a riconoscerne i sintomi, a vederli chiaramente. Nausea. Tremore. Fiato corto. Probabilmente ha anche il battito cardiaco accelerato.

Fa un passo indietro e barcolla come se stesse per perdere i sensi da un momento all'altro. Scatto in avanti e la stringo a me mettendole un braccio intorno alla vita. È così minuta che potrebbe sparire fra le mie braccia.

«Va tutto bene, ti tengo», le parlo all'orecchio. Lei continua a tremare, respira a fatica. «Respira, Mallory. Respira insieme a me». La costringo ad alzare lo sguardo e a guardarmi, le faccio segno di imitare i miei gesti. Inspiro ed espiro, lei cerca di fare lo stesso ma in un primo momento non ci riesce e leggo chiaramente il panico nei suoi occhi. Poi, però, pian piano inizia a respirare come le ho detto. «Brava, così, lentamente»

Continuo a tenerla stretta a me in un abbraccio che non è un abbraccio, tengo solo un braccio intorno alla sua vita e la mano sotto al suo mento per farle tenere gli occhi puntati nei miei. Il suo petto si alza e si abbassa con normalità adesso, ma non mi allontana.

Chiude gli occhi e appoggia la testa sul mio petto mentre continua a respirare lentamente. Le accarezzo piano la parte bassa della schiena e resto in silenzio.

Non so per quanto tempo restiamo in questa posizione, so solo che ad un certo punto, lei con voce bassissima dice: «Ti avevo detto di non abbracciarmi». Capisco che è ritornata in sé, perciò sorrido.

«Avrei potuto leccarti per farti tranquillizzare, ma non mi sembrava il caso», mi tira uno schiaffo leggero sugli addominali facendomi ridere. «Comunque non ti sto abbracciando, ti sto tenendo», puntualizzo. Perché questo non è abbracciare. Non riesce a distringere nemmeno un abbraccio vero e proprio da uno che non è neanche minimamente comparabile. «E tu non stai piangendo».

«Avresti goduto nel vedermi piangere, dì la verità», dice. Sta scherzando, sa che se avessi goduto nel vederla star male l'avrei lasciata a cavarsela da sola durante l'attacco di panico.

Non godo nel veder soffrire le persone. Non rido a spese degli altri, almeno non di tutti, solo a spese di Brose. Ok, no, nemmeno a spese sue, non sul serio.

«Avrei goduto di più se ti avessi vista nuda, in realtà», ribatto e le scappa un risolino che muore sul nascere.

«Sei un'idiota».

«Un'idiota con un fisico da urlo che stai palpando per bene», ribatto ma non è vero. Cioè sì, è vera la parte del fisico da urlo, ma non la parte in cui lei mi palpa.

«Coquette».

«Mi hai appena dato del coglione in francese o qualcosa del genere?» chiedo, «Non è equo insultarmi in una lingua che non conosco».

«Rimarrai col dubbio, Hoffman», risponde lei. Poi cala un'altra volta il silenzio e ad un certo punto sospira, come se fosse stanca.

«Stai meglio?» le chiedo, anche se ne dubito.

Sono sicuro che sia ancora in pensiero per sua zia, ma voglio essere certo che non appena la lascerò e mi allontanerò, starà bene.

«Sì», risponde, dopodiché alza la testa e mi guarda. Ha gli occhi di chi è costretto a dichiarare la guerra quando smania per la pace. «Puoi lasciarmi andare adesso».

«Non lo so, non ne sono convinto», le dico. «Dammi un bacio così verifico che tu non stia mentendo».

Fingo di volermi chinare verso di lei per avvicinare la faccia alla sua, ma lei si tira indietro, anche se ho ancora il braccio intorno alla sua vita.

«L'unica cosa che ti darò se non ti allontani è un pugno nello stomaco».

Rido e la lascio andare. «Sì stai decisamente bene», le dico. «Cos'hai intenzione di fare adesso?»

«A parte tornare a casa e non chiudere occhio per tutta la notte?» chiede. «Niente».

L'immagine di lei da sola per tutta la notte, in pensiero per sua zia, non mi piace per niente. Potrebbe venirle un altro attacco di panico. «Non devi tornare per forza a casa».

«Vuoi che dorma per strada?» chiede con sarcasmo.

«Hai appena detto che non dormirai», le faccio notare.

Lei mi lancia un'occhiataccia. «Non dormirò e non ti scoperò, Hoffman».

«Non mi pare di avertelo chiesto, signorina ce l'ho placcata in oro ventiquattro carati», la prendo in giro. «Avresti potuto godere della mia ottima compagnia, ma ormai la nave è salpata».

«La tua nave è paragonabile al Titanic, perciò l'ho scampata grossa», dice con tanto di sorrisetto falso.

«Il Titanic era un transatlantico».

Ringrazio mentalmente Avie, McChicken e Tara per avermi costretto a vedere tre volte quel dannato film. Una tortura che è servita a qualcosa.

«Hai intenzione di toglierti di torno?»

«Non prima di averti riaccompagnato a casa», dico. Non la lascerò andare in giro da sola, ormai dovrebbe averlo capito. Ma a quanto pare è troppo testarda per capirlo.

«Fare il gentiluomo non ti si addice». È tornata ad essere la rompicazzo acida di sempre, perfetto. Il mio lavoro qui si è concluso.

«Ma io sono un gentiluomo», dico. Lei mi guarda come a dire sì, certo, come no. «Senti, ti accompagno e poi ognuno per la sua strada».

«Allora inizia a camminare, Hoffman».

☄️☄️☄️

Sono le tre di notte quando torno al club. Il locale è ancora pieno zeppo di persone e probabilmente sarà così fino alle sei del mattino.

Avrei potuto tornare a casa mia dopo aver accompagnato Mallory a casa sua, ma non ne avevo voglia, perciò eccomi qui.

Sto per entrare nel club quando una voce che riconosco molto bene, mi chiama. Mi giro verso Tara, che se ne sta in piedi con un vestitino rosa davvero minuscolo e una sigaretta nella mano destra.

Sua sorella storcerebbe il naso davanti a questa scena, odia che Tara fumi e odia che lo facciano anche mio fratello e McKenna. Anche se non se ne è mai lamentata, anzi, forse l'ha fatto solo con Phoenix.

«Ciao, nanetta», le dico. Dopodiché mi avvicino e le bacio una guancia per salutarla. Il fumo passivo mi riempie i polmoni.

«Non sono così bassa con questi tacchi», piagnucola facendomi sorridere. Continua ad essere molto più bassa di me anche con i trampoli ai piedi. È un dato di fatto.

«So come sei senza tacchi» e anche senza vestiti.

Mi fa il dito medio, io le scompiglio i capelli e lei urla per poi scansarmi con la mano libera. Fuma quel che resta della sua sigaretta, la getta a terra e la schiaccia con la punta delle scarpe.

«È incredibile che a settembre faccia ancora così caldo, prima o poi finirò per sciogliermi al suolo», si lamenta. Tara è specializzata in lamentele continue. La cosa mi fa quasi sempre ridere.

«Se non finirai sciolta per il caldo, lo farai per la mia presenza. Quindi sono d'accordo».

Fa una smorfia. «Mai incontrato qualcuno che abbia l'ego più enorme del tuo».

«Più che l'ego dubito che tu abbia trovato qualcuno che abbia il cazzo più enorme del mio», ribatto prontamente. Lei ride. Poi fa un passo verso di me.

«Ti ho cercato quando sono arrivata», dice poi, cambiando discorso. Mi guarda in attesa di una risposta.

«Mi hai trovato».

«Qualcuno ti ha visto andar via con Mallory», sputa fuori il nome della rossa come se fosse qualcosa di disgustoso.

La guardo, capendo già dove voglia andare a parare. «Se mi ha visto qualcuno allora è vero», rispondo.

«Lo è?»

«Sì, ero con Mallory».

La risposta non le piace per niente, non ci vuole un genio per capirlo e Tara è una che non cerca di nascondere le proprie emozioni, anzi, le sbatte in faccia a tutti. Non so ancora se questa sia una cosa positiva o negativa, credo dipenda dai punti di vista.

Non credo sia gelosa di me perché è innamorata o qualcosa del genere. Tara è gelosa di tutte le persone a cui tiene, vuole stare costantemente al centro delle nostre attenzioni. È fatta così.

Quando qualcuno le ruba la scena non le piace per niente. È un comportamento alquanto egocentrico e forse un po' egoista, ma abbiamo imparato tutti ad accettarlo o al massimo capirlo. Tutti tranne mio fratello e McKenna che se ne fregano altamente delle sue manie di protagonismo. Io invece mi limito semplicemente ad ignorare la cosa.

«Lei non mi piace», confessa, come se non ce ne fossimo già accorti tutti.

L'ha messo subito ben chiaro fin dall'inizio, non le ha mai dato davvero una possibilità, ha deciso che non le piace e ha cominciato a comportarsi da Tara, fine della storia. Ma Mallory non è l'unica che non le piace, a Taranee Kostner non piacciono molte persone.

«Ma dai», le dico divertito. «Non l'avrei mai detto», aggiungo con sarcasmo.

«A te piace?» chiede, arrivando dritta al punto. Anche questo è molto da Tara.

«Non lo so», rispondo e sono sincero, come sempre. «Non l'ho capito ancora se mi piace o meno».

Il discorso cade, torniamo a sfotterci e a comportarci come sempre. Mi racconta come sta andando il suo negozio, nomina solo una volta il suo ragazzo tira e molla, poi parla della nuova serie tv che ha iniziato ieri e non menziona più nemmeno una volta Mallory.

Ad un certo punto ricevo un messaggio da parte di un numero che non ho salvato in rubrica.

Lo apro. Contiene solo una parola. Grazie.
Sorrido.

Decido di non rispondere e infilo il cellulare in tasca. Poi torno a guardare Tara che aveva gli occhi già puntati su di me, mi guarda come a dire secondo me l'hai capito.

Ma non dice niente e nemmeno io.

✍🏻Spazio autrice✍🏻

Ed eccomi con un altro capitolo🥹
Spero che vi piaccia e non vedo l'ora di sapere le vostre opinioni a riguardo❤️

Come sempre vi aspetto su Instagram per parlarne insieme e leggo tutti i vostri commenti👀

Avrei voluto mettere delle foto fatte con AI a fine capitolo ma diciamocelo... sono negata in queste cose e il programma mi detesta, quindi, lavoriamo di fantasia

La buona notizia, però, è che sto già scrivendo l'altro capitolo, perciò arriverà presto🫡

Come sempre vi ringrazio per tutti i messaggi, i commenti, il vostro sostegno, la vostra infinita pazienza e l'affetto che mi donate ogni giorno. Grazie, davvero🫂

Noemi

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