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Capitolo 1

L'ambiente che mi circonda puzza di alcol, sesso, sigarette e di qualche altra sostanza che non riesco a identificare, ma che sarà sicuramente nociva.

È nauseante e dovrei averci fatto l'abitudine, ormai, ma a quanto pare non ci si abitua mai.

Mi tocca orientarmi al buio perché le finestre sono chiuse. Le tende nere, ormai logore e anche un po' strappate in alcuni punti, sono state tirate per tenere la luce del giorno il più lontana possibile.

Urto una bottiglia di vetro con la gamba e sto bene attenta a non calpestare nessuna delle altre, dato che sono sparse un po' ovunque.

Ci sono bottiglie di birra vuote dappertutto, credo che l'abbiano versata anche per terra e su due delle poltrone. Sempre che sia birra e non qualche fluido corporeo. Disgustoso.

Ringrazio il cielo di non dover essere io quella a ripulire questo casino. Non voglio beccarmi nessuna malattia e sono sicura che in questo posto si rischia di prendere anche la peste bubbonica, oppure qualche malattia che non è ancora stata scoperta.

Porto lo sguardo sul divano e con la poca luce che attraversa le fessure, riesco a vedere il corpo di mia zia sdraiato su di esso. I capelli castani le coprono il viso.

Sul tavolino davanti a lei ci sono dei residui di polverina bianca, di certo non si tratta di farina o di polveri acriliche.

Da questa distanza, comunque, non riesco a capire se sta semplicemente dormendo o se invece è priva di sensi per via del festino che ha dato ieri notte, durato quasi sicuramente fino alle prime luci dell'alba.

Prima di avvicinarmi a lei apro di poco la finestra per far cambiare un po' l'aria, perché il tanfo rischia di farmi venire i conati di vomito. Tengo comunque le tende chiuse, così da non farle dolere troppo la testa una volta che avrà aperto gli occhi.

Se, aprirà gli occhi.

Spero che non ci sia rimasta secca, che mi risparmi il ritrovamento del suo cadavere. Morire di overdose a trentacinque anni è poco allettante, anche se sembra proprio che aspiri a questo.

«Jo», la chiamo, piegandomi sulle ginocchia per scostarle i capelli sudati dalla fronte. «Jo, svegliati».

Non la chiamo zia, dubito di averlo mai fatto, a lei non piace. Ha sempre detto di essere troppo giovane per essere già zia, che al massimo poteva sembrare mia sorella maggiore.

Sto per prenderle il polso per rilevare la sua frequenza cardiaca e assicurarmi che sia viva, ma lei mi precede e mugugna qualcosa di incomprensibile.

Allontano subito la faccia perché il suo alito sa di alcol e vomito, combinazione nauseante.

«Va bene, puoi restare pure così, se vuoi. Sono solo passata per assicurarmi che fossi viva», le dico, alzandomi in piedi. «E lo sei, anche se sembri uno zombie uscito da uno degli episodi di The Walking Dead».

«Che ore sono?» chiede però lei, portandosi un braccio sopra gli occhi per coprirli. Immagino che pur essendoci poca luce, le dia comunque fastidio tenere gli occhi aperti.

«Le dieci del mattino».

«Mi scoppia la testa», piagnucola e con ancora gli occhi chiusi prende a massaggiarsi le tempie.

Dovrebbe prendere un analgesico o un'aspirina, magari. Dubito però che sia una buona idea pensando alle sostanze stupefacenti che probabilmente avrà mescolato ieri sera.

«Ci credo», le dico. Ho smesso ormai di chiedermi perché lo faccia, perché si ostini a suicidarsi lentamente in questo modo. Perché tratti il suo corpo come se fosse qualcosa che non ha valore.

O forse sì, a volte glielo dà il valore, giusto il prezzo di qualche grammo di cocaina o una dose di eroina. Poco le importa quale sia la droga, fa poca differenza che sia metanfetamina, anfetamina, eroina, oppio o cannabis. Le basta sapere di poterla avere per vendere se stessa.

«Sono stata licenziata, di nuovo», mormora poi. Non è che sia una novità, mia madre quando parla di Jo dice sempre che non riesce a tenersi a lungo né un lavoro, né le mutande.

No, diciamo che non vanno propriamente d'accordo. Non so cosa significhi avere una sorella o un fratello, sono figlia unica, ma dubito che i fratelli si trattino tutti di merda come fanno mia madre e Jo.

«E hai pensato bene di spendere i soldi della liquidazione in droghe e alcol, al posto di metterli da parte per qualunque necessità».

«Quando parli così mi ricordi tua madre, Mally». Il che detto da lei, non è per niente un complimento. Non ha una buona opinione della mamma e ad essere onesti a volte non ce l'ho nemmeno io. «Ho sete, puoi prendermi qualcosa da bere?»

«Altra birra?» Ci scherzo sopra per vedere la sua reazione e sembra che solo il pensiero la faccia star male.

«Ti prego, no», piagnucola lei. Non posso fare a meno di ridere perché tempo tre o quattro ore e ricomincerà a bere birra come se fosse acqua.

Mi allontano per andare in cucina, accendo la luce, mi avvicino al frigo e cerco una bottiglia d'acqua, cosa che non trovo. Il frigo è quasi vuoto, fatta eccezione per un sandwich mangiucchiato, una mela marcia, un cartone di latte probabilmente andato a male e un uovo.

Chiudo il frigo con una smorfia di disappunto, prendo un bicchiere di vetro dalla credenza e riempio l'acqua dal rubinetto. Dubito sia potabile o lontanamente igienica dato che le tubature saranno sicuramente arrugginite, però se non l'hanno uccisa le droghe e l'alcol, suppongo che non sarà un po' d'acqua a farlo.

«Ecco l'acqua, bevi a sorsi piccoli o vomiterai di nuovo». Le passo il bicchiere e lei con lentezza disarmante si mette a sedere sul divano, poi lo afferra.

Ha incrociato le gambe e i suoi pantaloncini di jeans inguinali si sono ficcati in punti davvero dolorosi, ma lei non fa una piega e prende a bere tutto d'un sorso, ignorando la mia raccomandazione. Tipico di Jo.

«Stavo per morire per disidratazione». Mi passa il bicchiere che prendo e appoggio sul tavolino. «Sei tornata rossa oppure ho le allucinazioni?»

«Dipende», le dico, «Ti sei data all'L.S.D?»

Le scappa una risatina che muore sul nascere, perché dopodiché si riporta le dita sulle tempie. Sono convinta che si senta come se il cervello le stesse per schizzare fuori dagli occhi o dalle orecchie.

«Stronza spiritosa».

«Ognuno di noi ha i suoi pregi», faccio spallucce, «Io devo andare, credi di poter sopravvivere senza di me o ti lascerai morire sul divano?»

La seconda è l'opzione più valida però cerco sempre di darle il beneficio del dubbio.

«Potrei dare accidentalmente fuoco alla cucina mentre cuocio qualcosa». Anche se è ridotta uno schifo, riesce sempre a fare del sarcasmo.

Jo non sa cucinare, a stento riesce a farsi un sandwich senza rimetterci qualche dito o direttamente tutta la mano.

«Dovresti avercelo del cibo in casa per pensare di cucinare e dare fuoco alla cucina», le faccio notare, «Stasera prima di andare a lavoro faccio un po' di spesa e te la porto».

Lei mugugna qualcosa che dovrebbe essere un ringraziamento. Poi alza gli occhi su di me con fatica.

«Resti da me?»

«La mia camera ne è uscita illesa dall'orgia di ieri?» Le chiedo, perché non ho alcuna intenzione di dormire in una camera dove ci hanno fatto dentro Dio solo sa che cosa.

«Ragazzina, niente orge in casa mia, ho solo dato una festa», dice, «E in camera tua non è entrato nessuno, ho chiuso la porta a chiave».

Ho una camera a casa di Jo, che a differenza di tutto il resto dell'abitazione, è tirata a lucido. Potrei dire che vivo più spesso qui che a casa con mia madre.

Quando Felix, il compagno di mamma, lavora e quindi sta in giro con il suo camion, io resto con mamma. Poi però torna e io devo darmela a gambe velocemente, perché Felix è un ubriacone dalle mani lunghe e mamma in un modo o nell'altro finisce sempre per preferire lui, per credere a lui.

Non mi ha creduta quando a undici anni le ho detto che mi spiava quando ero sotto la doccia, non mi ha creduta a tredici quando le ho detto che mi aveva palpato il sedere, non mi ha creduta a quindici quando le ho detto che aveva cercato di baciarmi.

«Felix è tornato dal viaggio in camion, perciò sì, resto qui stasera», le dico, «Grazie, Jo». Fa un gesto della mano come per dire "lascia perdere".

«Dio», borbotta poi, all'improvviso. La guardo accigliata.

«Che succede?»

«Mi sono ricordata delle condizioni in cui ho lasciato il bagno, ieri, dopo aver vomitato», piagnucola. «Mi dai una mano a pulire?»

Ammetto che apprezzo il coraggio che ha avuto nel chiedermelo, ma allo stesso tempo mi porta a domandarmi se le droghe hanno consumato lentamente anche le ultime cellule sane del cervello che le erano rimaste.

«Ti voglio bene, Jo, ma non così tanto bene da pulire il tuo vomito dal pavimento».

«Piccolo demonio», dice con un sorriso. I suoi denti hanno visto tempi migliori, le droghe hanno rovinato anche quelli. Gli occhi marroni sono spenti e lucidi.

«Devo andare, ci vediamo stasera», le dico, poi mi allontano per raggiungere la porta.

«Fa attenzione, Mally». È una cosa che mi dice sempre, anche se lo sa che sto sempre attenta, che so come stare al mondo.

D'altronde con un padre in carcere da anni e una madre che venderebbe la sua anima al diavolo per il compagno pedofilo, maniaco e ubriacone, non poteva essere altrimenti.

La vita è una bastarda che si diverte a dare almeno tanto quanto si diverte a togliere. Bisogna farsi la pelle dura, corazzata.

Potrei affermare comunque che Jo, a modo suo e quelle poche volte in cui è lucida, è l'unica persona che si preoccupa per me.

«Cerca di rimanere viva, Jo».

Questa, invece, è una cosa che le dico sempre io.

***

La gonna corta di pelle nera che ho indossato stasera per il mio turno al club dei Thunderstorms si solleva troppo spesso per i miei gusti. Devo tirarla giù ogni due secondi e non è una cosa facile da fare mentre reggi vassoi pieni di drink da servire ai tavoli.

Amo vestirmi in modo femminile, vario e colorato, però accidenti, alcune gonne sono l'inferno. Andrebbero abolite.

Il top che ho indossato, invece, non mi crea problemi, non devo preoccuparmi di restare con le tette al vento, oltre alle chiappe. Anche se comunque non ci sarebbe nulla da guardare, le mie tette sono praticamente inesistenti. Preferisco però che restino coperte.

È una serata bella piena, questa. Il club è pieno zeppo di persone, le ballerine si sono divise, alcune sono ai loro posti sui cubi, le altre vanno in giro per i tavoli a strusciarsi sugli uomini. Quelle come me, invece, quelle che servono e basta, girano per i tavoli per servire i drink.

Intravedo varie facce conosciute e mi tengo a debita distanza da quasi tutti loro, perché non tutti sono una buona compagnia. Gli unici con cui mi fermo a scambiare qualche parola di tanto in tanto sono quelli seduti al tavolo degli Hoffman.

«Mal, gli ordini del tavolo di Martinez», mi dice Sheyla, una delle altre cameriere, forse l'unica con cui sono riuscita a instaurare un rapporto di amicizia vero e proprio.

Le altre ragazze sembrano costantemente in competizione l'una con l'altra e ci ho messo poco a capire che stanno facendo letteralmente a gara per accalappiarsi uno qualunque dei Thunderstorms e con due dei membri più importanti fuori dal mercato, il cerchio sta iniziando a restringersi. Ecco perché non è facile stringere amicizia con loro, pensano che chiunque sia una minaccia.

Rivoltante e degradante.

Fare a capelli per un uomo non rientra nei miei obiettivi di vita, non che ne abbia molti, a parte sopravvivere.

«Bimba, so che Martinez e i suoi amici sono dei veri coglioni, però non c'è un'altra ragazza disponibile», dice la mia amica, dispiaciuta. «Ti accompagnerei ma sai che non posso spostarmi da qui».

Sheyla sa che non sopporto Martinez e nemmeno i suoi amici, ma il lavoro è lavoro e a me i soldi servono. Perciò prendo i drink, li poso sul vassoio e mi stampo un sorriso in faccia.

«So come gestire quel branco di idioti, Shey, non preoccuparti», la tranquillizzo. Conosco Martinez e i suoi amici da anni ormai, per via del mio ex ragazzo, che a conti fatti non è poi tanto meglio di loro.

«Non mi piace l'idea di gettarti in pasto ai lupi, non quando sembri una preda così succulenta», dice, mettendo il broncio. Nel mentre si rigira la punta dei suoi capelli tinti di lilla tra le dita, è un vizio che ha. «Non dire a Bryony che ti ho definita una preda succulenta», aggiunge poi con un sorrisetto.

Bryony è la sua fidanzata, stanno insieme da quasi tre anni e non l'ho conosciuta in circostanze tranquille, diciamo.

«È ancora gelosa di me?» Le chiedo, ricordando la scenata di gelosia che le fece, anche se è acqua passata, ormai, io e Bryony andiamo d'accordo ora.

«No, Bry ti adora», dice, «E pensa anche lei che tu sia una preda succulenta».

«Ti prego, non ripetere mai più le parole preda e succulenta nella stessa frase», le dico con una smorfia disgustata.

«Vai, prima che uno di quei coglioni decida di venire a lamentarsi». Mi indica con un cenno del capo una direzione ben precisa, la parte in cui si trova il tavolo di Martinez. «Ho dimenticato il taser a casa stasera».

Sì, Sheyla ha davvero un taser e gliel'ho visto usare una volta, non so come se lo sia procurato, meglio non chiedere. È tutto pieno di brillantini rosa e ha detto che me ne regalerà uno, prima o poi. Seppur mi sia dimostrata riluttante all'idea, non mi dispiace poi così tanto. C'è chi nella borsa ha lo spray al peperoncino e chi, invece, un taser con dei brillantini.

Quando arrivo al tavolo cerco di servire i drink velocemente, così da filarmela subito e senza attirare troppo l'attenzione. E ci stavo riuscendo fin quando Hector Martinez non ha alzato lo sguardo su di me.

«Dove vai così di fretta, bellezza?» chiede, guardandomi con aria maliziosa. «Non mi dai nemmeno un bacio in nome dei buon vecchi tempi?»

Squadro prima la sua testa rasata e piena di tatuaggi, poi il piercing al sopracciglio, gli occhi scuri e le braccia tatuate. Non riesco a trattenere una smorfia di disgusto.

Fisicamente potrà pur essere ben messo ma la merda che si porta dentro non la può camuffare con i tatuaggi e il taglio militare, tanto meno con il fisico scolpito.

«A lavorare, Hector, anche se dubito che tu sappia cosa significhi», rispondo, anche se avrei dovuto voltargli le spalle e andarmene. Ma ignorare le provocazioni a quanto pare non mi riesce tanto bene. «Campi ancora con la pensione della tua povera nonnina?»

Le risate dei suoi amici lo fanno diventare rosso dalla rabbia e io mi ritengo più che soddisfatta. È matematico che l'alleanza e la fratellanza vengono meno quando una donna mette a tappeto uno dei tuoi usando solo le parole, soprattutto se è il leader.

«Perché non chiudi quella boccaccia e ci fai uno spogliarello?» Mi ordina, come se fossi la sua serva o come se avesse un qualsiasi potere decisionale su di me. «Oppure direttamente un servizietto, se non ricordo male eri piuttosto brava».

I suoi amici ridono di nuovo, questa volta perché credono che abbia messo a tappeto me. Come se Hector avesse detto qualcosa di nuovo o come se fossi la prima donna a cui viene detta una frase del genere.

Vuoi che una donna abbassi il capo e corra a nascondersi imbarazzata? Insultala menzionando il sesso. È questo ciò che pensano.

Ti piace far sesso, sei consapevole del tuo corpo e di ciò che vuoi? Sei una troia.

Non sei abbastanza brava a fare sesso e poni dei limiti? Sei frigida, una suora, il sesso non fa per te.

Respingi un uomo che non ti interessa? Sei sicuramente lesbica, sfigata o una che se la tira troppo.

Non lo respingi perché invece ti piace e magari stavi aspettando che si facesse avanti da tanto tempo? Sei una facile, una con cui giocare e basta.

Ti vesti in modo carino o sexy? Sei una puttana sfacciata che mostra troppo la mercanzia, abbi un po' di pudore!

Ti vesti in modo comodo e confortevole? Scoprile un po' di più quelle gambe, sembri una monaca!

Trovano sempre un modo per insultarti menzionando il sesso, prestazioni sessuali o l'estetica. E non sono mai originali, se proprio vogliamo dirla tutta.

«Perché vengo pagata per servire ai tavoli, non per strusciarmi sul tuo cazzo minuscolo», rispondo, «E onestamente non lo farei nemmeno se mi pagassero con tutto l'oro del mondo».

«Ah, dimenticavo, fai la puttanella in giro solo se te lo ordina Kraus», sogghigna, mettendo in mezzo il mio ex ragazzo. Lo chiama sempre per cognome quando non c'è e non ho mai capito il perché.

Fingo che il suo commento non mi abbia minimamente toccata, ma in realtà non è così, perché ogni volta che c'è di mezzo lui o che viene nominato, qualcosa dentro di me continua a spezzarsi. Non a rompersi, perché se mi fossi rotta non sarei qui, solo spezzarsi. Perché mi ha spezzata così tante volte che ho perso il conto ormai.

«Goditi la serata e va dritto all'inferno, Hector».

Ignoro le parole schifose che continua a rivolgermi insieme ai suoi amici quando gli volto le spalle, mi allontano velocemente e cerco di trovare un angolo isolato in cui poter prendere un po' di respiro.

Non ne trovo nemmeno uno, in cambio però trovo Bobo, ovvero Borys Garcia, uno dei membri dei Thuderstorms. E devo dire che è comunque come prendere una boccata d'aria fresca.

«Stai bene, Mal?», mi chiede, «Ho sentito la tua conversazione con Hector, non mi sono messo in mezzo perché ho visto che te la stavi cavando alla grande».

«Come sempre, no?» faccio spallucce e un sorrisetto. Me la cavo sempre alla grande, in un modo o nell'altro.

Lui mi avvolge un braccio intorno alle spalle e io come sempre glielo permetto, di solito non mi piace quando gli uomini mi toccano senza preavviso.

«Sei stata mitica», mi dice, stringendomi a sé. Bobo è uno da contatto fisico, molto contatto fisico. «Tu sì che sai come disintegrare l'ego di un uomo», aggiunge, ridendo.

«Lui è bravo a disintegrarselo da solo», mi limito a dire.

Bobo annuisce come se pensasse lo stesso e non lo dubito nemmeno per un istante. Chiunque abbia avuto il dispiacere di conoscere Hector sarebbe d'accordo con ciò che ho detto.

«Non glielo infilerei dentro nemmeno se avesse l'unico buco disponibile sulla faccia della terra», dice e ora è lui quello che fa ridere di gusto me.

Ecco perché andiamo d'accordo, perché è schietto proprio come lo sono io.

«"Se non ricordo male eri piuttosto brava"», gli fa il verso, facendomi ridere ancora. «Come se fare dei pompini come si deve fosse un insulto, che cazzo, io sono il re dei pompini, se l'avesse detto a me l'avrei preso come un complimento». O gli avrebbe rotto la mascella.

Sono sicura che la seconda opzione sarebbe stata quella più giusta e devo dire che me la sarei goduta un sacco.

Bobo vive la sua sessualità liberamente e non ho mai sentito qualcuno insultarlo o appellarlo in malo modo, anche se so che non è stato così anche in passato, purtroppo. Il fatto che sia cresciuto con gli Hoffman e sia entrato a far parte dei Thunderstorms, però, ha contribuito a far sì che la gente lo lasciasse in pace. Questo e aver imparato a picchiare forte.

«Vorrei tanto restare qui con te a parlare, ma temo che mi tocchi tornare a lavorare», sbuffo. Al momento è l'ultima cosa che vorrei fare, però mi tocca. «Sento già le occhiatacce omicide di Cairo perforarmi il cranio», aggiungo con un sorrisetto divertito. Giuro però che ricevere quelle occhiatacce non è per niente divertente.

«Stasera non è qui, perciò non corri alcun pericolo», dice, tentandomi. «E comunque non ti licenzierebbe mai, Ava gliela farebbe pagare».

Probabilmente è vero, si è in un certo senso battuta per me quando eravamo due sconosciute, per farmi dare questo lavoro dopo che avevo passato quasi un anno e mezzo a pregarlo senza sosta e ricevendo sempre la stessa risposta, ovvero no. Non voglio immaginare cosa farebbe ora che invece siamo amiche.

«L'unica persona al mondo a cui dà ascolto», dico. Il che mi sorprende ancora oggi, dopo tanto tempo. «E che riesce a sopportarlo per più di due minuti, dovrebbero farla santa quella donna».

«In realtà adesso sono due le persone a cui dà ascolto e presto diventeranno tre», mi mostra tre dita e sorride divertito.

Se ci sentisse Cairo...

«Caiden e Adhara, immagino», rispondo. Credo di non aver mai visto in vita mia due genitori più attenti e presenti di Cairo e Ava.

«Immagini bene», risponde Bobo, annuendo con la testa.

«Adoro quel bambino e so che adorerò anche Adhara», dico. Stanno facendo davvero un bel lavoro nel crescere Caiden, è un bimbo meraviglioso e sono certa che con la bimba faranno lo stesso.

«E odi fare la cameriera qui, perché non molli e ti limiti a fare da babysitter a Caiden?»

Sì, di tanto in tanto, quando serve, faccio da babysitter a Caiden. Me l'ha chiesto Avalyne, perché sapeva che stavo cercando un altro lavoro.

Affidarmi suo figlio è segno di fiducia e io faccio del mio meglio per non deluderla. Ho accettato subito perché frequentandoli, non ho potuto fare a meno di affezionarmi a Caiden. Gli unici che hanno avuto qualcosa da ridire sono stati Cairo e Aiden.

Cairo perché, beh, è Cairo, lui ha sempre qualcosa da ridire. Aiden invece perché sono troppo malefica per prendermi cura di un bambino, no, non un bambino qualsiasi ma suo nipote, ha tenuto a precisare.

«Perché ho bisogno di soldi e due lavori sono meglio di uno».

Onestamente a volte mi sento in colpa a farmi pagare per tenere Cai, voglio bene a quel bambino e mi fa piacere passare del tempo con lui.

«Per mantenere tua zia?» chiede Bobo, «Quella donna ha cinquant'anni, Mal, è ora che inizi a badare a se stessa».

Jo non è mai riuscita a badare a se stessa, la casa che ha gliel'ha lasciata suo padre, mio nonno, quando è morto. Altro motivo per cui mamma la detesta. Anche la sua auto ormai distrutta, gliel'aveva comprata nonno prima di morire. Ha sempre avuto bisogno di aiuto e di qualcuno che badasse a lei.

Ma Jo non è l'unico motivo per cui lavoro, ho bisogno di essere indipendente, non avendo mai avuto qualcuno su cui poter contare.

Mamma vive con i soldi che le dà Felix e diciamo che non avendo accettato le sue avances, non le ha mai permesso di comprarmi chissà che cosa e a mamma la cosa è sempre andata bene. Così come va bene a me, non accetterei niente da uno schifoso del genere.

«In realtà ha trentacinque anni», lo correggo, divertita. Jo gliene avrebbe quattro se fosse stata presente.

«Sì, cambia pure discorso, come se non ti conoscessi».

«Torno a lavoro prima che Sheyla mi dia per dispersa e si presenti al tavolo di Martinez con una spranga di ferro», gli dico. Questa volta lui ride, perché sa che Sheyla sarebbe capace di farlo.

«Niente taser stasera?»

«L'ha dimenticato a casa», rispondo, «Passo a salutarti prima di andare via».

«Mi trovi al solito posto e se non ci sono starò sicuramente scopando in una delle camere di sopra», indica con il dito un punto indefinito e non riesco a trattenere una smorfia.

«In quel caso non verrò a cercarti».

Ride ancora una volta, poi mi attira a sé e mi stampa un bacio sulla testa, come se fossi una bambina.

«Ti voglio bene, micetta». Non fingo di vomitare solo perché so il motivo per cui mi chiama così.

È una cosa che facciamo quando qualcuno ci prova troppo insistentemente con me, al posto di picchiarlo, finge di essere il mio fidanzato e a volte, quando non lo conoscono, funziona. In realtà funziona anche quando lo conoscono, sono troppo intimoriti per dirgli qualsiasi cosa.

Lui mi chiama micetta e io piccolo, imitando una qualunque delle coppiette sdolcinate che spesso vediamo in giro.

«Anche io, piccolo».

***

Sono stremata e ho i piedi che mi fanno male per via di tutte le volte che ho fatto avanti e indietro per servire ai tavoli. Credevo che ad un certo punto mi si sarebbero consumate le suole delle scarpe.

Faccio un ultimo cenno di saluto a Sheyla che è ancora dietro al bancone e cerco con lo sguardo Bobo, ma ancora una volta non lo trovo, quindi decido di lasciar perdere e andare via.

Accade tutto in un secondo, l'attimo prima esco dal club con il mio zainetto sulle spalle pronta a tornare a casa e l'attimo dopo qualcuno mi sbatte violentemente contro al muro, facendomi mancare il fiato per un istante.

Mi irrigidisco per via della botta e della fitta di dolore alla spalla, ma anche per la consapevolezza di avere davanti l'ultima persona che avrei voluto vedere stasera.

«Ciao, amore», riconoscerei la sua voce tra mille e non per via di qualche motivazione romantica, ma perché la sento in loop nei miei incubi. «Ti sono mancato?»

Guardo l'uomo che avrebbe dovuto farmi sentire amata e protetta, ma che invece mi ha fatto sempre sentire terrorizzata e continuamente in pericolo.

Fin troppe volte ho guardato i suoi occhi verdi vedendo il riflesso di me stessa terrorizzata all'interno delle sue iridi. Erano rare le volte in cui ci si leggevano dentro altre emozioni che non fossero rabbia, violenza e lussuria.

Troppe volte il suo corpo muscoloso e possente si è avventato sul mio con furia cieca. Troppe botte ho ricevuto dalle sue mani. Troppo dolore mi ha causato.

Se mi chiedessero di descrivere Sylas Kraus con una sola parola, sarebbe decisamente dolore.

«Che ci fai qua?»

Non è mai venuto sul mio posto di lavoro prima d'ora perché sa per chi lavoro e sa che loro hanno visto i segni sul mio corpo, sa anche che non sono idioti, che non si bevono le solite scuse che si rifilano in questi casi. Rischia grosso a venire qui, ma sembra non importargli.

«Non rispondi ai miei messaggi e alle mie chiamate, Mally», dice a denti stretti. Accarezzandomi la guancia troppo forte, il suo pollice ci scava quasi nella mia guancia.

«Perché ci siamo lasciati, Sylas», gli ricordo, cercando di scrollarmi in qualche modo le sue mani di dosso e mettere una distanza tra di noi.

«Andiamo, amore, sappiamo entrambi che è la tua rabbia a parlare e che non fai sul serio», mi regala un sorriso che di caloroso e gentile ha ben poco, «Ho reagito un po' male, lo ammetto...»

Quante volte mi sono fatta offuscare dalle sue bugie, dalle sue scuse, dal modo in cui il mio corpo traditore e abituato a lui, cedeva al suo.

«Mi hai riempita di lividi e morsi, ho dovuto indossare solo felpe a giugno», gli dico, anche se lo sa bene. «Non hai reagito un po' male, mi hai picchiata, ancora».

Ha anche la faccia tosta di continuare a fingersi dispiaciuto, è incredibile.

«Mi dispiace, amore, lo sai che mi dispiace», stavolta le sue mani scendono sulle mie braccia e le accarezzano piano.

Voglio solo che mi lasci stare, voglio solo andare a casa, voglio solo la forza di non cedere un'altra volta.

«Abbiamo chiuso, sul serio questa volta», dico, pur temendo la sua reazione. Perché so già che non reagirà bene.

«Dammi un'altra opportunità, lo sai che ti amo».

Tu non mi ami, Sylas, tu mi vuoi solo possedere come se fossi una bambola inanimata che puoi scopare, comandare e picchiare quando ti pare e piace.

«No», dico, prendendo coraggio.

Lo guardo negli occhi anche se vorrei scappare via il più lontano possibile, anche se al tempo stesso però vorrei chiudere gli occhi e permettergli di abbracciarmi.

Perché Sylas è molto bravo a vendere le sue bugie, è bravo a farti credere di essere il centro del suo mondo. Solo che lui il mondo è abituato a distruggerlo, non a rispettarlo. Lui inquina qualsiasi cosa tocchi.

«No?» domanda, incredulo. Vedo già le vene del suo collo gonfiarsi e lo sguardo cambiare completamente.

Ecco chi sei veramente, Sylas, ecco qual è il tuo vero volto.

«No, non avrei dovuto accettare la prima volta e neanche quella dopo ancora», dico, «Ti ho dato un sacco di opportunità e guarda dove ci ha portati tutto questo».

Ancora una volta succede tutto troppo velocemente o forse sono solo io che mi sono talmente abituata da non riuscire più ad anticipare le sue mosse, ormai. Mi afferra dal braccio e mi attira a se tanto da farmi sbattere contro il suo petto.

«Ti sei già trovata un altro con cui scopare, Mally?» mi ringhia sulla bocca, «Ti diverte fare la troia in giro?»

«Mi stai facendo male al braccio, Sylas», gli faccio notare, anche se so che non gliene importa niente. Anzi, questo gli farà venire voglia di farmi ancora più male. «Mi fai male, per favore, lasciami stare», piagnucolo e mi odio per questo.

«Malefica, va tutto bene?» sento in lontananza la voce di Aiden Hoffman e prego Dio che non si avvicini.

«Digli di togliersi di torno, Mally», mi sussurra Sylas all'orecchio. Non ho intenzione di farlo però, se c'è qualcuno intorno a me sono al sicuro, non potrà alzare un dito su di me.

«Sylas, va via, ti prego», sussurro anche io per far sì che Aiden non senta niente, «Non voglio casini qui».

«È lui?» domanda però Sylas, ignorando le mie parole,  «Ti fai scopare dal più piccolo degli Hoffman?»

Intanto sento dei passi avvicinarsi a noi e sono sicura che sia Aiden, perciò vado ulteriormente nel panico.

«Non faccio sesso con nessuno e ora per favore va via, si sta avvicinando».

«Credi che abbia paura di lui o dei suoi amici?» mi chiede, diminuendo la stretta sul mio braccio ma non tanto da permettermi di allontanarmi.

Credo che sia uno stupido a non averne.

«Vattene e basta, Sylas».

E poi succede, Aiden si avvicina a noi e io non posso far finta di non vederlo, perciò giro la testa verso destra e porto lo sguardo su di lui. Non sembra promettere niente di buono.

«Mallory, conosci questo tizio?»

«Lo conosco, Aiden, va tutto bene», dico subito. Anche se non riesco a capire perché si è avvicinato, noi non siamo amici, passiamo la metà del tempo a insultarci. «Puoi andare».

E avrebbe potuto farlo benissimo, avrebbe potuto voltarmi le spalle e andar via, fregarsene perché noi non ci sopportiamo. Ma non lo fa, Aiden resta e non sembra intenzionato ad andarsene.

«È lui quello che deve andarsene», risponde, tenendo lo sguardo fisso su Sylas che si china su di me per parlarmi nell'orecchio.

«Me ne vado, Mally, ma voglio solo che tu sappia che non mi piace il modo in cui mi stai trattando», sussurra, «Ci vediamo presto, amore», mi stampa un bacio all'angolo della bocca e mi regala un sorriso prima di allontanarsi.

Sylas non guarda Aiden nemmeno per un secondo, finge di non notare nemmeno la sua presenza. Io lo conosco però e so che lo fa perché è un codardo che si difende attaccando solo alle spalle e ora Aiden non è di spalle.

Aiden, invece, tiene gli occhi fissi su di lui per tutto il tempo, fin quando attraversa la strada e sparisce dietro l'angolo, poi porta i suoi occhi azzurri su di me.

«Stai bene?» mi chiede, portando lo sguardo sul braccio che mi sto massaggiando. Mollo subito la presa e fingo che non sia successo niente.

Domani probabilmente avrò altri lividi proprio nel punto in cui la sua mano ha stretto forte.

«Sto bene», rispondo, tenendo lo sguardo alzato, perché se lo abbassassi in questo momento dimostrerei il contrario.

«Chi era quell'idiota?», chiede e sapevo che lo avrebbe fatto. È logico.

«Non sono affari tuoi».

Non mi interessa se sono risultata antipatica o scorbutica, non voglio parlare di Sylas.

«Ti ho appena salvato il culo, mi sembra», mi fa notare, «Ho diritto di sapere da cosa e chi ti ho salvato, esattamente».

«Non ti ho chiesto di farlo, mi sembra», gli faccio il verso e mi sistemo lo zaino sulle spalle.

«Posso scoprirlo da solo chi è», risponde, facendo spallucce. I miei occhi scattano su di lui.

Non voglio che si metta a fare ricerche su Sylas.

«È il mio fidanzato», rispondo, pentendomene subito dopo.

Non è più il tuo fidanzato, Mallory. Continuo a ripetermi nella testa.

«Crudelia Demon?» domanda divertito, riferendosi ai capelli di Sylas che sono per metà neri e metà bianchi. «Davvero?»

«È il mio ex, va bene?», sbotto, stanca. Voglio solo andare via da qui. «Cosa ti cambia ora che lo sai?»

«Ora capisco perché non ci stai... È colpa dei tuoi pessimi gusti».

Tipico di Aiden Hoffman, scherzare anche quando non è il momento di farlo.

«Grazie per il gesto eroico non richiesto, ora me ne vado», borbotto, voltandogli le spalle e cominciando a camminare per allontanarmi.

«È lui il coglione che ti riempie di lividi?» chiede senza il minimo tatto e a voce alta, facendomi bloccare sul posto. «Spero che almeno lo faccia perché ti piacciono le pratiche BDSM».

Mi volto a guardarlo con le guance in fiamme e anche piuttosto incazzata. Non mi piace quando si impicciano degli affari miei.

«Non sono cazzi tuoi, Hoffman».

Detto ciò riprendo a camminare senza più voltarmi indietro, a passo lento perché non voglio che pensi che sto scappando da lui o da chiunque altro.

«Malefica», mi chiama, ma questa volta non mi fermo, «Dì al tuo fidanzato di non farsi più vedere da queste parti, perché la prossima volta gli procurerò gli stessi lividi che lui procura a te».

Non rispondo e non mi giro nemmeno a guardarlo, anzi, aumento il passo e spero di arrivare a casa di Jo il più velocemente possibile.

••• Spazio autrice •••

Ecco qui il primo capitolo di Aiden, spero che vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto scriverlo🥹

È un'esperienza nuova che ha come personaggio femminile una persona completamente diversa da Avalyne, che vive in circostanze diverse, che ha un vissuto diverso e che si esprime in modo diverso.

Vi aspetto come sempre su Instagram nel box domande e leggerò tutti i vostri commenti 👀

I miei social sono questi, per chi non lo sapesse:

Instagram @eternityhopeless_
TikTok @eternityhopeless

•••

Vi lascio anche una foto di Sylas, l'ex di Mallory, così vi fate un'idea di com'è esteticamente. Siete liberi però di immaginarlo come vi pare 🫶🏻

(Ora capite perché Aiden lo chiama Crudelia? I suoi capelli💀)

Sylas Kraus

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