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Capitolo X

Non so bene cosa mi abbia portato a scrivere questa pagina di diario, ma so che i compiti per casa questa volta li voglio svolgere.

Antonio mi ha detto, che l'impugnare una penna e fare pressione con essa su un foglio di carta, mi aiuterà a chiarirmi le idee su tante cose e a sfogare le mie sofferenze mi recondite.

Forse, adesso è arrivato il momento di iniziare a chiarire le mie idee, ma soprattutto di trasportare, se non tutto, almeno in parte il mio rovo di dolore su carta. Perché, a voce, non riuscirei mai ad esprimere al meglio ciò che provo.

Non sono mai stata brava a parlare, infatti faccio davvero schifo in questo. Provo perfino una sorta di disagio nel parlare bene ma soprattutto nell’esprimere in modo profondo le mie opinioni.

Invece, con carta e penna sono decisamente più brava ma, nonostante ciò, non scrivo un diario dall’età di sette anni, quando mia zia mi regalò un quaderno brillantinato. 
Ricordo che amavo alla follia scrivere su quello.

Ma poi, il luccichio degli occhi di una bambina va pian piano scemando col tempo, fino ad annullarsi. Basta pensare agli occhi di mia madre. Quelli, mi fanno una paura tremenda. Quelli, più li guardi è più affondi in una voragine buia e senza fine. Ma in verità,  gli occhi di mia madre, non credo abbiamo mai visto una luce.

Tornando a me... come si inizia un diario? Forse con ‘caro diario oggi mi è successo questo e quest’altro’?

Oppure dovrei dargli un nome e chiamarlo così ogni volta che scrivo una nuova pagina ? No... è così stupido.

Credo che inizierò direttamente col scrivere i miei pensieri e basta.
Da dove cominciare, quindi? Bene, sono entrata al Santa Maria da due settimane. Oramai l'autunno è iniziato già da qualche giorno, e con le sue prime piogge si sta facendo sentire  e non poco.

Antonio mi ha chiesto come mi fa sentire il fatto che, quando mi affaccio alla finestra, non riesco a provare nulla, nemmeno un po'di felicità.

Il sole fa sentire allegri, è una bella cosa, è una delle risorse più importanti che l'uomo possa beneficiare, così mi ha detto lo psicologo.

Cosa ne penso io? Non penso, semplice. O meglio, credo che la prima cosa che una persona faccia non appena sveglia, o per lo meno io, è pensare ai propri problemi che dovrà affrontare durante la giornata, e a quanto questi siano ostacoli insormontabili.

Non penso di certo ‘che bel sole e che bella giornata è oggi’. Mi fa strano sapere che esistano persone che, invece, al contrario di me, si fanno questi pensieri nella testa non appena svegli. Il mondo è pieno di cose molto più importanti.

Solo l’altro giorno è successa una cosa che mi ha fatta rimanere paralizzata. Davanti ai miei occhi ho visto un ragazzo nel pieno di una crisi o un attacco di panico. Sinceramente non so cosa sia stato nello specifico, ma posso confermare che è stato terribile.

È stato terribile vedere un ragazzo in uno stato del genere. Si ribellava ai tecnici della riabilitazione, i quali cercavano di portarlo non so dove. Molto probabilmente lo avranno isolato perché in quelle condizioni poteva sia far male a stesso sia a chi lo circondava

Comunque, Davide, il ragazzo, sferrava pugni a destra e a sinistra e scalciava per potersi svincolare dalle prese ferree dei due uomini. Le sue grida, poi, mi rimbombano tutt’ora nelle orecchie. Quei segni di sofferenza dipinti sul suo volto; quelle parole urlate a squarcia gola; quel corpo che smaniava dalla voglia di libertà.

Il suo compagno di stanza, l'uomo delle ombre, non ha battuto ciglio dinanzi a questa scena. Mi chiedo se possa essere un essere umano o per davvero solo un’ombra.

In conclusione, davanti a queste cose terribili, tutto il mio essere non può che urlare, che del sole non se ne frega un bel niente.
Un bel niente!

Serena, dopo aver finito le sue pagine di diario, in alto a destra scrisse la data di quel giorno, 28/09/2021.
Piegò a metà i due fogli e li ripose dentro ad uno dei suoi libri sul suo letto. Si mise in piedi. Raggiunse la porta del bagno nella sua stanza, provò ad aprirla ma era chiusa a chiave.

“Anita, apri!” alzò la voce.

“Aspetta!” Rispose dall'altro lato della porta, l'altra.

“Aprì! Devo andare nel bagno” ribattè Serena in napoletano.

Nessuna riposta.

Serena colpì con entrambi i pugni la porta e, dopo aver mandato a quel paese la sua compagna di stanza, uscì dalla camera.
Qualche anima pia l’avrebbe fatta entrare nella propria stanza per farle usare il bagno oppure se la sarebbe fatta addosso.

Bussò alla stanza affianco. Dopo pochi secondi una ragazza la venne ad aprire. Aveva una faccia familiare. Sicuramente era una delle pazienti che partecipava alla terapia di gruppo.
“Ciao” la ragazza puntò i suoi occhi in quelli scuri di Serena.

“Ciao”.

“Posso fare qualcosa per te?”.

“Mi fai usare il bagno, ti prego?”.

La ragazza abbandonò le sue braccia esili lungo i suoi fianchi stretti. Si mise di lato e fece passare l'altra.

“Grazie” Serena entrò all'interno della camera. “Marò, mi sto facendo sotto, mannaggia a quella scema".

Corse verso bagno per poi chiudersi la porta alle spalle.

“Tutto bene?” chiese la ragazza, ancora un po’confusa dall'arrivo di Serena.

“Sì, sì” rispose l’altra dal bagno. “Qual è il tuo nome? Mi sono scordata”.

“Irene. Tu sei Serena, quella nuova, giusto?”.

“Esatto”.

Susseguirono dei secondi di silenzio.

“Non hai una compagna di stanza, tu?” fece Serena mentre si lavava le mani.

“Sì, ma adesso sta in giro”.

Un paio di secondi dopo, Serena uscì dal bagno e ringraziò di nuovo Irene, dopodiché si guardò intorno. La camera non era molto diversa da quella di Anita e la sua. In un angolo della stanza notò una chitarra.

“Suoni?” le chiese.

“Un pochino” ripose Irene, curvando di poco le spalle e dando un’occhiata al suo strumento musicale.

Quanto era piccola, quanto era carina e dolce, pensò Serena.

“Hai iniziato da poco?”.

“In realtà da un po’”.

“Un po’, quando?”.

“Da quando avevo nove anni”.

“E allò sei brava, bugiarda” sorrise Serena.

Irene alzò gli angoli delle labbra. “Sì può sempre fare di meglio”.

“Me la fai vedere?” l'altra indicò col mento lo strumento.

“Se vuoi...”.

Irene si avvicinò alla chitarra, si curvò di poco e l’afferrò. Serena la raggiunse, lì vicino alla finestra.

Pioveva.

La chitarra era di un legno chiaro. Gli occhi di Serena si assottigliarono su una scritta incisa sul davanti.

A te che...’ così iniziava la frase. Ma, quando Irene si accorse, dove Serena stava guardando e cosa stava leggendo, coprì immediatamente la scritta con le dita.

“Me la suoni ‘na canzone?”.

Irene guardò Serenacon occhi incerti  “Magari un'altra volta”.

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