Capitolo VIII
Serena si voltò, lentamente, verso il ragazzo che l’aveva appena colta nelle mani nel sacco.
“Ciao” sorrise sornione lei. “Come ti va la vita?”.
Serena lo riconobbe subito. Lui era quel ragazzo dai capelli biondi e dagi occhi azzurri, che durante la terapia di gruppo era seduto di fianco a lei. Le venne in mente quello strano tic della gamba del quale il ragazzo soffriva.
"Mi potrebbe andare meglio, molto meglio, se qualcuno non toccasse le mie cose”.
Il ragazzo, di statura bassa e di corporatura esile, all’apparenza sembrava tanto timido e impacciato, ma quando qualcuno si permetteva di toccare le sue cose, si faceva valere, spesso, andando anche fuori di sé.
“Comunque sono Serena, quella nuova, quella...”.
“So chi sei”.
Il ragazzo si avvicinò a Serena e le strappò il quaderno dalle mani. La ragazza sbatté più volte le palpebre, colta all'improvista. Lui controllò per bene il suo quaderno, il davanti della copertina, poi il retro, poi di nuovo l’avanti, poi di nuovo il retro, poi di nuovo l’avanti ed infine di nuovo il retro.
Lo poggiò sulla scrivania nell'esatto posto da dove l'aveva preso quella ladra di quaderni. A Serena parve che quel ragazzo sapesse le coordinate esatte di ogni oggetto; era incredibile e scioccante allo stesso tempo.
“Allora perché me lo hai chiesto?” chiese lei.
“Cosa?”.
Il ragazzo, adesso, con le sopracciglia aggrottate, sinonimo che era perfettamente concentrato, stava con il dito indice tastando per tre volte la copertina del quaderno, dopo aver svolto questo rituale, allora lo ripeteva di nuovo per altre due volte, così da poter ricondurre il tutto al numero tre, naturalmente.
Serena lo scrutava con la fronte corrugata. Lei non avrebbe mai potuto capire l'importanza di quei gesti.
“Cosa?” chiese di nuovo il ragazzo poiché Serena, troppo impegnata a fissarlo, non si decideva a rispondere.
“Chi sono. Perché lo hai chiesto se lo sapevi?”.
“Così”.
“Posso sapere il tuo nome oppure sei come l’innominato dei Promessi Sposi, che è così terribile da far temere alle persone di nominarlo?” lo punzecchiò lei.
Il ragazzo, finalmente, alzò lo sguardo dal suo dito indice, che collideva con quel povero quaderno da fin troppo tempo e lo portò sulla ragazza di fianco a lei.
“Davide, il mio nome è Davide”.
Per un paio di secondi ci fu silenzio, finché…
“Le presentazioni le potete fare fuori? Tipo a fanculo?”.
La voce era maschile e proveniva da dietro quelle lenzuola, soprannominate da Serena ‘tendine’, appese al lampadario e che cascavano verso il pavimento.
Perché quel ragazzo non veniva fuori, eh? Si chiedeva tra sé e sé Serena. Invece di ribattere in modo così maleducato, non poteva rivelare la propria persona al mondo esterno e affrontare quest'ultimo, invece di nascondersi dietro a delle tendine, per giunta di orribile gusto?
“Vieni fuori, uomo delle ombre” lo prese in giro Serena.
“Non uscirà” mormorò Davide.
“Perché?”.
“Lui non esce mai da quella tana, è praticante la sua casa” gli rispose l'altro fissando le tendine che separavano la sua parte di stanza dalla parte di stanza riservata solo, ed esclusivamente, all'uomo delle ombre.
“Nemmeno per andare in bagno?” rise lei.
“Beh… due volte al giorno, forse, esce da lì dietro per fare i suoi bisogni".
Serena alternava lo sguardo da Davide alla tana del compagno di stanza di quest'ultimo.
Era in bilico tra lo scappare via da quella camera o rimanervi.
Da una parte voleva fuggire via a causa della bruttissima figura che aveva fatto poco prima con Davide. L'aveva sorpresa con le mani nel sacco a toccare le cose di lui, ma soprattutto a leggere un testo così privato. Solo adesso si rendeva conto della gran stupidaggine che aveva appena compiuto.
Che grandissima figuraccia.
Che grandissima figuraccia.
Che grandissima figuraccia.
Si ripetè in mente in modo ossessivo.
Tutto d’un tratto si sentiva mortificata e colpevole.
Dall’altro canto, invece, voleva rimanere lì in quella stanza.
Desiderava restare in quella camera per chiedere scusa al biondino, in quanto si era permessa di leggere una piccolissima strofa della poesia di quel quaderno dalla copertina bianca.
A lei non avrebbe mai fatto piacere, se qualcuno avesse osato toccare i suoi libri. Teneva tantissimo alla sua privacy e comportandosi da ficcanaso, come era successo poco prima, la rendeva una persona incoerente ed insensibile.
Rimuginava su quello che avrebbe dovuto fare da lì a non poco, e quel non poco significava al massimo due secondi, ovvero il tempo che Davide l’avrebbe presa per una stupida, lì impalata a fissare prima lui, poi le orribili tendine, poi la porta, e di nuovo lui.
Nello stesso momento nel quale si era decisa a dire qualcosa per discolparsi, le lenzuola a mo'di tendine vennero spalancate.
Incredibile!
La figura che si palesò era di una trasandatezza e sciatteria unica.
Il ragazzo indossava una tuta nera e un cappuccio, dal qualche usciva qualche ricciolo di troppo, sul capo abbassato.
Nonostante se ne stesse ricurvo, la sua statura era notevole. Davide gli sarebbe arrivato non più sopra della spalla.
“Salve” sorrise sornione Serena.
Il ragazzo alzò il capo e fissò dritto negli occhi quella ragazza, che in quel momento lo stava infastidendo con quella voce così…
“Hai la voce stridula, stai zitta” disse lui senza aggiungere nient'altro.
Si avvicinò alla porta del bagno, che si trovava nella camera è vi si chiuse dentro a chiave.
“Te l'ho detto io che ogni tanto usciva da lì dietro” intervenne Davide indicando col mento l'altra metà della stanza.
“Sì, me ne ero accorta, soprattutto dalla sua entrata in scena molto… singolare”.
“Molto” lui continuava a guardare dappertutto tranne che negli occhi di Serena.
“Comunque scusa”.
“Che?” Lui volse immediatamente lo sguardo verso di lei.
“Scusa” alzò spallucce l'altra. “Non avrei dovuto toccare le tue cose, anzi, non sarei proprio dovuta entrare in questa stanza senza per lo meno bussare alla porta”.
Davide abbassò lo sguardo sulle punte delle sue scarpe. “No, non avresti dovuto”.
Serena, di nuovo, si guardò intorno.
Forse, adesso, era arrivato veramente il momento di andar via.
Stava per salutare il ragazzo, quando il suo sguardo cadde su dei libri poggiati su una mensola della parete dove vi era il letto di Davide.
“Oddio ma quello è…” Serena corse verso la mensola, poi sfilò il romanzo che l’aveva colpita dalla fila di libri. “Oliver Twist! Lo hai letto pure tu”.
Serena aveva iniziato a girare le pagine del romanzo, quando se lo vide strappare dalle mani proprio come era successo con il quaderno di poco prima.
Davide si era riappropriato del suo libro, che iniziò a toccare maniacalmente. Llo accarezzava, poi con l’indice lo tastava, poi di nuovo lo accarezzava, questo per tre volte, ripetuto per tre volte.
Quella era la terza volta che Serena assisteva a quegli strani rituali.
Prima il tic al piede durante la terapia di gruppo, poi il quaderno della poesia ed ora Oliver Twist.
Lei non voleva dirlo, non voleva proprio, però trovò il tutto così strano e soprattutto così preoccupante che alla fece una domanda.
“Cosa… stai facendo?”.
Davide alzò gli occhi su di lei.
“Perché? Non mi guardare, non mi guardare! Cosa vuoi da me? Esci, esci subito! Che vuoi?!” iniziò a furfugliare il ragazzo.
Non prendeva nemmeno il tempo di poter respirare, che subito dopo attaccava con altri ‘cosa vuoi?!’ o ‘non mi guardare!’.
La sua espressione era spaventata, timorosa. Si scrutava attorno senza, però, guardare veramente qualcosa.
“Scu… scusami, stai tranquillo” Serena mise le mani davanti a sé come per dirgli di stare calmo.
Nello stesso momento in cui l'uomo delle ombre uscì dal bagno, Davide lanciò con violenza il libro sul pavimento in preda al panico
.
“Non lo voglio più!” iniziò a piangere il ragazzo dai capelli biondi. “Perché lo hai toccato?” gridò. “Perché?!”.
Serena rimase paralizzata a fissare la scena, spaventata e colpevole. Non sapeva che fare e che dire, mentre il ragazzo appena uscito dal bagno si era poggiato sulla parete dietro di sé, e sembrava non avere il che minimo interesse nel far qualcosa.
Per fortuna, dopo una breve manciata di secondi, una donna ed un uomo entrarono in camera all'improvviso e afferrarono Davide da sotto le braccia, mentre lui si divincolava come un matto.
Matto…
Serena ora viveva nel manicomio, e con i matti come lei doveva, adesso, averci a che fare.
Spazio noce suprema
Eccomi qui ritornata con un nuovo capitolo❤
Spero vi sia piaciuto.
Davide ed Emanuele sono compagni di stanza eppure sembrano essere l'uno l'opposto dell'altro.
Chi preferite tra i due?
Davide ha avuto una crisi, questa sarà una delle varie c'è incontrerete nel corso della storia, quindi tenetevi pronti.
Nel prossimo capitolo ci sarà uno zoom sul personaggio di Davide.
A presto❤
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