III.
03 ▏ anche le nuvole sussurrano il tuo nome
Non ricordava il momento preciso in cui si era alzata, nel cuore della notte, e aveva socchiuso appena le finestre. Ma l'aveva fatto, evidentemente a causa dell'umidità soffocante che a un certo punto aveva iniziato a bloccarle il respiro in gola. Aveva iniziato a rivoltarsi nel letto inquieta, in virtù di un'agitazione che accresceva spaventosamente la temperatura che si era impossessata di lei appicciandosi alla pelle. Adesso, tuttavia, ne pagava le conseguenze; trasportata dal fitto bosco la raggiunse una brezza raffreddata che andò a posizionarsi sul suo corpo sotto forma di brividi molesti, gli uccellini posizionati comodamente sui rami degli alberi vicini avevano convenuto mettere in scena un coretto cinguettante che le arrivava giusto alle orecchie e il sole, ormai alto nel cielo, irrompeva con i suoi raggi luminosi all'interno della stanza; la luce andò ad assestarsi direttamente sul suo viso per metà nascosto dalle coperte.
Immersa in un profondo stato di dormiveglia, Emilia non aveva le energie — o la voglia — sufficienti per alzarsi, chiudere le persiane e tornare a riposare, altresì stabilì imperativo desistere all'intromissione di Madre Natura e restò semplicemente a crogiolarsi in quel torpore che benché improvviso non si affermò totalmente sgradito. Il leggero bussare alla porta la disturbò parecchio, invece, provocandole un accenno di fastidio che si tramutò in un gutturale lamento strozzato, ma decise di respingerlo incoraggiata dalla volontà di impedire a chiunque di interrompere il suo meritato riposo; l'ospite tuttavia si manifestò perseverante, picchiettò altre tre volte prima che la porta venisse lentamente dischiusa e il profilo non perfettamente definito di Sarah si presentò sulla soglia. Aveva il respiro esiguo, i capelli appiccicati alla fronte imperlata di sudore, le mani poggiate sulle ginocchia nel tentativo di riprendere aria. «Caposquadra,» mormorò a fiato sospeso in quello che si dimostrò essere nient'altro che uno sventurato sospiro afoso.
«Che c'è.» Sibilò Emilia notevolmente assonnata e decisamente contrariata posando sul cuscino l'altra guancia mostrando così le spalle alla sottoposta, borbottando ulteriori imprecazioni incomprensibili. Sarah, a quel punto, si fece più vicina con reticenza a fiancheggiare il letto della Caposquadra e con il viso in fiamme e il cuore che martellava incessantemente nel petto — non solo, notò, a causa della corsa che aveva fatto per raggiungere il Quartier Generale con l'intenzione di arrivare il più in fretta possibile — posizionò con delicatezza una mano sulla spalla di Emilia, un tocco svelto come un bacio sulla guancia prima di correre via, riducendo la voce a un bisbiglio. «I giganti sono stati uccisi.»
Emilia, ascoltando la voce sussurrata della sua assistente sfiorarle la pelle, sollevò leggermente la testa dal cuscino; i ciuffi che le scivolarono davanti alla faccia non furono sufficienti a nascondere del tutto l'espressione addormentata e disorientata, poi farfugliò: «Sarah, hai bevuto?»
«No» Si lamentò la ragazza alzando gli occhi al cielo in una manifestazione esasperata comunque mantenendo la tonalità bassa — dopo tutti gli anni in cui l'aveva affiancata aveva imparato a conoscere, a suo discapito, la Caposquadra e sapeva alla perfezione quanto il suo carattere al mattino, soprattutto quando veniva svegliata, fosse eccessivamente delicato «Intendevo i giganti per la sperimentazione. Quelli della Caposquadra Hanji!»
Emilia impiegò qualche lunghissimo attimo per focalizzare le informazioni che Sarah le aveva comunicato nel tentativo di incastrarle nella testa apportandovi un significato che fosse assai lontano da quello che aveva inteso all'inizio — Hanji è diventata un gigante —, restando immobile a ispezionare un punto imprecisato della stanza con ancora una faccia assopita e disordinata, poi finalmente sembrò riaccendersi dallo stato confusionale e sussultò voltandosi repentinamente in direzione di Sarah spostandosi goffamente i capelli dalla faccia e guardarla con una espressione ammutolita «Che hai detto?!» La castana si affrettò a ribadire quello che aveva dichiarato in precedenza ma fece appena in tempo ad aprire la bocca che la corvina la interruppe posizionando una mano davanti al suo viso, le indirizzò un'occhiata corrucciata e spietata «Chi è stato!» Soffiò a denti stretti, afferrando il bavero della giacca della sventurata Sarah che perse lievemente l'equilibrio barcollando in avanti, trovandosi obbligata a poggiare una mano sul materasso del letto del suo superiore giungendo a un soffio dal suo viso, dopodiché sussurrò un imbarazzato 'non lo so'. Emilia la strattonò leggermente alzando di più il tono di voce «Che vuol dire non lo sai!»
«Sono già tutti sul posto a dare un'occhiata» confessò Sarah, esitante, vagamente preoccupata a proposito dell'eventuale smisurata reazione che avrebbe avuto Emilia. Infatti, quest'ultima si precipitò giù dal letto afferrando senza indugio una maglietta trovata per terra, i pantaloni e gli stivali. Corse fuori dalla stanza e mollò tutto in mano alla sua assistente la quale, impegnata a guardare da tutt'altra parte senza soffermarsi sulle zone esposte della Caposquadra, la scortava nella sua frenetica camminata verso l'uscita. Si tolse la canotta lanciandola nelle mani della ragazza leggermente indietro e iniziò a vestirsi in mezzo al corridoio, ebbe qualche difficoltà a infilare i pantaloni non avendo intenzione di fermarsi rischiando di inciampare nei suoi stessi passi. «Avrebbe prima potuto cambiarsi, non crede?» Cercò di suggerire Sarah esprimendo mentalmente un'immensa gratitudine che nessuno fosse stato nei paraggi e l'avesse vista mezza nuda. «Non c'è tempo!» Brontolò la corvina continuando a incespicare nel frattempo che tentava di allacciarsi la cintura intanto che correva.
Raggiunsero l'accampamento dove in precedenza avevano sistemato i giganti, Emilia stava ancora lottando con i capelli nel tentativo di dargli una forma vagamente accettabile e liberarsi di quei terribili nodi sulle punte. Il campo era per lo più affollato da soldati della divisione del Corpo di Guarnigione, i quali stavano raggruppati a osservare la scena che gli si palesava davanti con volti attoniti: i due giganti catturati per la sperimentazione, affettuosamente nominati da Hanji 'Sawney e Bean', erano nient'altro che un mucchio di ossa, tutto quel che rimaneva di quelle cavie era lo scheletro carbonizzato, nell'ambiente ancora era diffuso il vapore che compatto si liberava nell'aria e pizzicava gli occhi. Fatta eccezione per le grida disperate dell'amica, ad Emilia giunse anche lo sgradevole chiacchiericcio dei presenti che non si preoccupavano di evitare commenti inopportuni, e nel frattempo che tentava di districarsi tra i corpi dei gendarmi curiosi rifletteva sulle plausibili ipotesi; chiunque avesse commesso un'azione così sconsiderata, tenendo conto dell'importanza che quei due elementi avevano rappresentato per l'Armata Ricognitiva e per l'umanità stessa, aveva provveduto proprio nell'interesse di far retrocedere le ricerche che avrebbero portato a dei traguardi concreti. Stupidità o tradimento, ancora doveva capirlo.
«Tu,» Borbottò senza voltarsi e diede un colpetto con il gomito a un capitano della Gendarmeria che avrebbe preso in carico l'indagine. «Controlla prima di tutto le attrezzature delle reclute.» Ordinò senza preoccuparsi di chiederlo con gentilezza e, effettivamente, il diretto interessato le riservò un'occhiataccia imprecisa e con un appunto di disagio, sentendosi rivolgere indicazioni da parte di qualcuno che apparentemente non svolgeva alcun ruolo che le permettesse di proclamare provvedimenti. «Mi scusi, signorina, le sarebbe?...»
«Signorina! Addirittura, che gentile, ma forse dovresti concentrarti di più sul tuo lavoro piuttosto che approcciare una bella donna» dichiarò corrucciando l'espressione lasciando trapelare l'intenzione di beffeggiarsi di lui attraverso un acceso sarcasmo. L'uomo, in tutta risposta, le dedicò uno sguardo turbato e sotto la morsa di un'attitudine astiosa si accinse a risponderle contrattaccando avvicinandosi con il corpo a sovrastare il suo. Prima che riuscisse ad assalirla a parole, il richiamo profondo che s'introdusse alle loro spalle obbligò il capitano a fare un passo indietro «Emilia,» la chiamò a sé Erwin sottraendola a quella situazione che avrebbe scatenato una scenata inopportuna. La corvina lanciò un cipiglio tagliente nel frattempo che raggiungeva il Comandante affiancato da Levi e Eren. «Quei ratti di fogna non saprebbero riconoscere la loro madre neanche se ce l'avessero davanti.» Bisbigliò senza preoccuparsi che il soldato in questione la sentisse. Erwin le posò gentilmente una mano sulla schiena accompagnandola lontano sussurrandole abbassandosi raggiungendo il suo orecchio «Le indagini spettano a loro,» intervenne. «Ma scopriremo comunque chi è stato.» A quel punto, Emilia si lasciò scappare una smorfia soddisfatta, incrociando le braccia al petto e sollevando il mento puntando gli occhi scuri in quelli azzurri dell'uomo. Con quell'ultima affermazione Erwin aveva parlato includendo tutti loro. Aveva un piano, ma ne avrebbero parlato privatamente.
«La cerimonia del reclutamento è questa sera, ci sarai?» Cambiò discorso Erwin tornando a parlare con una tonalità di voce normale e raddrizzando nuovamente la schiena. Alle orecchie dell'uomo, per un attimo, a tallonare ulteriormente i suoi timpani assieme alle grida di Hanji in lontananza, si aggiunse l'acustica risata di Emilia la quale, subito dopo, gli colpì un braccio con un pugno amichevole.
«Certo che sì!» Decretò la scienziata. «Adoro vedere i visi terrorizzati dei ragazzi quando finisci di raccontare in quale brutale modo diventeranno fertilizzante per le mie piante.» Terminò abbozzando a una smorfia divertita, l'affermazione sarebbe dovuta risultare raccapricciante, e attorno a loro quei pochi che avevano avuto la disgrazia di ascoltare non mancarono di rivolgerle una sbirciata disgustata, Erwin d'altro canto non si scompose affatto e parlò con naturalezza.
«Li metto di fronte alla realtà. Chi si arruola deve essere consapevole delle eventualità a cui andrà incontro.»
Era insolito che al Comandante un dettaglio riuscisse a eludere la sua spiccata perspicacia che usava manifestarsi direttamente sotto i suoi occhi e la fronte corrucciata in un'espressione meditativa che di punto in bianco solcò il viso di Emilia non passò certamente inosservata; Erwin sapeva che la Caposquadra stava lavorando a un progetto, aveva accidentalmente ascoltato qualcuno dei suoi sottoposti bisbigliarne in chiacchiere tutt'altro che sussurrate in quei corridoi eccessivamente evocativi e non era inusuale che Emilia gli chiedesse un confronto, che poi automaticamente si trasformava in una richiesta che finiva per diventare una conferma da parte sua accompagnata una lettera di approvazione spedita alla Corte Militare. Si trattava sempre di un'invenzione che andava a migliorare la strumentazione di cui l'Armata Ricognitiva disponeva già; e non aveva quasi mai deluso le aspettative. Finché non si lasciava trasportare da una spropositata quantità di esaltazione, Emilia era brillante. Riponeva grandi, forse troppe, speranze su di lei. Non era necessario che glielo chiedesse, interruppe il flusso dei suoi pensieri lasciando che la voce si solidificasse nella sua testa: «Cos'hai in mente?»
Emilia gli riservò un'occhiata incerta, imprigionò i suoi occhi color carbone in quelli azzurri del Comandante e lì restarono per un tempo indefinito, poi così come era apparsa, l'espressione accigliata scomparve all'improvviso lasciando spazio a un sorriso disteso e un'emozione indefinita che andò a illuminarle il viso: «Inizia a preparare la lettera per i piani alti! Non ho intenzione di beccarmi un'altra ramanzina perché ho portato in missione attrezzature non autorizzate.»
«È una faccenda seria, allora»
«Altroché! Una bomba!» Esclamò forse manifestando esageratamente il suo entusiasmo che fece leggermente storcere il naso a Erwin precisando una smorfia poco convinta e quasi di rimprovero, Emilia si lasciò sfuggire una risata genuina «Tranquillo! Non esploderà niente, te lo assicuro. Ah, manda Levi nel mio ufficio, più tardi.» Concluse rivolgendogli una sbirciata furtiva, accompagnata da uno dei suoi soliti sorrisi appena accennati che nascondevano qualcosa di terribilmente diabolico; Erwin ci aveva fatto l'abitudine.
Il sopracciglio di Levi tremò impercettibilmente, la fronte si corrucciò e delle pieghe andarono a formarsi sul suo viso contraendolo in un'ancora più terrificante emozione di fastidio. Emilia con l'avambraccio appoggiato alla porta lo guardava con un'espressione visibilmente seccata ed era pronta a chiudergliela faccia se soltanto si fosse azzardato a fare accenno a proposito lo stato in cui versava la sua stanza. «Non dire una parola.» Lo avvertì spostandosi appena, consentendo all'uomo di entrare. Levi scrutò l'ambiente dirottando immediatamente lo sguardo dal pavimento, impraticabile a causa dei vestiti e numerosi oggetti frammentati d'ovunque, dal letto sfatto e disordinato, dalla scrivania che era stata devastata di materiali da lavoro e scientifici e appunti — cercò di ignorare la penna ancora gocciolante di inchiostro che aveva fatto una pozza nera sul pavimento —; dalla finestra aperta quantomeno s'introduceva dell'aria piacevole e una gradevole fragranza sprigionata dalle piante posizionate sul davanzale assicuravano un tocco di freschezza in più. Erano l'unico elemento individuabile che riusciva a offrire una sensazione di serenità in quel subbuglio caotico. Rintracciò la figura voltata di spalle di Emilia, indaffarata a inumidire le piante con un bicchiere pieno d'acqua; la giacca della divisa militare lanciata sulla sedia, gli stivali abbandonati sparsi per terra in due posizioni diverse, indossava i suoi soliti pantaloni grigi e una canottiera bianca. Attorno ai suoi capelli corvini ondulati e annodati svolazzava un leggero strato di pulviscolo che aleggiava sospeso. Levi non riusciva vederla in faccia, ma poteva affermare con sicurezza sul fatto che Emilia aveva la fronte accigliata a sostenere un'espressione turbata e investigativa. «Hanno ucciso i nostri giganti.» Esordì lasciando andare un sospiro. «Dopo tutto lo sforzo che abbiamo fatto e il numero di persone che abbiamo perso per riuscire a catturarli,»
«A te non frega niente di questo, smettila di fingere che t'importi.» Soppesò Levi sollevando disgraziatamente lo sguardo sul soffitto e proprio lì, in un angolo incastrata tra le travi di legno e la parete opposta, c'era una ragnatela che senza dubbio era grossa almeno quanto la sua mano. Una smorfia disgustata accennò a palesarsi sul suo volto. Talmente tanto era occupato a tenere d'occhio quella mostruosità, che non si accorse che Emilia aveva allargato le braccia in un mossa plateale e si era voltata verso di lui.
«Accidenti! Mi conosci troppo bene tu» Ammiccò indirizzandogli un'occhiata spiritosa, si avvicinò e prima che Levi potesse impedirglielo lei allungò una mano a scompigliare i capelli corvini di lui in un gesto rapido e disordinato «Continuare a essere così incazzato servirà solo a farti perdere i capelli.» Ridacchiò proprio nel momento in cui l'uomo le scostò con un gesto brutale il braccio dalla sua testa. Ricordarle incessantemente di non toccarlo sembrava una mossa inefficace, dal momento che sembrava non sentirlo neppure.
«Non sono venuto a fare conversazione, Erwin mi ha detto che mi volevi qui e che c'entrava una delle tue solite diavolerie,» parlò Levi mettendo subito in chiaro la situazione. L'aveva conosciuta così, Emilia, nell'esatto momento in cui tentava di fuggire da un'invenzione sul punto di esplodere; gli era bastata quell'unica volta per rendersi conto di non voler essere messo in mezzo quando si trattava di Emilia affiancata dalla parola 'invenzione'. Rimetterci una parte del corpo, o addirittura la vita, non era nelle sue più immediate prospettive: rischiava la morte costantemente ogni volta che metteva piede fuori dalle Mura, non aveva alcuna intenzione di mettere la sua incolumità nelle mani di una scienziata matta con inquietanti manie di protagonismo. «Sono venuto a dirti che non voglio averci niente a che fare.» Specificò rapido. Fece per andarsene ma speditamente Emilia barcollò in avanti e con uno sguardo preoccupato gli afferrò il braccio.
«Aspetta! Dammi una possibilità, guarda che è una roba pazzesca!» Piagnucolò contraendo il viso in un'espressione avvilita tentando di fare gli occhi dolci e sporgendo in avanti il labbro inferiore; il suo obiettivo era quello di suscitare tenerezza ma tutto ciò che scatenò in Levi fu un sentimento d'indifferenza, eppure non se ne andò. Tornò dentro la camera di Emilia e incrociando le braccia al petto, dando vita a una manifestazione di impazienza, la incitò a fargli vedere quello a cui aveva lavorato, sollecitandola a sbrigarsi. Negli occhi di Emilia tornò a tinteggiare una felicità spropositata che manifestò attraverso bisbìgli molesti e caustici, azzardò a qualche piroetta contenta fino a raggiungere il suo armadio e solo in quel momento Levi notò che nell'angolo tra il guardaroba e il muro spuntava un'attrezzatura di metallo. Lei l'afferrò e la posò sul tavolo; l'uomo, dichiarandosi effettivamente curioso, si avvicinò mantenendo l'attenzione immobile sul progetto. Sembrava un normalissimo dispositivo di manovra tridimensionale, tutte le parti di cui era configurato sembravano trovarsi al proprio posto: i contenitori delle lame, le bombole del gas, il propulsore, ciò nonostante, osservando meglio c'era qualcosa che mancava...
«Taaa-daaa! Che ne pensi?» Chiese Emilia con impazienza saltellando sul posto e picchiettando ripetutamente i palmi delle mani insieme. Levi non esitò a chiederle che cazzo fosse quella roba, e la collega, lasciandosi sfuggire un soffio eccessivamente drammatico aggiungendo «Con Hanji è stato più semplice» non gli concesse la soddisfazione di sentirlo dire direttamente dalla sua bocca «Se ti chiedessi qual è limite più grande dei nostri dispositivi, cosa mi risponderesti?»
Levi rispose senza pensarci: «la necessità di avere appigli ci crea più problemi quando siamo all'esterno.»
«Esatto!» Affermò con convinzione Emilia puntandogli il dito indice davanti il viso. «Ecco perché c'è questo gioiellino che provvederà a risolvere tutti i nostri problemi. Guarda.» Indicò alcuni punti specifici dell'attrezzatura che in effetti avevano incontrato delle modifiche evidenti e sostanziali e iniziò a spiegare: niente cavi e niente arpioni, non ci sarebbe più stata l'esigenza di cercare un appiglio a cui aggrapparsi ma sarebbe stato sufficiente semplicemente sollevarsi in volo utilizzando la propulsione del gas. I due catalizzatori su fianchi erano mobili, e ciò permetteva di regolare la direzione anche attraverso l'utilizzo delle gambe, quello sulla schiena favoriva invece la gestione della potenza e Emilia si era dedicata davvero nel potenziamento della valvola del gas tanto da rendere possibile il sollevamento di un uomo in aria senza difficoltà. Non era facile da controllare, l'aveva ammesso anche lei, serviva prendere familiarità, entrare in confidenza con l'attrezzatura, capire come usarla; fondamentalmente, imparare tutto daccapo. «Diventeremo leggeri come delle nuvole! E così i giganti non ci spaventeranno più nemmeno in pianura.» Specificò con l'ardore che le accendeva lo sguardo e alleggeriva la voce. Levi era ammutolito, azzardò ad riconoscere quasi di essere rimasto senza parole. Il prodigio di Emilia aveva dato prova della sua efficacia in più di un'occasione; poteva sembrare matta, esaltata, aveva spesso un'idea dietro l'altra, una più fantasiosa e bizzarra della precedente, spesso finiva nei guai perché sopravvalutava l'effettiva concretizzazione di un progetto o di un'invenzione scientifica, mettendo a repentaglio la vita di colleghi e sottoposti. Quando poi affiancava la quattrocchi nei suoi assurdi deliri di onnipotenza, diventavano una coppia che nessuno avrebbe voluto avere attorno; soprattutto qualora accadeva che rimanessero chiuse nel laboratorio per troppo tempo. Un'esplosione incombente era assicurata. Eppure erano le due persone più intelligenti che Levi conoscesse e anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, nella progettazione delle strategie la logicità di Emilia era davvero ottima, quasi a raggiungere l'abilità di Erwin. Aveva solo il terribile difetto di avere un carattere terrificante che, a quanto pare, solo Hanji riusciva a comprendere davvero — si direbbe, altresì che adorasse quel lato di lei —, gli altri, lui compreso, si impegnavano solo a tollerarlo a stento. Come Emilia non fosse stata ancora buttata fuori dall'esercito a calci per insubordinazione — le volte che aveva deciso di fare di testa sua erano ormai incalcolabili — era un mistero per Levi.
«Perché vuoi che lo provi io.» Rivelò offrendo libero sfogo ai suoi pensieri. Da parte sua aveva sempre evidenziato indifferenza nei confronti del lavoro di Emilia, mantenendo una distanza abissale con le sue invenzioni e lei non azzardava mai a coinvolgerlo... ad eccezione di quel momento.
«Perché mi fido solo di te.» Disse. Sembrava maledettamente seria, in un modo che se Levi non la conoscesse avrebbe pensato che fosse sincera, tuttavia, nonostante non le credesse convinto che quella fosse una sceneggiata, c'era qualcosa in quello sguardo che riusciva a far vacillare quella consapevolezza «O meglio, solo tu saresti capace di utilizzarla, nessuno riesce a volare come fai tu. Io non posso farlo, devo restare a terra a osservarla in azione.» Concluse picchiettando leggermente con il palmo sull'attrezzatura. Levi tornò a osservarla, gli occhi grigi si soffermarono un po' a lungo sui dettagli che rendevano il progetto indubbiamente interessante, azzardò ad allungare una mano a toccare con i polpastrelli l'estremità delle bombole del gas, il ferro freddo sotto le dita lo convinse definitivamente: «Va bene, fammelo provare.»
Quando Emilia lo abbracciò, per una volta, non si allontanò.
Erwin raggiunse il cortile individuando con lo sguardo Emilia indaffarata a parlottare con Levi a proposito delle indicazioni relative all'attrezzatura e proponendo ulteriori suggerimenti utili, gesticolava in maniera inopportuna e decisamente agitata facendo svolazzare in aria il taccuino che teneva in mano, Sarah diligentemente stava occupandosi di allacciare le fibbie del dispositivo tridimensionale attorno ai fianchi del capitano assicurandosi che tutto fosse al proprio posto. «Ricapitolando,» pronunciò Emilia a Levi in quello che, a giudicare dalla faccia esasperata di lui, doveva essere ormai la terza volta che gli ripeteva la stessa cosa. «Per il momento è sufficiente che tu riesca ad alzarti in volo, non fare mosse azzardate. Il propulsore sulla schiena ti darà una bella spintarella, quindi fai attenzione a non dare troppo gas o finirai direttamente nello spazio e anche se ammetto che sarebbe parecchio interessante, ti voglio tenere sottocchio. — indicò con un dito l'impugnatura presente ai lati dei suoi fianchi — Ricorda, sui manici ci sono gli interruttori di accensione, sarà tutto un gioco di gambe; regolerai la direzione di entrambi i catalizzatori ai lati.»
«Sui manici attivo il gas e non devo esagerare,» la interruppe Levi ripetendo l'essenziale facendole intuire che aveva capito il funzionamento di quell'equipaggiamento che avrebbe dovuto conoscere fin troppo bene. Il rischio maggiore di quell'attrezzatura era l'improvvisa mancanza del controllo in volo e rischiare di ritrovarsi a decollare in rotta di collisione verso il suolo, o peggio, in direzione della bocca di un gigante.
«Purtroppo non è un sistema che può essere integrato al classico con i cavi, per il momento. I due si intralciano a vicenda per la loro conformazione, ma ci lavorerò; dopotutto questo è solo un prototipo...» Sospirò Emilia sottovoce tenendo gli occhi fissi sull'attrezzatura trasmettendo l'impressione che stesse parlando a sé stessa, ignorando Levi che stava aspettando di essere lasciato in pace dalle mani si Sarah che lo stavano sfiorando delicatamente dappertutto e dall'asfissiante presenza della corvina. Appena l'assistente drizzò la schiena, sfoggiando un'espressione determinata accennando a un'approvazione con un cenno del capo e sistemandosi gli occhiali sul ponte del naso, Emilia batté le mani parlando a voce troppo alta: «Ottimo, sei pronto? Accensione sui manici, parti lentamente, così puoi prenderci la mano e—»
«Emilia!» Sospirò Levi con un accenno di esasperazione riservandole un'occhiataccia spietata corrucciando la fronte imponendola al silenzio. Emilia sbuffò sonoramente indirizzando all'uomo una smorfia infastidita e indietreggiò senza però essere in grado di occultare un fugace accenno di preoccupazione. Affiancò Sarah, che brandiva risolutamente un taccuino e una penna, pronta a prendere nota di ogni movimento del capitano in risposta all'attrezzatura, e Erwin che continuava a lanciare a Emilia leggere sbirciate curiose senza preoccuparsi di nascondere una sorrisetto divertito; continuava a chiedersi come la scienziata avesse fatto a convincere Levi, riflettendo sul fatto che quest'ultimo aveva sempre mantenuto una certa distanza dalle folli idee di Emilia benché lei puntasse in tutti i modi di coinvolgerlo proponendo progetti sempre più bizzarri e stravaganti nel tentativo di attirare la sua attenzione. Erwin sapeva che Emilia aveva sempre desiderato di coronare il sogno di vedere Levi con una delle sue invenzioni addosso e adesso, straordinariamente, ci era riuscita. Levi nel frattempo stava valutando scrupolosamente il manico sopra il quale era collocato il pulsante d'accensione e la leva per la regolazione del propulsore del gas. L'attivò, seguendo i procedimenti che Emilia gli aveva insistentemente spiegato; inizialmente avvertì l'avviamento dell'attrezzatura, i propulsori vennero azionati elaborando un getto che andava ad aumentare gradualmente di intensità fino a produrre una spirale di gas e un brusio simile a un sibilo fastidioso, l'aria che gli strofinava violentemente contro le gambe era potente e irritante, sentì che anche il catalizzatore sulla schiena si attivò iniziando a percepire la terra mancargli sotto i piedi. Avvertì un'inusuale sensazione di stordimento dovuta probabilmente al fatto che non fosse aggrappato a niente, non c'erano cavi a tenerlo agganciato a qualcosa permettendogli di avere un appiglio a rassicurarlo; ciò che lo teneva in aria era un getto d'aria talmente potente da sollevarlo. Si sentì sbilanciato ma leggero, quasi rilassato.
«Funziona!» Gridò Emilia con gli occhi che le scintillavano di entusiasmo avvolgendo un braccio attorno a quello di Sarah e prendendo a scuoterla con frenesia. Levi staccò definitivamente i piedi da terra e il cuore in petto cominciò ad accelerare i battiti: era indubbiamente diverso dal solito meccanismo di manovra, mantenere l'equilibrio era più complicato non avendo niente a cui aggrapparsi, ma la sensazione di delicatezza era ineguagliabile, sarebbe rimasto lassù tutto il tempo. Abbassò lo sguardo, il suolo era così distante che se avesse spento il meccanismo si sarebbe trovato con qualche parte del corpo sbriciolata, Emilia e tutti gli altri erano diventati delle figure indistinguibili, poteva vedere l'orizzonte che era una tela infinita di alberi tinti di verde e il cielo che si estendeva al di là delle mura. Provò a muovere leggermente le gambe nel tentativo di trovare maggiore stabilità, ma la difficoltà si mostrò essere più intensa del previsto e rapidamente sentì di perdere il controllo; si capovolse e spinto dal getto d'aria colpì violentemente il suolo con la nuca. Premette immediatamente il pulsante di arresto e roteò completamente la leva, fermando così il dispositivo prima che lo portasse a scavare un solco al suolo.
«Levi!» Strillò Emilia col fiato sospeso precipitandosi verso di lui. Si inginocchiò tenendo le mani a mezz'aria indecisa su quale fosse la cosa migliore da fare, iniziò a dare un'occhiata all'attrezzatura assicurandosi che non si fosse danneggiata nel frattempo che nella sua testa si susseguivano paranoiche supposizioni di possibili difetti di manutenzione. «Merda!» mormorò Levi, sollevandosi e massaggiandosi la testa dolorante assumendo una smorfia sofferente. «Questa è la più grande delle diavolerie che tu abbia mai creato, maledetta!»
Emilia lo guardò un po' confusa, chiedendosi se le avesse appena rivolto un complimento o un insulto. «Spostati» le ordinò poi lui, cercando di rialzarsi. «Voglio riprovarci.»
«Sei sicuro? Stai bene?» balbettò lei, realizzando che la voce le tremò leggermente. Appena lo aveva visto vacillare e precipitare verso il suolo aveva trasalito dallo spavento; era la prima volta che aveva assistito al soldato più forte dell'umanità fare una caduta del genere, tant'è che per un attimo Emilia temette che un altro capitombolo del genere avrebbe potuto avere delle ripercussioni irreversibili e terrificanti. Doveva ammetterlo: non si era mai spinta a tanto, aveva creato qualcosa di rivoluzionario e il motivo di tanta agitazione era quello di avere le carte in mano di un futuro prosperoso all'innovazione scientifica. Con Levi che aveva fatto quella brutta caduta la scienziata aveva temuto di vedere quelle previsioni straordinarie dissolversi in un soffio. Tuttavia aveva dimenticato la motivazione che l'aveva spinta a scegliere di coinvolgere proprio Levi in quel progetto: nessuno sapeva volare come lui, tutte le volte che Emilia lo guardava liberarsi in aria aveva sempre l'impressione che se avesse potuto sarebbe rimasto lassù tutto il tempo. Era sempre un'emozione incredibile ed era altresì convinta che anche le nuvole, di tanto in tanto, sussurravano il suo nome. Perciò, se fosse esistito qualcuno al mondo in grado di gestire e rendere pienamente funzionale quella sua invenzione, quello era solo Levi.
Sorrise convinta e senza dire altro si fece da parte, per permettergli di ricominciare. Si accostò a Sarah, allontanandosi ancora di più, mostrando più sicurezza di quanto non ne avesse avuta fino a un attimo prima. Levi avrebbe preso quel sogno e reso realtà. L'uomo fece nuovamente partire l'attrezzatura e ancora una volta cercò di sollevarsi e trovare stabilità. Barcollò un bel po', rischiando più volte di cadere, ma con capacità e caparbietà, dopo minuti di tentativi e prove, riuscì a trovare il tanto agognato equilibrio.
Emilia fece qualche passo affiancandosi a Erwin che nel frattempo assisteva alla scena con gli occhi azzurri accesi di un'emozione trionfante e un'espressione a tratti attonita, la corvina gli lanciò delle rapide sbirciatine trattenendo a stento delle risatine di agitazione, dopodiché diede una leggera gomitata all'uomo attirando la sua attenzione e assumendo una posizione orgogliosa decretò: «Allora, comandante, me la firma quella lettera di richiesta per poter portare questo gioiellino con noi nella prossima spedizione?»
L'uomo tenne ancora per un po' l'attenzione concentrata su Levi assumendo un aspetto pensieroso, sembrò rifletterci qualche istante per poi rivolgere a Emilia un sorriso piacevole che bastava da sé a trasmettere tutta la sua approvazione in merito al progetto: «Considerala già spedita.» Proseguì un susseguirsi di emozioni da parte della scienziata che andava repentinamente ad aumentare di intensificazione anche in risposta alle manovre che Levi aveva iniziato a fare; trovandosi abbastanza in alto aveva preso a muoversi in diverse direzioni azzardando a mosse più audaci per verificare la variabilità dell'attrezzatura, alla sua volatilità e quanto margine di mobilità gli concedesse. Fortunatamente le capacità di movimento erano incredibilmente più considerevoli, la vastità di improvvisazione in mosse più avventate era eccezionale e non esisteva più la limitazione dei cavi e l'inconveniente di rimanervi incastrati. Levi continuò a testare l'attrezzatura finché l'indicatore del gas non segnalò la carenza di quest'ultimo e tornò con i piedi per terra. Fronteggiò Emilia che mossa dall'impazienza continuava a saltellare sul posto battendo le mani e prese a lamentarsi su alcuni problemi logistici, sulla botta che aveva preso per colpa sua e quanto durasse poco.
La scienziata incrociò le braccia al petto, assottigliò lo sguardo e imbronciò l'espressione «È un prototipo! Cosa ti aspetti. L'ideale sarebbe avere sempre a portata di mano bombole di ricambio. Lo scambio è facile e veloce, ho installato un meccanismo di sgancio semplice, in pochi secondi è fatta. Utile anche nelle situazioni di emergenza. Se riuscissi a integrarlo con la classica attrezzatura con i cavi, o forse dovrei trovare un modo per comprimere di più il gas e utilizzarne meno...» parlottò nuovamente fra sé, inchiodando gli occhi in un punto imprecisato sul terreno; come accadeva spesso, le idee avevano iniziato a svincolarsi nella sua testa e ad palesarsi tutte insieme.
«Credi di riuscire a sistemare queste cose prima della spedizione?» Soppesò Erwin leggermente preoccupato, nel frattempo Levi si era tolto l'attrezzatura di dosso constatando quanto seppur provvista di elementi aggiuntivi all'originale, fosse sorprendentemente leggera rispetto a quest'ultima e il piccolo gruppetto si avviò verso l'entrata; la cerimonia di reclutamento sarebbe iniziata a breve. Emilia restò leggermente indietro, camminando con passo incerto e continuando a mantenere un'espressione meditativa picchiettando incessantemente con il dito sugli occhiali da lavoro caduti sul collo: a vederla così sembrava non riuscire a venire a capo alle ipotesi che avevano occupato la sua mente, creando un circolo vizioso di presupposti terrificanti che avrebbero mandato all'aria il lavoro di mesi. Ciò nonostante, momentaneamente le sue preoccupazioni vennero messe da parte appena la figura di Hanji si palesò davanti i suoi occhi; dovette piegarsi leggermente perché Emilia la vedesse, talmente tanto era immersa nei pensieri. Malgrado il visibile ritardo, le due iniziarono a condividere potenziali cambiamenti, quando Levi si voltò con l'intenzione di richiamarle, osservando gli occhi di Emilia tornare a splendere di entusiasmo, decise di non interrompere quel momento e di lasciar perdere. A giudicare però dalla fragorosa risata che liberò e da come portò le braccia a circondare il collo di Hanji in un abbraccio, dedusse che avesse trovato la soluzione, e infatti ammise a gran voce: «Puoi contarci, Erwin! Anzi, ti dirò di più, ne costruirò anche un'altra!»
❪ 注意。❫ ⤸
𝔞𝔲𝔱𝔥𝔬𝔯'𝔰 𝔫𝔬𝔱𝔢𝔰
Sono tornata, dopo un mesetto di assenza, con sei punti a un piede perché sono caduta su un bicchiere rotto 🙂 A raccontarla, giuro, che fa un sacco ridere. Comunque, per un po' avrò parecchio tempo libero in quanto non posso camminare e devo tenere il piede steso, perciò mi dedicherò tantissimo alla scrittura ✨
Cosa posso dire di questo capitolo? Lo amo. Mi piace un sacco. Mi sono divertita tantissimo a scriverlo proprio perché finalmente Emilia mostra al mondo (quattro persone ma shh, facciamola sentire importante 🫶🏻) la sua nuova invenzione; o meglio, il dispositivo di manovra tridimensionale leggermente rivisitato. Ok, sono sempre stata l'unica ad aver pensato ma perché non inventano un sistema più efficace, veloce e funzionale? No? Tranquilli, ci ha pensato Emilia. E chi mai poteva scegliere come cavia per sperimentarla? Ma OVVIAMENTE il suo carissimo amico Levi che per la prima volta da quando la conosce, ha ceduto e l'ha assecondata nelle sue follie. E per di più si lascia pure abbracciare senza staccarle la testa 👀💌 Ammetto che descrivere la scena in cui Levi prova l'attrezzatura di Emilia è stato leggermente più complesso e di conseguenza quella scena, inclusa la parte finale, non mi convincono appieno (ma davvero? ma quando mai succede...), INOLTRE spero di aver descritto le sensazioni e soprattutto l'invenzione di Emilia nel modo più comprensibile possibile 🤞🏻
Spero che il capitolo vi sia piaciuto 🌷🎀
Intanto piccola rappresentazione della sottoscritta in questi giorni da quando è tornata dal pronto soccorso. Sì, I MIEI AMATI MEMINI.
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