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35 ◌ αετός

Non avevo mai visto il tempio di Dodona durante le lezioni di arte. Quello che veniva mostrato sui libri erano principalmente le rovine di Atene e quando mi sono trovata davanti a quei tempi eretti fino a toccare il cielo di Zeus, ero rimasta letteralmente senza parole. Il tempio di Dodoma era molto simile a quello di Atene, le colonne erano pressoché inesistenti, sembrava una struttura moderna, una fortezza di pietra che al suo interno sigillava l'oracolo di Zeus. Al centro del sito era piantata una quercia attorno ala quale era incentrato l'intero culto della divinità. Da lontano, mentre a piedi ci avvicinavamo al punto di interesse, vidi una maestosa aquila vegliare sulla zona e subito ricordai che quel particolare tipo di uccello era sacro al dio dei fulmini.

«È importante, sai? Ci aiuterà a tornare a casa» parlò Calum colmando quel silenzio pensieroso che si era instaurato tra noi.

«E tu come lo sai?» chiesi legittimamente, dato che quando era approdato lì in Grecia non sapeva neanche come si chiamasse il dio del Cielo. Da quando era così esperto?

«È il fulcro di questo oracolo, intermediario tra noi mortali e le divinità. Mentre dormivi, Hermes mi ha tenuto compagnia e gli ho fatto alcune domande. Mi sta simpatico.» Sorrisi, mi faceva piacere che fosse informato più di me. Per me era una soddisfazione, la sua solita espressione da stupido non gli rendeva giustizia. Vedere qualcuno che sapeva quanto me, che leggeva con curiosità, aveva brama di sapere era una vittoria. Tutte quelle persone che odiano i saccenti non sanno quanto bisogno loro abbiano di trovare qualcuno che abbia la loro stessa curiosità verso l'ignoto.

Quando raggiungemmo la quercia al centro del luogo di culto sussultai dall'emozione, non volevo andare via. Sentivo nuovamente le urla della gente sui mezzi pubblici, o la noia che si arrampicava dentro quando poltrivo sul divano con il telefono in mano per la maggior parte del giorno, soprattutto nel weekend. O la domenica. Quanto è brutta la domenica? Quando sei lontano da casa e perdi la cognizione del tempo, i giorni non si giudicano in base al loro nome o a quello che si farà, ma in base a quello che riusciremo a raccogliere e a scoprire. Non guardi più dietro la settimana precedente come una lista di cose da fare completata, ma come un quaderno dei ricordi dove ogni giorno ha un colore e una foto allegata. Ma era finito tutto, e lo sentivo fin dentro le viscere che non sarebbe più tornata la spensieratezza, l'aria pulita, la felicità.

Fine dei giochi, avventura conclusa.

«E adesso?» Sentivo che Calum avesse provato quantomeno le mei stesse emozioni in quel momento. Per quanto amasse la sua vita nel nostro mondo, non poteva negare di essersi divertito, di essersi emozionato e di aver scoperto qualcosa che mai avrebbe conosciuto solo battendo una palla arancione sul pavimento luccicante della palestra.

Sospirai, guardandomi intorno. Niente di nuovo, di strano, di magico. Semplicemente era un tempio e non c'era niente, o nessuno. Emozionante. Notai presto che dalle nostre spalle, dal cielo precisamente, scese quell'aquila che stava vegliando sul luogo, adagiandosi con grazia su di un ramo della quercia, con il becco rivolto verso di noi.

«Oh, è-»

«L'aquila, sì.»

«Sì, e ho anche un nome!» Io e Calum ci guardammo sbigottiti. Sicuramente la nostra non era sorpresa, considerando che Hermes si era presentato da noi sul carro come un pulcino indifeso. Semplicemente non ci aspettavamo che parlasse anche quell'animale. A questo punto potevo pensare e diffondere la concezione che ogni uccello greco parlasse.

«Mi chiamo Agape. Forse così non sono molto credibile, attendete.» Le ali dell'aquila si aprirono solennemente, mostrando la loro grandezza, prima di trasformarsi in braccia candide e magre, leggere ed eleganti nel leggero vento, muovendosi a tempo insieme alle foglie del vecchio albero. Da quel movimento la splendida aquila si trasformò in una donna bellissima, dai lunghi capelli scuri e la tunica brillante. Era ancora seduta sul ramo con una leggiadria degna di una regina, come se sapesse fluttuare in aria e la gravità non la spaventasse per nulla. «Spero che così vada meglio.»

«Di gran lunga meglio» annuì certo Calum, meritandosi una mia gomitata nel fianco. Come si permetteva! Era una donna adulta! E soprattutto, aveva qualcosa di strano. Il vestito sembrava trasparente, non come un tessuto trasparente che non lasciava nulla all'immaginazione, piuttosto come se...

«Lei non è veramente qui, vero?»

«È così, Diana. Sono bloccata lontana dal luogo in cui dovrei essere, portata in un regno che non appartiene alle anime» soffiò piano, le sue parole erano ben scandite eppure flebili, come se fosse difficile mettersi in contatto con noi. Lì era la fine del nostro percorso, quindi come saremmo dovuti tornare a casa? Lei chi era?

«Agape. Tu chi sei?»

«Sono colei che ha dato la vita al semidio Hārry, figlio di Ade. La mia anima è legata al mondo degli Inferi, eppure per un volere superiore, ora c'è anche discriminazione di anime. E noi anime pure non ci meritiamo un luogo tetro come l'Ade, o le anime impure non meritano la luce. Due estremi che inevitabilmente fanno stare male ambedue le parti. E l'unica cosa che bramo è-»

«Tornare negli Inferi dal tuo amato Ade» concluse il discorso Calum, annuendo comprensivo a quanto detto. E noi cosa avremmo dovuto fare?

«Che cosa ci facciamo qui? Ci hai portato tu qui, all'oracolo?»

«L'oracolo non è un luogo, ma un'entità. E no, è stato uno degli Oneiroi al quale ho ordinato di prendere l'essere dall'animo più profondo, e l'essere più empatico del mondo. Il caso ha voluto che voi vi conosceste già. Il volere dell'oracolo ha sempre ragione.»

«Cosa diamine sarebbe un Oneiroe?!» Sbottò Calum facendomi sussultare sorpresa al suo fianco, prima di alzare gli occhi al cielo. Agape spiegò brevemente che erano delle divinità figlie della Notte che si occupavano dei sogni mortali, e giacevano nell'Ade insieme al Dio degli Inferi. Morfeo era uno di quelli, spiegò, anche se lui si era trasferito sull'Olimpo dopo aver fatto presente al Dio Zeus della sua storia eterna con Hermes.

«Quindi Morfeo ed Hermes stanno insieme» masticò la storia Calum, come per assimilare quanto appena detto dalla donna ologrammata davanti a noi. Sospirai, cercando di cogliere la vera essenza di quanto ci aveva appena raccontato.

«Non può esser stato Morfeo allora. Ma non è questo il punto, come facciamo a tornare a casa? Questo può servire?» Cercai di slacciarmi dalla vita il libro, prima di alzarlo verso Agape che istintivamente si coprì, come se pensasse ad un'arma letale scagliata nella sua direzione. Quando si rese conto di avere davanti un semplice libro, scese dal ramo dell'albero con un salto troppo atletico per una donna matura come lei, avvicinandosi all'oggetto che avevo tra le mani. Accarezzò la copertina del libro senza però prenderlo dalle mie mani, alzando poi lo sguardo su di me.

«Sai di cosa parla?»

«Certo che sì. Parla di amore, di Eros. Parla di quella brama che unisce due innamorati e lo definisce folle. Ma non si coglie solo questo. Ci vedo speranza, come per il mito di Aristofane, la costante ricerca della metà dalla quale ci hanno separato. Forse risalta di più ai miei occhi perché nel mio tempo importa di più la ricerca asfissiante di qualcuno che ci ami, noi abbiamo necessità di essere completati» parlai. Non ero certa della mia definizione, era solo una supposizione campata in aria dopo aver letto un libro, qualcosa che fanno tutti i lettori dopotutto. Lei annuì, prima di girarsi verso Calum.

«E tu?»

«Io cosa?» Subito lui si drizzò con la schiena, guardando negli occhi la donna semitrasparente.

«Cosa pensi che lei abbia colto da questo libro?»

«Signora, io non credo di essere in grado di-»

«Gradirei che rispondessi senza sminuire il tuo potere più grande, Calum.» Lui deglutì, era in soggezione. Beh, in verità lo ero anche io, con una tinta di imbarazzo a colorarmi le guance. Lo stava mettendo alla prova e per farlo aveva deciso di usare me come esempio. Mi sentivo guardata da tutti anche se lì c'erano solo due paia di occhi a guardarmi, sembrava come se fossimo in diretta tv e tutti potessero vedere la mia espressione.

«Quello che ha detto lei è vero, era sincera quando ha detto di aver captato quelle determinate nozioni dal libro letto. Solo che lei non crede in quello che legge, non è per niente d'accordo su quanto dice Platone. Lui spiega di come l'uomo abbia speranza nel trovare qualcuno che lo completi, a Brooke non importa. Lei non vive con questa necessità di essere completata, sente piuttosto il bisogno di bastarsi senza dipendere da nessun altro.»

«E questo non va bene, Calum?»

«Non è che non vada bene, signora Agape. Lei si chiude in sé e non si rende conto di chi le sta intorno, determinata a soddisfare sé stessa con la presunzione che nessun altro possa farlo. E sono anni che tento di capirla e solo questo viaggio me lo ha permesso, sono anni che tento di comprendere come amarla e farla sentire amata guardandola da lontano, ma lei sembra così motivata a non conoscere mai l'amore» sputò le ultime parole velocemente, come se non volesse farle sentire. Mi morsi il labbro imbarazzata, mentre lui si guardava i sandali con altrettanta vergogna. Grazie signora Agape per quel momento imbarazzante che aveva creato tra noi.

In tutto questo, era stata una dichiarazione d'amore che non avevo colto immediatamente come mio solito. Forse avevo ragione, forse mi ero costruita intorno a me così tanti muri e strati da non notare il mondo circostante con gli occhi di una persona che provava emozioni, ma come una persona che deve studiare semplicemente e andare a fondo.

Guardai Agape insicura, rigirandomi tra le dita il gioiello regalatomi dal mare durante quell'avventura, mentre nella mia testa mi passava velocemente il pensiero di poter perdere quel cimelio ormai importante per me.

«La vostra avventura finisce qui» si limitò a dire Agape, stringendosi nelle spalle. Calum alzò un sopracciglio interdetto, io mi guardai intorno sperando che quella frase scatenasse chissà quali poteri intorno a noi o forze da poterci riportare nel nostro mondo. Annuii sarcastica e guardai Calum.

«Incredibile, guarda! Siamo a casa!»

«Brooke...» mi ammonì con il tono, mentre io incrociavo le braccia sotto il seno indispettita, chiedendo con i gesti di ridarmi il libro che aveva ancora in mano all'ologramma della donna. Lei lo porse piano, e in quel momento notai che i suoi movimenti erano lenti come se messi in moviola, delicati perché rallentati. Sembrava come se avvertisse il tempo sulle spalle.

Stavo per rispondere a tono, forse anche urlando (non lo sapremo mai), quando l'albero sprigionò un'ondata di luce accecante che fece tremare l'immagine flebile di Agape. Lei si spostò al mio fianco e in tre camminammo all'indietro, allontanandoci dalla quercia per non rimanere folgorati dalla luce.

«Michael!» Da essa, ne vennero fuori Michael Clifford, Luke Hemmings e due ragazzi che non conoscevo vestiti tutti con le tuniche, i miei amici compresi. Quando vidi Michael non resistetti dal corrergli incontro, stringendolo forte. Non mi aspettavo che anche lui fosse capitato forse in una situazione simile, e che fosse così lontano da me. Era passato così tanto dall'ultima volta che l'avevo visto.

«Ciao B» mi strinse a sé lui, scompigliandomi i capelli come faceva spesso e rovinandomi la treccia. Mi girai verso Calum e lo vidi che salutava con un abbraccio contenuto Luke, dandosi entrambi pacche amichevoli sulle spalle. Poi abbracciai anche Luke, e vederlo lì in presenza di Michael mi faceva sorgere un sacco di domande ma altrettante risposte ai miei dubbi, che incominciavano ad attutirsi con la mia fiducia nel destino. Quando vieni a contatto con un'oracolo, è difficile non crederci.

Quando sciolsi l'abbraccio con Luke guardai i due ragazzi vicino alla sagoma semitrasparente di Agape che parlavano e il ragazzo più alto, riccio, che cercava di afferrare la mano della figura sospettai fosse Hārry, suo figlio. Quello vicino a lui, molto stretto al suo fianco, aveva degli occhi celesti come le acque di Poseidone, della stessa intensità del talismano al mio collo. Ci guardammo a lungo, prima che si avvicinasse a me.

Non nascondo che mi intimoriva. Non era il suo aspetto fisico, ma la sua possanza e il carisma. Era deciso quando camminava, sapeva già quello che voleva dirmi, o farmi. Non mi entusiasmava la sua spada e la mano sull'elsa.

Sguainò la spada con un viso triste e diede un'occhiata al libro tra le mie mani, poi me la porse silenzioso, prima di inginocchiarsi davanti a me.

«Durante il ritorno qui, ho rivisto la civiltà nel suo regredire. Non è male se la si guarda al contrario, si possono imparare sagge lezioni dal passato, per un futuro più longevo. E quello che hai in mano, potrebbe salvare l'umanità, un giorno. Ma voglio porgerti anche questa.» La sua voce era delicata ma decisa, forte ma soave. Io guardai la sua mano tendermi l'elsa della spada ed ero titubante, ma allo stesso tempo volevo prenderla. Louīs notò la mia indecisione e mi guardò apprensivo, prima di sorridere.

«Non ha mai fatto del male a nessuno, questa lama. Era stata creata da Efesto e ornata di appellativi come "la spada più potente di tutte" o simili parole di circostanza, eppure non ha mai fatto ciò per la quale era stata creata. Non ha inflitto nessuna pena, ha solo liberato un uomo, un Dio. Ed ora la porgo a te, perché il senso di quest'arma è la capacità di saperla usare con ingegno, e nono con violenza» Louis continuò a parlare, e mi incitava a prendere l'elsa. Annuii piano, sfiorando le sue dita e impugnando la spada, e questa sprigionò la stessa luce che proveniva dalla quercia, o dal corpo di Agape. Sgranai gli occhi sussultando spaventata e quasi abbandonavo la presa per farla cadere, prima che si trasformasse piano in un braccialetto finissimo di oro bianco, con un occhio greco azzurro al centro.

«Praticamente hai fatto rifornimento di gioielli qui in Grecia, B» commentò Michael e io soffocai una risata mentre Luke gli dava una gomitata per aver rovinato un momento memorabile e degno dei migliori film drammatici.

«Grazie, Louīs. È un dono che non posso dimenticare, né tantomeno abbandonare» gli sorrisi, lui aprì le braccia e mi tirò verso il suo petto in un abbraccio fraterno, mi sentivo a casa lì, lontana millenni dal mio reale posto. Sospirai, sciogliendo l'abbraccio prima di guardare Calum che aveva apparentemente un viso amareggiato. Capii che era triste perché, a differenza sua che non aveva ricevuto niente se non l'odio di Ashton, sembrava che io avessi svaligiato Swarovski. Gli sorrisi e mi faceva tenerezza perché il suo labbro inferiore si stava increspando in un muso lungo. Mi sganciai il braccialetto appena avuto dal greco Louīs e alzai il braccio di Calum per poterglielo legare.

«Che stai facendo?»

«Ti regalo qualche souvenir di questa avventura e, chissà, forse ti ricorderai di non prendermi in giro nei corridoi!» Sdrammatizzai mentre gli legavo il braccialetto al polso, il quale si trasformò subito in un bracciale da uomo con il medesimo occhio greco azzurro, emettendo una luce per il cambiamento subito. Lui sembrava visibilmente contento del regalo ottenuto ed io lo ero altrettanto per averglielo dato. Lui mi tirò a sé s mi strinse in un abbraccio ben diverso dai precedenti avuti negli ultimi quindici minuti, era più sentito, più urgente e più... intimo. Deglutii e alzai lo sguardo verso di lui mentre ero stretta sul suo petto e lui abbassò lo sguardo su di me nello stesso istante.

Mi baciò. Non fu uno di quei baci che leggevo sempre nei libri, pieni di passione e urgenza, pieni di smancerie e dati al primo appuntamento galante o dopo la classica lotta del ragazzo cattivo e pestato a sangue. Era un bacio stampo pacato, delicato. Sembrava come se da quel viaggio avesse compreso quanto difficile fosse essere una persona completamente buona e posata e ce l'avesse messa tutta per baciarmi in quel modo, in quel contesto.

Io non me lo aspettavo, ma sicuramente qualcun altro lì -o tutti, magari- non avevano la mia stessa concezione della realtà.

«Era ora» commentò Michael.

«Negli spogliatoi perfino parlava del tessuto della tua maglietta» borbottò Luke prima di ridere. Harry e Louis guardavano in silenzio la scena, dopo che abbandonai le labbra di Calum completamente rossa e frustrata in viso. Ero una dura, non potevo farmi vedere lì rammollita per colpa di un giocatore di basket. Agape mi guardò, era l'unica donna lì presente con me, eppure non era neanche fisicamente presente. Annuì, come se l'oracolo avesse predetto anche che avrei ceduto il mio braccialetto a Calum. Solo in quel momento, mentre sbiadiva nell'ombra, pensai che dentro di sé forse un po' di oracolo lo portava. Sapevo non fosse un'entità fisica, ma per essere tanto ambita e amata da Ade, una spinta in più doveva averla.

«Ora come torniamo a casa?» Domandò gentilmente Luke avvicinandosi con accanto Michael a noi. Hārry ci guardò con lo sguardo corrucciato, pensieroso. Si guardò intorno e guardò noi, poi guardò Louīs. Notai che i capelli di Harry erano ricci e lunghi appena sopra le spalle, erano bellissimi. Aveva degli occhi verdi che richiamavano tutti i campi che avevo visto nel cammino verso il tempio di Dodona, ma avevano una patina nera che li proteggeva. Era quasi impercettibile, ma svolazzava nascosta davanti alle sue iridi colorate.

«Unite gli oggetti divini che avete con voi.»

«Quindi il bracciale e la collana?» Calum mi teneva ancora stretta a sé ma aveva appena allentato la presa, senza però abbandonarmi.

«Il bracciale, la collana e...»

«Il libro!» Esultò Louīs con gli occhietti curiosi illuminati, mentre guardava il libro che portavo tra le mani. Avevo voglia di regalarglielo come lui aveva regalato a me la spada, eppure sapevo che non fosse il caso. Insomma, tutti hanno visto Ritorno al Futuro e, nonostante tutta la nostra avventura non avesse senso in ambito spazio-temporale, non volevo causare ulteriori problemi all'umanità. Luke e Michael presero il libro tra le mani e ci esortarono a fare lo stesso, così che ognuno di noi reggesse un angolo di esso. Calum usò la mano con il braccialetto, io staccai la collanina dal mio collo e la poggiai sul libro. Hārry agitò una mano in modo teatrale e una luce ci inghiottì, lasciando alle nostre spalle il tempio di Dodona, Atene e tutta l'Antica Grecia. 

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