29 ◌ συνήθεια
—Abitudine.
Ero letteralmente sconvolta da ciò che aveva detto Calum a proposito del suo orientamento sessuale.
Pensavo che fosse gay? No, non ci avevo mai creduto.
Pensavo che fosse etero? Non ci avevo mai dato peso, non mi interessava e non lo frequentavo a scuola prima che quella situazione mi obbligasse a conoscerlo meglio. Non mi ero mai interessata veramente a Calum Hood, il capocannoniere della squadra di basket della scuola, rispetto al resto dell'istituto. Sembrava così cliché, eppure era così vero quanto le persone tenessero all'immagine dei campioni dello sport. A mio parere, persone carismatiche come il rappresentante di istituto, oppure Stevie Bold il capo del gruppo di scacchi (dalla diplomazia sottovalutata) dovrebbero essere persone alla pari degli sportivi. Non so chi abbia stabilito la gerarchia, ma era sicuramente una cheerleader, per le idiozie di questi stereotipi.
Il bagno caldo non fu così imbarazzante come pensavo. Parlammo tranquillamente del più e del meno lasciando che la conversazione perdesse quell'aura di curiosità che avevo innescato io, impicciandomi in fatti che non mi riguardavano della sessualità di Calum Hood. Ma non me ne facevo poi così tanto una colpa, sentivo di star provando curiosità e interesse nei confronti di una persona che mai avrei pensato potesse starmi lontanamente simpatica. Erano sensazioni nuove, emozioni nuove. Lo guardavo interessata con la coda dell'occhio sperando che non mi notasse, con la speranza racchiusa tra le mani che potesse guardarmi ogni tanto quando ero distratta. Mi piaceva essere guardata, se quello che lo faceva era lui. Volevo che mi trovasse interessante, anche se il contesto era differente. Sapevo che, una volta tornati alla vita reale, lui sarebbe tornato ad essere Calum Hood il capocannoniere ed io sarei ritornata ad essere Book, la tipa dei mille libri. Io sarei tornata nella mia cerchia di sfigati con Michael Clifford e, a volte, Luke Hemmings che mi degnava di una chiacchierata e un abbraccio in pubblico.
Era il contesto differente che mi faceva vivere in maniera differente. Come se fosse una vacanza, stacchi totalmente dalla routine scocciante e ti ritrovi avvolto in un turbine di emozioni diverse da quelle quotidiane. Ed è perfetto, sicuramente meglio della normalità. Ed era lì, in quel momento, che volevo che lui mi notasse, io con la mia spensieratezza e senza i mei libri che mi etichettavano, senza le mie felpe larghe a coprirmi il corpo e le incertezze perché semplicemente lì non c'erano ancora delle etichette e non avevo bisogno di agitarmi del parere della gente perché era ancora qualcosa di ignoto. Ed era gratificante, liberatorio, e più me ne rendevo conto, più credevo di voler rimanere lì, perché era quello il posto adatto a me. Calum sicuramente sarebbe tornato alla ribalta del futuro, ma io ad uno smartphone preferivo di gran lunga la libertà.
«Tutto pronto?» mi chiese affacciandosi alla camera che in precedenza ci aveva messo a disposizione Ashtōn. Dopo il bagno era andato prima lui a cambiarsi, sostenendo di essere più veloce, e poi ho avuto il tempo di rimettere anche io una tunica pulita e, sotto consiglio delle ancelle, provare degli oli molto profumati.
«Sì, possiamo andare» annuii io legandomi sotto la tunica il libro Il Simposio di Platone, che da quanto avevo afferrato dalla visita a Poseidone sarebbe stato lui a portarci a casa proprio come ci aveva messo nei guai potandoci nel passato.
«Aspetta che ti aiuto» si avvicinò ed io mi scansai, guardandolo di sbieco. Le mie guance le sentii in fiamme, ma non volevo che mi toccasse, non ancora. Non ero pronta ad un contatto di quel genere con quel genere di ragazzo. Ero comunque alle prime armi con l'amore, non mi era mai stato famigliare come in quel momento, in quel luogo. Tutti i miei libri erano diventati realtà, tutte le storie che avevo letto e i protagonisti innamorati con i loro sentimenti li sentivo ormai realmente parte di me, come non lo erano mai stati prima. Sentivo l'amore non corrisposto di Basil per Dorian de Il ritratto di Dorian Gray, sentivo l'amore travagliato di Nina per Patrick di Innamorata di un angelo, oppure l'amore dei libri di John Green che mia madre aveva letto e mi aveva costretto a leggere per farmi essere un'adolescente normale, come diceva lei. Quell'amore, in tutte le sue sfaccettature, lo sentivo cucito sulla mia pelle in una calda coperta che proprio Calum con le sue mani aveva riposto. Ma avevo paura di abituarmi al calore di essa e di poterne rimanere delusa nel momento in cui se la sarebbe ripresa.
Notò la mia reazione e nessuno dei due parlò, semplicemente si allontanò e guardò le mie mani agire autonomamente intorno alla mia vita, legando il libro con lo spago. Annuì impercettibilmente prima di riavvicinarsi all'uscio della porta e aspettarmi lì.
Quando partimmo, le ancelle baciarono una dopo l'altra Calum tutte rosse in viso, lasciando che la mia gelosia fosse un climax di imprecazioni e sentenze nei loro confronti. Poi salutarono me, e l'ultima mi raccomandò di tenerlo stretto al mio fianco, perché loro tutte erano disposte a prenderselo con i denti. Alzai le sopracciglia stranita e non risposi, lasciando che il carro con i due cavalli rossi partisse verso il tempio temuto e misterioso: il Tempio di Dodona.
«Non hai detto una parola dalla casa di Ashtōn.»
«Mi dispiace non averlo salutato. Ha fatto così tanto per noi.»
«Beh, se l'aver fatto tanto significa avermi fatto passare per un deficiente ai tuoi occhi, hai ragione. Si è proprio impegnato.» Ridacchiai.
«Non è così tremendo, Cal.»
«Come no? Oh, mi ha chiamato Atena! Ha osato fare del sarcasmo con me, non pensavo neanche esistesse il sarcasmo nell'Antica Grecia!»
Risi più forte, mi stavo divertendo. Eravamo molto vicini, seduti su quel piccolo carro diretti dove i cavalli ci portavano, verso nord, da quanto capito. Lui sembrava guidato da una voce divina, era così sicuro di sé sotto le prime luci della sera, il cielo ancora illuminato dai rimasugli di raggi solari e lui che splendeva di luce propria da ogni angolazione, con ogni luce puntata sul suo viso. Mi stavo innamorando a vista d'occhio e tutto quello che volevo era solo rintanarmi in casa e dimenticarmi l'accaduto. Avevo imparato dai miei racconti che non sempre l'amore è bello, spensierato, spontaneo e corrisposto. Può essere tormentato, difficile, non corrisposto, pesante e a volte ti può anche portare a farla finita e sinceramene non era nei miei piani, in quel momento.
«Mi piace quando ridi, sembri libera.»
«Io sono libera qui, Cal.»
«È la seconda volta che mi chiami così.»
«Dovrei ricominciare con Gay Hood?»
«Non intendevo dire quello che pensi. Mi piace anche questo, mi piace quando mi chiami Cal.» Sospirò. Non risposi, non sapevo cosa dire, o come interpretare tutto quello. Avevo appena capito sulla mia pelle che l'amore è un muro che si costruisce con mattoni di incertezze, e io avevo appena posto le fondamenta con un po' di cemento di paranoia pura. Non sapevo neanche se toccava a me interpretare le sue parole, o al mio cuore dopo un po'. Sapevo che la mia mente avrebbe tratto una conclusione dopo due ore, quando il mio cuore solo con l'accelerare il battito cardiaco aveva già raggiunto il verdetto.
Le ore passarono, il cielo si diventò scuro del tutto. Non mi ero resa conto che con un gesto involontario mi ero appoggiata con la testa sulla sua spalla, portando le gambe verso il mio petto mentre lui rimaneva composto e seduto a fissare il tragitto che avevamo davanti. Il silenzio che c'era tra noi non era imbarazzante, era confortante. Come se entrambi avessimo bisogno di un po' di pace per metabolizzare i nostri pensieri e metterli in ordine.
«Book» mi chiamò. Mi girai appena, senza allontanarmi e senza guardarlo.
«Sì, Calum?»
«Quando hai iniziato a sentire i rumors sulla mia sessualità, cosa hai pensato?»
Lo guardai, leggevo sul suo viso dell'insicurezza, e mi preoccupai. Ma non permisi alle emozioni di rovinare il momento.
«Nulla, Calum. Nel 2019 non fa più nessun effetto a nessuno, se non agli ultimi stupidi del pianeta.»
«No, non intendo cos'hai pensato della mia sessualità, ma- non so spiegarmi.»
«Calum, la mia risposta rimane sempre "nulla". Eri uno dei tanti stronzi che mi chiamavano Book per i corridoi e uno dei tanti stronzi di cui mai mi è fregato niente, ad essere sincera.»
«Scusa per quello.»
«Abitudine»
«E ora?»
«Rimane ancora abitudine.»
«No, intendo ora ti interessa qualcosa di me?»
Mi ricomposi, spostandomi con la schiena dalla parte opposta del suo braccio, sul bracciolo del carro, sempre con le ginocchia portate verso il petto. Lo guardai meglio, da un'altra prospettiva, e anche lui aveva costruito il mio stesso muro di incertezze, ma non sapevo se fosse dovuto ala sua sete di popolarità o all'amore.
«Che dovresti mostrarti per quello che sei. Ti è anche convenuta questa storia dei rumors, non negarlo. Ti piaceva essere guardato per i corridoi come se fosse necessario, come se fosse parte di te essere notato. Per cosa, poi? Per delle voci infondate?»
«Non sai com'è andata...-
«Non ho mai voluto sapere, non mi interessano le voci di corridoio, perché so che portano notizie false in partenza.» Ed era la verità. Non mi fidavo mai di quello che diceva la gente, perché era subdola. Tanto da dire, le parole che straripano dalle loro bocche come una conseguenza di un peccato di gola, nauseante. Lui lasciò per un attimo le redini, i cavalli erano fieri e sicuri del tragitto, e toccò un mio ginocchio, le sue dita a pochi centimetri dal mio viso. Spinse in giù le mie gambe verso il suo grembo e semplicemente lo lasciai fare.
«Tutto è iniziato quando-»
«Aspetta, stai davvero raccontando la storia della tua popolarità in questo contesto storico?»
«Voglio ricordarmi di te come un'amica, quando torniamo a casa. Non voglio che tutto vada perduto.» E neanche io lo volevo. Ci eravamo conosciuti in un contesto diverso ma ci aveva fatto essere noi stessi a prescindere dal rapporto praticamente inesistente dal quale eravamo partiti.
«Prego, parli pure!»
«Incredibile quanto sia cattiva la gente, e insieme alla cattiveria anche stupida. Le voci infondate su quella friendzone sono state capovolte e funzionavano alla perfezione. Io ho dato buca ad un ragazzo di secondo anno, con una delicatezza che non pensavo potesse essere da me. Eppure ci ho rimesso, ci rimetto sempre. Quando cerchi di essere buono, pacato ed educato, le etichette ti trascinano giù che tu lo voglia o meno. Non era possibile che il capocannoniere della squadra di basket fosse una persona gentile, sei sei così in alto nella piramide sociale o devi essere un asso con la diplomazia come Luke Hemmings, o uno stronzo di prima categoria come la capocheerleader e il quarterback o, nel mio caso che non ero conforme a nessuno dei due campi, era meglio essere gay. Perché è meglio essere gay che educati, o meglio, alla gente interessa più che tu sia gay che educato, è più adatto al gossip. Sono stato risucchiato da quella stessa etichetta che non volevo avere sulla pelle, e mi sono piegato alla sua volontà. Qui è diverso, sai? Nessuno ha quello sguardo da "sarà gay o no?" oppure "Chissà quant'è stronzo il capocannoniere", qui semplicemente ti guardano nell'anima per un istante e sanno già se sei adatto a loro. E lo sei sempre, perché qui non hanno pregiudizi, non hanno problemi, nessun pensiero impuro. Semplicemente vivono.»
Non pensavo che Calum Hood fosse in grado di parlare con il cuore in mano. Ma d'altronde, era colpa delle voci, che me l'avevano fatto pensare.
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