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AGAIN _ 2.1

Quando suona la sveglia sono già in piedi da un pezzo. Mi sono lavata e vestita di tutto punto e i libri sono in ordine nella borsa. Dalla finestra della mia stanza ho visto arrivare l'alba con i suoi colori, e ho sentito mio padre alzarsi, armeggiare rumorosamente in cucina, convinto di fare piano, e uscire per andare al lavoro.

Adesso la casa è vuota. Sospiro e mi costringo ad affrontare la giornata. Lancio una rapida occhiata alla mia immagine riflessa nello specchio sopra il cassettone: i capelli mi ricadono lisci sulle spalle incorniciandomi il viso, peccato che non sia certo la personificazione della gioia. Indosso una T-shirt a righe orizzontali bianche e blu e un paio di jeans chiari, strappati sul ginocchio. Ai piedi le immancabili Converse.

Mentre scendo le scale l'odore del caffè mi solletica le narici. Sul tavolo della cucina c'è un piatto coperto, vicino alla tazza con il mio nome. Lo scoperchio. Papà mi ha preparato i pancake e ha usato pure il bacon e le uova per fargli una specie di faccina sopra! Mi scappa un sorriso mio malgrado, che gesto gentile. Nonostante abbia lo stomaco chiuso in una morsa di puro disagio, divoro tutto con appetito.

Apro la porta di casa e inspiro a fondo. Ecco, ci siamo: è arrivato il primo giorno di scuola dell'ultimo anno di liceo. Infilo le cuffiette e lascio che la musica a palla mi accompagni durante il tragitto. Voglio provare a rilassarmi un po'. Il cielo è di un azzurro intenso, non si muove un alito di vento e questo mi fa prevedere una giornata afosa, una delle ultime di questa estate.

La scuola è un complesso che risale agli anni cinquanta, di medie dimensioni, in mattoni rossi con grandi finestre ovunque. Il cortile è già pieno di macchine e gli studenti chiacchierano e salutano i compagni che non hanno visto per tutta l'estate. Secondo quanto indicato dai documenti che ho letto ieri, devo cercare la presidenza che, stando alla cartina, è nella zona della segreteria.

Credevo di essere in anticipo, ma mi rendo subito conto che non è così. Sono talmente agitata che quasi non mi guardo nemmeno intorno, tengo gli occhi fissi sulla mappa della scuola per orientarmi meglio. Una volta raggiunta la segreteria, dove dietro un ampio bancone troneggia una donna di mezza età dall'aria annoiata, mi siedo in attesa del mio turno. Lancio un'occhiata in corridoio, nessuno sembra aver notato la mia presenza e questo mi fa piacere. Di colpo una ragazza vestita in maniera decisamente vistosa attira la mia attenzione. Indossa una gonna a balze giallo canarino e una camicetta vaporosa bianca, dal colletto rigido. I suoi capelli, una chioma riccia e molto folta, la sovrastano come una nuvola temporalesca e sulla sua borsa fucsia c'è stampato un elefante con il tutù. Sta venendo nella mia direzione. Faccio per distogliere lo sguardo quando un gruppo di ragazzini le si para davanti. Osservo la scena incuriosita.

«Riecco la stramba Sanne» esordisce uno di loro.

«La fuori di testa» gli dà corda un altro.

«Chissà se durante l'estate il sole gli ha bruciato anche le ultime rotelle» incalza il terzo, che le toglie i libri di mano e li butta per terra. Scoppiano a ridere.

«Ci divertiremo quest'anno» dicono mentre si allontanano.

Lei, come se niente fosse, raccoglie le sue cose ed entra in segreteria, accomodandosi di fianco a me.

«È sempre un piacere riceverla, signor Brown» dice una voce.

Dalla porta della presidenza escono due uomini stringendosi la mano.

«Il piacere è mio, preside Gordon» è la risposta.

«Speriamo che quest'anno anche il campionato di football possa farci eccellere» continua il preside.

«Me lo auguro» ribatte il signor Brown. «Sarebbe per me un grande onore vedere mio figlio portare alla vittoria la squadra durante il suo ultimo anno di liceo. Sarebbe qualcosa che resterebbe negli annali. E chi non sogna la propria fotografia nel corridoio dell'area trofei?»

All'improvviso mi ritorna la morsa allo stomaco e il cuore comincia ad accelerare i battiti. Senza rendermene conto comincio a stropicciarmi le mani mentre il mio viso deve aver assunto un colorito verdognolo.

«Tutto bene?» mi chiede la ragazza stramba.

Non sono in grado di rispondere. Non finché i miei timori non saranno confermati.

«Stai per avere un attacco epilettico?» mi domanda ancora.

«Il nostro giovane Connor è un ottimo elemento» afferma il preside allungando un braccio verso qualcuno ancora all'interno del suo ufficio. «Speriamo che la squadra del nuovo allenatore Burnes ne sia all'altezza. Non può fare tutto da solo questo giovanotto. Affiggeremo il foglio delle selezioni questa stessa mattina.»

Un istante dopo un ragazzo si unisce alla coppia.

«Non è possibile» mi scappa di bocca.

È alto, il fisico da atleta, i capelli scuri che una volta portava lunghi e mossi adesso sono più corti e ordinati. Il profilo del viso è più definito e gli dona un'espressione adulta. Gli occhi scuri, profondi e penetranti sono come li ricordavo e come comparivano nei miei peggiori incubi di questi quattro anni. E per inciso è ancora più maledettamente bello dell'ultima volta che l'ho visto.

«Connor Brown» mormoro.

Lo stronzo!

Quasi non mi pare vero, anche se riflettendoci un attimo la vera cosa impossibile sarebbe stata non incontrarlo. Abita qui, ha sempre frequentato le scuole qui, quante possibilità c'erano che si fosse trasferito nel frattempo? Mi sforzo di darmi un contegno, benché non riesca a staccare gli occhi di dosso da Connor. Squadra di football... sicuramente ne sarà il capitano.

«Oh, no!» sussurra la ragazza stramba.

Faccio appena in tempo a seguire il suo sguardo, che qualcuno mi sfreccia davanti lasciandosi alle spalle una scia di un profumo floreale fortissimo.

«Buongiorno, signori» saluta rivolta al preside e al signor Brown. Poi getta le braccia al collo di Connor e gli stampa un sonoro bacio sulla guancia. «Lo sapevo che ti avrei trovato qui!» esclama.

E proprio mentre si abbracciano, lui solleva lo sguardo e mi vede. Riesco quasi a percepire il momento esatto in cui il suo cervello realizza che sì, sono davvero io, senza ombra di dubbio. Sgrana gli occhi incapace di mascherare la sorpresa e sembra sul punto di dire qualcosa, ma la bionda che lo sta stritolando lo costringe a concentrarsi su di lei. Connor intanto continua a lanciarmi delle occhiate stupite. 

«Ma insomma si può sapere che cosa stai guardando?» domanda la tipa.

Quando si volta verso di noi, un brivido mi attraversa dalla testa fino alla punta dei piedi.

Lei no!

Isabelle Howard, la bellissima Isabelle, la Barbie perfetta, è a pochi metri da me. Ho l'impressione che sia un brutto sogno, con la differenza che non sto dormendo e non posso svegliarmi.

«È Sanne la stramba» commenta squadrando malevola la mia vicina.

«Proprio io» ribatte lei.

«Ti è per caso esploso l'armadio?» continua Isabelle facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli a ogni movimento.

«Non credo.»

«Allora devi proprio essere pazza per venire a scuola conciata così. Da dove l'hai tirata fuori quella gonna? Dalla cassapanca di tua nonna?» Scoppia a ridere.

Mi domando perché tutti ce l'hanno con questa Sanne. Di colpo Isabelle smette di ridere e i suoi occhi incontrano i miei.

«O. Santo. Cielo» scandisce con tono sarcastico.

Io trattengo il fiato.

«Rachel Anderson? Sei davvero tu?»

Di certo non si aspetta una risposta. Infatti aggiunge implacabile:

«Che diavolo ci fai tu qui? Là dov'eri ne avevano abbastanza di te?».

«Fidati, fa più schifo a me essere qui» borbotto tra me, la gola secca.

«Incredibile. In questa scuola accettano proprio tutti. Dove andremo a finire?» domanda spocchiosa a Connor.

«Ciao, Isabelle, come stai?» mi obbligo a dire.

«Adesso che ti ho vista mi si sta rivoltando la colazione nello stomaco. Mi hai rovinato la giornata, Anderson, te ne rendi conto?»

«Probabilmente ti si rovinerà l'anno scolastico, perché immagino che ci vedremo tutti i giorni» replico.

Lei scuote la testa in segno di disapprovazione. «Non bastavano le strambe come lei» afferma indicando Sanne. «Adesso anche le sfigate. Che bello!» Si gira verso Connor: «Ci vediamo più tardi, tesoro, devo andare a raccontare le novità».

Mi passa talmente vicino da colpirmi in faccia con la borsa. Stringo i denti e mando giù l'ansia. Come primo scontro poteva pure andare peggio. Peccato che dopo questa bella chiacchierata avrò tutti i riflettori puntati addosso e addio alla mia voglia di anonimato.

«Connor, vorrei scambiare due chiacchiere anche con il tuo allenatore, mi accompagneresti?» Il signor Brown poggia una mano sulla spalla del figlio e si dirigono verso il corridoio.

«Signorina Anderson? Prego, mi segua» mi invita il preside.

Mi alzo ed entro nel suo ufficio, contenta di essere isolata dal resto della scuola per i prossimi minuti.

Raggiungo la mia classe dove alcuni dei miei compagni hanno già preso posto, altri stanno chiacchierando o mandando messaggini con il cellulare in attesa dell'inizio della prima lezione dell'anno. Mi lancio una rapida occhiata intorno per intercettare il banco giusto per me e lo vedo vicino a una delle finestre, abbastanza in fondo all'aula. Quasi mi precipito, per paura che me lo soffino e mi ci siedo trionfante, abbandonando la borsa ai miei piedi e tirando un sospiro di sollievo. È come un'isola felice, un posticino tutto mio.

Con calma estraggo la mia bustina portapenne e il libro di letteratura inglese del quale ho già quasi imparato a memoria l'indice. È la mia materia preferita! Il mio entusiasmo si smorza nell'attimo in cui noto Isabelle che mi guarda qualche banco più avanti. È seduta a cavalcioni su una sedia e non mi stacca gli occhi di dosso. Non riesco a trattenermi e alzo gli occhi al cielo. Abbiamo pure un corso in comune? Non bastava dover condividere lo stesso istituto, dovrò sopportare i suoi influssi negativi anche durante le lezioni? Per un secondo mi sento invasa dal panico, come se mi avesse appena rovinato un momento perfetto, poi decido di tenerle testa. Abbozzo un sorrisetto ironico e le mostro il dito medio, così tanto per chiarire le cose. Lei si volta furiosa e io esulto dentro di me.

Appoggio la testa sul banco e chiudo gli occhi. Sei mesi. Sei lunghissimi mesi, come posso resistere?

Mi ritorna in mente l'espressione sorpresa di Connor poco fa. È incredibile quanto sia cambiato e scommetto che in questi quattro anni il suo ego si sarà gonfiato come una mongolfiera. Chissà se in quella frazione di secondo in cui i nostri sguardi si sono incrociati, il Fatto gli è apparso ancora chiaro e vivido come è successo a me. Nonostante io abbia cercato di dimenticare, è bastato un attimo per mandare tutto all'aria. Non è servito a niente nemmeno mettere chilometri di distanza tra di noi. Per non parlare di Isabelle. Sono sicura che sarà ben felice di rammentarmi ogni cosa il prima possibile.

«Dormi?»

Qualcuno mi bussa sulla testa. Sollevo lo sguardo curiosa di vedere chi si prenda tanta confidenza e mi trovo davanti la testa cespugliosa della ragazza della segreteria, Sanne.

«No» rispondo sedendomi composta.

«Non saresti la prima comunque» sorride. «L'anno scorso Doris Abbott dormiva quasi sempre durante le lezioni della signorina Pritchard, ma lei non se n'è mai accorta. Si dice che abbia qualcosa come duecento anni. Neanche se le passasse davanti una mandria di rinoceronti si scomporrebbe.»

«E insegna ancora?»

«Oh sì. È sola, non si è mai sposata, e ha paura che rimanere a casa la faccia cadere in una sorta di depressione.»

«Mi chiamo Rachel» mi presento allungando la mano.

«Sì, lo avevo intuito. Sai, prima in segreteria Isabelle ti ha nominata.»

«Giusto.»

«Sei quella nuova?»

«Così sembra. Spero di non essere l'unica.»

«Oh no. In questa scuola c'è un frequente via vai. È una delle migliori della zona, molto ambita per chi punta a un college decente» mi spiega. «Io sono Sanne.»

Si sistema meglio gli occhiali dalla montatura spessa. Ha dei grandi occhi azzurri dietro quelle lenti che le conferiscono un'aria allegra.

«Tu sei qui dal primo anno?» domando.

Annuisce.

«Non è che potresti spiegarmi come funzionano le cose? Sai non vorrei avere troppi problemi.»

«Tipo quelli che ho avuto io stamattina?»

Sento il calore salirmi alle guance.

«Tranquilla. Quelli sono solo dei bulletti del cavolo. Un po' mi fanno tenerezza.»

«Tenerezza? Ti hanno buttato i libri per terra!» le faccio presente nel caso se ne fosse dimenticata.

«Sì, ma sono ancora in rodaggio. Vorrei quasi dargli qualche consiglio, per renderli un po' più credibili ma non voglio minare la loro autostima. Impareranno da soli.»

Sarà pure allegra, ma è davvero molto strana.

«Comunque ti accorgerai presto che questa scuola ha un meccanismo molto semplice» continua. «L'importante è capire quale sia il tuo posto.»

«Che cosa intendi?»

Sembra pensarci un attimo. «Ecco, esiste una gerarchia e tutto sta nell'inserirsi nel modo giusto.»

Non mi piacciono molto le sue parole. «Potresti spiegarti meglio?»

Sanne si guarda intorno, come per cercare qualcuno. «Per esempio, vedi quella tizia laggiù?» mi dice indicando uno dei banchi in prima fila.

«Quella con la maglia verde che sta chiacchierando al telefono?»

«No, quella di spalle con i capelli neri.»

Metto a fuoco una ragazza dai capelli lunghissimi, il fisico esile e china su un libro. È concentratissima e sorda alla confusione generale.

«Lei è Malek. Un genio» spiega Sanne. «Una delle menti migliori del nostro istituto. I professori la tengono parecchio in considerazione e sono certa che si diplomerà come migliore del corso. Se lo merita, se devo essere sincera.»

Anche se non posso vedere il suo viso, la osservo con interesse. Dato che ho degli ottimi voti, mi domando se tra me e Malek potrebbe nascere un feeling o una competizione.

«Lei fa parte di quegli studenti che sono sconosciuti» afferma Sanne.

«Ed è un vantaggio?»

«Assolutamente sì!» esclama Sanne. «Prova a pensarci un secondo: nessuno ti considera. Probabilmente qualcuno non sa nemmeno di frequentare i tuoi stessi corsi. Non dai problemi a nessuno e nessuno li dà a te. L'obbiettivo è mantenere un profilo basso. Niente colpi di testa, niente sceneggiate, niente prese di posizioni. Solo gli obblighi scolastici.» Si è chinata verso di me e sta parlando quasi sottovoce. «Questa è la categoria migliore per non avere traumi da liceo. Te la fai liscia fino al diploma e poi voli al college.»

«Mi sembra perfetto» commento.

Per me sarebbe come un sogno che si realizza. Essere totalmente invisibile. Se mamma sentisse questi pensieri mi farebbe una lavata di capo. Lei non capisce che sono una ragazza riservata, che sta sulle sue. A lei invece piace prendermi in giro e definirmi «asociale» e «allergica al genere umano».

«La seconda categoria è quella dei perdenti» prosegue la mia nuova compagna. «Quelli che tutti chiamano sfigati e che comprende svariati gruppi di persone.»

«Tipo?»

«Be', ci sono quelli negati per lo sport, che nessuno vuole in squadra e che finiscono a fare i segna punti o i raccatta palle. Le ragazze bruttine. I nerd. Gli estremisti. Gli eccentrici. E quelli delle figuracce.» Li elenca tenendo il conto sulle dita.

«E c'è qualcuno in questa classe che rientra nella categoria?»

«Io, per esempio» ribatte con un sorriso.

Ma perché cavolo ride sempre?

«Davvero?» chiedo con finto stupore.

«Già. Probabilmente ho un concetto di stile che la maggior parte delle persone non condivide» dice sfiorando con la mano il bordo della sua gonna gialla. «Ma ci sono abituata. È così dal secondo anno.»

«Dal secondo?!»

«Sì. Il primo ero abbastanza conforme. Poi ho deciso che volevo esprimere la mia personalità. Quindi ho trovato il mio stile. E non è piaciuto. Pazienza, non me ne sono mai fatta un problema. Certo mi rendo conto che sia un po' difficile passare inosservata, però non ho intenzione di ingrigirmi per loro.»

«E sei disposta a sopportare le prese in giro?»

«Chi ti prende in giro per come sei vestito non è dotato di grande intelligenza, non credi? Perciò li lascio parlare, di certo non minano la mia autostima. Io ho un'altissima considerazione di me stessa.»

Abbozzo un sorriso. È strana, ma potrebbe piacermi. Purtroppo però sono sicura che entrerò presto a far parte di questo club. Dopo l'accoglienza calorosa di Isabelle nutro pochissime speranze di restare sconosciuta. Chissà se riuscirò a essere ottimista come Sanne.

«Ultima categoria» riprende lei.

«C'è n'è ancora?»

«Sì, ma soltanto una» alza l'indice. «Quella dei ragazzi più in vista della scuola. Quelli che, in pratica, passano il tempo sfottendo gli altri.»

«Simpatici.»

«Comprende, in generale, i ragazzi delle squadre sportive e le cheerleader. Sono quelli con i genitori importanti, che abitano nei quartieri alti, con le ville con piscina e che si contendono le feste più belle nel corso dell'anno. Sono off limits, a meno che tu non riesca ad amicartene qualcuno o, meglio, diventare la ragazza di uno di loro.»

Una branca di idioti, in pratica, che si divertono a esserlo grazie ai soldi di mamma e papà.

«Non credo tu debba preoccuparti, comunque» mi dice. 

«In che senso?»

«Con quel tuo visetto da bambola di porcellana sei abbastanza carina per piacere a qualcuno di famoso. Non mi meraviglierei se qualcuno dei nostri atleti ti puntasse gli occhi addosso.»

«Non ho il viso da bambola di porcellana» replico imbarazzata.

«Occhi grandi da cerbiatto, ciglia lunghe, pelle chiara e lentiggini. Sguardo impaurito e fisico sottile. Mi sa che tra qualche tempo sarai troppo importante per voler parlare con me.»

La campanella suona e richiama tutti all'ordine. Rumorosamente gli studenti prendono posto e dopo un attimo, come se fosse sempre stato dietro la porta dell'aula in attesa del segnale, il professore fa il suo ingresso e si dirige alla cattedra con la sua valigetta.

«Lei in che categoria è?» sussurro a Sanne, indicando Isabelle intenta a studiare le sue doppie punte.

Sanne fa un risolino amaro e mi guarda scuotendo la testa. «Lei è il demonio, Rachel, stalle lontana. È un fatto di sopravvivenza.»

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