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AGAIN 14.2

«Sono a casa!» urla papà sbattendo i piedi sul tappetino fuori dalla porta.

«Dove sei andato con questo tempo?» gli domando lanciando uno sguardo alla neve che scende fuori dalla finestra.

«Avevo una commissione da sbrigare.»

«Che genere di commissione?»

Si toglie il giubbotto e lo appende al gancio.

«Che buon profumino» dice per cambiare argomento.

«Fila a lavarti le mani, giovanotto, è quasi pronto!» esclamo con una voce finto autoritaria.

Sento l'ormai familiare trillo di chiamata al pc, quindi mi affretto a sedermi e a rispondere.

«Tesoro!» mi saluta mamma con un buffo berretto rosso in testa. «Come stai?»

«Indaffarata.»

«Non dirmi che stai preparando la cena della Vigilia?»

«Be' una cosa molto semplice, considerando che siamo solo io e papà. E metà delle cose provengono dal banco rosticceria del supermercato. Ma tu non dirlo a nessuno.»

Scoppia a ridere.

«Ti trovo bene» aggiungo.

«Da noi è già Natale» mi spiega. «Il nostro primo Natale separate.»

«Già» annuisco con un velo di malinconia.

«Fammi vedere gli addobbi» mi dice.

«Vuoi fare un tour del salotto?»

«Esatto!»

Prendo il pc e lo volto per far in modo che la fotocamera inquadri la stanza: un enorme albero di Natale troneggia all'angolo della stanza dietro i due divani, poi ci sono candele di diverse dimensioni poggiate sul tavolino e sopra il camino, dove ho sistemato qualche festone. La casa profuma di cannella. 

«Papà ha pensato al giardino» dico girando il pc nella mia direzione.

«Ha messo le luminarie?»

«Sì. Abbiamo la casa più luminosa del quartiere. È bellissimo.»

Mamma rimane un istante a fissarmi, poi la sua espressione cambia. Sembra serena. «Sono davvero contenta che tu stia bene.»

«Diciamo che me la cavo.»

«Parlo sul serio, bambina, sono contenta che tu e tuo padre vi siate ritrovati.»

«Sono pronto!» esclama papà alle mie spalle.

«Ciao Chris!» urla mamma.

Papà fissa il mio laptop. «Ehi, ehm, ciao!» la saluta balbettando.

«Mamma voleva sbirciare i nostri addobbi» gli spiego. «E le ho detto che le tue luminarie sono le migliori di tutte.»

«Ho solo tirato fuori della roba vecchia dagli scatoloni» minimizza infilandosi le mani in tasca.

«Qua fa un freddo cane» aggiungo io. «Nevica da quattro giorni, le strade sono ricoperte.»

Annuso l'aria.

«Tieni qui, devo controllare il tacchino!» dico allarmata, quasi lanciando il pc a mio padre.

Corro in cucina e mentre spengo il forno li sento chiacchierare nell'altra stanza. Tiro fuori il tacchino e lo porto in tavola  insieme alla salsa ai mirtilli.

«Rachel, saluta tua madre» dice papà raggiungendomi.

«Ciao mamma, buon Natale!» grido.

«Ti voglio bene, tesoro!»

Spengo il computer e la cena della Vigilia può finalmente cominciare.

«Erano anni che non mi godevo un Natale del genere» commenta papà.

«Sono contenta» sorrido.

Mangiamo con calma, mentre chiacchieriamo rilassati. Papà mi racconta del viavai di gente in cui si è imbattuto poco fa e degli amici che sono passati in officina a fargli gli auguri.

In queste vacanze ho deciso di sforzarmi di essere felice, perché non voglio che i miei problemi di cuore intossichino anche papà. E poi questo è il periodo dell'anno che preferisco: c'è qualcosa di magico nella neve, nei profumi, nei colori, negli addobbi. Io e mamma impiegavamo una giornata intera a decorare la casa, adoravamo andare a cercare gli oggetti più strambi nei mercatini e così realizzavamo un albero che non aveva uguali nel quartiere. Devo ammettere che anche stavolta il risultato è notevole. Brava Rachel!

«La torta è buonissima» dichiara papà addentando la sua seconda fetta.

«Una normalissima torta alla zucca.»

«Potrebbe diventare la migliore che abbia mai mangiato.»

Lo prendo come un complimento.

Una volta terminato di cenare, papà prende un piatto capiente e un bicchiere che riempie di latte.

«Che stai facendo?» domando.

«Non ti ricordi?»

Ci rifletto un attimo.

«Quando eri piccola lasciavi sempre i biscotti per Babbo Natale e la carota per la renna. Dicevi che con tutti i giri che dovevano fare, meritavano un premio.»

«E tu ribattevi che se tutti la pensavano come me non c'era da stupirsi che Babbo Natale fosse tanto grasso!» 

Oddio, com'è tenero papà. Sono quasi commossa.

«Fila a prendere i biscotti» mi ordina.

Corro all'albero di Natale e stacco tre omini di pan di zenzero, che gli porgo.

«Adesso da brava bambina vai a metterlo fuori.»

Quando torno dentro papà ha qualcosa in mano. Mi allunga un pacchetto.

«Non dovevi» dico.

«Probabilmente neanche ti piacerà» borbotta lui.

Scarto velocemente il regalo e mi ritrovo tra le mani un diario. Di quelli per adolescenti, con tanto di chiave e lucchetto.

La copertina è davvero rosa.

«Oh» mi scappa.

«Non ti piace?»

«Un diario segreto?» domando sgranando gli occhi.

«Sì. Potresti dedicare un po' di tempo a te stessa per scrivere i tuoi pensieri, le cose che ti fanno arrabbiare o che ami.»

«Qualcosa come il nome di Connor ricoperto di cuoricini e poi sotto una freccia con scritto TI ODIO?»

Rido e noto che papà ci è rimasto male.

«A me ha aiutato» replica in imbarazzo.

«Cioè?»

«Vieni.»

Lo seguo in salotto. Da un cassetto tira fuori una scatola, al cui interno ci sono tre diari, senza lucchetto e dall'aspetto decisamente più adulto e sobrio.

«Quando tu e la mamma siete andate via, ho impiegato un po' a chiedere aiuto. Il dottore mi ha suggerito un terapista per affrontare la depressione. Non ci sono andato spesso, perché mi sentivo a disagio e più malato di quanto in realtà non fossi, però ammetto che mi ha dato qualche spunto interessante. Tra cui il diario.»

«Hai tenuto un diario? Tre?»

«Sì. Qua dentro ci sono i miei pensieri degli ultimi quattro anni.»

Mi siedo vicino a lui.

«Tienila tu» dice, porgendomi la scatola.

«Sono cose tue, personali.»

«Non sempre leggerai cose belle, conoscerai aspetti di me che ti spaventeranno o disgusteranno, ma ci sono anche parecchie cose su di te.»

«Grazie» mormoro colta alla sprovvista dalla sua confessione.

Ci diamo la buona notte e io salgo in camera mia. Ripongo la scatola in un cassetto: non mi sento ancora pronta a leggerli, ma è il regalo più bello che papà potesse farmi.

La mattina seguente, appena apro gli occhi, scatto a sedere sul letto. Lancio un'occhiata alla sveglia e vedo che è ancora presto, ma il Natale non è fatto per poltrire.

Mi fiondo in bagno a prepararmi, indosso un maglione caldo con le renne e lego i capelli in due trecce che appunto in cima alla testa. Poi mi precipito di sotto per la colazione.

«Buongiorno!» mi accoglie papà.

«Sei già in piedi?» chiedo delusa.

«Ho preparato la colazione» annuncia indicandomi il tavolo.

«Volevo farlo io!»

«Tu ti sei già data molto da fare ieri sera. Ora abbuffati!»

Mi siedo e sorrido nel vedere che indossa il maglione che gli ho confezionato con i mie gomitoli. Gli sta leggermente abbondante, però almeno si è tolto quelle orrende camicie a quadri.

«Cioccolata calda?» domando fissando la mia tazza fumante.

«C'è anche il caffè» si affretta a dire, conoscendo la mia passione per quella bevanda.

Mi servo una generosa dose di uova nel piatto.

«Ho comprato le ciambelle» aggiunge allungami un piatto.

«Sei uscito all'alba stamattina» commento con la bocca piena.

Ha di nuovo quello sguardo vago e misterioso che aveva anche ieri sera mentre mi raccontava del suo giro in centro.

«Hai controllato se Babbo Natale ha apprezzato il tuo pensiero?»

Volto la testa verso la finestra e noto che il piatto sul davanzale è vuoto. Sorrido. «Sembra abbia gradito.»

«Magari ti ha lasciato un regalo.»

«Un... regalo?»

«Credo dovrai uscire, era troppo grande per farlo stare sotto l'albero.»

Balzo in piedi in preda all'entusiasmo. Afferro la giacca e corro fuori sotto il portico non sapendo bene che cosa aspettarmi.

«O santo cielo!» esclamo portandomi le mani alla bocca.

«Ti piace?»

«Ma come? Quando?» balbetto.

«Non è niente di che, credimi» attacca a giustificarsi come sempre. «È di seconda mano. Un cliente voleva sbarazzarsene, così l'ho comprato io per una miseria. Ho recuperato i pezzi di ricambio e te l'ho messo a posto. Non è un ultimo modello, forse è un po' ammaccato.»

«Stupendo! Perfetto!» lo interrompo.

Scendo i gradini e raggiungo il pick-up blu che troneggia nel nostro giardino. Faccio un rapido giro. In alcuni punti la vernice è saltata e ci sono dei bozzi sul retro, ma la struttura è solida e rispetto a me è gigantesco.

«Mi dispiaceva vederti andare a scuola a piedi, quando i tuoi amici usano l'auto» dice. «E poi così, il giorno in cui torne rai a casa tua, eviterai di prendere l'autobus. Non mi sembrava ti fosse piaciuto.»

Lo guardo grata. «Che cos'è?» chiedo.

«Uno Chevrolet Silverado, modello vecchio. Molto vecchio, in effetti.»

«Non dovevi.»

«Volevo.»

«È pazzesco!»

Papà sorride soddisfatto.

«Prendi le chiavi, andiamo a farci un giro» gli propongo.

«Cosa? Non vuoi aspettare le tue amiche?»

«Papà, coraggio!»

Lui sparisce in casa e torna un secondo dopo lanciandomi un mazzo di chiavi.

«Ho una macchina!» urlo di gioia prima di sedermi al volante.

Il motore romba con un fracasso assordante. Di sicuro quando a gennaio mi presenterò a scuola tutti sapranno che Rachel Anderson ha una macchina.

«Posso farlo sgommare?»

«Limitiamoci a un giretto nel quartiere» risponde lui guardandomi storto.

«E giro panoramico sia» annuncio ingranando la retro. 

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