8 - The Wonder of You || Bruno
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"And when you smile the world is brighter
You touch my hand and I'm a king.
Your kiss to me is worth a fortune
Your love for me is everything."
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Prima domenica di maggio, 2022
Bruno aveva avuto l'impressione che il tempo si fosse fermato, specialmente durante il blocco dello scrittore. Quella settimana era riuscito a scrivere di getto tre bozze, l'evento che si sarebbe tenuto a Las Vegas il weekend successivo era pronto e mancava solo la conferma del signor Jenkins. Tutto stava procedendo secondo i piani.
Uscito dalla doccia, si sistemò per bene i riccioli e osservò compiaciuto il suo viso fresco e riposato. Non si sentiva così pieno di energie da un sacco di tempo, complice anche la tranquilla notte trascorsa fra le coperte con Gin. Non c'erano state le preoccupazioni iniziali, la gravidanza stava andando alla grande e le gemelle erano quasi pronte a vedere il mondo. Secondo il calendario, sarebbero nate l'ultima settimana di giugno e sotto il segno del Cancro. Contava i giorni, impaziente di poterle abbracciare e coccolare.
Dopo aver controllato il gruppo di WhatsApp, chiamò Baptiste per farsi accompagnare in studio, chiedendogli di passare a prendere anche Anderson. Quel sabato di straordinario prevedeva una futura collaborazione, nessuno dei due sapeva chi sarebbe stato il fortunato. Il signor Jenkins non dava mai indizi, li sorprendeva nel momento in cui l'ospite misterioso si sarebbe presentato di persona. Chiunque sarebbe stato, certamente non avrebbe deluso le loro aspettative – Bruno sperava tantissimo in Janelle Monàe o Mary J. Blige, anche se non era facile intercettarle.
Chiusa la chiamata, tornò in camera in cerca di qualcosa di leggero e informale da mettere. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva indossato una boscaiola? Parecchio. Si stava abituando troppo a quelle hawaiane e di Versace, ma un giorno sarebbe tornato nei panni di quel ragazzo hipster amante di Elvis di cui Gin si era innamorata. Sogghignò al solo pensiero. Ne prese una azzurra a fantasia ondulata, semplice e fresca.
Dopo essersi messo gli anelli e controllato per l'ennesima volta che i ricci non fossero fuori posto, uscì dalla camera da letto, non prima di aver recuperato il regalo per la festa della mamma fra le sue vecchie scatole di scarpe. Era in anticipo, ma non voleva più aspettare nel darglielo. Non si prese briga nel fare colazione, era già abbastanza pieno di energie e sarebbe tornato a casa presto. Non sarebbe stata una giornata troppo impegnativa, il signor Jenkins lo aveva rassicurato. Phil non avrebbe partecipato per fare compagnia ad Hayley dal ginecologo, per cui doveva farsi bastare la compagnia di Anderson, le ragazze ed Eric.
Passato il corridoio, controllò l'orario e guardando dritto, notò la porta del suo studio socchiusa. Si avvicinò di soppiatto e nascondendo la scatola dietro la schiena, sbirciò dalla fessura. C'era Ginevra seduta sulla poltrona accanto alla libreria centrale che sfogliava un'enciclopedia di biologia con – coincidenza! – due tartarughe marine in copertina. Era la terza edizione del saggio di Jeffrey Levinton, quello che aveva comprato tempo addietro in vista del nuovo progetto ambientale. Di fianco c'era il ventilatore acceso al minimo, il vento faceva svolazzare i ciuffi ribelli dei suoi capelli, con essi anche le punte dei suoi boccoli.
Vide i suoi occhi scorrere con interesse le righe del libro, le dita della mano destra che sfioravano l'orlo della pagina pronta a girarla. Leggeva senza musica e molto spesso optava per una melodia new age per la concentrazione, le labbra schiuse e gli occhiali sulla punta del naso. Di solito teneva le gambe accavallate e il gomito appoggiato sul bracciolo della poltrona, mimando una posizione da modella di copertina di Vanity Fair. Anche se appoggiate sul poggiapiedi di velluto avevano un loro fascino, bianche come lo zucchero a velo su una torta.
Aprì di più la porta per farsi notare. «Buongiorno, mamacita.»
Gin sussultò e alzò la testa, chiudendo violentemente il libro. Non aveva neanche visto Geronimo sdraiato ai piedi di lei alzare la testa spaventato, le orecchie dritte e gli occhi spalancati.
«Ah, sei tu! Prima o poi mi farai venire un attacco di cuore.»
«Scusa, eri così bella fra i libri che non volevo interrompere la lettura.»
Divinamente bella, avrebbe voluto dire, nonostante le occhiaie per colpa delle notti passate insonne a causa dell'incontinenza. Si alzava sempre per andare in bagno, con una delle gemelle che spingeva la propria testa contro la vescica sollecitandola. Era normale, lo aveva detto anche il ginecologo. L'ultima visita era stata qualche giorno prima, ora bisognava solo aspettare l'arrivo delle gemelle.
«Ti senti bene?» domandò lui, andandole incontro.
«Ora sì, mi sto finalmente abituando ai dolori alla schiena.»
«Sicura? Ti vedo un po'... come dire, provata.»
«Sono solo stanca.»
«In effetti, hai un paio di orribili occhiaie.»
«Anche tu le hai» appoggiò il libro sul tavolino alla sua sinistra, dove c'era il giradischi. «Quando chiuderai quel libro coi tuoi disegni?»
Bruno si sentì invadere da un piacere soffuso. Se solo avesse saputo cosa ci fosse al suo interno, specialmente le ultime pagine. Stava progettando qualcosa di speciale, glielo avrebbe detto solo nel momento in cui sarebbero state pronte per essere commissionate.
«Solo se aprirai questo.» Le porse una scatola e Gin la osservò meravigliata: aveva un fiocco rosa nel suo esatto centro ed era rivestita di velluto soffice rosso. Capì che era il regalo per la festa della mamma, un evento a cui lui era parecchio legato.
«Sei in anticipo di un giorno.»
«Non volevo aspettare» l'aiutò a sciogliere il fiocco. «Aprilo, fammi vedere cos'è.»
Lasciò che anche lui togliesse il fiocco e aprendo lentamente la scatola, guardò commossa l'interno di velluto rosso e i contorni dorati. Era un braccialetto d'oro di Van Cliff a forma di cuore. Osservando il ciondolo, notò un'incisione sul retro recitare due nomi: Malie e Melissa, i nomi delle loro piccole tartarughe marine. Sotto il coperchio ce n'era un'altra, ricamata ad opera d'arte in un corsivo elegante.
"Un amore come il nostro non potrebbe morire mai, finché ti ho vicina a me."
Gin sogghignò. Aveva quasi dato per scontato che Bruno si fosse affidato al caro Elvis Presley per le dediche, invece aveva scelto "And I love her" dei Beatles. Decisamente vintage, quasi quanto il suo nuovo guardaroba.
«Dove sono finite le bellissime parole di Elvis?»
«Quelle valgono per San Valentino, il 4 luglio, il Mele Day, Natale, Capodanno e...»
«Il nostro compleanno.»
«E anniversario» aggiunse spavaldo più che mai.
«Bravo, hai imparato la prassi.»
«Sono o non sono il tuo futuro marito?»
Bruno portò una mano sopra il pancione, per poi baciare la sua ragazza sulla fronte. Lei amava immergere il suo sguardo in quegli occhi marroni, le dita fra quei ricci disordinati che svolazzavano a contatto col vento fresco del ventilatore... e quelle fossette tutte da accarezzare, baciare... il batticuore la prese di soprassalto e deglutì nervosamente. Maledetti ormoni!
Ginevra tentò di togliere il braccialetto dalla scatola, ma lui l'anticipò e lo sganciò con estrema cautela. «Dammi il polso, ti aiuto a metterlo.»
Lei tese il braccio sinistro e lo lasciò fare, Bruno lo agganciò con cura fino all'ultimo anello – avendo il polso piccolo, qualsiasi bracciale le andava largo. Girò appena la mano accarezzandone il dorso con un movimento lento del pollice, contemplando l'anulare che indossava un bellissimo diamante e la catena d'oro simbolo della loro riunione. Gliela baciò con fare galante, guardandola negli occhi con aria innamorata.
«Non dovevi spendere così tanto» mormorò lei, evitando le sue pupille leggermente dilatate.
«Gin, sai che per te comprerei anche tutta la costiera amalfitana.»
Lei non riuscì a non mascherare un sorriso, mentre lui lasciava delicatamente la sua mano. Era felice di sapere che le piaceva quel regalo, da come si rigirava il polso e guardava il ciondolo. Aveva in mente di regalarglielo dal giorno in cui aveva scartato quel test di gravidanza il giorno di Natale, credendo fosse una stilografica di valore. Ancora non riusciva a credere che fosse vero.
Quando volse lo sguardo verso la porta, i tre libri sopra la scrivania attirarono la sua attenzione e andò a guardarli. Non aveva comprato i soliti saggi universitari di ecologia e ambientalismo, ma biografie di artisti musicali. Si stupì nel leggere i nomi di Marvin Gaye, Freddie Mercury e... Jermaine Jackson? Quest'ultimo se lo rigirò fra le mani, notando la copertina in bianco e nero. You Are Not Alone: Michael, Through a Brother's Eyes.
«Hai davvero comprato questo libro?»
«Ho sempre voluto scoprire i segreti del re del pop. Non l'ho neanche aperto, perché ho cominciato a leggere quello su Marvin Gaye.»
Bruno non staccò lo sguardo dalla copertina. Da quello che aveva sentito dire, a Michael era stato proibito di vivere l'infanzia come un qualsiasi bambino. Gli aveva fatto male sapere il tragico passato del suo grande idolo, specialmente il motivo per cui ricorreva sempre alla chirurgia plastica: non voleva somigliare a suo padre, la causa principale delle sue sofferenze.
Quando aveva scoperto la sua esistenza durante le scuole medie, non aveva mai visto oltre quel sorriso e solo dopo la sua morte, aveva capito quanto il mondo fosse stato ingiusto. Un'infanzia strappata via per colpa di un genitore narcisista e altezzoso, preso di mira dalla gente comune per il suo amore verso i bambini – quella fase della vita che desiderava poter vivere.
A differenza sua e nonostante le numerose volte che aveva tenuto in mano un microfono, Bruno era stato un bambino come tutti. Si ricordava ogni video che la sua famiglia girava con quella vecchia videocamera, ignaro del futuro che gli sarebbe spettato. Mentre Michael incideva The Big Boy sotto il nome dei Jackson Five, lui giocava a fare Elvis Presley e si divertiva con poco. Se Michael cercava suo padre in modo affettivo e veniva puntualmente respinto, lui si lasciava coccolare da sua madre e fare le pernacchie sulle guance.
Una cosa che Bruno aveva sempre ammirato di Michael era il fatto che avesse continuato a sorridere nonostante la merda che gli era stata gettata addosso. Lui voleva soltanto essere amato, essere ricambiato con quel sentimento che non aveva mai ricevuto. Non gl'importava quanto ingente fosse il proprio reddito lavorativo o la fama. Desiderava solo amore incondizionato, essere accettato per quello che era.
«Sai, la sua storia mi ha fatto molto riflettere.»
Gin inclinò appena il lato di lato. «Parli di Michael Jackson?»
«Sì, del fatto che la società sia ipocrita.»
«Già... e anche se fai qualcosa di giusto, la gente è sempre pronta a screditarti.»
«Tutti lo abbiamo provato almeno una volta nella vita.» Lo appoggiò esattamente da dove lo aveva preso, la sua espressione era cambiata radicalmente. «Il suo caso è diverso. La maggior parte delle volte era invidia, altre solo per avere qualcosa da dire sul suo conto perché... beh, i soldi.»
Notò la ragazza incupirsi e si morse la lingua, rendendosi conto di aver parlato troppo. «Scusa, Gin, non vo—»
«Già la gravidanza non aiuta, poi penso a queste cose e piango come una fontana.»
«Non ti facevo così empatica.»
«Le persone che hanno sempre vissuto nella solitudine, sono sempre le più empatiche.» Si portò gli occhiali in cima al naso con fare goffo, tenendo lo sguardo fisso sulle sue ballerine dalle punte consumate. «Ti dirò, Peter, una volta credevo che la felicità derivasse dall'amore di una persona, non da quello che fai. A volte ho avuto l'impressione di aver sprecato il mio tempo a fare buone azioni, anziché abbracciare mia madre.»
«Sai cosa disse Michael, una volta? Che la sua felicità consisteva nel dare, condividere e avere semplicemente del divertimento innocente. Quello che fai tu, non è forse la stessa cosa?»
L'inconfondibile profumo di Dylan Blue la costrinse ad alzare la testa e incrociare gli occhi marroni di lui. «Penso di sì, in effetti sto salvando tanti esemplari di pesci e animali marini.»
«E hai reso Peter Gene Hernandez l'uomo più felice del mondo» le toccò la punta del naso con un dito, lei sorrise e arrossì lievemente. Quanto era bello sentire il suo nome completo uscire dalle sue labbra, con quella voce angelica da eterno fanciullo. Non lo faceva quasi mai, preferiva che fosse lei a farlo.
E lui amava colei che presto sarebbe diventata Mrs. Ginevra Hernandez – un miscuglio fra italiano e spagnolo che suonava divinamente, solo pronunciarlo a mente gli causava un batticuore inarrestabile. Mancavano sei mesi esatti al matrimonio, l'avrebbe vista con un abito bianco e un bouquet di rose bianche. Il suono del campanello li richiamò alla realtà: Baptiste era arrivato.
«Devo andare. Tornerò per le tre e mezzo» le raccolse il viso con le mani e la baciò. «Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi.»
Lei annuì e dopo un altro bacio, lo vide allontanarsi e con lui anche Geronimo – guaiva come per dirgli di non andarsene. «Torno subito, G. Prenditi cura di lei finché non ritorno» gli diede una carezza sul capo, prima di recuperare tutto ciò che gli serviva all'ingresso, uscire di casa con fare deciso e salire nel SUV.
Nel frattempo che si aprivano i cancelli della villa, si accese una sigaretta e guardò tre buste beige in equilibrio sulle sue ginocchia. Avevano tutto il tempo per consegnare tutti gli inviti al matrimonio. Ne avevano messi da parte ben venti, destinati ai parenti di entrambi gli sposi, e quindici per il resto della comitiva e le loro famiglie. Fra le mani ne aveva tre, mancava la famiglia di Anderson, Christine e sua moglie e il fratello di Gin. Per distrarsi ne aprì uno e lo guardò.
Li avevano fatti realizzare in acrilico, le decorazioni tropicali in alto a sinistra e in basso a destra. In mezzo l'invito vero e proprio, scritto con una calligrafia bianca elegante e interamente in inglese. Potevano invitarne pochi a causa della pandemia, anche se Bruno era stato molto chiaro sulla sua riservatezza. Sarebbe stato un matrimonio a porte chiuse, esattamente come lui si esibiva in eventi privati. Quella parte di sé era rimasta la stessa, se non peggio.
Riguardando quella busta elegante beige, si rese conto di quante cose erano cambiate dal giorno in cui lui e Gin si erano conosciuti. Non doveva più preoccuparsi dell'opinione della gente su di loro, di lei e sulla loro storia. Tuttavia non riusciva a smettere di ricordare e pensare alla sua storia passata. Quell'argomento era ancora una ferita fresca nel loro rapporto e anche se riguardava qualcun altro, il dolore tornava puntualmente a farsi sentire e nei momenti peggiori.
Provò un forte disprezzo verso se stesso; sapeva di essere stato egoista nel trascurare Gin per i suoi progetti e la cosa lo rese ancora più triste. Già la vedeva poco, e solo di sera. Ora perdeva un'intera settimana? Proprio quando lei sentiva più bisogno di lui. Lo avrebbe fatto per lei, le gemelle e il suo futuro. Richiuse la prima busta e guardando il finestrino accanto a sé ancora aperto, capì di essere già arrivato. La portiera sinistra si aprì e lui volse lo sguardo, facendo un tiro di sigaretta.
«Yo, Bru! Eccoci qua!» Anderson lo salutò con il suo solito carisma, il bicchiere di carta con dell'ottimo smoothie vegan in mano. «Siamo carichi!»
Il ricciolino non fece in tempo a capire il perché di quel plurale che inquadrò un paio di spalle larghe e muscoli ben definiti, la forma degli occhiali vagamente familiare e quei tatuaggi freschi su entrambi gli avambracci. «Come mai Matt è con te?» domandò confuso.
«Sono passato a trovare la mia cuginetta e il mio collega preferito. Ci tenevo a conoscere la sua famiglia prima del grande evento» rispose il diretto interessato, sorseggiando il suo frappè al cioccolato.
Il grande...? Ah, sì, il suo matrimonio. Aveva perfino gli inviti fra le mani. Per di più aveva completamente rimosso il fatto che Anderson .Paak e Big Matt – la pronuncia di Baptiste ricordava molto l'accento di James Corden – fossero i prodigi di Dr. Dre.
«Cosa sono quelli?»
«Ah... s-sono per voi. Sono gli inviti del matrimonio.»
Ne allungò un paio, mettendo da parte quello per Christine. I due li guardarono e ne parlarono entusiasti; Matt sembrava un tantino cupo, ma rispondeva alle domande di Anderson come se nulla fosse. Bruno non spiccicò parola, osservò soltanto il panorama della Sunset Boulevard alla sua destra finendo la sigaretta. Si sentiva troppo a disagio nel parlare col suo futuro cognato, specialmente dopo i trascorsi.
L'ultima volta che si erano parlati senza litigare era stato durante il suo addio al celibato; lo aveva incontrato per pura coincidenza al Club Paradise con tutto il gruppo. Sapeva del suo matrimonio venturo grazie a Phil ed Hayley, quest'ultima aveva lavorato agli abiti delle damigelle. Non era stato facile convincerla a parlare, ma conoscendo il suo punto debole, si era fatto raccontare tutto.
Quei due si erano sposati in Italia, i suoceri l'avevano conosciuta poco prima che si fidanzassero ufficialmente e avevano scelto l'isola di Capri per il ricevimento di nozze. Bruno ancora non aveva visto la famiglia di Gin, probabilmente non l'avrebbero accolto in famiglia e non solo per via del suo aspetto. Mrs. Carmela – così si chiamava la sua futura suocera – sembrava neutra alla questione, mentre le sue cuginette più piccole erano più che felici. C'era un aggettivo per descrivere un senso di euforia talmente grande da risultare surreale?
Gin gli aveva già anticipato quello che era il più grande difetto della sua famiglia, che fossero cresciuti con una mentalità molto chiusa e diffidavano della gente. Non erano xenofobi o razzisti, ma cercavano sempre il pelo nell'uovo pur di stare nella ragione. In realtà a Bruno non importava se il suo futuro suocero lo avrebbe giudicato dalla testa ai piedi. Portava una pettinatura stramba ed era più basso del normale? Aveva i gusti di un boomer? Non sopportava il pesce al cartoccio?
Che lo criticasse pure! Scrollarsele di dosso era una cosa che gli riusciva molto bene.
Arrivarono in studio nel giro di un'ora. Il sabato si era rivelato più incasinato del solito e non solo per l'arrivo della bella stagione, ma avevano calcolato bene i tempi pur di arrivare puntuali all'appuntamento. Baptiste aiutò i ragazzi a scendere e li accompagnò affiancato dal loro bodyguard, dopo essersi fatti riconoscere dal guardiano Johnny.
Il signor Jenkins li stava aspettando insieme ad Eric e le coniugi Saunders, era stato il direttore stesso a convocare soltanto loro tre. Tuttavia Bruno si continuava a chiedere perché Matt fosse lì, ebbe il presentimento che ci fosse sotto qualcosa – forse una notizia che riguardava Anderson o un probabile contratto in arrivo. Sperò non qualcosa di negativo.
«Siete puntualissimi, ragazzi. Col traffico che c'è oggi.»
«Lo avevamo previsto, motivo per cui ci siamo organizzati» rispose Bruno, bloccando lo schermo del suo iPhone. «Allora, chi sarà il primo feat del Progetto Cinque?»
L'uomo fece un cenno del capo verso il ragazzo castano con gli occhiali, mentre Anderson soppresse un tossicchio. Ecco perché aveva avuto quel brutto presentimento. «Avevo intenzione di dirtelo in macchina poco fa, ma eri troppo impegnato a guardare il panorama.» Matt gli circondò le spalle con un braccio. «Beh? Non sei contento di fare squadra con un futuro membro della famiglia?»
Lui annuì, per poi sentirsi le spalle più leggere e quel profumo di Denim addosso. Avrebbe dovuto, ma non era così tanto entusiasta quanto Anderson. Quella tremenda sensazione di disagio divenne ancora più grande, non sapeva nemmeno cosa dire.
«Dove eravamo rimasti poco fa? Ah, sì!» Il direttore richiamò Eric e le ragazze, poi si rivolse ai tre divi. «Iniziate a prepararvi nella sala registrazione, arriviamo fra qualche minuto.»
Anderson mosse appena il gomito per dirgli di raggiungerlo e parlare, per poi farsi da parte entrando nella sala insonorizzata con la scusa di accordare la batteria acustica. Bruno sembrò diffidente, c'era qualcosa che lo frenava. Quel ragazzo non era soltanto il suo collega e concorrente, il marito della sua ex... anche il suo futuro cognato. Sarebbero stati in qualche modo parenti e tenere la distanza non avrebbe fatto bene a nessuno dei due.
Volse lo sguardo verso il vetro di fronte il mixer ancora spento, cercando approvazione da Anderson. Appena lui alzò la testa, lo incoraggiò mimandogli il labiale e gesticolando con le drumstick in mano. Fargli una domanda? Cos'avrebbe potuto chiedergli? Strinse appena le mani, era il momento giusto per mettere fine a quella disputa una volta per tutte.
«Ehm, senti, Matt» esordì Bruno, attaccando bottone. «Posso farti una domanda?»
Lui si girò e appoggiò la schiena contro il muro, giocherellando con l'iniziale del suo nome che portava al collo e senza guardarlo in faccia. «Ti ascolto.»
«Cosa ti ha spinto a farti avanti con Brooke? In senso biblico, intendo.»
Matt smise di far ciondolare l'iniziale e dopo, raccontò la loro storia. Era stata una questione di sentimenti. Aveva conosciuto Brooklyn dopo aver firmato per Dr. Dre, era stato lui stesso a fare il suo nome e accordarsi per un servizio fotografico con l'allora sua manager. Lei era una donna molto intelligente e di certo una sfida per uno come lui, essendo un po' timido, e Dre ci aveva visto giusto fin dal primo istante. Per Matt era stato amore a prima vista, ma che dopo si era rivelato essere non corrisposto. Brooke guardava soltanto un ragazzo con gli afro castani, le collane d'oro al collo e le camicie di Versace scollate.
Avrebbe dovuto farsi avanti il giorno in cui lei lo aveva invitato a casa di Bruno per i suoi trent'anni – Matt lo rivelò senza peli sulla lingua e con profonda sincerità – ma nel momento in cui l'aveva vista fra le sue braccia, gli si era spezzato il cuore. Da lì aveva smesso di sperare e aveva continuato a concentrarsi sul suo lavoro, senza mostrare il suo stato d'animo. Perché avrebbe dovuto, se aveva occhi per un giovanotto con una carta di debito che sapeva sempre dove fosse la festa? Per lei, Matt non era mai stato niente.
Tuttavia l'aveva considerata un'amica preziosa, gli dava sempre il giusto consiglio e lo faceva sorridere. Anche Bruno aveva visto quel suo lato dolce, quello che dopo un po' aveva annullato a causa della sua gelosia verso Gin. Matt l'aveva vista solo nel momento in cui sua sorella si era esibita al Dolby Theatre, era stato lì che aveva cominciato ad auto esaminarsi.
Aveva vissuto implicitamente la stessa situazione fra Bruno e Gin, ed era stato uno dei principali motivi per cui aveva scelto di non opporsi alla loro amicizia. Aveva aiutato il suo presunto rivale ad uscire da una situazione spiacevole in nome di sua sorella e di chi aveva amato, aveva ignorato ogni red flag pur di avere Brooklyn accanto. Faceva più male lasciarla, anziché tenerla come amica.
Dopo aver annullato la seconda parte del tour a causa della pandemia, lei lo aveva chiamato per chiedergli scusa e quando il primo lockdown era finito, si erano ritrovati. Nonostante la sua vita sentimentale contorta – fidanzate che lo lasciavano quando volevano una storia seria o solo una notte di passione – non aveva mai dovuto smettere di crederci, come gli disse una volta un vecchio amico.
Bruno fu colpito da quella lunga storia. Effettivamente Brooklyn aveva accettato la cosa e nonostante le cattiverie iniziali, aveva saputo dove fosse il problema fra loro. Non era Gin, come all'inizio pensava. Non conosceva davvero l'amore e tutti se n'erano accorti, specialmente suo padre – l'aveva conosciuta la settimana precedente ai Grammy, doveva aveva portato a casa ben sette gong – che non aveva stentato a commentare i suoi modi di fare. Si atteggiava da snob, ma era molto intelligente. Sapeva muoversi, usare il corpo in svariati modi, ma non si poteva dire fosse stupida o di facili costumi. Era in gamba, ma non faceva per uno come lui.
Da un lato era sbagliato invitarla al suo matrimonio, perché lei lo aveva amato ed era stato reciproco seppur non genuinamente. Non era giusto nei suoi confronti, come lui si era rifiutato di partecipare al suo e per lo stesso motivo. Certo, era fiero di vederla felice con un uomo che aveva saputo completarla. Sentiva però di non meritare certe parole, non dopo aver deluso i sentimenti di una donna. Quelli di lei erano veri, mentre i suoi erano una misera copertura. Brooke non aveva saputo far rinascere quel calore confortante nascosto nel suo cuore, ma soltanto un barlume di rancore che ancora adesso portava dentro di sé.
"Mi è bastato guardarla in faccia per capirlo: lei non è altro che la copia sputata di tua madre!"
Da quando glielo aveva rinfacciato, non riusciva più a non pensarci. Il rancore derivava principalmente da quella frase. Ma da un lato era vero, purtroppo. Oltre l'amore, ciò che lo aveva spinto verso Gin era quel buonsenso che gli aveva tanto ricordato sua madre e che possedeva anche lui. Lei, però, non aveva nulla a che vedere con la donna che lo aveva cresciuto. Bruno avrebbe rinunciato a tutto ciò che aveva costruito in dodici anni pur di riabbracciarla. Brooke non sapeva neanche cosa significasse perdere una persona così importante, di come fosse stato difficile gestire la fama e la fortuna che si era guadagnato nell'arco di un anno e mezzo.
«Ammetto di averti odiato ancora di più, dopo averla vista piangere. So che sei stato sincero con lei, dicendole che amavi ancora mia sorella.» Tirò fuori una scatola di latta, prendendo una cartina e un filtro per rollarsi una sigaretta. «Da un lato vi devo ringraziare.»
Bruno inarcò un sopracciglio. «Per cosa?»
«Se Gin non ti avesse mai perdonato, né tu né lei avreste imparato la lezione. Tu hai imparato a non farti influenzare, lei sta imparando a gestirle e smettere di soffrire.»
La cosa che più lo aveva stupito non era quel lato adulto che Matt stava mostrando, ma il fatto che avesse seguito le veci di sua sorella e ne avesse tratto lezione. Era decisamente diverso rispetto al ragazzetto che aveva conosciuto dodici anni prima. Era passato dall'essere un aspirante talento che lo aveva giudicato come fenomeno passeggero, al diventare un suo hater e redimersi aiutandolo ad uscire dai casini in cui si era cacciato con Chester.
«Se non lo avessi visto coi miei occhi, sarei rimasto immaturo e irresponsabile, e non avrei mai avuto l'occasione di parlare con Brooke» fece un tiro e finalmente, gli volse lo sguardo. Le sue pupille brillavano di luce propria, erano le iridi nocciola più belle che lui avesse mai visto. «Solo lei mi rende felice, è una cosa di cui nessuna mia ex è stata capace e so che anche per te è stato così.»
D'istinto Bruno si guardò il tatuaggio sull'avambraccio destro, il volto della donna immaginaria di profilo dietro un muro di rose rosse. Le luci al neon colorate sul soffitto riuscivano a malapena ad inquadrarlo. Matt aveva centrato il punto; nonostante le numerose scappatelle, non c'era stata nessun'altra capace di regalare quell'emozione unica e appagante che da anni aveva cercato. Non una semplice chimica o attrazione fisica, ma una vera e propria connessione.
Ginevra ci era riuscita in un modo che nessuna donna o ragazza avesse mai fatto: musicalmente, emotivamente e verbalmente. Con la musica sapeva mettere a nudo la propria anima, le sue emozioni mostravano i suoi segreti più profondi e il modo in cui si esprimeva inquadrava alla perfezione la sua saggezza e maturità. Tralasciando la sua ansia sociale, se la si imparava a conoscere, era una sognatrice come tutte le altre. Aveva ambizioni alte, non si faceva mettere i piedi addosso da nessuno e guardava l'amore anche nelle piccole cose. Era stata quest'ultima caratteristica ad averlo fatto innamorare.
«Tutti sanno quanto tu e Gin vi amate e nonostante quello che c'è stato in mezzo. Penso che pochissime storie d'amore siano vere e sincere come la vostra, e chi la vede in terza persona la pensa così» continuò Matt, mostrando un'espressione matura e realista. «Anche Paak è d'accordo con me.»
Bruno si passò una mano fra i ricci con fare nervoso. «Non diciamo cazzate.»
«Sta dicendo la verità, amico.» Andy uscì allo scoperto chiudendosi la porta di vetro alle spalle, con solo una bacchetta in mano. «Non sei felice di sapere che la tua storia ha aiutato qualcuno?»
«Sì... s-sì, lo sono.»
«Allora cosa c'è che non va?»
C'erano tante cose che non andavano, in realtà. Dal giorno in cui sua madre se n'era andata, ogni cosa sembrava scivolargli dalle mani. Ricordava la notte in cui aveva sentito Eric dare la brutta notizia, e di aver smesso di respirare. Si era sentito in bilico fra la vita e la morte.
Quel che aveva detto Matt era oggettivamente vero, ma sprecare tante occasioni, deludere chi gli era stato accanto... Era lui quello che aveva fatto un casino e commesso l'errore più grande della sua vita: farsi manipolare emotivamente e pensare solo al successo. Dio lo aveva punito nel peggiore dei modi e crescendo, aveva imparato a dare valore alle emozioni. Nonostante tutto, sentiva ancora di essere sbagliato.
«Penso di non meritarlo.»
Andy gli appoggiò una mano sulla spalla. «Non devi scoraggiarti solo perché in passato hai ceduto alle emozioni. Se Gin ha accettato di tornare con te, è perché ti ha perdonato.»
«Lo so, ma—»
«Ti spaventa l'idea di sposarti?»
Se doveva essere sincero, la sua paura più grande era quella di perdere Ginevra una seconda volta ed era stato uno dei principali motivi per cui le aveva chiesto di sposarla. Un po' gli dispiaceva l'idea di non potersi sposare in chiesa come aveva voluto tanto sua madre. Dentro di sé sentiva che sarebbe stata un pochettino meno Gin ed era assurdo pensarla in quel modo, ma alla fine il matrimonio civile era soltanto una faccenda burocratica legata ad uno status sociale. Sposandosi sarebbero diventati semplicemente "coniugi" e non "marito e moglie", non ci sarebbe stato un legame divino.
Tuttavia, desiderava tanto poter leggere il suo cognome sulla sua carta d'identità. Avrebbe perso quello da nubile – lo stesso che portava la sua chitarra – ma sarebbe rimasta al suo fianco per sempre. La scelta era stata di entrambi proprio per questione di diversità, nessuno voleva che si convertisse e il matrimonio sacro sarebbe stato valido anche senza un prete vero. Dio li aveva già uniti da tempo, non servivano ulteriori cerimonie.
«No, lo voglio più di ogni altra cosa al mondo.»
«Allora cosa ti turba? Il fatto che tu non possa sposarla in chiesa?»
«Un matrimonio civile vale comunque a livello di sentimento, non è solo un impegno giuridico. Il fatto è che... beh, mi sembra incompleto.»
«Secondo me non dovresti pensarla così» soggiunse Matt, recuperando il posacenere dalla sporgenza dietro di lui – dove c'era un led a forma di palma. «Non basta che ci sia l'amore?»
«Amore o meno, il matrimonio civile non viene visto come qualcosa di spirituale» rispose Anderson con leggero risentimento. «I credenti sostengono che la presenza divina sia necessaria affinché tutto sia completo. Quando non c'è religione in un matrimonio, si viene etichettati come eretici di cui non fidarsi a livello politico.»
Bruno fu sorpreso nel sentire Brandon Anderson Paak dire qualcosa di realista. Lui, che scherzava sempre e preferiva le battute edgy ai pessimi giochi di parole di Alex, che andava contro le morali e abbracciava la diversità in ogni sua forma.
«Quando parli così, sembri un intellettualoide.»
«Sotto certi aspetti lo sono, portavo addirittura l'apparecchio e gli occhiali da nerd» sogghignò in risposta, portandosi gli occhiali da vista in cima al naso.
«Penso di essere l'unico fra tutti a non aver mai portato l'apparecchio ai denti.»
«Perché Dio ti ha già creato perfetto.»
Gli veniva da ridere, ma si trattenne. Se da piccolo era un Elvis Presley in miniatura, da teenager era inquietantemente identico a Michael Jackson in Blame It On The Boogie. Suo fratello poteva testimoniare, soprattutto per le numerose foto che si faceva al liceo: con tutta la squadra di basket, il ballo di fine anno e per l'annuario scolastico – escluse quelle con la sua vecchia band, avendo ricordi non tanto piacevoli.
«Ora a chi somiglio? A Pablo Escobar?»
A rispondere alla sua domanda fu Eric, dopo aver ascoltato parte della conversazione da dietro la porta. «A giudicare da quelle piccole borse sotto gli occhi, direi più un murió de coño.»
Tradotto, un morto di figa. Triste, ma vero, considerato il fatto che non faceva sesso da cinque mesi. «Grazie per il sostegno, lerdo.»
Matt guardò prima uno e poi l'altro, sorpreso a dir poco. «Sapete parlare spagnolo?»
«La nostra famiglia è di origini portoricane, il nostro bisnonno paterno era del Pieques e parlava soltanto spagnolo. Però papà ce lo ha fatto più masticare che imparare» rispose Bruno senza alzare la testa.
«Oookay, questo non lo sapevo.»
A parte la scoperta dell'acqua calda, Eric non aveva tutti i torti: l'astinenza fisica lo stava distruggendo dentro. Non aveva mai pensato di durare così tanto tempo senza fare sesso, anche quando saliva sul palco e guardava le ragazze cantare con lui o urlare il suo nome. Se una persona normale avrebbe cercato lo stimolo attraverso i porno o una prostituta, Bruno immaginava tutte le cose sporche che avrebbe fatto alla sua futura mogliettina una volta finita la gravidanza.
Gli mancava abbracciarla, guardarla nuotare in piscina e averla a cavalcioni sulle sue cosce mentre lavorava da casa. Non vedeva l'ora di poter sentire la consistenza morbida del suo seno contro la schiena, trovare una scusa per poter ribaltare le posizioni, infilare una mano dentro quei pantaloncini e strapparglieli di dosso per poterla sentire gemere sotto le sue spinte selvagge. Si morse aggressivamente il labbro inferiore, l'erezione che premeva saldamente contro la patta dei suoi pantaloni e le pupille che si dilatavano.
Sotto di lui a gambe spalancate che lo incitava col corpo... oh, sì, Bruno... di più...
«Bru...? Hey, Bru!»
Notando la mano di Anderson davanti al suo naso, sussultò e si risvegliò dal suo stato di trance solo dopo che aveva schioccato le dita. L'aveva appena sognata ad occhi aperti. «Stai sudando. Vuoi che accenda l'aria condizionata?»
Si passò distrattamente la mano sul viso per asciugarsi il sudore sulla fronte, tentando di focalizzare la mente su qualsiasi cosa tranne il sesso. Ci riuscì, ma solo per qualche secondo. «No, no, sono solo in ansia per— che cazzo dico, mi manca il sesso.»
«Vedrai che appena diventerai padre, dimenticherai che esiste. Quando Ray è venuto al mondo, non combinavo più nulla.»
«Poi è arrivata mia cugina e hai ricominciato a scopare come un riccio dopo un anno di letargo» sogghignò Matt ed Eric scoppiò a ridere. Il paragone era strepitosamente geniale.
«Non rigirare il coltello nella piaga, stronzo.»
I due continuarono a stuzzicarsi scherzosamente, Bruno li guardava tenendo la mano sopra il rigonfiamento dei pantaloni ancora ben evidente. Per fortuna nessuno se n'era accorto. Si passò esasperato le mani sul volto, la situazione non lo stava aiutando per niente. Non era arrivato a quello stato da un giorno all'altro, si sentiva a disagio da quando Gin era entrata nel secondo trimestre. Era difficile non pensare a quella ragazza senza un abito di Versace, o anche solo con un completo intimo di pizzo... sospirò frustrato. Accidenti alla sua mente perversa!
«Ho appena sentito una parola volgare.»
Da dietro la porta apparve un signorotto in giacca e cravatta. I ragazzi smisero di ridere e si schiarirono la gola con fare nervoso, sperando di non beccarsi qualche ramanzina. «Ci scusi, Mr. Jenkins, ci siamo persi in chiacchiere fra uomini» si giustificò Matt a nome di tutti.
«Al lavoro ragazzi, dobbiamo cominciare la jam session. Penserete più tardi a scopare come ricci» scherzò lui, separando il gruppo: i tre divi nella camera anecoica, gli altri dietro il mixer principale.
Inaspettatamente non li aveva ripresi e anche se non usava mai toni forti, quando qualcuno si prendeva troppe libertà. Lui stesso ne aveva date e coi dovuti limiti, e il parlare di sesso e ragazze era una di queste. Matt si appostò davanti al microfono, ripetendo la sua strofa sottovoce. Bruno si sedette di fronte al pianoforte, perdendo improvvisamente quell'energia che aveva pochi istanti prima. Anderson gli andò incontro per risollevarlo un po', anche se in quei casi serviva l'aiuto di Phil.
«Su col morale, Bru! Tra un po' ti rifarai.»
«Lo so, ma il mio amichetto non la sta prendendo bene» sospirò, sopprimendo un sorriso.
«Datti di fantasia, allora! Se ti fa stare meglio» sogghignò divertito.
«Certe fantasie non aiutano, Andy, peggiorano solo la situazione.»
D'un tratto lo guardò in tralice. «Perché? Quanto sono volgari?»
«Parecchio, credimi.» Vennero circondati all'improvviso da un alone di silenzio: Bruno aveva confessato senza accorgersene. «Mi consolo in questo modo, e quindi?»
«Dovresti imparare a tenere il cazzo nei pantaloni, amico.»
«Senti chi parla, il coniglio nella stalla.»
Entrambi risero sottovoce, anche se dall'altro lato dello studio, qualcuno si divertiva a spifferare quello che Matt e i Silk Sonic si erano detti. Le ragazze avevano riso tutto il tempo, immaginando ogni espressione di Bruno durante tutta la conversazione. Era passata dall'essere seria al diventare tragicomica – per la maggioranza degli uomini quel genere di astinenza era un fucking problem.
Christine alzò gli occhi al cielo, sistemandosi la chioma riccioluta piena di lacca. «Chi ha il coraggio di dirgli che dovrà aspettare quaranta giorni prima di ricominciare?»
Claire sogghignò, immaginando la sua reazione. «Io non glielo dico.»
«Meglio se state zitte, o andrà a finire male» replicò Eric mangiandosi un sorrisetto, sistemando i controlli del mixer principale. «Vi assicuro che lo avrete sulla coscienza.»
«Come io ho sulla coscienza la tua scommessa del Margarita!»
«Sei stata tu ad accettare, no es culpa mía.»
«Non giustificarti in spagnolo, non fai eccezione.»
Lui rise fragorosamente e terminati i preparativi, dopo l'ok di Mr. Jenkins, la prima sessione cominciò. La mattinata volò più velocemente di quanto si aspettavano.
Ginevra aveva ritrovato la voglia di cucinare e per ammazzare il tempo aveva preparato alcuni dolci. Aveva già messo in forno sei cupcakes, venti minuti sarebbero bastati. Nel frattempo che il vinile di G.I. Blues di Elvis Presley risuonava per la sala, lei preparava il secondo impasto, con l'aggiunta di gocce di cioccolato Alaea. La planetaria era tornata utile – regalo di Natale di Liam e suo nonno, incluso il ricettario che stava consultando – e grazie a quella non si sarebbe affaticata.
Mancava l'ingrediente segreto e anche se la ricetta non lo prevedeva, fece uno strappo alla regola. Aveva aperto una bottiglia di rum al cocco per ammollare l'uvetta per la prima infornata, stavolta voleva seguire la sua tradizione e aggiungerlo dopo il cacao. Le era dispiaciuto dover strappare il sigillo di quella bottiglia lussuosa, ma l'aveva fatto per una giusta causa. A Bruno piaceva quando lo usava per i dolci.
Dopo aver preparato il composto, prese una sàc-a-poche usa e getta e finì il tutto. Aprì il forno e scambiò le pirofile da muffin, i primi sei erano pronti e mancavano solo le decorazioni finali. Erano venuti benissimo, nonostante fosse la prima volta che usava la planetaria e non la classica frusta da cucina. Venti minuti anche per la seconda infornata, bisognava solo aspettare.
Lanciò un'occhiata a Geronimo che ronfava di gusto sul suo cuscino di velluto, dopo essersi arreso all'idea di assaggiare una di quelle delizie del palato – a detta del suo padrone. Aveva bisogno di una leggera spazzolata, ma lo avrebbe fatto prima di andare a dormire. L'orologio indicava le due e mezza passate, e Bruno non era ancora tornato. Non si sarebbe mai abituata all'idea di fare uno spuntino al posto di pranzare con un piatto di carbonara o un'amatriciana.
Prese un cupcake all'uvetta e lo mangiò poco alla volta, stando attenta a non scottarsi la lingua. Avrebbe indossato i vestiti prémaman per ancora un mese, fra abitini estivi di cotone dalla taglia tripla e pantaloncini soffici e larghi. Finché stava a casa, un paio di shorts floreali e una canotta leggera bastavano. Nonostante fosse maggio, l'afa era difficile da sopportare. Avrebbe resistito fino alla fine del tempo, mancava poco al grande momento.
Mentre mangiava, strinse il collo della bottiglia di rum e guardò il tucano dorato inciso sul davanti, perfettamente in rilievo col resto delle decorazioni sul vetro. Era un peccato che non sapesse preparare i cocktail, avrebbe potuto fare a Bruno una sorpresa golosa – i muffin al cioccolato dal sapore di rum al cocco erano già una sorpresa golosa. Gli sarebbero piaciuti di certo, forse un po' meno rispetto alla cheesecake con la frutta tropicale cui era abituato.
Stava per finire il suo cupcake, quando udì il rombo di un motore. Si mosse verso la sala musica, scostando la tenda di seta bianca e adagiandosi alla finestra. Da quel punto si poteva vedere un lato dell'ingresso principale della villa, dove all'esatto centro c'era una palma di marmo dai bordi dorati che fungeva da lampione. Riconobbe il SUV di Baptiste dalla targa, la vista di un cespuglio di riccioli castani e una camicia hawaiana azzurra causò in lei una strana sensazione. Bruno era finalmente tornato a casa.
Non si appostò davanti la porta come faceva di solito, ma si precipitò in cucina facendo finta di nulla e tolse i muffin dal forno, pronti per essere riempiti di zucchero a velo. La porta si stava aprendo e Geronimo si precipitò ad accogliere il suo padrone. Lei, invece, soppresse sorrisetti ebeti, mentre decorava i cupcakes all'uvetta. Come volevasi dimostrare, la prima cosa che Bruno inspirò appena entrato fu quell'irriconoscibile profumo di dolci appena sfornati. Seguito dal cane, raggiunse la cucina e scoprì l'origine di quel odore.
«Bentornato, amore.» Gin posò la bocca sulla sua in un bacio affettuoso, per poi guardarlo negli occhi. Non serviva che lo chiedesse, visto il modo in cui aveva socchiuso le labbra. «Volevo passare il tempo e ho deciso di preparare muffin e cupcakes.»
Lui osservò meravigliato quelle piccole piramidi di dolci, ben piazzati e in ordine. Sul piatto bianco c'erano sei muffin color cioccolato con alcune scaglie intorno, lo zucchero a velo e un fiore di zucchero di colore diverso. I cupcakes, invece, avevano una spirale di panna in cima e l'uvetta. A guardarli sembravano usciti da un reality di pasticceria.
«Li hai fatti tutti da sola?»
«Sì, anche le decorazioni. I primi sono muffin al cocco, rum e cioccolato. Gli altri sono cupcakes con rum e uvetta.»
«Quale rum hai usato?» I suoi occhi si spostarono a destra e notò una bottiglia a forma renana trasparente a lui familiare. Il nome inciso gli fece venire di più l'acquolina in bocca, come se già quei dolci non fossero già esteticamente invitanti. «Dio, così mi porti direttamente in paradiso.»
«Io e le bambine li abbiamo già assaggiati, manchi solo tu.»
Bruno prese quello al cioccolato, il primo che aveva adocchiato fra quella piccola piramide dolce. Lo scartò e morse la parte sinistra, le sue papille gustative esplosero in un senso di piacere mistico. Non solo era morbidissimo, le scaglie di cioccolato Alaea così piccole da sciogliersi in bocca, ma il retrogusto del rum al cocco misto al cacao era squisito. Aveva appena sbloccato un nuovo peccato di gola dopo la cheesecake alla frutta tropicale.
«Mentirei se dicessi che è il muffin più delizioso che abbia mai mangiato?» Strofinò il naso contro la sua guancia, facendola sogghignare. Era così bello vederla sorridere. «Se ne farai altri, voglio esserci anch'io.»
«Vuoi imparare a farne qualcuno anche tu?»
«Certo, così ricambierò il favore e avrò una scusa per vederti con quella bottiglia in mano» sorrise, mostrando le fossette. Si portò con sé il muffin, sedendosi sul divano e invitandola facendo cenno di sedersi fra le sue gambe. «Prendine un altro, prima di venire qui.»
Gin obbedì e ne prese un altro, raggiungendolo a passo lento. Bruno le tese una mano e l'aiutò a sistemarla meglio fra i cuscini e il suo corpo. Finì presto il suo muffin, scendeva piacevolmente e non era per niente pesante. Mille volte meglio di quello dello Starbucks!
La vide mangiare il muffin, tenendolo con entrambe le mani da sotto il pirottino colorato. Non seppe come, ma trovò Gin più carina che mai, la pelle liscia e gli occhi perennemente lucidi di felicità e di stanchezza. Gli sciolse lo chignon per poterle accarezzare i capelli, anche se un po' gli dispiaceva coprire il ramo di sakura tatuato dietro la nuca. Glielo sfiorò con la punta delle dita, prima che i capelli scivolassero giù fino le spalle. Il simbolo della rinascita, le si addiceva.
Lei appoggiò la testa sulla sua spalla, la mano di lui cominciò a rigirare un paio di boccoli fra un bacio sulla tempia e una carezza sull'avambraccio scoperto. Amava da impazzire quella chioma mossa; era la sua più grande dipendenza dopo il profumo di vaniglia e tiarè sulla sua pelle, in quel momento più forte del solito. Doveva essersi fatta la doccia da poco, visto considerato che in città c'erano più di trenta gradi. Sopra le colline di Beverly Hills, invece, tirava sempre una leggera brezza e si stava bene, anche se l'afa non aiutava molto.
«Mi piace che tu abbia i boccoli naturali, me li rigirerei fra le dita tutto il giorno.»
«Potrei dire... lo stesso dei tuoi riccioli» replicò, tentando di nascondersi dietro il muffin mentre si mordeva il labbro inferiore.
Bruno spostò le labbra dalla tempia all'incavo del suo collo per permetterglielo. «Allora toccali.»
Gin allungò il braccio all'indietro cercando di arrivare alla nuca e strattonare i riccioli più nascosti, una cosa che lui adorava. Il suo tocco era unico, non si sarebbe mai stancato di sentire le sue mani fra i capelli. Cercò di apparire più naturale che famelico, generando in lui l'effetto opposto, e lei se ne accorse. Si stava trattenendo, mentre lei non riusciva a provare altro che brividi piacevoli lungo le gambe e le braccia.
Ogni sbalzo ormonale gli faceva venire voglia di saltargli addosso, ma in quegli ultimi mesi non ne provava neppure il desiderio. Naturalmente poteva pensare in un altro modo a lui, ma quel senso di stanchezza glielo impediva. Detestò doverlo ammettere, ma le mancava fare l'amore con lui. Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, se ne vergognava. Eppure Bruno era stato il suo primo amore, aveva imparato più da lui che per autodidatta ed era passato già un anno da quando erano tornati insieme. Quella timidezza nell'intimità non accennava a svanire, anche se in cuor suo lo voleva più di ogni cosa. Suonava ipocrita, ma era la verità.
«Amore, stai... stai sudando.»
«Lo so» si portò una mano dietro la nuca, come per asciugarsi il sudore. Non poteva dirle che era lei a fargli quell'effetto. «Forse... uhm, dovrei accendere il condizionatore.»
«Strano, perché in casa si sta bene.»
«Mi sembra assurdo che tu non abbia caldo, mentre io sì.»
«Anche la voce roca ti sembra assurda?»
Lui finse un tossicchio. «Perché mi sono sforzato tanto con la voce. Sai, quando alzi certe note.»
«Mr. Gorilla Gene, vedo le vene in rilievo sulle braccia e sul collo. Lo so che ti stai eccitando.»
Lui ghignò contro il suo orecchio e la sfiorò sulle pieghe bianche che sporgevano dai suoi shorts prémaman, facendola tendere come una corda di violino. Quanto era sexy quando usava quel soprannome fuori dalle lenzuola. «E tu, invece, stai tremando.»
Gin avvampò, sentendo un leggero spasmo fra le gambe. «Sono i sintomi della gravidanza.»
«Non prendermi in giro, querida. So perfettamente che ti stai eccitando» ripeté le sue parole, provocandola muovendo appena il bacino. Aveva l'erezione talmente dura che... oh, cielo!
Si ritrovò a balbettare e tremare sotto il tocco seducente della sua mano sul braccio, facendole venire la pelle d'oca. La sua irriverenza la lasciava sempre spiazzata. «D-dobbiamo aspettare ancora un po' prima di... f-farlo. Il tempo non è finito e c-ci sono i quaranta giorni post parto.»
«Oh.» Bruno abbassò la testa, sicuramente per nascondere la propria delusione, ma non la sua erezione. Accidenti, l'attesa era ancora lunga. «Quindi per altri due mesi...?»
«Mi spiace, ma purtroppo ti tocca.»
Si sfiorò un ricciolo ribelle dietro l'orecchio con la punta dell'indice. «Sono capace di aspettare.»
In realtà era una bugia, perché lui non aveva idea ci fosse un ultimissimo ostacolo prima di recuperare. Avrebbe però potuto guardarla con l'asciugamano intorno al corpo mentre usciva dalla doccia, abbronzarsi vicino la piscina con addosso quel La Coupe des Dieux nero, arrotolare il tappetino da yoga col sudore che le colava lungo il corpo e pantaloni attillati che le abbracciavano le curve. Anche scambiarsi qualche effusione senza dover per forza ricorrere al sesso. Frustrante, ma piacevole.
«A cosa stai pensando?» chiese lei.
Le sue dita erano rimaste ancora attorcigliate fra i boccoli. Era rimasto assorto per un minuto, che per lui era parso infinito. Riprese a coccolarla, risalendo sulla sua spalla con la mano libera e rigirando tutto il discorso. Se avesse ancora parlato di sesso, non avrebbe più smesso. «Quando ti ho vista leggere stamattina, mi è venuta in mente l'isola di Culebra. Sai che laggiù c'è la riserva delle tartarughe marine?»
Volse il naso all'insù per adagiarsi meglio su di lui con la schiena. «Davvero? Non me ne hai mai parlato.»
«Che ne dici di organizzare una luna di miele di due settimane?» Gin sentì il suo respiro sulle sue labbra, un leggero tocco sul labbro superiore. Erano sul punto di baciarsi. «Solo noi due, immersi nella natura e l'aria tropicale.»
«Possiamo farla la prossima estate, adesso la priorità va alla nostra famiglia.»
«Giusto», si scambiarono un piccolo bacio. «Secondo te troveremo due settimane per noi?»
«Dobbiamo trovarle. Hai appena detto che ci sono le tartarughe marine.»
«Anche i fenicotteri» gli occhi di Bruno s'illuminarono. «Ti ho convinta?»
«Appieno» ricambiò il suo sguardo, accoccolandosi di più a lui e portando la sua mano sopra il pancione.
Lui stava già immaginando quei giorni fra la sabbia bianca, l'acqua limpida e non contaminata delle coste portoricane. Ma ci sarebbe stata un'altra occasione per passare una settimana fra le tartarughe marine, magari il giorno del loro primo anniversario di matrimonio e con un vestito estivo disegnato da lui. Sì, avrebbe fatto così.
N.A.
Ci ho messo un po', ma volevo che il ritorno dei #brinevra fosse perfetto. Mi sono mancati, soprattutto Bruno che ultimamente è più perverso del solito. Difficile resistere alla tentazione, vero? Ma so che riuscirai ad aspettare, o al massimo ti metterò la cintura di castità, muhahaha! (:P)
Ebbene, la parentesi di Brooklyn e Matt è finalmente chiusa. So che nei libri precedenti ne ho parlato poco, ma c'erano tanti altri tasselli che andavano sistemati... e anche perché il caro pupillo di Dr. Dre era ancora un tantino rancoroso nei confronti di Bruno. Sono riusciti a confrontarsi davvero e mettere fine alla disputa. Era anche ora!
Non ho idea di quando aggiornerò, se prima o dopo la pausa di giugno. Molto probabilmente dopo, anche perché lo sto scrivendo in questi giorni. Il momento atteso sta per giungere, abbiate solo (tanta) pazienza. Ho in serbo di regalarvi qualcosa di magico ed emozionante. Non ne rimarrete delus*, parola di zia Gloria!
Detto ciò vi saluto e vi mando un abbraccio virtuale. Mi raccomando, bevete tanto che il caldo sta arrivando. Niente squali, stavolta. 10 punti a chi l'ha capita.
- Gloria -
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