4 - Recurring Memories and Pastries || Bruno
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"It's been so long since you been gone, and now we're here
The music's on, we're feeling freaky (oh)
I want you in my bedroom, you want me closer to you
What are we doing? Let's get to it"
♥
» Bruno Mars - Press It «
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Seconda settimana di aprile, 2022
Il file di Pages aperto sul Macintosh lo chiamava dalle prime ore del pomeriggio, ma Bruno non accennò a muovere il mouse o premere un qualsiasi tasto sulla tastiera. Era di nuovo a corto di idee e stavolta i vinili non erano riusciti a sbloccarlo, nemmeno Exodus di Bob Marley & The Wailers e di solito il reggae lo ispirava tantissimo. Lo scaffale a cubo nello studio aveva poco da offrire, se non vinili famosi o raccolte di vecchia data. Nessuno lo aveva attirato in particolare, li aveva ascoltati tutti e senza concludere niente.
La chitarra non gli aveva dato abbastanza soddisfazioni, anche strimpellando qualche accordo non era venuto fuori nulla. Non aveva voglia di alzarsi dalla sedia per andare nella sala musica e suonare il pianoforte, il risultato sarebbe stato addirittura peggiore. Stare nello studio affacciato sulla Sunset Boulevard non era come stare a casa, lì almeno c'era la sua ragazza ad aiutarlo e fargli compagnia. Si girò sulla sedia e guardò la finestra. Era da solo in quell'ufficio, il resto degli Hooligans si era messo a parlare delle due date a Sydney.
Per un attimo Bruno se ne stava dimenticando; quattro concerti un mese prima del matrimonio e avrebbe festeggiato l'addio al celibato dall'altra parte del Pacifico. Era tutto organizzato, soprattutto il soggiorno di quattro giorni al Harbour Marriott Hotel, dov'era stato spesso durante le sue vecchie tournée mondiali. Sarebbe stato più facile ripartire verso Osaka, essendo l'aeroporto poco distante, ma il tragitto andata-ritorno per l'Allianz Stadium sarebbe stato lungo e duro da sopportare. Ce l'avrebbe fatta, avrebbe chiuso tutto per la felicità di Gin e le sue piccole gemelle.
Il riflesso della finestra dava l'immagine di un uomo dalla tuta sportiva scura, il viso spossato e gli occhiali sulla punta del naso. Bruno se li rialzò con un dito e tornò a guardare il Macintosh, non prima di essersi sistemato il colletto della felpa. La seconda alternativa era sfruttare lo smart speaker. Collegò il suo iPhone e dopo aver selezionato una playlist su Spotify, l'aggeggio fece riecheggiare un suono new age rilassante. Si appoggiò sullo schienale e chiuse gli occhi, provando a concentrarsi.
Un ricordo felice avrebbe potuto aiutarlo a trovare l'ispirazione giusta. Pensò a suo padre, chissà cosa stava combinando con zia Lana e zio Tom. Gli mancava passare la domenica fra i giochi di legno del nonno e una buona frittura mista. Sua zia era la cuoca per eccellenza, non faceva mai mancare nulla alla sua famiglia. Aveva lo stesso sorriso di sua madre, generosa e sempre disponibile.
«Il pianeta Terra è un luogo di suoni. Ogni singola particella ha un proprio timbro e frequenza che si contraddistingue da tutti gli altri esseri viventi. Poi c'è la voce; unica, preziosa e comunicante. La tua non deve solamente raccontare di te, Pete. Devi saper parlare alla gente e far uscire le loro emozioni. Che siano lacrime, brividi o sensazioni.»
«La voce? Quella che ho anch'io?»
«Certo e queste che hai qui, tesoro, non sono solo corde vocali che ti permettono di parlare e ridere. È anche uno strumento musicale.»
«Tu sei capace di suonarlo?»
«Non quanto te.»
Le stesse parole che aveva già sentito... e quella voce così cullante e soffice... Il suo labbro inferiore tremò leggermente. Stava iniziando a ricordarla di nuovo.
«Quello che dice papà è vero? Sono davvero come Elvis Presley?»
«Sei molto più di lui. Il mio piccolo delinquente del rock'n'roll.»
Dopo quella sera non aveva fatto altro che darsi la colpa di tutto. Il mondo gli si era rivoltato contro a causa di tutti gli errori che aveva commesso dopo il suo esordio: aveva lasciato la sua ragazza, voltato le spalle ai suoi amici e abbandonato la sua famiglia. Se non fosse stato insensibile, non avrebbe lasciato Ginevra da sola a combattere la sua ansia sociale. Se non fosse stato egoista, Alex non avrebbe mai preso in considerazione di lasciare il gruppo. Se non fosse mai partito per Los Angeles, non avrebbe mai visto sua madre andare via.
Le sue parole erano sempre state incoraggianti, non aveva mai detto di no a un suo capriccio che non riguardasse il mondo della musica. Avrebbe davvero speso fino all'ultimo centesimo per vederlo sul palco dei Soul Train Awards con Stevie Wonder, glielo aveva detto tante volte. Si odiava per averle permesso di dire quelle parole il giorno dopo il diploma.
«Tu sei nato per brillare, il tuo sorriso può rendere felici tante persone. Questa è un'opportunità da non perdere, puoi realizzare il sogno della tua vita. Se resterai qui, non potrai mai raggiungere i tuoi obiettivi.»
«Non me ne vado senza di te.»
«Verrò con te, se hai bisogno di sostegno.»
«Non sentirti forzata, solo perché...»
«Voglio che tu insegua i tuoi sogni, Peter. Usa questi ultimi risparmi per il biglietto dell'aereo.»
«Perché lo stai facendo, mamma? Ho solo diciannove anni, come pensi che possa farcela?»
«Il successo arriverà, tesoro, è questione di tempo. Io ti starò accanto e ti sosterrò come ho sempre fatto. Ma ti prego... vai. Prendi quella chitarra e fai vedere chi sei.»
Bruno spalancò le palpebre e si ritrovò gli occhi sommersi di lacrime. I ricordi lo avevano riportato a quel pomeriggio, prima dei suoi diciannove anni. Si asciugò le guance col palmo della mano e si ricompose. I ricordi tristi non erano fatti per essere immortalati in una canzone, specialmente se facevano male e lui lo sapeva bene. Basta lacrime, ne aveva fin sopra i ricci.
Un artista non doveva solo parlare di se stesso o veicolare un messaggio positivo, ma anche raccontare un'esperienza di vita e farne tesoro. L'amore doveva essere per forza l'elemento chiave di ogni canzone, spuntava fuori in ogni contesto e perfino nei film d'azione. Sua madre non era l'idea adatta – anche se ne aveva dedicate tante – e l'argomento ex fidanzate era fuori dalla sua portata. Una lampadina si accese: la voce di Ginevra avrebbe potuto sbloccarlo.
Cercò il suo numero fra i contatti – non più "Bunny", ma "mì querida" con un cuore rosso di fianco – e la chiamò mettendo il vivavoce. Squillava, fortunatamente. Non la sentiva da quasi tutto il giorno, gli mancava la sua voce, anche se erano passate solo sei ore.
«Pronto...? Ah, sei tu, Peter.»
«Come stai?»
«Solo dolori alla schiena, il resto va tutto bene. Ho fatto mezz'ora di yoga.»
«Non sforzarti troppo, ricorda cos'ha detto il dottore.»
Da parte sua, Gin sfruttava tutto il tempo che non passavano insieme per lavorare al suo progetto ambientale e ne sentiva spesso parlare, quando Phil stava in corridoio col resto degli Hooligans. Lui era il più aggiornato, il che lo irritava un po'. Del resto non era impegnato quanto lui.
«Stai tranquillo, uso il timer per prevenire ogni problema. Me l'ha consigliato Presley. Devo ancora ringraziarla per avermi lasciato usare la sua tabella prémaman, è davvero utile.»
«Oh, cielo. Come fai a stare dietro a quel programma, se non hai mai fatto un po' di cardio?»
«Solo perché non sollevo panche o faccio ore di tapis roulant, non significa che non sia in forma.»
«D'accordo, come non detto.»
«Mi sottovaluti troppo, scimmietta.»
Trattenne una risata, il livello di glicemia che saliva sempre di più. Da quando lo chiamava in quel modo così sdolcinato? Decise di stare al gioco e si accese una sigaretta, forse un po' di tenerezza avrebbe potuto ispirarlo.
«Non ero il tuo orsacchiotto un decennio fa?»
«No, ora sei la mia dolce scimmietta coccolosa. Lo sei, vero?»
«Sì, come tu sei il mio piccolo bocciolo d'ibisco rosa.»
«E tu il mio pancake al cioccolato.»
«Okay, basta, mi sta venendo il diabete.»
«Sì, hai ragione.»
Bruno ci rimase malissimo. Neanche le parole sdolcinate avevano funzionato.
«Dì la verità: non sai cosa scrivere?»
«Già, sto fissando quel file vuoto da non so quanto tempo. L'idea di realizzare una seconda cover non mi soddisfa abbastanza, non sono in vena di scrivere una canzone simile a Love's Train e...» s'interruppe con un sospiro. «Dio, sono nella merda.»
«Ti capisco, Peter. Succede anche a me, quando devo consegnare alcuni articoli scientifici per National Geographic o il Scientist American. Certe volte mi rendo conto di aver scritto e detto tutto.»
Ciccò sul posacenere di vetro accanto il portapenne, guardando ancora lo schermo del Macintosh. «Hai qualche idea? Non so... una parola, un verbo o anche una stupidaggine.»
«Potresti provare a scrivere una canzone sui pasticcini.»
Non resistette alla tentazione di sogghignare. «Cosa?»
«Ho una terribile voglia di dolci.»
«Ogni mese ti cambiano le voglie?»
«Che ne so! Voglio solo mangiare un'enorme vassoio di pasticcini alla frutta, meglio se sono alla fragola. In casa ci sono solo biscotti e cereali, non ho neanche voglia di fare una cheesecake.»
Sentendo quei capricci, Bruno ripercorse tutti quei momenti passati insieme, mangiando dolci di qualsiasi tipo o bevendo un milkshake. Erano passati ben dodici anni dal loro primo incontro allo Starbucks, dove un misero Caramel Macchiato li aveva fatti conoscere – anche se con lo sguardo. "Ti piace il caffellatte al caramello? È anche il mio preferito."
Provò una commozione felice ripensando agli inizi della loro storia, a quanto entrambi fossero stati ignari del futuro che li avrebbe uniti, separati e riuniti. Tralasciando tutto il resto, alla fine era vero che il mondo era piccolo. Se il destino gli aveva riservato una seconda possibilità, doveva tenersela stretta fino alla fine. Chissà se in un'altra vita avrebbe potuto amarla di nuovo.
«Vorrei addormentarmi un po'. Mi canti qualcosa, Peter?»
Bruno esitò un po', poi i suoi occhi s'illuminarono. Sorrise e poggiò un gomito sul legno della scrivania. «"I will keep you warm through the shadows of the night"...» Udì una soffice risata dall'altro lato della linea, quant'era bella. «"Let me touch you with my love, I can make you feel so right".»
«"The Lady in my Life", eh? Che fine ha fatto "Love Me Tender"?»
«È ancora dentro di me.»
«L'hai messa in secondo piano ultimamente.»
«Ammettilo, sotto sotto ti piace sentirmi cantare Michael Jackson.»
«S-sì, mi piace. Anche se... ehm, preferisco quelle più tenere come "The Girl is Mine".»
«Allora stasera ti accontenterò.»
«Non vedo l'ora.»
Lo aveva detto con voce erotica. Bruno odiava quei suoi giochetti, ma lei avrebbe continuato a farli perché si divertiva. L'avrebbe presa sulla scrivania, se fosse stata lì con lui e senza il pancione. Voleva rientrare in quel dolce paradiso, col corpo e con la mente. Mancavano cinque mesi, doveva resistere.
«Riposati, perché quando tornerò a casa ti porterò qualcosa pieno di zucchero.»
«Sarà fatto. A più tardi, Brunito.»
Le mandò un bacio e riattaccò, spegnendo la sigaretta. Tutte le volte che lo chiamava Brunito gli si rizzava la peluria sulle braccia, peggio ancora quando gli faceva massaggi sulle spalle prima di andare a dormire. La maggior parte delle volte stava in reggiseno e mutandine, altre col pigiama o il suo completo da yoga. Sperò che un giorno lo facesse nuda per poter ammirare quelle bellissime forme tonde chiamate tette.
Parlare di pasticcini non era una bella idea, nessuno l'avrebbe presa sul serio. Una nuova canzone d'amore? Poteva essere un'ottima partenza, se solo avesse avuto lo spunto giusto. Fissò lo schermo del cellulare, lo sfondo del blocco schermo che mostrava lui e Gin sotto l'ombrellone. La conversazione non lo aveva aiutato molto, così decise di azzardare e lasciare che un lobo nascosto del suo cervello modellasse un ricordo di loro due.
Immaginò di averla dietro di sé, acqua e sapone e in topless che lo toccava sulle spalle. Cominciava così: prima una carezza, poi il massaggio vero e proprio. Lui si rilassava chiudendo gli occhi, lasciando che le sue mani percorressero prima le scapole, poi la spina dorsale. I movimenti di lei erano sempre lenti ed esitanti, indugiava su ogni rilievo dei muscoli contemplando la sua pelle olivastra. Anche lei amava alla follia guardare il contrasto fra le loro carnagioni, mai quanto mettersi davanti allo specchio e guardarsi mentre lo abbracciava – molto meglio dopo una doccia.
«Ti stai rilassando?» sorrise contro il suo orecchio, continuando a massaggiare.
«Hm, sì. Sei così brava con le mani.»
Un suo pregio era quella di avere le dita lunghe e morbide, ma perennemente fredde. Si abituava dopo un po', afflosciando le spalle e mettendosi comodo. Preferiva la sera alla mattina per stare con lei, con la scusa di andare a letto e concludere.
«Dove ti fa male? Qui?»
«Vai un po' più su... ancora un po'... ecco, lì! Ahh, sì!»
«Questo succede quando stai seduto con la schiena storta per troppo tempo. Rilassa le spalle, sennò non ti passa il dolore.»
Gin non aveva studiato anatomia umana nella sua completezza, aveva imparato qualcosa negli anni e per autodidatta. Non aveva neanche senso chiederselo, quella donna aveva uno spazio infinito nella sua memoria a lungo termine. Aveva imparato più lei in una settimana che lui in cinque anni di liceo. La invidiava per questo; se avesse avuto la sua stessa determinazione nello studio, si sarebbe iscritto ad Harvard e si sarebbe laureato con la lode.
«Sai che hai una bella muscolatura? Anche se ti preferivo più magro e non troppo in forma, mi piaceva vederti senza queste venature sulla schiena.»
«Ero più piccolo, adesso sono più maturo.»
«E io?»
Sentì una consistenza morbida contro la schiena, come se lei avesse appena appoggiato il seno su di lui. Lo faceva sempre, non prima di essersi tolta il reggiseno. Le mani fra i riccioli che li spostava da un lato per accarezzargli l'angolo più nascosto del suo orecchio, dita lunghe e dal movimento lento e delicato. «Sono... matura?»
«Sei bella e sexy come dieci anni fa, se non di più.»
«Mi fa piacere sapere che ti piaccio più di prima.»
Se ci fosse stato uno specchio, l'avrebbe vista arrossire. I complimenti le scioglievano il cuore, qualunque fosse il contesto. Soprattutto se era lui a farglieli. «In te è cambiato tutto, invece. Tranne questa vena sul collo, è grande e ben in risalto sulla pelle.»
Avvertì un brivido sulla parte sinistra del collo e d'istinto allungò una mano per sfiorarsi la clavicola. Era come se Gin gliel'avesse appena sfiorata con la punta del naso e quando succedeva, il suo corpo reagiva.
«Lo so che ti piacerebbe farmi un succhiotto proprio lì.»
«Non sai quanto, ma dovrai guadagnartelo. Non è soltanto una mia perversione.»
«Prima o poi cederai all'istinto, come mi hai tirato i capelli l'altra sera.»
«Mi piace rigirarli fra le dita, come a te piace riempirmi di baci su tutto il corpo.»
«Perché amo venerarlo, il tuo è un dono della natura.»
«E qual è la tua parte preferita?» La domanda era stupida, perché Gin sapeva già la risposta.
«Quello spazio fra le tue gambe e i tuoi fianchi.»
Immaginò il suo viso paonazzo, la frangia che le copriva gli occhi e il labbro inferiore fra i denti. Era lui il pervertito della coppia, ma anche lei non scherzava in fatto di allusioni sessuali. Quell'aria innocente che mostrava, poi, era la ciliegina della sua Pina Colada: caramellata e dolce, proprio come la sua...
«Non sono meglio queste?» Di nuovo quella sensazione sulla schiena, stavolta con una vampata di calore sulla parte inferiore. «So che ti piace toccarle.»
«Sì.» Sussurrò con voce roca. Così come amava morderle.
«Allora perché non fai un massaggio anche a me?»
«Gin, lo sai che non sono tanto dolce quando mi provochi in quel modo.»
«Per questo lo sto facendo.»
Il massaggio sulle spalle diventò più sensuale, le dita scivolarono sempre più giù fino a scostare parte della felpa e rivelare un altro lembo di pelle liscia e olivastra. Se ne fregò dei ciondoli d'oro e d'argento che adornavano lo sterno, continuò a toccarlo e gli lasciò una scia di baci sulla spalla destra. Quell'odore di tiarè e vaniglia lo eccitò ancora di più, lo aveva usato anche sui suoi capelli. Oh, cazzo.
«V-va bene, vieni qui. No, non sulle mie ginocchia. Siediti sopra la scrivania.»
Sentì il contatto fisico sciogliersi e un po' ne soffrì. La vide fare il giro della sedia e sedersi sul mogano lucido della scrivania. Anche se il suo volto era nascosto dai capelli, riuscì a percepire la sua lussuria – mascherata da dolci guance rosse e la bocca leggermente socchiusa. Nell'esatto momento in cui aveva allargato le gambe e mostrato una pozza d'inchiostro nel mezzo, le pupille di Bruno si allargarono.
Lo slip che stava indossando era nero di pizzo. Lui adorava vedere quel colore su di lei, sembrava inchiostro su tela. Aveva perfino un delizioso paio di tacchi blu cobalto ai piedi, il seno in bella mostra che lo chiamava. Di solito preferiva immergersi fra quelle morbidezze col viso, baciandone uno e poi l'altro con la scusa di massaggiarglielo. Stavolta decise di bruciare la prima tappa e si abbassò, mettendosi fra le sue cosce.
Le sollevò una gamba, portandosela su una spalla e soffiò delicatamente sull'inguine. Gin emise un ansito, adesso era lei ad essere tesa. «Ora sarò io a prendermi cura di te.»
Fu proprio quando scostò lo slip di lato che un rumore rovinò l'atmosfera. Il sogno svanì, così come la musica di sottofondo. Bruno alzò la testa non appena udì il suono della porta che si apriva lentamente. «È permesso?» Era una voce profonda. Dopo aver riconosciuto quella mano grande e piena di anelli tondi, balzò sulla sedia.
«M-Mr. Jenkins! Mi scusi, non...»
«Ho interrotto qualcosa?»
«Niente, stavo... ehm, lavorando.»
Si accorse di uno strano rigonfiamento nei pantaloni. Cercò di coprirsi con un vecchio giornale di fianco a lui e si schiarì la gola, sentendosela secca. Batté due dita sul legno lucido della scrivania, nascondendo le sue guance paonazze e senza accorgersi di avere un velo di sudore sulla fronte. Doveva pensare a qualcosa di brutto per calmare quell'erezione, un episodio disgustoso o musica stonata. Gattini morti, vecchiette rugose, abiti di Versace falsi. Merda, non sta funzionando!
«Va tutto bene? Ti vedo leggermente sudato.»
«Ho un po' caldo, stavo giusto per accendere il condizionatore.»
«Non mi pare il caso, essendo ad aprile. Perché non usi la ventola?» Gliel'accese facendo scattare l'interruttore, facendo arieggiare la stanza. Il vento non era fortissimo, ma abbastanza da fare aria. Non a far sparire quel rigonfiamento, purtroppo.
«Ti manca l'ispirazione?»
Il ricciolino annuì. Aveva visto il file aperto e completamente bianco, tranne per l'intestazione che recitava "Progetto Cinque". Sarebbe stato il primo singolo del suo quinto album, colui che sarebbe arrivato dopo An Evening With Silk Sonic. Aveva scelto di ispirarsi alla Motown e avrebbe tenuto la presa salda fino alla fine, essendo la musica con cui era cresciuto. Qualcosa gli stava sfuggendo, non riusciva però a capire cosa.
«Se vuoi posso aiutarti io.»
«Lo farebbe davvero?»
«Perché non dovrei? Siamo una squadra, giusto?»
Bruno fissò ancora lo schermo, non c'era niente in grado di sbloccare la sua fantasia. Soldi? Argomento esaurito in un solo album, sarebbe stato ripetitivo. Sesso? Conoscendosi, avrebbe tirato fuori lo screenplay di un film porno e il rigonfiamento sotto quel cumulo di carta non aiutava. Stupidaggini? Non era nell'umore adatto e negli ultimi giorni non ne aveva fatta nessuna. Amore? Stava spremendo quella parola come un limone, non poteva esaurire anche quello.
«Hai provato ad ascoltare musica?»
«Ho ascoltato tutti i vinili nell'ufficio: la discografia dei The Commodors, la raccolta blues, i primi due esordi di Bob Marley & The Wailers e i Beatles. Niente, non trovo l'argomento giusto! Sono ore che fisso quello schermo, vorrei...» grugnì frustrato, interrompendo la frase. Quel blocco lo stava facendo impazzire! Ebbe una voglia improvvisa di scappare nella Repubblica Dominicana, bere tequila sulla spiaggia e abbuffarsi di cibo fino a sragionare.
L'uomo in giacca e cravatta tirò fuori due bottiglie di Becks dal frigorifero portatile accanto al divano di pelle, e staccò i tappi prima di porgergliene una. La sua espressione era per metà delusa e metà comprensiva. «Il blocco dello scrittore arriva soprattutto quando lavori troppo, ragazzo mio. Ti dico sempre di equilibrare vita privata e lavoro. So che ti piace la musica, ma non devi trascurare te stesso.»
«Voglio portarmi avanti prima del congedo parentale, non mi piace lasciare tutto indietro e finire in fretta e furia.»
«Ti ho mai imposto una deadline vicina?»
Il ricciolino lo fissò bere la sua bottiglia. Ne bevve un sorso anche lui, anche se non aveva tanta voglia di birra. Era comunque una distrazione, sempre meglio di nulla. Il signor Jenkins aspettava una risposta e Bruno scosse leggermente il capo, senza proferire parola. Pensava di aver superato quell'ansia da confronto.
«Sono sempre stato onesto con te. Ho salvato la reputazione del tuo terzo album, ho approvato la tua collaborazione con Anderson e sentito ogni tuo pezzo. Li ho sempre valutati seguendo i criteri, ti ho mostrato ogni difetto e ti ho aiutato a correggerli nella fase finale. Non ti ho mai fatto mancare niente.»
«Lo so, ma...»
«Allora perché ti agiti così tanto per una bozza bianca?»
«Per non farmi prendere dal panico, signore» ammise sospirando.
«Il detto dice "chi va piano, va sano e va lontano". La cosa più importante è quello che viene da qui» si portò una mano sul petto, dove si trovava il cuore. «Per trovare l'idea giusta serve il tempo che serve. Se ne hai bisogno per portare avanti il Progetto Cinque, basta dirlo e te lo concederò.»
Bruno scosse la testa. «Non mi serve nulla. Il problema è che... beh, penso di aver già detto tutto.»
«Hai parlato di un sogno o di un'avventura?»
«Due volte.»
Si corresse: più di due volte. La prima era stata l'avventura di una notte, la seconda una sua fantasia sporca e perversa, la terza un sogno romantico e spinto che aveva rivissuto un anno dopo. Abbassò lo sguardo, aggiustandosi di nuovo gli occhiali. Niente canzoni erotiche, ne aveva scritte e incise abbastanza per il momento.
«Un riferimento alla tua famiglia?»
«Sì.»
«Storie d'amore passate?»
«Sissignore, e anche troppo.»
Non che la sua vita amorosa fosse stata una delle migliori, aveva fatto numerose cilecche. Fin da bambino guardava le ragazze in giro per la città, talvolta le cameriere in qualche ristorante o le altre bambine – tutte carine di faccia e con gli occhi luminosi, non importava il colore. Le medie e le superiori erano sempre state sullo stesso livello, ma con qualcosa in più.
Gli piaceva fare il cavaliere scarrozzando ragazze in giro con la vecchia Jeep, anche se molto spesso varcava i confini con battute a doppio senso, una scusa per abbracciarla o mettere le mani dove non doveva. Una tecnica che aveva messo in atto con tanta originalità, ma che falliva dopo mesi. Si vergognava un po' raccontarlo attraverso una canzone, così come di tante altre cose.
Una suoneria bloccò i suoi pensieri. Il signor Jenkins aveva appena tirato fuori il suo cellulare aziendale e guardando il nome sul display, fece un passo indietro e andò verso la porta. «Perdonami, devo rispondere. Prima che vada, ti suggerisco di prendere spunto dalla locandina del tuo film preferito, aggiungere amore, musica e un pizzico di rum. È la ricetta della canzone d'amore perfetta.»
La porta si chiuse e lui si ritrovò a guardare la bottiglia di birra aperta e ancora piena accanto al posacenere. La prese e la ripose nel frigorifero, non prima di aver rimesso il tappo. Tornando alla postazione, l'ispirazione sopraggiunse come un fulmine a cielo sereno. Blue Hawaii, amore, le note di un ukulele e una Pina Colada.
Stese qualche riga, digitando sulla tastiera. Le parole arrivarono a raffica secondo dopo secondo, il file vuoto iniziò a riempirsi.
"Ti guardo con quell'ibisco bianco sulla testa, i boccoli castani che scendono sulle tue spalle e quell'aria timida che ti contraddistingue. Ascolti un ukulele e ricambi il mio sguardo.
Cosa fai lì tutta sola? Non ti va di bere qualcosa con me?"
Era un buon inizio: sobrio e romantico. Si capiva fin dalle prime righe che la sua musa era Gin, perché lui non conosceva altre donne che avessero boccoli belli e naturali come i suoi. Andò avanti per un po' scrivendo il ponte e giunse al ritornello, la parte più importante della canzone.
"Prendimi per mano, baby. Voglio mostrarti un posto speciale.
Canterò per te sotto le stelle, l'oceano farà da orchestra. Saremo io, te e la luce della luna.
Quando vedo quel dolce sorriso, sento che non posso più aspettare.
Stenditi fra le mie braccia e lascia che ti conduca nel mio paradiso."
Il finale poteva essere fraintendibile, ora che lo rileggeva. Dopotutto era quello il suo stile, la sua personalità. Non lo aveva mai stravolto, anche se di tanto in tanto cercava di andare oltre i limiti. Lo lasciò così e proseguì.
"Vedo l'oceano riflesso nei tuoi occhi, me lo sto immaginando o è reale?
Ascolta il rumore delle onde, ti sta chiedendo di lasciarti andare. (Lasciati andare, baby!)
Allaccia le tue gambe intorno a me, perché tra poco diventerai mia.
Muoviti con me. Dentro e fuori, dentro e fuori... La tua melodia sarà la mia rovina."
Decisamente troppo. Cancellò l'ultima parte e la rese meno spinta, non era il caso di rischiare – come se l'erezione di poco fa non l'avesse già fatto. Si tolse il giornale da sopra la patta, notando che era tornato normale. Era passata, grazie al cielo. Riprese a scrivere, mantenendo il tono dolce e romantico dell'inizio.
"Sono un amante, non un combattente. Sono come Michael, anche se a prima vista non si nota.
Posso essere il tuo uomo? Ti prometto che non ne rimarrai delusa.
Ti porterò a vedere il tramonto sull'oceano, ti mostrerò il mio piccolo mondo, ti dedicherò ogni nota del mio cuore.
Ti batte forte, lo sento anche da qui. Stai provando la stessa cosa, non è vero?
Ti faccio sentire il mio, vieni e metti la mano su di me. Lo senti? Sta cantando per te."
Decise di chiudere la canzone con quella frase, romantica e delicata al punto giusto. Rilesse il tutto con attenzione, cominciò a correggere alcune sviste e dopo averla finita nel giro di un quarto d'ora, la salvò nella sua cartella personale e spense il Macintosh. Come diamine aveva fatto a non pensarci prima? C'erano tutte le carte in regola per un bel ritorno alle origini in chiave rhythm and blues nostalgico. Era perfetta!
Recuperò le chiavi e il cellulare, spense le luci e chiuse la porta. I ragazzi erano nella sala relax, passò solo per un saluto e dopo aver preso l'ascensore, lasciò il palazzo. Era quasi tramonto, doveva fare di corsa e tornare a casa. Aver immaginato quella donna sopra la scrivania del suo studio lo aveva risvegliato in tutti i sensi, fortuna che Mr. Jenkins non si era accorto di quel rigonfiamento. Come glielo avrebbe spiegato, se lo avesse colto in flagrante? "Non è come sembra". Una scusa piuttosto comune.
La radio stava trasmettendo uno show radiofonico cui l'argomento era la settimana di Pasqua. In effetti mancavano cinque giorni e quell'anno Bruno e Ginevra avevano organizzato una grigliata a casa di Eric e sua moglie, sarebbero venute anche Presley, Tahiti e i loro bambini. La situazione un po' lo rendeva nervoso, anche perché ci sarebbe stato suo padre ed evitare le domande sulle gemelle sarebbe stato impossibile. Scosse leggermente la testa. Non era il caso di farsi prendere dal panico da una riunione di famiglia, come se non ne avesse già fatte nel corso della sua vita.
I pensieri tornarono su Gin e le sue voglie. Decise di fare due tappe: cioccolateria e pasticceria. C'era solo un problema: dove accidenti avrebbe trovato i pasticcini alla frutta? Il Griddle Cafe era chiuso a quell'ora, non avrebbe nemmeno potuto optare per un'alternativa. Scavò nei ricordi, quando avevano mangiato dolci l'ultima volta?
«Ora ho capito perché ti piace quella pasticceria, non è lussuosa e fa dolci squisiti.»
«Mi piace più il fatto che si possano fare combinazioni tipo Oreo, frutta e miele.»
«Oh, mio Dio. Come fai a mangiare tutta quella roba, Pete?»
«Lo faccio e basta. Guardati, hai la punta del naso sporca di panna. Ti sei proprio immersa in quel dolce alla fragola, eh?»
«Scusa, ma adoro queste funniel cakes! Vorrei poterle mangiare tutte le settimane.»
Passato l'ultimo semaforo, gli venne in mente quel nome. Fun Ol' Cakes, ecco come si chiamava quel posto! Anche una piccola torta sarebbe stata perfetta per soddisfare le sue voglie, non se ne sarebbe di certo lamentata. Trovò un posto nascosto e dopo essersi alzato la mascherina e il cappuccio della felpa, intascò le chiavi e camminò fino alla pasticceria.
L'ingresso era sobrio, non troppo sfarzoso. L'attesa era di cinque minuti, non avrebbe aspettato molto. Si abbassò bene le maniche per nascondere i tatuaggi sulle braccia e i bracciali d'oro, prima che arrivasse il suo turno. Ne comprò ben due: uno ai frutti rossi ricoperto di zucchero a velo con uno strato di cioccolato, e un altro con mirtilli e pezzi di banana ricoperti di panna. Doveva farseli bastare, il kiwi non era di quelle parti.
Poco gli importava se qualcuno lo osservava, l'importante era portare quei grassi idrogenati a destinazione prima di assaggiare la furia omicida di Gin. La gravidanza le peggiorava l'umore del quattrocento per cento e non era affatto un bene. Aveva visto quella ragazza arrabbiarsi così tante volte da essere innamorato anche di quel lato di lei. Non sempre ci riusciva, essendo calma e pacifica quanto lui, ma placare la sua rabbia era una mission impossibile e non ironicamente.
Passò l'ennesimo semaforo e notando Pride & Pancakes in lontananza, decise di fermarsi. Dietro c'era la cioccolateria gourmet che aveva frequentato con Brooklyn all'inizio della loro vecchia storia, sarebbe stata l'ideale per calmare la voglia di dolci. Aveva quasi rimosso quel posto.
La prima cosa che Bruno sentì mettendo piede in quel negozio, era l'inconfondibile odore di cioccolato da brontolio allo stomaco. Non aveva la più pallida idea di cosa comprare, se quelli alla menta o al cioccolato fondente. Ma quale futuro padre avrebbe comprato roba così semplice? I prezzi erano perfino aumentati, soprattutto sul fudge. Fette d'arancia immerse nel cioccolato a tre dollari l'una? Avrebbe potuto comprarle, se non fossero troppo costose.
Curiosò con lo sguardo e un fiocco arancione lo attirò subito. Si affrettò ad alzarsi il cappuccio della felpa e la mascherina leopardata scura, prima di guardarlo più vicino. Erano dei dolci al tartufo con cioccolato e caramello con sale Alaea. Prese fra le mani il cellulare e aprì Apple Pay. L'ultima volta che li aveva comprati era stato il giorno dei suoi trentacinque anni, facendoseli portare a casa con la scusa di trovare l'ispirazione. Se avesse comprato la confezione grande col fiocco porpora, che ne sarebbe stata della dieta? Sospirò. Fanculo la dieta!
Era stato fortunato che il commesso non lo avesse riconosciuto, anche se la sua voce pareva più roca – colpa della mascherina – e gli anelli sulle dita chiaramente riconducibili a lui. Forse aveva fatto finta di nulla per non sembrare maleducato, credendo che quella scatola di cioccolatini fosse destinata a Gin. Recuperò la confezione dal ripiano bianco lucido e se ne andò. Non era il caso di comprarne altri, quelle leccornie gourmet costavano più di un biglietto all'Hollywood Palladium. Aveva ceduto anche per autocommiserazione, al solo pensiero che avrebbe trascorso altri cinque mesi in astinenza.
Il viaggio di ritorno fu senza sosta, se non ai semafori o agli incroci. Guardò la confezione di cioccolatini di sottecchi, si agitava ad ogni movimento della macchina. Cinquantacinque dollari di dolci, sarebbero bastati per tutto il mese se non di più. Vivevano in due e ogni tanto Phil passava da loro per un saluto o un bicchiere di Baileys ghiacciato. Si concentrò sulla strada e pensò. Le sensazioni si erano quintuplicate da quando Gin era rimasta incinta, non riusciva nemmeno a controllarle. Tuttavia sapeva che quelle voglie sarebbero sparite col passare delle settimane, tanto valeva sopportarla finché duravano. Avrebbe ottenuto una ricompensa, prima o poi, no?
Arrivò finalmente a casa, giusto in tempo prima che le luci del viale si accendessero. La Cadillac di Phil non c'era, probabilmente era ancora in studio. Non lo aveva visto né nella sala mixaggio né assieme agli altri nella sala relax, forse era uscito a fare qualche commissione per Hayley. Sorresse i dolci con perfetto equilibrio, prese la chiave ed entrò in casa, richiudendo la porta con tre mandate.
Passò il corridoio accanto, cercando Gin. Forse era in cucina a preparare la cena, o fuori la veranda a prendere un po' d'aria. Con sua grande sorpresa la vide seduta sul divano a guardare un documentario. A giudicare dai versi sembrava essere un accoppiamento fra oche. Si avvicinò lentamente cercando di non fare rumore, le immagini sullo schermo mostravano uno stormo di fenicotteri rosa.
"La colorazione delle loro piume deriva un pigmento di colore rosso-arancio presenti negli organismi che vivono negli ambienti di alimentazione dei fenicotteri, come l'artemia salina comunemente nota come 'scimmia di mare'. Durante la stagione riproduttiva—"
Accanto a lei c'era Geronimo che dormiva sulla poltrona di fianco a lei e Bruno decise di retrocedere. Quel cane la proteggeva fin dal primo momento ed era sempre in allerta, rassicurava sempre il suo padrone e stava sempre al loro fianco. Andò nella biblioteca-studio e si chiuse la porta dietro le spalle, accendendo la luce. Una tenue luce giallo chiaro invase la stanza, l'atmosfera giusta per rilassarsi.
Poggiò le due funniel cakes sulla scrivania, poi guardò la confezione di cioccolatini. Aveva in mente di mangiarne un paio prima di andare a dormire, chissà se quel sapore di casa gli avrebbe regalato bei sogni. Oppure la sua non era proprio una fame da dolci. Era passato un po' dall'ultima volta, non si capacitò di come avesse fatto a resistere fino a quel momento. O di come fosse riuscito a reprimere quelle fantasie erotiche senza farsi scoprire.
«Non si saluta più, Peter Gene?»
La voce di Gin lo colse di sorpresa. Si girò, guardandola entrare nella stanza e chiudendosi la porta dietro le spalle. Aveva un bellissimo vestito prémaman bianco e di cotone, sotto si vedeva il reggiseno blu floreale. Era ancora più adorabile in vesti primaverili.
«Scusa, non volevo disturbarti mentre guardavi i fenicotteri.»
Le andò incontro e le lasciò qualche dolce bacio sotto la mascella, mentre lei gli avvolgeva le braccia intorno alle spalle. Erano passate solo sette ore, ma le era parsa un'eternità. Spostando lo sguardo, notò tre scatole colorate. Gin non riuscì a non formulare una domanda: «Cos'è tutta quella roba?»
«Ho comprato due funniel cakes. Ti ricordi quando le abbiamo mangiate insieme a Phil ed Hayley la scorsa estate?»
Sogghignò, ricordandosi quella sera. Lui e Phil si erano ubriacati l'istante dopo; Il Brandy li aveva letteralmente fatti impazzire e si erano messi a cantare a squarciagola l'inno degli Stati Uniti, mangiando il loro dolce e alzando il bicchiere come per brindare. Aveva riso tutto il tempo ed entrambe avevano dovuto trascinare il proprio fidanzato in casa. Come poteva dimenticarlo?
«Mi è venuto in mente mentre tornavo a casa e ti ho subito pensata.»
Si sedette sulla sedia girevole, rilassando le gambe. Dopo la nascita delle gemelle, le cose sarebbero cambiate, ma conoscendo Bruno non sarebbe successo. Guardò ancora una volta i dolci sopra la scrivania e all'improvviso si sentì in colpa.
«Non dovevi spendere tanto.»
«L'ho fatto volentieri, dico davvero.»
Aveva preso due calici e riempiti di un liquido frizzante giallastro, gliene passò uno e mostrò il suo. Gin se lo rigirò fra le mani, era pieno fino a metà. Non poteva bere alcolici, era incinta! «Nel caso te lo stessi chiedendo: è succo di mela. Mi è sembrata un'alternativa carina allo champagne.»
La ragazza roteò gli occhi, ma cosa andava a pensare! Lo guardò darsi da fare e nascose un sorriso. Era diventato più premuroso da quando erano tornati insieme. Si prendeva cura di lei ogni mattina e sera – il fine settimana lo passava con lei sul divano, quando non doveva partecipare a qualche evento – le mandava messaggi dolci e le inviava una canzone via vocale su WhatsApp per farla sentire meno sola.
Lo vide tornare con l'altro calice, più pieno rispetto al suo. «A noi?»
«A noi.»
Fecero scontrare i bordi con un gesto romantico, guardandosi reciprocamente e finirono il loro succo di mela. Era un momento di pura pace ed intimità, fra dolci e cioccolatini, sguardi innamorati e grandi sorrisi. Gin s'insospettì di punto in bianco, era fin troppo di buonumore.
«D'accordo, cos'è successo al lavoro?»
«Ho superato il blocco dello scrittore e volevo festeggiare.»
«Ora si spiega quella scatola gigante» e la fissò di nuovo, mettendo via il bicchiere. Lo vide prenderne uno. «Che cosa sono?»
«Cioccolato fuso con caramello e cristalli di sale Alaea.»
Bruno prese le distanze giuste per non sovrastarla troppo, sorresse il cioccolatino fra il pollice e l'indice e glielo avvicinò sotto il naso. Aveva un profumo fortissimo. «Apri la bocca» le ordinò e lei socchiuse le labbra, anziché aprirle del tutto.
Avvicinò il bordo del per poi prendere l'altra estremità con le sue. Divise il dolcetto coi denti, in modo che potessero mangiarlo tutti e due e involontariamente la sfiorò. Il movimento della sua bocca era lento, esigente. Si stava godendo il sapore del dolcetto, sembrava piacerle da come masticava. Lo mandò giù e si leccò le labbra, Bruno non resistette oltre e ne approfittò per baciarla ardentemente. Lei non si ritrasse, lo assecondò seguendo ogni suo movimento di lingua e morso. Non avrebbe mai creduto di essere diventata così brava, anche se da un lato era lui che sapeva condurla.
Si staccò poco dopo, per poi leccarle il labbro inferiore con languore e sussurrarle: «Com'era?»
«Ha un retrogusto dolce e salato.» Rimase con le labbra socchiuse, abbassando lo sguardo. «Sono... uhm, buoni.»
Lui sorrise e le sfiorò un braccio. «Se vuoi, prendine un altro.»
«No, tienili pure. Io voglio il dolce alla fragola.»
Alzò la testa per studiare la sua espressione, mentre allungava le braccia per prendere la scatola rosa che conservava quel dolce. Soppresse un sorriso, quella goffaggine non era svanita.
«L'avevo preso per me, in realtà» ribatté lui, non sapendo se ridere o meno.
«Ora è mio» sentenziò, portandosi la forchettina alle labbra.
Quella ragazza si mostrava dolce ed innocente, ma dopo aver chiuso la porta usciva il suo lato più sensuale e lui lo amava alla follia. Erano uguali da quel punto di vista, anche se da una parte era colpa sua. Le aveva trasmesso le sue follie più perverse e le sfruttava a suo vantaggio, proprio come lui. In quel momento sembrava una vera donna, la sua pelle era più morbida e liscia del solito. Gin mise in bocca un altro boccone, leccandosi l'angolo delle labbra per ripulirlo dallo zucchero.
«Perché mi stai fissando?» chiese lei, chinando il capo di lato. Dopodiché, leccò la punta ricolma di cioccolato fondente.
Bruno doveva baciare quella bocca, infilare le sue mani sotto quel reggiseno, accarezzare quelle gambe e trascinarla verso quella spirale chiamata lussuria. Riuscì però a desistere. «Stasera sei davvero bella.»
«Grazie» sorrise e morse la fragola con fare seducente, senza staccare gli occhi dai suoi.
Gin avvertì una pressione ai lati della sedia e alzò gli occhi, incrociando quelli del suo ragazzo. Non si era tolto gli occhiali, il marrone delle sue iridi era difficile da vedere con quel contrasto. Ma non le sue pupille; non le aveva mai viste così allargate, un dettaglio che aveva sottovalutato.
Le iridi cerulee di lei scesero verso la linea aperta della sua felpa, che mostrava il collo e la linea alta dell'addome. Con l'indice e il medio della mano sinistra, lo percorse con un tocco così delicato da fargli tremare leggermente le palpebre, urtando i ciondoli e le catenine d'oro e d'argento. Lo vide irrigidirsi. Si stava forse... trattenendo? Il solo pensato le suscitò una fitta deliziosa nel basso ventre.
«Non tentarmi, Gin.»
«Perché? Ti sto tentando?»
Bruno non ne aveva idea, ma se quelle carezze allusive sarebbero continuate ancora, avrebbe potuto combinare qualcosa di illegalmente esplicito. Piegata col seno appoggiato sulla scrivania, in piedi con lo sguardo rivolto verso la libreria e una gamba alzata, a gambe larghe sul mobile accanto mentre lui l'assaporava. Le possibilità erano infinite.
«Sembrerebbe di sì.»
«Ti voglio solo guardare.» Gli tolse delicatamente gli occhiali, rivelando il bagliore dei suoi occhi.
«Ma non è quello che voglio io.»
Gin batté le palpebre confusa. «Che vuoi dire?»
«Visto che ho soddisfatto le tue voglie, vorrei che tu soddisfi le mie.»
Istintivamente la sua mano andò vicino l'elastico dei pantaloni da ginnastica, lui la fermò subito prendendogliela con delicatezza. «Non intendevo in questo modo.»
«E allora come?»
Lui non rispose e lasciò la presa. Allargò di più la scollatura abbassando di qualche centimetro la cerniera della sua felpa, per poi scostare il tessuto sulla spalla sinistra. Gin osservò ogni singolo lembo di pelle liscia, i ciondoli sopra lo sterno ora del tutto scoperto. Deglutì nervosa, scoprendo di essersi appena eccitata.
«P-posso... davvero?» balbettò, il cuore che scoppiava nella cassa toracica.
«Credo di meritarlo dopo aver passato ore della mia vita a cercare dolci.»
I suoi capricci erano stati parecchi, ma solo due di essi erano stati degni di una ricompensa: imparare a giocare a poker – Bruno glielo aveva insegnato senza battere ciglio, vincendo più volte contro di lei e guadagnandosi performance degne di un film erotico – e liberarsi dalla voglia di grassi idrogenati. Le aveva perfino offerto del buon succo di mela. Sì, se l'era guadagnato.
Inquadrò i suoi avambracci appoggiati sui braccioli della sedia; i tatuaggi colorati luccicavano sotto quella luce giallastra, come se fosse appena uscito dalla doccia. Appoggiò le mani prima sull'ancora, poi sul volto della donna e li accarezzò. In risposta lui si protese verso di lei in cerca di un bacio. C'era qualcosa di sensuale in lui, il modo in cui la guardava così magnetico. Le girò la testa, troppe emozioni in una sola volta.
Allungò le mani e le infilò sotto la felpa slacciata, in cerca di un contatto diretto col suo corpo. Bruno sentì la scapola destra invasa da una sensazione gelida che lo fece tremare, l'altra invece stava percorrendo la parte sinistra del collo. Cercò di controllarsi, come diamine faceva ad averle così fredde?
«Non andare dritta al sodo, baciami prima.»
Gin eseguì senza replicare, chiuse gli occhi e cominciò a baciarlo. Si prese un po' di tempo, prima di renderlo più passionale. Lui si staccò e la guardò sorridendo. «Che c'è? Ti vergogni ancora?»
Un po' a dire il vero, ma non lo ammise ad alta voce. Era troppo presa dalla situazione che non riusciva a rimanere lucida, lui che continuava a sorridere non faceva altro che peggiorare tutto. Le sue fossette erano troppo ipnotiche, anche da sotto quella leggera peluria si vedevano e la tentazione di accarezzargli le guance... Sentì un forte prurito alle mani. Che le stava succedendo?
«Sai come farlo, non serve che te lo insegni.»
«Potresti... continuare a baciarmi, prima che inizi a... uhm... insomma, hai capito.»
Più che la richiesta, lo sorprese il modo in cui Gin lo aveva detto. Stava rivivendo la prima volta in quella vecchia cameretta, lei nervosa e baciata dalla luce biancastra della luna. Non lo stava facendo apposta, succedeva quando doveva fare qualcosa di insolito. Non era da lui chiederle un succhiotto, al massimo si lasciava graffiare le spalle o gli avambracci.
Il tocco sulla guancia le causò un sussulto. «Voglio che lo faccia tu.»
Gin decifrò il suo sguardo e avvampò. Era serio, lo voleva davvero. S'inumidì le labbra, prima di riprendere quel bacio da dove si era fermata. Bruno si stava lasciando andare, fra un colpo di lingua e un morso sul labbro. Fu un contatto ruvido, vibrante. Riuscì a staccarsi e percorrere lentamente la linea della sua mascella, premendo le labbra sulla pelle.
L'odore dei suoi riccioli, le braccia che la stringevano dolcemente senza farle male, il corpo rovente e la peluria dritta per l'eccitazione. Sbalzi ormonali o meno, non voleva più smettere. Lambì la pelle del suo collo un po' incerta, godendosi quel calore sulle gote. Avvertì il suo torace fermarsi di scatto, tratteneva appena il respiro. Trasformò quel tocco di lingua in un morso leggero e poco dopo sentì la sua voce emettere un mugolio.
Non si sarebbe mai abituata a sentire un suono simile uscire dalle sue labbra, di solito li tratteneva fin quanto poteva. Bruno amava sentire lei contorcersi dal piacere, piuttosto che lasciarsi andare. Quando facevano l'amore era sempre lui a prendere il comando, perché gli piaceva interpretare il ruolo di dominatore nella coppia. Talvolta faceva eccezioni e lui si divertiva a vederla insicura e lenta nei movimenti, era il lato che più lo eccitava di lei. Si prendeva il suo tempo e più era incerta, più il finale coinvolgeva entrambi.
Scivolò più in giù, fino a giungere alla parte alta della vena. Baciò, assaggiò, premette con la lingua dove pulsava il sangue. Aveva quasi paura di farlo, e se gli avesse fatto male? Scacciò subito via quel pensiero e iniziò ad affondarci i denti, senza premere troppo. Dalla sua bocca uscì un'esclamazione soffocata di piacere o meglio, una parolaccia. «Cazzo, Gin...»
Il secondo succhiotto aveva un colorito porpora che difficilmente si notava dalla sua pelle olivastra. Sembrava una macchietta marrone, abbastanza grande da essere visibile anche da lontano. Le scappò una risatina leggera, era così eccitante sapere che soltanto lei avrebbe potuto lasciare il segno. Un segno fatto da lei.
«Lo trovi divertente, eh?» espirò, fissandola negli occhi con desiderio. «Guardarmi mentre cerco disperatamente di non cedere alla tentazione.»
«Io ho ceduto, invece.»
Lui si avvicinò e le baciò le labbra in modo così bisognoso che Gin quasi perse la sensibilità alle braccia. Fu tutto così improvviso che non seppe come reagire. Da quando i dolci lo rendevano così sensuale? «Tocca a me, ora» mormorò infine, scendendo giù poco alla volta.
Ogni schiocco di labbra erano fiamme ardenti sulla sua pelle, sentì improvvisamente una vampata lungo la spina dorsale. La punta del suo naso che le sfiorava il collo era gelida, eccitante da essere insopportabile. Il suo respiro galoppò, non doveva emettere alcun suono o gliel'avrebbe data vinta.
Il suo corpo era stato creato apposta per farsi toccare dalle sue mani e assaporare dalle sue labbra, s'incastrava perfettamente con il suo e lo riconosceva. Bruno si sarebbe preso tutto il tempo del mondo per assaporarla, perché lei era deliziosa dappertutto; sulle labbra umide e carnose, sul collo tremante, sui seni e fra le cosce. Lì, soprattutto. Doveva anche combattere con la voglia di saltarle addosso e sentendola calda fra le sue braccia, stava diventando sempre più difficile.
Si avvicinò al lobo dell'orecchio stuzzicandolo con le labbra, poi scese e raggiunse il punto debole del collo. Era appena sotto il suo orecchino ad anello, ben nascosto dai boccoli. Ci andò piano, facendo cerchi lenti ed esitando un po'. Si perse nell'odore dei capelli di lei, rabbrividendo a ogni respiro che sentiva contro la tempia. Elettrizzante. Ma non gli bastò, ne voleva ancora.
Gin non riuscì a tenere ferme le mani: le mosse lentamente da sopra la stoffa della felpa e gli accarezzò le spalle, sciogliendosi dal piacere mentre continuava a baciarla sul collo. Aveva previsto anche quella mossa e inaspettatamente, la lasciò fare. Udì un mugolio e si sentì improvvisamente afferrare i riccioli, mentre succhiava piano la carotide. Voleva sentire ancora la sua voce. Canta, Gin, canta per me.
Ripeté la stessa cosa sotto quel piccolo succhiotto rossastro, ma stavolta non fu delicato. Mentre lui allentava la presa dei denti sul suo collo, iniziando a leccarla e succhiarla, Gin si tese ed emise un ansito forte. Si sentì tirare i riccioli e ansimò, stava cercando di resistere. Oh, sì, così. Affondò ancora e stavolta gemette, stringendo la presa sulla nuca. Si staccò lentamente e guardò compiaciuto il suo operato: due pari, entrambi della stessa dimensione. Ora sì che poteva ritenersi soddisfatto.
«Mi hai fatto male» si lamentò con un filo di voce.
«Scusa, ho ceduto anch'io. Starò più attento, la prossima volta.»
«Tu non sei mai attento su queste cose.»
Lui distolse lo sguardo imbarazzato. Touché.
Ridacchiarono entrambi, sfiorandosi reciprocamente il naso. Sciolsero la risata dopo qualche secondo in un bacio delicato e pieno d'amore e finalmente, Bruno tolse le mani dai braccioli e si spostò. Aiutò Gin a rialzarsi e chiudere le scatole dei dolci, non prima di aver preso un po' di panna con un dito e leccarselo con voglia.
«Si vede tanto?» chiese lei, riferendosi al succhiotto.
Bruno le lanciò un'occhiata. «Solo se sposti i capelli. Ha un bel colorito violaceo, ti dona, sai?»
«Pervertito» ridacchiò lei, allontanandosi dalla scrivania.
Il ricciolino perse altro tempo a guardarla, si era talmente eccitata che aveva le guance rosse – come se avesse la febbre. Il suo corpo non era cambiato tanto; il seno era diventato ancora più gonfio di qualche settimana prima, così come il ventre. Per qualche motivo lo trovava attraente, il sedere era ancora più rotondo così come i fianchi. Se solo avessero potuto fare... Si ricompose passandosi le mani fra i riccioli. Era stata una giornata decisamente pesante.
«Ti va se riguardiamo questo film?»
Lui si grattò la tempia. «Quale?»
La ragazza gli mostrò una videocassetta dalla copertina giallo pastello. C'era l'inconfondibile immagine di Elvis in posizione da surf, fra alcune piccole immagini di ragazze in costume. Lei, che conosceva poco della sua filmografia, aveva scelto proprio Girl Happy. Era stato l'ultimo che avevano visto insieme. Le piacevano i musical e Bruno non poteva esserne più che felice.
«Perché no?» Fece per recuperare gli occhiali, poi adocchiò le scatole colorate. «Prima però mettiamo via questi dolci.»
Gin annuì e li prese in mano, per poi seguirlo fuori dalla stanza. Alla fine l'idea dei pasticcini aveva un suo perché.
N.A.
Buongy o buonasey! Come state? Spero tutto bene! Lo ammetto: mi era mancato scrivere qualcosa di erotico con loro due. Lo stato interessante di Gin me lo impedirà per un bel po', stavolta ho voluto un po' osare. Non è spicy, perché alla fine non si conclude nulla e sono solo sensazioni. So che vi starete chiedendo come abbia fatto Bruno a trattenersi... eh, bella domanda! Me lo chiedo anch'io.
La foto in cima al capitolo descrive Bruno in questa one-shot: tuta sportiva, occhiali vintage e apertura sexy sul davanti... meeeow! Ok, la smetto. Lo vedrete spesso in queste vesti, soprattutto quando è a casa o in studio. Dovrete farci l'abitudine d'ora in poi. Comunque così mi piace ancora di più, ha un aspetto più maturo (semi-cit).
Vi do appuntamento il 18 marzo con Anderson e Matilde, dedicato agli 11 anni di "Call Me Maybe" (anche se già è passato da un po', a dire il vero ^^'). Hey! Vi avevo avvertit* che non sarei stata sdolcinata con le scene erotiche e spicy. Questo è solo un assaggino, vedrete più avanti e soprattutto coi #matandy.
- Gloria -
「♥」 Note post capitolo 「♥」
*「 La canzone citata all'inizio è un altro inedito di Bruno Mars, scritta però per un'altra persona (un cantante k-pop a quanto ho capito). Siccome ho trovato la versione originale cantata da lui, ho voluto sfruttarla per questo capitolo. Bruno non è affatto innocente, era già un diavoletto fin dagli albori :P 」
**「 Il testo che scrive Bruno a computer non è un suo inedito. L'ho ideato io, basandomi sul suo stile: romantico e dolce, con qualche doppio senso. Fa molto "Our First Time", devo riconoscerlo. Quanto mi manca il Bruno Mars del 2010/11! ç_ç 」
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