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27 - Something on my Mind || Geoffrey


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Prima metà di gennaio, 2023


Geoffrey non si sarebbe mai abituato a svegliarsi in una camera da letto dalle pareti bianche senza poster, immacolatamente pulita ed ordinata. Recentemente aveva scelto di trasferirsi con Liam a Beverly Hills e nessuno aveva battuto ciglio, il che lo aveva rincuorato tantissimo. I vicini erano più aperti rispetto ai suoi ex inquilini – il suo bilocale in affitto aveva due letti a castello, dove dormivano in tre – e riconoscendolo, gli avevano stretto la mano.

Lui non si aspettava di certo un'accoglienza alla regina d'Inghilterra: tappeto rosso, le guardie accanto e la gente ad ammirarla ed inchinarsi al suo cospetto. Era sempre stato associato al nome di Dr. Dre, in quanto suo protetto e futuro prodigio, che quella settimana avrebbe cominciato ad incidere il suo primo album. Non era da tutti.

Si alzò finalmente dal letto e andò in cucina in cerca di qualcosa da sgranocchiare. L'ansia gli impediva di prepararsi una bella carrellata di frittelle piene di sciroppo al cioccolato, ma finché non avrebbe imparato a fare un rap decente, ne sarebbe stato in astinenza.

Come se già rinunciare alla marijuana non fosse stato abbastanza.

Chiuse il frigo e trovò un biglietto. La calligrafia di Liam era più bella della sua.

"Buongiorno, mio principe Rastafariano. So che oggi è il nostro anniversario e il nostro programma era quello di fare una cena romantica al Trastevere, ma devo rimandarlo. Petunia e Red hanno insistito tanto purché le accompagnassi a Venice Beach per il concerto di quella specie di rapper, come si chiamava... Lil Uzi Vert. Lo conosci? Penso di sì. Mi farò perdonare con un bel trucco azzurro e argento e so quanto ne vai pazzo. Baci, il tuo Liam."

Leggendo la parte finale, Geoffrey scosse la testa ridendo. Quell'uomo era davvero straordinario, ma a volte la sua sfrontatezza superava ogni confine. Tuttavia, Freddie e Gerald sapevano essere davvero fastidiosi, quando si trattava di serate. Non si sarebbero persi una performance dal vivo per nulla al mondo, motivo per cui prendevano Liam in ostaggio e rinunciavano alla loro controparte femminile.

Approfittò di quel momento per uscire a fare una passeggiata. Nonostante fosse gennaio, i diciassette gradi lo avevano convinto a non prendere la giacca. La sua felpa nera e viola preferita era l'ideale. Tornò in camera e si vestì, scegliendo un paio di jeans a caso dall'armadio. Uno o l'altro non avrebbe rovinato il suo outfit. Uscì dopo essersi intascato il cellulare e indossato i propri Airpods, la voce di Ice Cube a fare da colonna sonora.

Non si sarebbe mai abituato a camminare sulla Waverly, in un quartiere completamente diverso da dove abitava. Trasferirsi da Compton a Pasadena, era come passare dalle stalle alle stelle. Camminando, pensò all'ultima telefonata con Dr. Dre; avrebbe inciso il primo singolo fra qualche settimana e * lo avrebbe assistito, insieme a tutti gli altri aftermath. Il suo esordio non era nemmeno cominciato e già sentiva il peso della celebrità.

«Geoffrey?» Un suono ovattato lo costrinse a fermarsi e togliersi l'AirPod sinistro. «Sei tu, Geoffrey?»

Una voce bassa e calda sbloccò un ricordo nella mente di Geoffrey, un ricordo che aveva creduto di aver seppellito. Voltandosi, inquadrò una figura minuta e adulta. Alla vista di un paio di occhi marroni e quella felpa consumata da college, si sentì cadere addosso un macigno. Indietreggiò di un passo, come se avesse appena visto un fantasma, e pronunciò quel nome con voce tremante. «C-Clayton?»

«Oh, cazzo! Da quanto tempo!» sorrise amichevole, come la prima volta che si erano conosciuti.

Geoffrey provò a ricambiare, ma quello che uscì fu solo una smorfietta. La sua voce era esattamente come se la ricordava. La prima volta che si erano parlati, aveva adorato quel suono profondo e mascolino. Non aveva mai smesso di dire quanto fosse inebriante. Ora, però, provava un'orribile sensazione di disgusto.

«Ti trovo... bene» rispose con voce fioca, togliendosi entrambi gli AirPods per metterseli in tasca.

«Anche tu sei in splendida forma» sorrise e si dondolò sui talloni. «Come mai da queste parti?»

«Ci abito» replicò cinico, posando lo sguardo sulle proprie sneakers, insicuro su cosa dire e cosa fare. Non sapeva se fosse destino o una stupidissima coincidenza – pensò più quest'ultimo – che Clayton fosse lì davanti a lui. Sexy come ricordava, se non di più.

Lui non aveva posto domande a riguardo, dopotutto non erano affari suoi. Tuttavia, sentiva che doveva parlargli. L'unico argomento che gli venne in mente fu: «ho saputo che sei stato in riabilitazione». Difficilmente avrebbe avuto risposte, o peggio avrebbe ricevuto un 'vaffanculo' grande quanto l'Antartide. E Geoffrey non avrebbe avuto tutti i torti, dati i trascorsi.

«Chi te lo ha detto?» chiese lui senza guardarlo.

«Un conoscente del mio ragazzo, si chiama Rudy.»

«Oca giuliva» borbottò Geoffrey in risposta. Ecco un'altra perpetua che spifferava ai quattro venti i pettegolezzi sul gruppo. Fortuna che non aveva fatto il nome di Dr. Dre o sarebbe letteralmente morto dalla vergogna.

«Non sapevo soffrissi di depressione.»

«Ora lo sai» sbuffò apatico, tirando su col naso. Stava prendendo lo stesso vizio di Anderson, passandosi anche il dorso della mano sotto le narici. «E non fare domande.»

Clayton non replicò e rimase accanto a lui, cercando un contatto visivo. Geoffrey si sforzava di evitarlo e da come il suo cuore aveva palpitato incrociando il suo sguardo, odiava averlo troppo vicino. Si sentì improvvisamente toccare la spalla, il respiro dell'altro contro la guancia. «È colpa mia, vero? Sono stato io a farti cadere in quella spirale? È perché ti ho lasciato in quel modo?»

Il ragazzo sentì una sensazione di ripulsa improvvisa e lo spinse via, senza guardarlo negli occhi. Si allontanò a passo veloce, la paura che cresceva e gli incubi che stavano tornando a tormentarlo.

"Stai attento. Clayton non è uno di cui fidarsi."

"Quel maledetto ti ha depistato! Ti ha contagiato la malattia dei gay!"

Ricordò quello che era successo il giorno prima che suo padre scoprisse di loro. Aveva dormito a casa sua per la terza volta, dopo aver detto ai suoi genitori che sarebbe andato ad un pigiama party con i suoi compagni di classe. Quelli di Clayton erano spesso in viaggio di lavoro, era come se vivesse da solo e lavorando da Starbucks, guadagnava il minimo che serviva per prepararsi da mangiare. Non solo era ammaliato per i suoi modi di fare, ma per come fosse diventato indipendente da un mese all'altro. Era già adulto nonostante i suoi diciassette anni. L'aveva abbracciato, fatto sdraiare sul letto per riposare e quello che accadde in seguito fu solo storia.

Non si stupì nel sentire la sua voce in lontananza, né tantomeno che lo avesse seguito. «Geoff, puoi dirmelo. Sputami addosso tutto quello che hai da dirmi, se ti aiuta a stare bene.»

Lui fermò il passo, continuando a dargli le spalle. Per tanti anni aveva vissuto quell'incubo, gli antidepressivi che facevano da innesco e non lo lasciavano dormire. Nonostante la riabilitazione, vedeva ancora le sue ombre nella propria camera. Aveva avuto quei sogni lucidi in cui non riusciva a muoversi se non con lo sguardo, pensando a lui e tutto ciò che era seguito. Un ricordo incessante del peccato che aveva commesso e di cui stava ancora pagando.

«Perché volevi morire?»

Geoffrey strinse un pugno, nascondendolo nella tasca della propria felpa. «Non sono affari tuoi.»

«Voglio saperlo, invece. Il mio primo amore ha rischiato la morte e dovrei fregarmene?»

«Se hai intenzione di leccarmi il culo, meglio se retrocedi. Ho già un ragazzo, se vuoi saperlo.»

«Lo so: Campbell. Me lo aspettavo.» Quella rivelazione lasciò Geoffrey spiazzato. Prima che avesse potuto chiedere come sapesse tutto, Clayton non ci pensò due volte a confessare. «Non faceva altro che guardarti mentre andavi sullo skateboard e ti passavi le mani fra i dread colorati, gli piacevi fin dal primo momento. Lo sapevo già allora.»

Finalmente lui si girò per guardarlo negli occhi. Lucidi, come quando si erano lasciati. Così come Clayton sapeva della cotta di Liam, sapeva anche tutto quello che aveva passato prima del coming out. Entrambi vittime dell'omofobia, chi da una parte e chi dall'altra. Se il primo lo mascherava fra le mura della scuola per non essere preso di mira da un branco di bulli, l'altro la occultava per non essere castigato dalle vene religiose di suo padre.

Clayton non aveva coperto le spalle di nessuno e non per egoismo, ma per paura. Aveva imparato a conoscere quel brivido che attraversava la spina dorsale, ogni volta che lo sguardo di un omofobo si posava sul proprio. Così come quella paura di non essere accettati per ciò che si era, quel dolore lancinante che causava l'odio nel momento stesso in cui arrivava dritto in faccia e il sapore del sangue, una volta ricevuto. Si era reso conto dell'errore commesso, lasciando che quella relazione clandestina si trasformasse in un incubo.

Quelle parole, tuttavia, non bastarono ad addolcire Geoffrey. «Ti sarebbe servito di lezione, invece» obiettò, per la prima volta con fare velenoso. «Mi avresti risparmiato un'umiliazione.»

«So che è successo tutto per colpa mia e vorrei poter ricominciare da capo. Mi spiace averti ferito quel giorno, non pensavo sul serio quello che ti ho detto.»

«Che fossi solo dotato?»

«Eravamo ragazzini, Geoff. Non ero abbastanza maturo per capire cosa significasse davvero.»

«Ci hai messo vent'anni per pentirtene, porca puttana.»

«Hey, hey! Cos'è quella lingua biforcuta? Prima non eri così volgare.»

«Pensavi fossi ancora quel ragazzino casto del liceo?»

«Non eri poi così casto, baciavi bene per essere ancora vergine.»

D'un tratto distolse lo sguardo e una sensazione di acidità allo stomaco lo fece rabbrividire. Disgustoso.

Prima che avesse potuto concludere quella conversazione, Clayton gli rivolse uno sguardo sincero – forse il primo da quando lo conosceva – e rivelò la verità. Non lo aveva davvero usato per divertirsi, ma per capire cosa non andasse in lui. Dopo quella loro storia, non era più riuscito ad andare avanti con la sua ex ragazza Jennette – infatti, l'aveva lasciata tre giorni prima di partire per il college. Non era mai stata una relazione sana e per dimenticare, aveva cominciato a frequentare ragazzi che somigliavano a Geoffrey, sia caratterialmente che fisicamente, e non era più riuscito a smettere.

«L'anno scorso ho conosciuto Charlie, era in spiaggia con degli amici e mi aveva proposto di giocare a pallavolo» continuò dopo, sorridendo. «Ci siamo fidanzati tre giorni dopo, è stato amore a prima vista.»

«Significa che sei davvero gay?»

«Sì, e all'epoca non ho voluto accettarlo. Ero così innamorato di te che ho iniziato ad odiarti, perché mi dicevi sempre di essere me stesso.»

Clayton aveva sentito la sua sofferenza, di come essere diverso lo avesse sempre fatto sentire un fallimento. Aveva capito che la paura di essere se stessi non esisteva e che soltanto la maturità mentale avrebbe potuto far risorgere quella fiducia che aveva perduto anni addietro. Ciò che lui aveva cercato da tanto tempo, per scoprire meglio se stesso e non omologarsi al resto del mondo.

Le labbra di Geoffrey tremavano, non sapeva cosa pensare. «Spero tu sia davvero sincero e non stia facendo tutto questo sproloquio solo per pietà.»

«Sono più che sincero, invece. È la verità.»

«Bene, allora anch'io sarò sincero, Clay: non sarei mai dovuto entrare in casa tua quella sera. Avrei dovuto ascoltare i miei amici e lasciarmi questa merda alle spalle. Non avrei sofferto, né tantomeno avrei avuto quelle maledette cicatrici.»

«Le cicatrici accalappiano, sai?»

Geoffrey non rise a quella battuta e avrebbe voluto, se non fosse stato lui a dirla.

«Senti, Geoff: ho sbagliato. Come già ti ho detto, puoi dirmi quello che vuoi, anche le peggiori parole. Io le ascolterò una per una e le conserverò nella mia memoria. Mi sarà di lezione.»

Lui scosse la testa. Non era da lui. «Non ti porto rancore, Clay. Sto solo cercando di dimenticare, ma è difficile lasciar morire i propri demoni interiori.» Poi tacque di nuovo e deglutì.

Clayton vide improvvisamente il suo viso tingersi di sofferenza. Non riusciva più a guardarlo allo stesso modo e per colpa sua. Una colpa che lo avrebbe perseguitato per sempre. Provò a fare un passo avanti e con sua sorpresa, vide che Geoffrey non si era mosso di un centimetro. Guardava basso, la postura rigida e le gambe unite. Era chiaro che non sarebbero mai tornati amici, la fiducia era ormai compromessa.

Senza pensarci, avvicinò le proprie labbra alla sua guancia sinistra e gliela baciò. Dopo che le sue labbra si erano staccate da quella leggera peluria ruvida, Geoffrey guardò intensamente il volto dell'uomo che aveva davanti, bello e affascinante come quando lo aveva conosciuto al liceo. Lui stava ricambiando con lo stesso sguardo con cui gli aveva chiesto di baciarlo ed essere suo.

«Sii felice, Geoff» gli sussurrò successivamente, il tono di voce dolce e fraterno. «Per tutti e due.»

Quando Geoffrey vide Clayton allontanarsi, quella sensazione di calore si propagò per tutto il corpo. La testa pulsava fastidiosamente, tutti i pensieri vorticavano insieme facendogli venire le vertigini, e la cicatrice sul braccio sinistro sfrigolava – dovette trattenersi dal grattarla o dal massaggiarla. Tornò a camminare verso casa, lasciando che il resto della giornata passasse in fretta.

Geoffrey non usciva dalla camera da letto da un po', con la scusa di riposarsi dopo la passeggiata. Più che dormire, aveva guardato il soffitto con fare pensante e con la guancia ancora in fiamme dopo quel bacio improvviso da parte di Clayton. Quel sentimento celato nel proprio cuore voleva tornare vivo, e stava facendo di tutto purché non accadesse. Lui era il passato, doveva lasciarselo alle spalle e guardare il suo futuro. Il suo si chiamava Liam.

Percorso il corridoio, arrivò nel salotto dove riconobbe un giovane Tom Hanks sullo schermo piatto del televisore. Capì, notando lo sfondo, che Liam stava guardando Philadelphia. Geoffrey aveva visto quel film un paio di volte e puntualmente piangeva.

Liam intravide la sua figura con la coda dell'occhio. «Ti sei svegliato?»

«Già» si limitò a dire, sedendosi al suo fianco. Aveva fin troppi pensieri nella testa per dormire.

Sentì un braccio circondargli le spalle. «Allora, stai già lavorando al tuo primo album?»

Lui non rispose a parole, mugolando con poca convinzione. «Immagino sia difficile stare dietro ad uno come Dr. Dre» continuò, sogghignando al pensiero di vedere il Beat King alle prese con un novellino.

Geoffrey emise un altro mugolio e Liam sentì che qualcosa non andava. «Che ti succede, Gey? Sei così silenzioso.»

Doveva dirglielo, non era giusto stare in silenzio.

«Mentre stavo camminando, ho rivisto Clayton.» Vide Liam rabbuiarsi, dopo aver pronunciato quel nome. Proseguì, il cuore che batteva come non mai. «C'è stato... un bacio sulla guancia. Non me lo aspettavo, non ho avuto neanche il tempo per realizzare.»

«Non sono geloso, se è quello che stai pensando» sentenziò lui, rassicurandolo e prendendogli una mano. «In effetti, è da parecchio che Brown gira qui in zona. Lo avevo incrociato sulla West Road con Charlie qualche giorno fa, mi ha guardato e si è girato dall'altro lato. Forse gli sto sul cazzo.»

L'ultima frase la pronunciò con tono sarcastico, anche se già all'epoca non andavano d'accordo. O meglio, lui lo odiava. Nonostante la gelosia di Clayton, aveva avuto il coraggio di rivolgergli la parola e scoprire indirettamente il segreto delle felpe oversize e le bende sul braccio.

«Mi è venuto un dolore alla testa che...» sospirò, portandosi la mano libera sulla fronte. «Come posso pensare questo, quando ho te? Mi sento uno stupido!»

«Sai come si dice? 'Amore con amor si paga'. Il proverbio è un invito a chi è amato a riamare a sua volta e con la stessa intensità. Tu che hai amato davvero Clayton, sei tornato ad amare un altro nello stesso modo.»

«No, Lee, con te è diverso. Tu sai ascoltare e spezzarti in due se necessario, mentre Clay scopava e basta.»

Liam si avvicinò ancora per guardarlo negli occhi. Notando un leggero velo lucido sulle sue iridi eterocrome, inarcò le labbra in un dolce sorriso. «E non sei felice di sapere che ha imparato la lezione e si accetta così com'è?»

Geoffrey ricambiò il suo sguardo. Da una parte lo era, dall'altra avrebbe voluto vederlo soffrire nello stesso modo in cui lo aveva fatto con lui. Sarebbe stato sbagliato, se non infame. Lui non era così rancoroso nei confronti delle altre persone, nemmeno di suo padre e aveva pianto il giorno del suo funerale.

«Dovrei, g-giusto...?» La sua voce si perse e rimase immobile.

Liam strinse di più la mano di Geoffrey, guardando la fedina d'argento scintillare sotto la luce del lampadario sopra le loro teste. «So che non sei capace ad odiare una persona, anche quando lo dici ad alta voce. Non lo hai fatto con tuo padre, né con chi ha alzato le mani su di te.»

Perché era sbagliato, immorale e... – «Perché se lo vuoi, sei capace di diventare una persona migliore.»

Quelle parole addolcirono il suo sguardo, come se i suoi occhiali non lo rendessero più adorabile di quanto già non fosse quando dormiva.

«Avrei preferito scrivessi inni alla pace, anziché rime sulla vita di strada. Saresti stato il degno successore di Bob Marley.»

Geoffrey sogghignò. «Non ne sono degno, nessuno lo è.»

«Però sarebbe stato bello, forse potremmo smettere di odiarci.»

Liam s'inumidì le labbra poco dopo. L'odio sarebbe rimasto comunque, finché ci sarebbero state persone disposte a tutto pur di sentirsi padroni del mondo. Finché sarebbe esistita l'invidia, l'avarizia e l'anarchia, l'amore poteva diventare pericoloso se non mortale.

«Lee.» Geoffrey lo richiamò e lui, d'istinto, alzò la testa. «Sai che non ho mai visto il finale di questo film?»

Un sorriso gli spuntò in volto. «Significa che lo vedremo insieme?»

Lui ricambiò. «A quanto pare.»

Si coccolarono sul divano e in poco tempo l'immagine di Clayton si dissolse, lasciando spazio ad un nuovo ricordo felice. Perdonò Clayton, suo padre e chi lo aveva discriminato negli anni, e sentì la propria anima alleggerirsi. Per una volta, leggere la Bibbia lo aveva aiutato a sentirsi più libero.



N.A.

Bentornat* su questi schermi, miei gattini! Rieccomi tornata dopo una lunghissima influenza, un improvvisato cambio di pc e idee che mi hanno offuscato la mente per giorni. Mi rendo conto che è un capitolo cortissimo, ma non volevo dilungarmi troppo sul drama Clayton-Geoffrey, anche perché già è stato spiegato in HDSAC e mi sembrava prolisso riscriverlo qui.

Prima di lasciarvi al prossimo capitolo, che arriverà l'8 febbraio per il compleanno di Andy, voglio ringraziarvi per i messaggi su Instagram e TikTok inerenti alla serie e so che vi sta piacendo tantissimo anche questa nuova versione di HDSAC. Mi riempie davvero il cuore di gioia! ❤️

Presto apriremo gli Squid Game fra Bruno/Bryce e Anderson/Andre per scegliere il miglior golden boy della serie, e so già che vi metterò in crisi. Presto vi farò sapere i dettagli del giveaway che ho indetto su Instagram, che inizierà il 27 gennaio e si concluderà il 30. Spero partecipiate, perché diventerà una piccola tradizione.

Appuntamento al prossimo capitolo con Dr. Dre, Anderson .Paak e Snoop Dogg (ci sarà anche lui, per la gioia della mia bae!). Vedremo i nostri aftermath alle prese con l'esordio di Geoffrey, e so che lo state aspettando. ;-)

- Gloria -


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