24 - I'm Hooked right into your Love || Bruno
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"There are no words that can express
The way I feel now, and I want you to know...
I need you in my life, ooh, baby"
♥
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Novembre 2022 | Luna di miele
Il jet privato viaggiava veloce verso la destinazione finale di quello che era stato il giorno più bello delle loro vite. Bruno non si capacitò di come non fosse riuscito a trattenere le lacrime, abbracciando sua suocera. Il suo profumo non ricordava affatto quello di sua madre, eppure il suono della sua voce lo aveva riportato indietro nel tempo. Guardando Gin dormire sul sedile, lo strascico dell'abito di nozze aggrovigliato fra le Jimmy Choo, ricordò tutto quello che era stato costretto a subire dopo di lei, quando gli era stato detto che le celebrità erano destinate a vivere sole e senza amore. Senza una persona al proprio fianco che non fosse legata al suo mondo, una persona ordinaria.
"Mi piaci perché mi fai sentire normale, mi dai un motivo in più per essere me stesso e non uno stupido nome d'arte."
Si era stupito di se stesso, la prima volta che lo aveva detto. Un pensiero che mai avrebbe potuto concepire all'istante, e di solito i discorsi se li preparava mentalmente. Era stato spontaneo... sincero, e per la prima volta si era messo alle strette con quella che sarebbe stata la sua carriera. Sapeva quanto quel mondo dorato fosse oscuro, di quante cose avrebbe dovuto rinunciare.
Alzò lo sguardo verso sua moglie addormentata sul sedile, sfiancata da tutto quel cibo e quell'enorme ricevimento organizzato dal suo nuovo suocero. Si alzò in piedi per coprirla con un plaid, lasciandole un dolce bacio sulla fronte. Si era divertita anche lei, forse come mai prima d'ora. Una cosa che lei non sapeva era la destinazione: quel luogo dove aveva liberato la sua prima famiglia di tartarughe marine, e che lui conosceva molto bene.
Il viaggio sarebbe stato lungo e Bruno aveva calcolato ogni istante: sarebbero arrivati nell'esatto momento in cui sarebbe sorta l'alba, il momento perfetto per poter finalmente iniziare la loro nuova vita da sposati. Aveva sempre trovato romantico il momento in cui sorgeva il sole, come l'arrivo di un nuovo bellissimo giorno fra le sue braccia. Un momento che aspettava da dieci anni, dal giorno in cui aveva rinunciato all'amore vero.
Ma ora non ti lascerò più. Lotteremo ancora insieme.
Arrivati all'aeroporto e scortati dai bodyguard personali, salirono a bordo di un tassì per la destinazione finale. Bruno aveva organizzato tre giorni indimenticabili in un resort di lusso, ne aveva parlato soltanto con la sua famiglia e si era fatto aiutare su ogni scartoffia burocratica. Aveva conosciuto il proprietario grazie alla beneficienza per le scuole musicali, una persona disponibilissima e di gran cuore. Non aveva battuto ciglio, quando aveva chiesto un cabana privato per quei tre giorni, lontano dal mondo e fra la natura.
Esattamente ciò che lui voleva per potersi godere ogni istante con sua moglie, nonostante la nostalgia per le gemelle rimaste a Los Angeles con le sue sorelle e la tata. Il pensiero gli fece voltare lo sguardo verso Gin, appoggiata alla sua spalla e con le palpebre chiuse. Si accoccolò anche lui, fino ad arrivare davanti all'ingresso e farsi accompagnare alla reception. La prassi era sempre la stessa, seppur noiosa, e difficilmente Gin si sarebbe abituata al suo nuovo cognome da sposata.
Sentirlo uscire dalle labbra della concierge lo fece sorridere. "Sai che il mix italo-portoricano suona bene?"
Il facchino caricò le loro valigie su una piccola auto aperta, come quelle che si muovevano sui terreni da golf, conducendoli nel loro piccolo nido d'amore. Era decisamente lontano dall'area principale, situato fra una distesa verde curata che portava alle cabanas private con vista sul giardino. Giunti di fronte, l'addetto si occupò delle valigie e li accompagnò all'interno, consegnando loro le chiavi magnetiche. Bruno lo ringraziò nella sua seconda lingua madre, il che non stupì nessuno – anche i muri lo sapevano.
«Hauʻoli i ka mahina meli.» Si congedò successivamente, lasciando la coppia finalmente sola.
La regola valeva anche lì: niente scarpe, solo sano confort. Gin non ci aveva pensato due volte, poiché i tacchi delle sue Jimmy Choo erano sottili e dolorosi. Così fece anche Bruno, liberandosi anche della giacca. Nonostante novembre, le temperature erano miti.
Quando il suo sguardo si posò sul cesto dello champagne appoggiato sul ripiano della cucina, un ibisco rosso grande di fianco teneva un biglietto. Lui si avvicinò e riconobbe la scrittura del proprietario dalle prime frasi. Non si soffermò troppo sulla dedica, anche perché il viaggio era stato lungo e l'unica cosa che desiderava era buttarsi sul letto.
"Cari Mr. E Mrs. Hernandez, sono onorato di avervi ospiti qui al Hotel Wailea. Spero passiate una meravigliosa luna di miele sulla nostra isola..."
Un rumore di tacchi lo costrinse ad alzare la testa e notare la luce soffusa della camera da letto accesa. Non aveva fatto troppo caso alla testiera di legno intagliata, i cuscini abbinati all'arredamento isolano inconfondibile e le tende che coprivano la stanza. Nonostante il profumo delle ghirlande di lokelani rosa, Gin non aveva idea di dove si trovasse. Bruno sorrise fra sé, raggiungendola. Il crepuscolo dell'alba vicino sarebbe stata la vera sorpresa.
«Avresti dovuto dirmi che saremmo tornati a casa tua.»
«A dire il vero siamo parecchio distanti da casa mia» la corresse, andandole incontro. «Ti ho portata nel nido della tua prima tartaruga marina, lo stesso giorno in cui l'hai liberata nell'oceano.»
«Ricordo di averla liberata a...»
Lui si affrettò subito a correggerla per la seconda volta. «No, è stato quando lo hai fatto davanti al mondo.»
Bruno se lo ricordava benissimo: luglio 2014, le testate giornalistiche avevano parlato del suo primo tour mondiale, ma anche della meravigliosa impresa di sua moglie nell'isola di Maui. Il giorno in cui l'aveva vista rinascere e diventare la versione migliore di se stessa.
«È stato anche il giorno che ha riacceso il mio amore per te.» Avvolse il suo girovita con le braccia e posò il naso sulla sua guancia, sussurrandole: «e questa volta voglio poter avere l'occasione di stare al tuo fianco.»
Gin sentì il suo tocco andare leggiadramente sulla schiena in cerca di un punto preciso, seducendola a sua volta. Aveva guardato con bramosia l'abito da sposa che le aveva fasciato il corpo, sia il primo che il secondo, così candidi e principeschi.
La sua principessa dei mari e madre protettrice delle tartarughe marine.
Trovata la zip, la fece scendere molto lentamente verso il basso per scoprire la sua schiena. Intravide il gancio di un reggiseno bianco e dovette resistere nello sfiorarlo. La sua pelle era calda, l'odore inebriante del tiarè che gli fece perdere un cenno di lucidità. Scostò le spalline del vestito e del reggiseno insieme e si chinò a baciarla sulla spalla nuda. Sotto le sue mani, la sentì tremare. Sollevò gli occhi e fece scendere il vestito, fino a farlo cadere per terra e restando senza fiato. Un delizioso completo in pizzo bianco con una giarrettiera blu si posarono sullo sguardo di Bruno, che rimase ad ammirare con sorpresa ed eccitazione.
Gin lo notò e sfoggiò un sorriso sornione. «Ti piace quello che vedi?»
Lui in risposta seguì le linee di pizzo sul suo corpo, come se avesse voluto disegnarle su un quaderno. La brasiliana che sfoggiava metteva in risalto le curve del suo sedere senza stravolgerne troppo la morbidezza, il reggiseno a balconcino che inquadrava il seno rendendolo morbido e invitante. Lo aveva immaginato nei suoi sogni più proibiti, specialmente con un paio di autoreggenti sensuali e trasparenti.
Lei si voltò verso di lui, trovandoselo fronte contro fronte e ricadendo sul materasso morbido del letto. Attese suo marito fra i cuscini verdi dalla fantasia tropicale e ricamati, le iridi che brillavano sotto quella luce soffusa. Lui si prese il proprio tempo per liberarsi i polsi dai gemelli d'oro e alzarsi le maniche, spegnendo le luci. Voleva rivivere la prima notte, con l'unica differenza che ad illuminarle la pelle era la luce del crepuscolo.
Bruno non le privò ancora della lingerie, l'accarezzò con le dita e osservò i suoi occhi socchiudersi. Amava quando il suo corpo rispondeva al suo tocco, di come lo riconosceva e ogni cellula rilasciava quel forte profumo d'amore di cui lui era ossessionato. Oltre alle carezze, ci aggiunse baci e piccole preghiere silenziose. La venerò come una vera e propria dea della bellezza.
«Posso spogliarti?» gli chiese, ansimando fra uno schiocco di labbra e l'altro.
Lui si alzò sulle ginocchia e mantenne lo sguardo sul suo, prendendole una mano per lasciarle toccare lo spacco della sua scollatura. Pelle caramellata vellutata come la seta, senza un ciuffo di peluria e virilità – di quest'ultima aveva soltanto il sesso. Gin si morse il labbro, sentendosi eccitata come mai prima. Le piaceva guardarlo mentre scopriva un punto del suo corpo, anche il più innocente.
«Desnúdame.»
Liberò ogni asola dalla sua camicia di lino, che da troppo tempo aspettava di essere strappata di dosso. Anche se l'istinto era forte, doveva andarci piano. La scostò lentamente dalle spalle, liberando il suo addome perfetto. Lo toccò come la prima volta, le mani fredde e quella paura nel cuore. Era passata poco dopo, quando aveva lasciato definitivamente la fanciulezza. Era lì, il suo uomo.
Perché ora sei finalmente mio.
Le sue mani scesero lungo i suoi seni ancora coperti dal reggiseno, fino a portarle dietro la schiena e sganciarlo. Abbassò le spalline e lo gettò sul tappeto di pelliccia sintetica, mostrando due curve deliziose e materne. Lasciò che Bruno le ammirasse e le disegnasse con le labbra. Ricalcò quel piccolo giaciglio di latte caldo e amore. Il primo contatto fisico, l'affetto e il calore di colei che regalava la vita.
Poco dopo strinse un capezzolo tra i polpastrelli, chinando la testa per l'altro. Se lo chiuse in bocca e lo stuzzicò con colpi ruvidi della lingua, un giochetto che a lei piaceva. La sentì mugolare, era più sensibile del solito e gli piacque. Strofinò lentamente le due punte scure coi palmi, baciandola ancora una volta sulle labbra. Quella familiare sensazione di languore non tardò ad arrivare, per il modo in cui lei continuava a roteare e a strofinarsi contro di lui per richiamandolo.
Lui le alzò la gamba destra e urtò i merletti della giarrettiera con le dita, permettendole di intrecciarla intorno a lui e sentirlo. Voleva che Gin sentisse quanto l'attesa dalla navata fino a quel letto lo avesse snervato, e quanto lui la desiderasse. Ebbe la risposta nel vederla inarcare la schiena, chiedendogli di più.
«Venerami» mormorò lei tra un bacio e l'altro mentre lui guidava i suoi fianchi con le mani, l'erezione dura come una roccia che si strofinava contro di lei. «Venerami come sai fare tu.»
Bruno la guardò e alzò la gamba per poggiarsela sulla spalla, ancora coperta dal cotone bianco delle autoreggenti. Le baciò la caviglia e giocò con il fiocco blu della giarrettiera, il Dio dell'Amore che venerava una donna terrena. Un amore proibito, carnale. Gli déi potevano amare donne mortali, al punto da farsi abbracciare dalla lussuria? O poteva diventare qualcosa di sentimentale, autentico?
La mano di lui accarezzava il cotone, dalla parte più bassa fino al ginocchio, dove si fermarono e lasciò che le sue labbra lo raggiungessero. Respirò il suo profumo, si lasciò trasportare in aria fino al paradiso. Un paradiso caldo.
Sì, possono amarsi anche con lo sguardo, unendo le proprie anime. Proprio come noi.
Risalì lentamente e baciò il suo ventre, quel caldo bozzolo d'amore dove nasceva la vita. Il dono più divino che una donna avesse potuto ricevere dall'Alto, quello che ogni uomo dovrebbe amare.
D'istinto Gin mosse la mano verso i suoi riccioli rialzati per poterseli rigirare fra le dita. Bruno la lasciò fare, mentre mugolava e respirava il suo profumo. Le morse scherzosamente l'osso dell'anca, fino a trasformarli in baci sensuali. I leoni usavano quel genere di preliminari prima di accoppiarsi, come una sorta di venerazione per la propria leonessa.
Perché ora sei la mia regina.
Lei lo marchiò col tocco delle proprie mani lungo tutta la schiena, arrivando alle sue natiche per svestirlo dei pantaloni. Lui la lasciò fare, lasciando che anche le ultime barriere scomparissero. Aveva perso troppo tempo a scrivere parole tristi, richiami d'amore e poesie. Sapeva quanto fosse fiato sprecato e non voleva nemmeno più farlo, perché Gin sapeva già cosa significasse per lui. Il loro amore era passione, libertà, solidarietà, dolcezza e sincerità. L'unico per cui valeva la pena lottare.
Si cercarono con gli occhi, con lo spirito e col corpo, l'uno sopra e dentro l'altra.
Ti amerò ogni notte come se fosse l'ultima.
Avevano imparato a conoscersi col tempo, seppur bruciando le tappe. Il primo anello, la loro prima casa e i primi problemi... ora non avevano segreti. Entrambi prigionieri di una gabbia dorata, acclamati e i loro nomi sulle bocche di tutti. I sentimenti, una volta chiusi in una campana di vetro, erano finalmente liberi.
Gin aprì le dita sui ricci morbidi di lui e ne osservò il contrasto. «Non ci lasceremo più, vero?»
Bruno chinò il viso sul suo collo ed entrò più a fondo, senza ritrarsi. «Mai più, amore mio.»
Lei dimenò le anche, iniziò ad ondeggiare col bacino e seguire la sua danza erotica. Un'unione spirituale che li avrebbe saziati per sempre. Ballarono insieme nell'aria autunnale dell'isola, le tende di seta li accompagnavano con la brezza del mattino, il crepuscolo a fare da luce e ammiccare al loro amore.
Voglio amarti come la prima notte, voglio poter restare in te per il resto dei miei giorni.
Lei ammiccò al suo corpo con movimenti lenti, dolci e rilassanti. Non parlò più e si lasciò incantare da quella magia, quel momento in cui lui era lei... e lei era lui. Si strinsero la mano che portava il simbolo del loro amore, l'oro luccicò ad ogni loro intreccio di dita. Uniti più che mai.
Lo stiamo facendo, ci stiamo amando come la prima volta.
Ogni muscolo di propri corpi era teso, le fibre insensibili e rigide. Ogni cosa stava svanendo intorno al loro, anche i loro stessi ansiti che lentamente diventavano gemiti. Gin scattò col bacino verso l'alto, ondeggiando al ritmo del proprio ventre che pulsava e stringendo la presa su di lui. Liberò la sua mano per potersi aggrappare alle sue spalle e lasciarsi andare all'estasi. La danza rallentò gradualmente, mentre abbracciava tutto il corpo di lei contro il suo, assaporando la sensazione di essere ancora dentro di lei.
Bruno sospirò felice, sentendosi finalmente protetto ed amato. Amato come mai prima d'ora.
L'alba era sorta su Maui, la pace regnava in quella capanna. Gin aveva appoggiato la guancia sul petto di lui, i battiti erano decelerati lasciando spazio ad un ritmo calmo e rilassante. Le dita accarezzavano la pelle del suo bassoventre liscio, un frammento bianco che percorreva centimetri di carnagione scura. I capelli di lei erano sparsi sul suo torace nudo, come scie di cioccolato al latte su una base di caramello.
Bruno era sdraiato supino, una sigaretta fra le labbra per riprendersi da quella performance. Il silenzio della stanza li coccolava insieme al lontano sciabordio dell'oceano e il suono della natura che li circondava.
Tracciando il suo petto liscio, Gin si prese altro tempo per guardare l'uomo che stava abbracciando. L'angelo dalla pelle color cappuccino che usava la propria voce per regalare emozioni, far battere il cuore e sciogliere il ghiaccio intorno a chi non guardava oltre l'arcobaleno. Sapeva di non sognare, eppure la sua presenza non sembrava reale. E avrebbe voluto non dover smettere di toccarlo, ammirarlo... solo per accertarsi che fosse la sua realtà, che fosse lì con lei.
«Ancora non riesco a credere che tu sia mio marito.»
«Neanch'io, sai? Questi mesi sono passati in fretta, mi sembrava ieri che ti avevo chiesto di sposarti.»
«E perché hai scelto me?»
Bruno buttò fuori un'altra nube di fumo e beandosi di quel silenzio, aprì il proprio cuore. «La mia anima era smarrita e ho capito che senza di te, non avrei avuto un motivo per combattere per la mia libertà. Non avrebbe avuto senso farlo da solo, guardando tutto ciò che avevi costruito crollarti addosso. Ho capito quanto tu sia importante per me, e non è mai stata una questione fisica. Sai farmi sentire vivo nello spirito e nel corpo, hai fatto rinascere in me tutte quelle emozioni che ho perso – specialmente dopo la morte di mia madre.»
Lei cercò un abbraccio e nascose il viso nell'incavo del suo collo, incurante del sudore addosso. Le sue parole le avevano scaldato il cuore. «E poi, perché volevo sentire il mio cognome accanto al tuo nome.» Il pensiero lo fece ridere, Gin lo sentì sia con le orecchie che sotto il suo corpo. «Non avrei mai pensato di dirlo.»
«Per questo non volevi aspettare?»
Le diede un bacio sulla fronte, cominciando a sentire freddo. Il corpo di Gin fu in grado di tenerlo immobile sul letto, senza preoccuparsi di coprirsi col lenzuolo. «Per te avrei aspettato anche un altro decennio.»
Lei si stiracchiò su di lui e allungò le braccia fino a sovrastarlo. Lui restò a guardare il soffitto con la sigaretta fra le labbra, lasciandosi cullare dal silenzio. Poco dopo lo infranse, la mano che indossava la fede nuziale che spazzolavano i capelli di sua moglie.
"Piccole bollicine nel vino... mi fanno sentire felice, mi fanno sentire bene. Piccole bollicine mi scaldano dappertutto, con la sensazione che ti amerò fino alla fine dei tempi".
Le parole romantiche di "Hua Li'i" di Don Ho uscirono dalla sua bocca come una melodia soave, quel pezzo del lontano '66 che suo nonno cantò il giorno del matrimonio dei suoi genitori – all'epoca Bruno aveva avuto due anni. Era diventata come una tradizione di famiglia, quella in cui si dedicava questa canzone ai propri figli... e papà si era rifiutato di farlo con lui e Gin per non rovinarne il ricordo, e anche lui aveva ceduto alla sua volontà. Non bisognava ripercorrere fragili ricordi in un momento bello come il matrimonio.
Guardando le foto, aveva sempre pensato che sposarsi fosse stato come vivere una fiaba. Da piccolo aveva visto solo la maschera dietro la storia d'amore fra Elvis e Priscilla, la stessa fiaba che voleva tanto realizzare. Si era illuso per tanto tempo, ma a volte era meglio vivere nelle illusioni ed essere felici piuttosto che nella realtà a deprimersi.
«Sarebbe stata più carina "Island of Love".»
«Non posso sempre dedicarti Elvis.» Giusto, un po' di varietà ci voleva. «Però... sai, erano anni che volevo dedicarla a qualcuna.»
«Perché lo fai solo adesso?»
Bruno non lo sapeva, in realtà. Forse perché si sentiva bene in quel preciso momento, perché stava ricostruendo nuovi ricordi felici. «Avrei preferito il matrimonio come quello di Blue Hawaii, ma ho resistito alla tentazione» soggiunse poco dopo, tenendo la mano di sua moglie.
«Davvero volevi sposarmi così?» sogghignò lei, stringendola a sua volta. Non fece caso alla gamba di lei che strusciava sulla sua con fare erotico.
«Mi piaceva l'atmosfera in quel film e se avessi avuto più tempo, avrei organizzato tutto nei minimi particolari» scherzò, lasciando che sua moglie si accoccolasse di più a lui. Fece l'ultimo tiro di sigaretta, prima di abbracciarla e attirarla su di sé. «Ma alla fine contava di più quella dedica.»
Le parole piene d'amore pensate a regola d'arte per il momento. Forse un giorno l'avrebbe incisa, forse avrebbe scelto una voce femminile ad accompagnarlo... o forse l'avrebbe tenuta per sé.
«"So here's to the ginger lei I give to you today..."» cantò, mentre Gin appoggiava la testa sul suo petto per ascoltare il suo cuore. «"And here's a kiss that will not fade away".»
Lei posò la mano sulla spalla, allargando di più il sorriso. «Buonanotte, maritino.»
Lui ricambiò e le baciò la sommità della testa. «Buonanotte, mogliettina.»
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Il fresco proveniente dalla veranda costrinse Gin a svegliarsi, le lenzuola di seta che la coprivano dalla vita in giù. Si mise su un fianco, scoprendo che Bruno si era già alzato dal letto. Con sua grande sorpresa, lo vide uscire dal bagno con l'accappatoio nero addosso. Si era appena fatto la doccia, i capelli erano tutti bagnati e da come li aveva tirati su, somigliava a quel vecchio ciuffo alla Elvis che tanto Gin aveva amato.
«Perché non mi hai svegliata prima? Potevamo farla insieme.»
Lui salì sul letto per averla di fronte, tenendosi in equilibrio con un braccio. «Eri così carina che non ho voluto interrompere i tuoi sogni.»
Uno schiocco di labbra e Gin si ritrovò a sorridere, mentre lasciava scivolare le dita sotto il tessuto di spugna. La sua pelle era tiepida e liscia. «Mi stavo c-chiedendo... ehm, se po-possiamo...» balbettò, sentendosi le guance calde come piastre. Davvero glielo stava chiedendo? «Ehm, rifarlo.»
«Che cosa?» la incitò, anche se sapeva esattamente cosa.
«Niente, dimentica quel che ho detto.» Distolse lo sguardo, vergognandosene immensamente. «N-non riesco a credere di avertelo chiesto.»
«La terapia cognitiva sta funzionando?»
«Anche troppo» confessò, nascondendosi con la fronte contro il suo petto. «Però mi sento ancora nervosa. Credevo che un paio d'anni sarebbero stati sufficienti, e invece...»
«La pazienza è la chiave di tutto, Gin, ricordalo» disse, avvicinandosi fino a sentire il suo respiro caldo contro le proprie labbra.
Lei d'istinto gli accarezzò una guancia coi polpastrelli, poi un'altra, guardandolo negli occhi. Le piaceva l'accenno di barba sulla sua mascella, così come quel leggerissimo baffetto sul labbro superiore. Ebbe voglia di toccarlo, ma lui la fermò ancor prima che arrivasse fino alla corda per aprirgli l'accappatoio. O toccargli quella vena visibile sul collo, leccarla con lussuria e sentirlo gemere...
«Il gorilla sarà anche una macchina da sesso, ma ha i propri limiti» sorrise, scostandole le mani per metterle sulle sue spalle.
«Scusa... s-scusa, è che da ieri mattina ho questo languore in corpo che non mi dà tregua.»
Le toccò la punta del naso con la propria. «Le scuse vanno fatte una volta sola, e non scusarti per delle sciocchezze.»
Gin fu tentata dal chiedere ancora scusa, ma alla fine si trattenne. «Hai ragione.»
«Questo però non significa che non abbia ancora voglia di te» mormorò sensuale, sfiorando la punta di un seno con due dita. Il tocco la rese turgida. «Finché non calerà il sole, ti terrò imprigionata nella jacuzzi.»
Lei rimase perplessa. Prima che avesse potuto formulare la domanda, Bruno sembrò averla letta nel pensiero. «È nel bagno, ogni suite ne ha una. È anche grande.» Infine, le diede un bacio e si alzò. «Vestiti, la colazione ti sta aspettando fuori.»
Rimase sul letto, gli occhi che lo seguirono fino all'uscita sulla veranda. Fino a poco prima aveva ignorato il mondo intero, proprio come doveva essere e ora... Sospirò, dirigendosi verso il bagno. Era stata così bene sotto le lenzuola, al caldo e con lui accanto. Andò verso il bagno e si fece una doccia veloce, prese il secondo accappatoio e uscì. Guardandosi allo specchio, si vide radiosa e riposata nonostante cinque ore di sonno. Sarebbero stati tre giorni meravigliosi.
Uscì dalla capanna coi capelli bagnati, la colazione di fianco a loro – era arrivata nel momento in cui era entrata nella doccia per lavare via la lacca e quel che era rimasto del trucco. Stavolta Bruno non aveva badato a spese, né tantomeno con la frutta. Erano tutti dolci accompagnati da un caffellatte freddo artigianale dall'aspetto delizioso.
Mentre si gustavano la macedonia, Gin si occupò dei ricci di Bruno seduto sulla sedia di vimini fuori la veranda. Dove stavano seduti, si vedevano le altre capanne ed essendo un mese morto, non c'era anima viva. Il resort era aperto per i turisti, Bruno non ne era rimasto sorpreso. Maui era una meta ambita da tutti dopo Waikiki, e sapeva bene quanta gente arrivava e partiva dall'aeroporto ogni giorno, quante ghirlande venivano realizzate e regalate e le settimane piene per via delle festività tradizionali.
E a proposito di feste tradizionali... «Non bevi il tuo caffè?»
Gin aveva scosso la testa, voleva dare priorità alla sua macedonia di frutta fresca.
«Sai che questo è il mese del Kona Coffee?» Lei sogghignò. Ora capiva perché aveva scelto novembre e non aprile, per celebrare il Mele May. «Il caffè fa parte della nostra tradizione, quella che ci ha fatto conoscere.»
«Lo so e dovrei complimentarmi con te, che non lo hai mai dimenticato.»
«E come da tradizione, dobbiamo condividerlo. Ho già bevuto la mia metà, mentre ti aspettavo.»
Successivamente, Gin lasciò i riccioli per prendere la tazza. «Grazie.»
Bruno si alzò per recuperare la spazzola, Gin si sedette al suo posto godendosi la sua colazione. Anche questo faceva parte delle loro tradizioni di coppia, una dinamica che non avrebbero mai sostituito dentro e fuori la propria routine. Quando lui ritornò fuori, vide il vassoio mezzo vuoto, ma la tazza ancora mezza piena. Gin aveva dovuto avere una gran fame.
Prese posto sull'altra poltrona e sua moglie lo raggiunse, sedendosi sulle sue ginocchia. Prima che avesse potuto iniziare a pettinarla, sfiorò una ciocca dietro la schiena. «Posso farti una treccia?»
«La sai fare?»
«Certo, aiutavo la nonna ad intrecciare i fili di paglia e le mie sorelle a pettinarsi.» Dopo un altro pezzo di macedonia, prese i suoi capelli. «I tuoi capelli sono anche mossi, i boccoli verrebbero ancora più belli.» Mentre lei mangiava, Bruno le spazzolò i capelli con cura e delicatezza. L'unico modo che aveva per ripagarla per l'enorme pazienza che aveva avuto coi suoi riccioli.
La veranda era ben in vista sul verde che separava la stradina che portava nelle altre zone del resort e le altre cabanas, la natura faceva da barriera fra una e l'altra. Da un lato della veranda c'era un divanetto attrezzato di tavolino e una candela da esterni, il vasetto di vetro dipinta di verde e di rosa richiamando i disegni tradizionali dell'isola.
«Sai, più ci penso, più credo di averti già incontrato in una vita precedente.»
«Perché siamo spiritualmente simili?»
Bruno restò sorpreso nel sentire quell'avverbio uscire dalle sue labbra. «Forse.»
La calma del posto li fece restare in silenzio, mentre la mano di lui muoveva la spazzola fra quella soffice chioma castana lunga fino a metà schiena. C'erano così tante persone che non credevano nello spirito, che un essere umano avesse un'anima immortale destinata a lasciare il corpo dopo un lungo viaggio. E chissà se in un futuro prossimo, si sarebbero ritrovati.
«Se penso che sono passati dodici anni dal nostro primo incontro, non ci crederei.»
«Dodici anni di coccole, lacrime e ostacoli.» Lui finì di pettinarla e prima di allagare tre grandi ciocche di capelli, si avvicinò al suo orecchio. «Sai, potremmo farci un film.»
Lei rise. Effettivamente la loro storia d'amore sembrava quella di Romeo e Giulietta, senza famiglie rivali e un matrimonio clandestino fra quattordicenni. Anche se con quell'anello, un decennio fa, erano stati veramente ad un passo dal matrimonio.
Lui iniziò a creare la prima metà della treccia. La spalla destra di lei scese verso il basso, scoprendola e lasciando che il suo profumo di tiarè lo prendesse. Seppe resisterle, finendo la treccia e legandola con parte del filo della sua ghirlanda di lei – si era rotta dopo la prima notte. I fiori ancora attaccati profumavano ancora, e fra i suoi capelli erano meravigliosi.
Il vento cominciò ad alzarsi, con lui anche il suono della natura. «Non vedo l'ora di poter cominciare questa nuova vita. Ti sveglierò la mattina con la colazione, ti preparerò da mangiare a cena, ti accoglierò quando torni dallo studio...»
Bruno sorrise. «Gin, facciamo tutto questo da un paio di anni.»
Era qualcosa che avevano già vissuto, ciò che li aveva legati profondamente e che allo stesso tempo li aveva separati per quasi un decennio. Qualcuno aveva usato il famigerato "te l'avevo detto", facendo pentir loro amaramente di aver creduto a quei sentimenti. Ai primi tempi ci giocavano, fantasticavano...
"T'invidio, avrei voluto tanto un'altra sorella. Almeno non sarei rimasta sola."
"Non pensi a noi maschietti che dobbiamo stare dietro di voi?"
"E 'non pensi' sia un vantaggio per quando vi sposerete?"
"Perché, vuoi sposarmi?"
... e mai avrebbero pensato accadesse davvero.
Successivamente, usò quella spalla per voltarla. «Finisci la colazione, poi raggiungimi in bagno.»
Gin si alzò dalle sue ginocchia in modo che Bruno fosse potuto rientrare. Restò sola fuori, la colazione sul tavolino. Con le gambe incrociate, mangiò con dovuta calma e si godette ogni sapore, quello dolce della frutta e quello amarognolo del caffellatte.
Il cielo che sovrastava l'isola era limpido, privo di nuvole. Si guardò l mano sinistra, il brillante del suo anello di fidanzamento spiccava insieme al suo braccialetto d'oro. Si sentiva felice come mai prima d'ora, felice di aver realizzato uno dei suoi sogni più grandi.
"Mi sono appena svegliato da un sogno, dove tu ed io dovevamo dirci addio."
Non sarebbe più successo, ora che Dio li aveva uniti. Dio aveva permesso loro di amarsi, di completarsi, e non avrebbe più permesso di separarli. Il pensiero la calmò, il suo cuore si rilassò insieme alla mente. I loro sentimenti erano liberi di poter vivere. Loro erano liberi di potersi amare senza etichette e pregiudizi, il sesso che fungeva da innesto. Si voltò a guardare la porta della veranda semichiusa. Si sentiva a disagio, quando pensava a lui in quel modo. Aveva passato le ultime ore ad immaginare mille modi per sedurre suo marito e averlo fra le braccia per quei tre giorni, soli in un letto senza mai doversi alzare.
Toccandosi la spalla scoperta, immaginò quel calore forte che...
«Ah, fanculo» imprecò sottovoce, coprendosela frettolosamente. Si alzò dalla poltrona e rientrò nella cabana, camminando verso il bagno. Sì, fanculo la razionalità! Per una volta voleva cogliere quelle occasioni a braccia aperte... e a gambe aperte. Arrossì di colpo, sentendosi una specie di ninfomane.
Deglutì nervosamente, arrivando fino alla soglia della porta. Lui era già dentro la vasca, il vapore dell'acqua aveva già appannato gli specchi e la vetrata che la divideva dalla doccia.
«Stai bene, bebita?»
«Sì.» Invece che posare lo sguardo su di lui, lo teneva rivolto verso lo specchio appannato. «La colazione era... buona.»
Lui non riuscì a non sorridere. «Non dirmi che ti vergogni ancora di fare il bagno con me.»
No, era lei che sentiva qualcosa di strano nel corpo. Come se fosse colpa sua. «No, per niente.»
Fece uscire un braccio fuori dall'acqua, il tatuaggio della donna luccicò sotto la luce del bagno. «Allora vieni qui.»
L'accappatoio di lei cadde a terra e si sedette sul bordo a sua volta. Entrò nell'acqua e Bruno se la ritrovò sul grembo, le ginocchia intorno ai suoi fianchi e il volume dell'acqua che arrivò al bordo. I getti li stimolarono sott'acqua, permettendo alle endorfine presenti nei propri corpi di darvi l'energia per compiacerlo al massimo delle vostre potenzialità. Sarebbe stato un peccato sprecare tempo coi preliminari, quando avrebbe potuto prenderla direttamente lì.
Con calma, Peter. Goditi questi tre giorni di pace.
«Volevi andare in spiaggia?» le chiese, accarezzandole le braccia da sopra le bolle. «Se vuoi, possiamo—»
«No, no... sto bene qui.» Si morse timidamente il labbro, il che la infervorò ancora di più. «È come tornare ai vecchi tempi.»
Oh, i bei vecchi tempi... quando avevo condiviso una vasca da bagno la prima volta.
Bruno continuò ad accarezzarla in cerca delle sue labbra profumate di caffellatte e dal sapore di frutta, le trovò e le unì alle proprie. Il bacio la coinvolse e si premette più forte contro di lui, lasciandosi sfuggire un dolce mugolio. La sentì arrendersi sotto alle sue mani e più lui la toccava, più lei gli si strofinava addosso. La cosa gli piaceva, specialmente quando il suo seno si schiacciava contro il petto. Se ci fosse stato uno specchio, avrebbe potuto ammirare quella visione erotica e avere un motivo in più per guardarle muoversi durante l'amplesso.
La luce delle candele gli frizzava sulla pelle, ma non era niente in confronto a quello che sentiva ogni volta che il corpo di Gin fremeva contro il proprio. La vide arrendersi sotto al suo tocco, il bacino immerso fra le bolle della jacuzzi. L'acqua era capace di infondere in loro sensazioni impossibili da scalfire.
Lei riaprì gli occhi, sfiorandogli la punta del naso. «Sei affamato di coccole, vedo.»
«È che mi sei mancata troppo in questi giorni, è dall'addio al celibato che volevo averti fra le braccia.»
«A proposito, com'è andata?»
Bene, ma non benissimo. – «È stata particolare.»
Come al solito era stato vago, enigmatico. Notando Gin alzare un sopracciglio, Bruno si ritrovò sull'orlo di un precipizio. Da lì, iniziò a raccontare quelle che erano state le quattro settimane più lunghe della sua esistenza.
• ― ★ ― •
La festa di addio al celibato era stata tranquilla, non troppo movimentata e all'insegna di cocktail tropicali. Uno dei tanti nightclub di Sydney aveva permesso loro di poter festeggiare a porte chiuse nella zona più esclusiva, anche se gli ospiti ogni tanto si facevano notare. Aveva fatto due foto e tre autografi, abbastanza da poter stare tranquillo.
Phil si sedette di fianco a lui. «È da un'ora che stai seduto su quel divano di pelle a fissare la spogliarellista con quella faccia nostalgica. Non ti godi neanche il tuo addio al celibato?»
«Me lo sto godendo, infatti: guardando, ma non toccando.»
«Su col morale, fra due settimane tornerai a casa. Vivi quest'ultimo momento da celibe, fra un po' ti sposi.»
Bruno rilassò le spalle sullo schienale e guardò il soffitto colmo di luci LED a spettro, la nostalgia di casa che si faceva sentire sempre di più. Voleva che passasse in fretta per poter riabbracciare le sue figlie e tornare fra le braccia dell'amore della sua vita. Phil parlava, ma lui non ci faceva caso.
La musica mischiata al fracasso degli altri Hooligans radunati intorno al tavolo e coi propri drink in mano non facevano altro che confondere di più l'atmosfera, rendendola chiassosa e insopportabile. Aveva mal di testa, voleva tornare in albergo e dormire fino a tardi.
La voce di Alex lo aiutò a ritrovare l'udito. «Mi stai ascoltando?»
«No» rivelò Bruno senza peli sulla lingua, «e per la cronaca non m'interessa.»
«È la tua cazzo di festa di addio al celibato, bisogna rispettare le tradizioni. Il giorno prima del matrimonio non potrai dormire con lei.»
Rivolse lo sguardo su di lui, gli occhiali da sole dalle lenti bluastre che riflettevano la luce del locale. «Tu sai, invece, come funziona l'addio al celibato dalle mie parti?»
«Stessa identica cosa» rispose subito, convinto.
«No, ci si immerge nella nostalgia.»
«Internet dice il contrario.»
Lui roteò gli occhi. Era inutile rigirare la frittata.
«Ma allora i tuoi genitori come hanno festeggiato l'addio al nubilato e celibato?»
«E io che ne so» soffiò lui, tenendo il naso all'insù. Voleva stare in pace, ma con loro era impossibile.
Istintivamente gli altri si voltarono verso Eric, che alzò le mani in segno di resa come per dire "non lo so neanch'io".
Il ricciolino restò a guardare la stripper dalla coda di cavallo corvina ballare sul palo con fare sensuale, che in quel momento gli stava ammiccando. Di faccia era carina, non lo metteva in discussione, ma quelle divinità della natura volgarmente definite 'tette' e 'culo' erano rifatti. Sorseggiò il suo selvarey dal bicchiere di cristallo, senza accorgersi che il cubetto di ghiaccio si era sciolto. Aveva passato troppo tempo a guardare donne non vere, modelle che si preoccupavano troppo dell'aspetto fisico e non si accettavano per com'erano. Qualsiasi donna era fantastica così com'era, e lo cantava sempre a squarciagola. Non tutte, evidentemente, ne erano in grado.
Lei continuava a guardarlo, richiamandolo implicitamente, ma lui volse il proprio sguardo sulla propria gamba appoggiata sul ginocchio. Si sentiva sempre più comodo quando incrociava le gambe in quella maniera, non sapeva spiegarselo. Sospirò, quanto mancava alla fine di quello strazio?
«Yo, sapevi che Alex è laureato in arti drammatiche?» Phil gli diede un colpo sulla spalla, svegliandolo da quel breve stato di trance. «Ce lo ha tenuto nascosto per quindici anni, sto stronzo!»
«Non avete mai menzionato l'argomento» si giustificò lui, sedendosi di fianco al non-più-celibe. «E tu, Bruno?»
«Ho solo il diploma, non mi sono mai voluto iscrivere al college» rivelò, procurandosi una sigaretta.
«Tu sai che ho una laurea all'accademia delle belle arti?»
Lui si portò gli occhiali da sole sulla punta del naso, alzando un sopracciglio. «Davvero, Phil?»
«Bugia, fui bocciato all'ultimo esame. Ora alzati da quel divano e apriamo lo champagne.»
Bruno sbuffò, si alzò in piedi e l'accese, tirando un paio di volte. Tanto valeva assecondarli.
«Il cavaliere esige una maschera, e quale occasione se non questa sera?»
Eric aveva già fatto portare lo champagne e i bicchieri, come se il cesto dalle rifiniture d'oro non fosse stato abbastanza. Aveva intenzione di ripetere quella maledetta recita, ma Bruno non ci sarebbe cascato.
«Perché non la metti tu?» ribatté, mentre la prendeva in mano.
«Perché non sono io che devo sposarmi.» Gliela porse, lasciandolo con più domande che risposte. «Secondo, con quel baffetto saresti un affascinante Zorro.»
Bruno guardò la maschera con fare perplesso. Cosa gli avrebbe detto Don Diego de la Vega, se lo avesse visto sfoggiare quel mantello? Non era un spadaccino provetto, a malapena aveva visto un cavallo ed era un pessimo attore. L'unica cosa che avrebbe potuto impugnare veramente era una chitarra, ma soltanto Elvis Presley poteva sbatterla contro un tavolino e fare paura. Lui era perfino alto quanto un golden retreiver su due zampe.
Ma se lo scopo di quella stupidaggine era quello di farsi baciare, avrebbe fatto prima a mettersi la maschera di Spiderman – sarebbe stato più romantico. Non sarebbe successo, al massimo avrebbe fatto l'idiota come in un qualunque sabato sera sulla West Hollywood.
"Convinci Montero che sei un gentiluomo di rango, e lui ti lascerà entrare nella sua cerchia".
Si convinse e la indossò, legandosela dietro la testa. Mentre gli effetti collaterali del rum scorrevano nelle vene, prese in mano il calice di champagne e scoprì gli altri fare lo stesso.
«Direi di fare un brindisi all'ultimo Hernandez che finalmente si sposa.»
Bruno sapeva bene di essere l'ultimo di tutta la famiglia a sposarsi, a mettere su famiglia eccetera eccetera. Per una volta essere ultimo in qualcosa gli andava più che bene.
«Niente spogliarello, Zorro?» esordì Alex, dopo aver fatto scontrare i propri bicchieri.
«Un gentiluomo non si lascia condizionare da vizi così volgari» rispose Phil, con una finta erre moscia da far venire brividi imbarazzanti. Era molto più bravo quando s'immedesimava in un ballerino messicano. «E poi sapete che non mostrerà quei pettorali neanche sotto tortura» concluse, tornando alla sua voce originale.
«Signori, l'ultimo giro lo offro io!» esclamò Bruno, alzando l'ennesimo bicchiere. «¡À nosotros!»
L'ultimo assalto di champagne aggiunse altra adrenalina e lui si sentì più vivo, ma dimenticò tutto ciò che successe dopo. La cosa che più lo aveva rassicurato era l'assenza di donne sul suo letto, ma in compenso c'erano stati suo fratello e Daddy post sbornia. Poco più a destra, sopra un cuscino, la maschera che aveva indossato la sera prima.
• ― ★ ― •
Gin rise, sapendo quanto fosse stupido. Ma guardando meglio i suoi lineamenti, sarebbe stato uno Zorro niente male. Dopotutto anche lui era un gentiluomo.
Sciolse l'abbraccio e si sedette di fronte a lui, restando nella vasca. «Tu lo avresti fatto davvero?»
Lui avvampò, capendo si stesse riferendo allo spogliarello. «Mai.»
«Ma adesso sei nudo.»
«Lo so, e anche tu.» Lui si alzò per andarle incontro e incrociare il mio sguardo, mentre la luce proiettava un'ombra sul suo viso, rendendone i lineamenti ancora più definiti. «Anche se non ti piaci, nel mondo ci sarà sempre qualcuno a cui piacerai. Ogni creazione di Dio è unica, anche tu lo sei.»
Subito Gin lasciò cadere le braccia nell'acqua, scoprendo il seno. Bruno la guardò amorevolmente, il pollice le accarezzò la mascella prima di chinarsi e sfiorarle le labbra. «Sai, non era stata solo la pigrizia a costringermi a mettere un cappello, mi nascondevo da tutti coloro che volevano che fossi più adulto. La gente voleva che cancellassi una parte di me e mi omologassi a loro, ed io non l'ho fatto. Ho imparato a fregarmene, perché chi è capace di sognare, sa essere una persona felice.»
«E tu sei felice?» chiese lei, rigirandosi un paio dei suoi riccioli bruni frale dita. Sapeva di aver formulato una domanda stupida, perché avrebbe dovuto sapere la risposta. Eppure, voleva sentire la sua voce confermarglielo.
«Ti vedo realizzata. Mi basta per essere felice.»
Chiuse gli occhi, lasciandosi baciare, il lato del naso che si sfregava contro il suo. Lei passò un braccio intorno al collo e lasciò che il bacio s'intensificò. Mentre le proprie lingue s'intrecciavano, la mano di lei affondò sensualmente nei riccioli di lui. Ogni forma di paura diminuì all'istante, quando le sue mani afferrarono delicatamente i suoi fianchi. Le bolle della jacuzzi massaggiò loro ogni fibra muscolare, trasportandoli in un nuovo mondo ultraterreno.
«♫»
Il giorno seguente lo trascorsero sulla spiaggia. Per arrivarci ci voleva la macchina, Bruno aveva provveduto ad ogni cosa e sarebbero tornati prima dell'ora di cena. Sarebbe stata una serata indimenticabile, lui ne era più che certo. Mentre usciva dall'acqua, guardò sua moglie sdraiata a pancia in su sulla sua sdraio personale.
Il bikini porpora era leggermente arrotolato sul lato, mostrando la pelle liscia dell'inguine. Si distese sulla sdraio accanto e si mise su un fianco per guardarla. Era bellissima la sua pelle bianca illuminata dal sole, la sabbia biancastra che le sporcava le gambe e le gocce d'acqua salata imperlarle il corpo.
«Hai preso abbastanza sole?»
Lei annuì, stiracchiandosi le braccia. «È bello abbronzarsi a novembre, non soffri quel caldo soffocante e puoi goderti il mare in pace.»
«E paghi di meno.»
«Tirchio.»
Lui sorrise e si mise gli occhiali da sole. Sarebbe stato più giusto dargli dello spendaccione, dal momento che tra il matrimonio e la luna di miele aveva speso più di quanto aveva stabilito ad inizio anno. A lui non era importato, nonostante le paranoie nel finire in rosso, purché passasse i migliori tre giorni della sua vita.
Socchiuse gli occhi, ascoltando lo sciabordio delle onde debole cullarlo come una ninnananna. Il mondo, come lo stava vedendo, era diventato ancora più bello di quanto già non fosse di proprio. Dentro la sua anima vi era pace assoluta e una pura incontenibile meraviglia per l'incanto da cui era circondato. Salsedine, sole e sua moglie accanto. Il vero paradiso.
«Sai cosa invidio di te, Peter?» Gin si mise seduta, guardandolo sdraiare le gambe per distendere i muscoli. «Le gambe. Sono sempre lisce e toniche. Le mie sono sempre gonfie, sembrano salsicciotti.» Se le toccò, guardandosi con aria un po' sconsolata.
Lui si alzò e si sedette a capo della sua sdraio, vedendola mettersi altro olio abbronzante sulle gambe. «Bob Marley diceva che le cose più belle non sono perfette, ma speciali, e ogni donna come ogni uomo lo sono, e ogni persona sceglie chi è 'speciale' nella propria vita.»
C'era una verità in tutto quel discorso; dopotutto nemmeno la luna era perfetta, poiché piena di crateri. L'oceano, per quanto limpido e azzurro in superficie, nascondeva gli abissi oscuri. E il cielo, che era sempre infinito e scatenava uragani e tempeste.
«La perfezione appartiene solo a Dio.» Poco dopo Gin si sentì baciare il ginocchio destro, Bruno si stava avvicinando a lei con fare voluttuoso. «Egli ti ha fatta bella a modo suo e ti ha legata ad una persona speciale, facendo sì che quel legame sia profondo e che solo la morte può separare.»
La sua silhouette curva e lievemente in sovrappeso non bastò a fermare i suoi istinti da re della savana, si avvicinò e si appoggiò con un ginocchio per sovrastarla e lasciare che le sue mani si appoggiassero sulle sue spalle. Gin non trattenne un sorriso innamorato. Quell'uomo sapeva essere più saggio di un qualunque prete, eremita e monaco. Aveva sottovalutato quel suo grande pregio.
Bastò poco a passare da quell'abbraccio romantico ad un approccio più sensuale. «Stai prendendo troppe libertà, sai?»
«Ti sto solo abbracciando» constatò, mettendosi dritto per ammirarla da sotto il naso. Da quella prospettiva le curve erano schiacciate, ma comunque succulente. «Anche se non mi dispiacerebbe farlo qui.»
Gin arrossì, ricordando quella notte al chiaro di luna alle Bahamas. L'unica differenza era che fosse tardo pomeriggio e che qualcuno avrebbe potuto vederli, la cosa sarebbe stata più che imbarazzante.
«Scherzavo» sogghignò, prendendo la bottiglietta di olio abbronzante. La vedeva ancora troppo bianca, forse un altro po' di colorito l'avrebbe resa più sexy ai suoi occhi. Lui amava osservare l'impronta del costume fra le curve del suo corpo, come il contrasto fra le loro mani.
«Vedo che ti piace proprio scherzare.»
Lui sfoggiò un sorriso sornione, facendo arrivare il ponte dei propri occhiali da sole sulla punta del naso. «Non sarei Peter, se non scherzassi.»
Puntualmente, lei glieli portò in cima. «Lo fai per mantenere la fedina penale pulita, vero?»
Da un lato sì, da quando era stato fermato per guida in stato di ebbrezza all'ultimo anno del liceo. L'adrenalina da tequila lo aveva riportato a casa con tanto di foto segnaletica.
«Anche per conquistare di più il tuo cuore.»
«Lo hai già fatto» sorrise Gin, mostrando la fede nuziale e il diamante a forma di rosa che sfoggiava sulla mano sinistra. Nel frattempo, la sua mano unta e profumata viaggiò dal seno fino al ventre. «Hai finito di disegnare strane linee sulla mia pancia?»
«Difficile distogliere lo sguardo da questi graffi» ammiccò, passando le dita sulle smagliature ai lati del bacino. Iniziavano dal mezzo fino a farsi tagliare dal bikini. «Ora che sei madre, sono ancora più evidenti.»
«Io le detesto, mi fanno sembrare più grassa e deforme.»
«Non dovresti, fanno parte di te.» Il suo sorriso divenne più tenero, gli occhi vispi e la mano che continuava a percorrere la curva del fianco. «Neanch'io sono perfetto, sai?»
Gin alzò lo sguardo. Lui, il divo da ventisette Grammy Awards, non si considerava perfetto? Quando ballava e cantava, lo stesso Creatore illuminava la sua silhouette con la propria luce divina, facendolo sembrare un vero e proprio figlio di Dio. «Proprio tu, che ami i complimenti e farti fotografare sul red carpet?»
«Ti sembrerà strano, ma è così. Odio non avere una forma, ma più mi guardo allo specchio, più ho un motivo per apprezzare me stesso. Dovresti farlo anche tu.»
Quel discorso sincero e maturo la lasciò spiazzata. Tuttavia, c'erano tante, troppe incongruenze, e non perse tempo a fargliele notare. «Sei timido, ma modesto. Sei una contraddizione dopo l'altra.»
«Lo so, e se non fossi davvero così timido, a quest'ora non avrei barriere in corpo» ammise Bruno con occhi luminosi.
«Pensavo non sopportassi l'idea di nuotare nudo.»
«È vero, ma solo in quei momenti in cui ho bisogno di essere in armonia col corpo.»
«Di solito quando succede?»
«Perché? Vuoi vedermi?»
Lei arrossì di nuovo. Come se già non lo avesse visto tante volte... eppure il tono di voce era stato basso e seducente.
Sì. – «No.»
Il suo calore le fece incrociare le gambe sulla sua schiena, avvicinando il proprio bacino al suo il più possibile. Lui mugolò alla sensazione della sua manicure penetrarlo nei riccioli bagnati, e adorava il modo in cui si lasciava andare sotto di lui.
«A proposito di armonia...» Prese una delle sue mani e l'avvicinò appena all'elastico dei bermuda, arrossendo lievemente. Una sensazione di déjà-vu li sovrastò. «Conosco un altro modo per trovarla.»
Il suo sguardo era infuocato, le pupille dilatate e la luce che si rifletteva sulla sua pelle caramellata, disegnandone i contorni come in un quadro. Il sole gli baciava il volto ed era un vero e proprio Dio. Quando doveva cominciare un qualsiasi atto fisico era lui a prendere il controllo, mentre lei...
«Lo abbiamo fatto per due notti di fila. Non sei ancora sazio?»
«Non riesco a saziarmi di te. È un bel problema.»
Gin gli levò gli occhiali da sole e guardò i suoi occhi marroni illuminati dai raggi del sole, non si accorse delle pupille dilatate sia per la luce forte che per l'eccitazione in quel momento.
Probabilmente anche le sue lo erano, per come le veniva difficile ammirare quello sguardo da gentiluomo passionale – per quanto fosse dolce e gentile, non metteva mai da parte i propri istinti. Alla faccia del fatto che il gorilla avesse i propri limiti.
Sentì il bacino premere contro il suo e lei cercò di dimenarsi. «N-no, Pete, non possiamo... laggiù c-c'è un tizio che—»
Bruno si voltò per guardare l'altro lato della spiaggia, dove c'era effettivamente un signore in canottiera seduto su una spiaggina. Era troppo impegnato a fare le parole crociate per accorgersi di loro. «Se non urli, non noterà due sposini farsi effusioni su una sedia a sdraio.»
La girò verso di lui e il suo mignolo sfiorò la sua mascella, prima che tutta la sua mano prendesse la sua guancia per toccarla e guardarla con occhi pieni di desiderio. Gin sentì un brivido correrle lungo la schiena per quanto quel suo tocco fosse delicato, il suo odore mescolato all'oceano le riempì il naso fino a farle girare la testa.
«Perché sei così rossa? Abbiamo perfino fatto sesso su una spiaggia.»
Sì, ma di notte. — «Non è la stessa cosa, se...»
«Anche fare petting spinto è ritrovare sana armonia col corpo.»
Non intendeva dire quello. Anzi, forse anche quello. Era la sensazione di essere visti, nonostante fosse un mese morto senza l'ombra di un turista, e quella pressione di sentire la gente chiacchierare sottovoce come se li stessero giudicando. Erano soli in mezzo a quella spiaggia, eppure la paura c'era. Non era come farlo di notte, almeno sapeva di essere circondata dal buio e senza occhi di altri addosso.
Lui nascose il viso contro l'incavo del collo, inspirando il suo profumo naturale mescolato all'oceano. D'istinto lei insinuò la mano sotto l'elastico e lo toccò, sentendolo caldo e duro. Che da un lato fosse la sua ingenuità ad eccitarlo era vero, perché lo era ancora nonostante la fede al dito.
Gin sentì il bacino di lui muoversi, ingigantendo le sue paranoie. «A-asp... Bru—»
«Smettila di parlare, abbracciami» e iniziò a baciarle il collo, godendosi il suono dei suoi gemiti. Lei ricambiò e gli strofinò il viso contro il collo, cercando un po' di calore.
La mano destra uscì dal costume e toccò il suo petto imperlato di acqua salata, nei posti giusti e nel modo giusto, indebolendo il suo autocontrollo. Li conosceva uno per uno. Certo, c'erano tante altre cose che non sapeva del sesso, e voleva scoprirle con lui un po' alla volta.
Poi, una domanda sorse nella propria mente. Una domanda scomoda. «Cosa faresti se Ricky Regal cercasse di conquistarmi?»
Bruno esalò un respiro profondo, baciandola sotto la mascella. «Brucerei ogni suo album da disegno.»
«Dopo aver passato un intero lockdown a disegnare? È crudele da parte tua.»
«So che ti vuole sedurre con un abito di lusso, come so che coglierà l'occasione per guardarti.»
Doveva per forza farsi guardare, sia vestita che mezza nuda, altrimenti come avrebbe potuto Ricky Regal prendere le misure per creare l'abito perfetto? Era il compito di uno stilista, dopotutto.
«È il suo lavoro, Peter.» Lui la fissò, uno scintillio strano gli stava percorrendo lo sguardo. «Che c'è? Sei geloso?»
Oh, sì, che lo era. Geloso di se stesso. «Sì, perché potresti cedere al suo fascino.»
Gin aveva già ceduto troppe volte al fascino metà portoricano di suo marito, quando pronunciava qualche parola in spagnolo. Masticare una lingua giocava molto a suo favore, così come sfruttarla per sedurre una donna. Sedurre lei. E non avrebbe ceduto neanche a quello di Ricky Regal.
«Ma lui non ha quel fascino da figlio di papà che hai te.»
Bruno sorrise compiaciuto, baciandole il collo. Era tentato dal lasciarle un succhiotto, per quanto la sua pelle fosse bella e pulita sotto la luce del sole. Pulita, priva di segni. «E non sarebbe capace di farti sentire la brezza della giungla come me» aggiunse, la voce leggermente roca. «Vero?»
Lei rispose con un mugolio di piacere. Più lui si strofinava, più la fitta si faceva insistente.
Il ricciolino non perse tempo ad intrufolarsi sotto il reggiseno a triangolo del suo bikini per torturarle una punta turgida. Il pollice girava intorno in un modo così erotico da farla impazzire. Gli anelli d'oro sulle sue dita erano perfino gelidi, tanto da farle sentire quel leggero dolore alle punte.
Gin socchiuse le labbra, intenta a gemere, ma uscì solo un suono acuto. Uno squittio.
«Shhh» sibilò, sentendola agitarsi sotto di lui. «Se non vuoi farti scoprire, mantieni la voce bassa e resta abbracciata a me.»
E lo fece, continuando a strofinarsi contro di lui senza sosta. Quella consistenza dura colpì il clitoride con una sensualità tale da invaderle ogni fibra nervosa. I loro ansiti si mescolarono allo sciabordio delle onde. Una delle mani che torturava il capezzolo scostò il triangolo del costume, liberando un seno. Per coprirsi Gin si appoggiò a lui, lasciando che la propria gamba accarezzasse eroticamente la sua. Lui soffocava i gemiti dall'incavo del suo collo, premendosi di più contro di lei per sentire la morbidezza di quelle curve materne.
Sbirciando dalla sua spalla, Bruno notò che lo sconosciuto a dieci metri da loro se ne stava andando. Quando lo vide allontanarsi fra i cespugli rigogliosi e curati, infilò la mano sotto l'altro triangolo di lycra porpora e succhiò il capezzolo libero. La parte più intima di lei pulsava fortemente, moriva dalla voglia di averlo.
«Ah—» Era ad un passo dal chiederglielo, mancava davvero poco, fin quando uno spasmo non la colse di sorpresa. Lo strofinio era intenso, ma riuscì a trattenere la voce nella propria gola e ammiccare al cielo. Il culmine era vicinissimo.
La mano si spostò sulla sua nuca e gliela strinse per sentire il suo respiro caldo, mentre lasciava uscire un grido lacerante e s'inarcava contro di lui per cedere all'orgasmo. La sentì indebolirsi fisicamente e gemere soddisfatta, avvolgendogli le braccia intorno al collo e le gambe intorno alla vita. Un abbraccio appagante che contagiò anche lui.
«Come ti senti, ora?»
Lei sogghignò, ancora ansante. «In perfetta armonia.»
«Quando ne avrai ancora bisogno, non esitare a farmi un fischio» ammiccò, strizzando l'occhio.
In tutta risposta, ricevette uno schiaffo sulla spalla e scoppiò in una risata soffice. Timido, ma impertinente.
«Ti sei abbrustolito un po'.» Gin aprì il vasetto di crema rinfrescante. «Stai fermo, altrimenti non riesco a metterla.»
Bruno rilassò le spalle, seduto sul divanetto della veranda vestito tutto di punto. «Meglio, così mi lascerò bruciare tra le fiamme della lussuria. Punte rossastre che mi accecano, mi sciolgono...»
«Sei parecchio ispirato.»
«Quel petting sulla spiaggia ha fatto bene alla mia vena artistica.» Si lasciò sfuggire un sogghigno perverso, guardandola ancora in costume mentre lasciava che la crema rinfrescante si assorbisse sulle gote. Era quasi tentato dal rifarlo.
«Penso che per stasera eviterò di accarezzarti le guance.»
«Dovrai avermi così stanotte, purtroppo.»
«Mi andavi bene anche croccante» scherzò, stampandogli un leggerissimo bacio sulla punta del naso. «Vado a prepararmi.»
Lui restò a bocca asciutta e per la prima volta gli andava bene. Del resto, era sazio abbastanza per poter passare una serata rilassante. Passò una lunga mezz'ora e Gin uscì dalla cabana, presentandosi con un abito da sera rosso con scollo profondo e spacco alto. La gonna era lunga e al posto dei tacchi vertiginosi, aveva un paio di ballerine con un piccolo accenno di tacco – non se ne sarebbe mai liberata.
Bruno aveva scelto il meglio per sua moglie: un lounge con vista panoramica. Non era tanto distante dalla loro cabana, motivo per cui avevano scelto di uscire prima e approfittarne per fare una romantica passeggiata al tramonto. Non si erano lasciati la mano per tutto il tempo, venendo accolti dalle luci soffuse e i colori caldi della lobby. L'architettura ricordava quella imperiale di Las Vegas, ma lo stile isolano non mancava mai. La vista sul resort donava un'atmosfera più rilassante e lussureggiante. Il cielo aveva iniziato a tingersi di arancione, creando giochi di luce sulla distesa di verde sotto di loro e raggi penetranti fra le foglie delle palme. Il luogo perfetto per quella serata.
Gin si girò a guardare suo marito. Stava cominciando ad abituarsi a quella versione di lui formale, dove a farla da padrone erano il beige e il bianco. La camicia di seta che indossava aveva le maniche arrotolate fino a metà braccio, lasciando i tatuaggi scoperti. Dopo averle lasciato la mano, le offrì il braccio e lei lo intrecciò senza farsi domande.
«Puoi scegliere quello che vuoi, non badare a quanto costano.»
«Possiamo prendere uno spuntino, oggi stranamente non ho tanta fame.»
Lui esitò, poi annuì. Nemmeno lui ne sentiva il bisogno. «E sia.»
Il maître li accolse e li accompagnò ad un tavolo situato accanto alla vista panoramica, porgendo loro il menù e consigliando qualcosa di tipico – dopo aver notato che la signora era straniera. Ordinato quel che volevano, restituirono il menù al maître, che si allontanò dopo l'ultima parola di Bruno nella lingua madre. Rimasti soli, ne approfittò per ammirare la collana dal pendente d'oro con la palma incisa al centro, che nascondeva a sua volta il ciondolo a croce. Non c'era nessuna canottiera a rovinare quella scollatura vertiginosa.
«Mi piace vederti così.»
Le sue orecchie si raddrizzarono da dietro i suoi ricci. «Così come?»
«Così...» ripeté, abbassando lo sguardo sulla propria manicure. «Monocromatico.»
«Qualche volta me lo concedo, ma sono terribilmente ossessionato dalle fantasie.»
Ed era vero, tranne quando doveva rispettare un dress code preciso o andare sul sicuro quelle poche volte in cui non sentiva la necessità di vestirsi sfarzoso. Non rinunciava mai alla semplicità neanche quando doveva partecipare ad eventi esclusivi. Doveva ammettere che i suoi gusti erano strani, o da boomer, detto nello slang odierno.
Bruno era rimasto immerso nei pensieri da non accorgersi che Ginevra aveva lo sguardo rivolto verso il panorama, per qualche motivo smarrito. «Gin» la richiamò, ma lei non si girò a guardarlo. «Vuoi che ti prenda qualcos'altro?»
«N-no, sono a posto.» Poco dopo smise di guardare la luna che sorgeva in lontananza, concentrandosi sul centrotavola floreale dalle tonalità bianche e rosa. «È così strano uscire con te in pubblico, senza avere paura che tutti ci guardino male.» O forse era l'atmosfera solidale hawaiana a farle quell'effetto. «Mi sembra di vivere una vita parallela.»
«Non devi più averne, non ci sono più ostacoli fra noi» la rassicurò con un sorriso, ma poi s'inumidì le labbra, vergognandosi di ciò che stava per dire. «A parte la mia ignoranza sui social.»
Lei subito lo rincuorò. «Credimi, neanch'io ci vado tanto d'accordo. Li aggiorno giusto per non lasciarli morire lì, o quando sei tu a condividere sulle stories quello che non devi.»
L'ultima frase lo colpì in particolar modo. «Cioè?»
«Le foto di Rihanna in lingerie, ad esempio.»
Lui sogghignò. Di nuovo quella storia. Tuttavia, l'immaginazione aveva iniziato a fare spazio ai suoi desideri più nascosti. Guardò il disegno del suo seno dalla scollatura, le pupille lievemente dilatate. «Perché se condividessi te con quella lingerie sexy, diventerei geloso.»
Lei rispose al suo sorriso. «Bene, ora sai cosa provo io, quando ti mostri con quella scollatura.»
Poco dopo, avevano entrambi in mano un cocktail. Quello di lei era una bevanda rosata con un'intera fetta d'arancia al suo interno, mentre quello di Bruno era un semplice rum con ghiaccio. Insieme a loro, qualche stuzzichino salato per accompagnarli. Da quel punto di vista erano l'opposto, anche se nessuno dei due avrebbe rinunciato all'altra opzione.
Bruno alzò di poco il suo bicchiere. «Alla nostra nuova vita da sposati.»
«Alla salute» e fecero tintinnare i bicchieri, per poi bere qualche sorso del proprio cocktail.
Ginevra non gli tolse mai gli occhi di dosso e la sua espressione esprimeva così tanta passione che gli ricordava il modo in cui lo guardava sua madre quando le parlava. Il ricordo lo rese un po' nervoso, ma non glielo fece notare. Continuò la sua recita da donjuán e ricambiò il suo sguardo con uno pieno di lussuria.
«Eri serio poco fa, vero?»
«Non potrei mai esserlo, ti priverei di una libertà sacrosanta.» Posò il gomito sul tavolo e appoggiò il mento sulla mano, continuando a stuzzicarla. «E comunque, vale anche sia il bikini bianco e sia La Coupe Des Dieux. Devi imparare a lasciarti andare ogni tanto.»
Quest'ultimo lo aveva portato con sé, lo avrebbe indossato il giorno dopo per andare in piscina. Lo sapeva, perché lo aveva intravisto nella sua valigia. Si chiedeva se ci fosse anche la vestaglia, sarebbe stata l'abbinata perfetta.
«Ho posato già due volte con quel costume. E poi, perché insisti tanto nel vedermi più succinta?»
Le prese la mano e lasciò che i loro mignoli s'intrecciassero amorevolmente. Guardò l'anulare sinistro che portava la fede nuziale e l'anello di fidanzamento, perfettamente uniti sulla stessa mano. Sarebbe stato ancora meglio rivedere quel vecchio solitario d'oro bianco, ma in cuor suo sapeva che lo aveva conservato in un posto speciale – parole sue.
«Perché sei bella e voglio che il mondo lo sappia.» Le punte delle sue labbra si sollevarono e le pupille si dilatarono. «Ti farei una foto anche adesso, sai?»
«Meglio conservarmi nella tua memoria» sorrise timidamente, guardando le loro mani unite.
La notte era finalmente calata, riempiendo il cielo di stelle e lasciando che la luna piena illuminasse il panorama di una luce bianca, limpida e romantica. «Sai, Gin, non ho mai visto la luna così bella come la notte in cui la vidi con te.»
Quella frase così dolce e romantica la colse alla sprovvista. «Questa è di Prince.»
«Lo so, ho esaurito la fantasia.»
Lei inarcò un sopracciglio. «Tu, Bruno Mars, hai 'esaurito la fantasia'?»
«Anche la creatività può abbandonarti, talvolta» ammise, grattandosi la nuca con la mano libera, «ma questa frase calzava a pennello in questo momento.»
Il cuore di Gin iniziò a battere forte, invasa dal calore della sua mano. «Te lo concedo.»
In effetti aveva ragione. Alcuni ricordi era meglio tenerli dentro di sé, specialmente i più belli.
«♫»
Bruno si svegliò circondato dal buio e accese la lampada accanto per farsi un po' di luce. Guardando il display del telefono, capì che era ancora notte. Si sentiva ancora pieno di energie per poter dormire, mentre Gin invece dormiva con la bocca socchiusa e la frangia completamente in disordine. Gliela sistemò un po' con le dita, osservandola dormire profondamente, sfiancata dopo tutto l'amore che si erano dati appena tornati sul letto. Era l'occasione giusta per prendere la sua chitarra.
Si alzò dal letto e aprì la custodia, tirandola fuori con estrema delicatezza assieme al suo vecchio taccuino – lo stesso dove aveva scritto la loro canzone. Un ricordo che ancora custodiva gelosamente e di cui mai si sarebbe separato. Tornato seduto accanto a lei, accordò la chitarra e la sentì muoversi sotto le lenzuola per mettersi più comoda e un seno si scoprì appena.
Ogni volta che la guardava, Bruno sentiva la felicità invadergli ogni parte del corpo. Oltre a dedicarsi alla musica, poteva fare altrettanto anche con lei. Avevano una famiglia, una lunga vita da passare insieme. Nessuna donna sarebbe mai potuta essere come lei, capace di farlo sentire bene anche nello spirito – un concetto estremamente sacro per lui.
Aprendo il taccuino, ricordò le parole che aveva dedicato a sua moglie durante il ricevimento. L'unica tragedia era stata lasciarla andare, avrebbe dovuto lottare al suo fianco fino alla fine e non cedere a quel desiderio materialista. Pur di non commettere lo stesso errore di Elvis, aveva finito col commetterne uno peggiore e non riusciva a perdonarsi, seppure Dio li avesse uniti.
"Il nostro amore è l'unica guerra per cui valga la pena combattere".
Perché l'amore era anche sopravvivenza, il doverlo fare insieme. Lo scopo di un matrimonio era quello di combattere insieme, costava quel che costava. Quei pensieri mossero la propria ispirazione ed iniziò a scrivere.
Lei mi ama come io amo lei, è reciproco.
Il nostro amore fa invidia, questo è vero.
Tanti anni a cercarci, chiamarci per nome, evocarci nei nostri sogni, e abbiamo finalmente avuto la nostra rivincita.
Siamo più forti, nulla più ci spaventa.
Siamo io e te, adesso. Io, te e quel bozzolo che d'ora in poi chiamerò "noi". Quel dolce nido dove poterti amare, onorare, e amarti ancora (e ancora).
Finché sarai tu a tenermi per mano, porterò con me ogni tua nota, ogni tuo spartito. Perché la tua voce è melodia idilliaca.
Quella che mi cullerà fino alla fine, quando esalerò l'ultimo respiro e mi lascerò morire con un sorriso.
N.A. (parte uno)
Buonasera, popolo! Innanzitutto... Scusate, scusate, SCUSATE! Non so proprio come farmi perdonare per questo bruttissimo ritardo. Purtroppo, nonostante il capitolo finito, non mi convinceva per niente. Non volevo renderlo né troppo noioso né troppo spicy. Non mi convince neanche ora, se devo essere sincera, ma ho modificato fin troppo.
Spero comunque possa piacervi, anche perché ci tenevo a finire il wedding-gate e dare un lieto fine ai #brinevra. Se avete letto tutta la serie, sarete sicuramente felici e commossi quanto me... che bello, si sono sposati. Adoroooo! (ç.ç)
Non so quando aggiornerò di nuovo, spero per metà ottobre, perché per il giorno del mio compleanno ho in mente millemila idee per questa serie (hehehe). E mi raccomando, non dimenticatevi il nome di Ricky Regal, perché nella prossima OS dedicata ai #brinevra, lo ritroverete. Buona domenica a todos!
- Gloria -
N.A. (parte due)
"Hauʻoli i ka mahina meli" = "felice luna di miele" in hawaiano.
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