- CAPITOLO 1
Fin dall'adolescenza Hyunjin aveva avuto problemi di concentrazione che lo portavano a distrarsi in classe e durante lo studio a casa. Non faceva altro che prendere voti insufficienti e i professori lo esortavano a seguire meglio le spiegazioni, a trovare un metodo di studio migliore. Aveva provato quindi con lo studio in biblioteca: forse vedere tante persone sui libri lo avrebbe stimolato a fare lo stesso.
Era proprio nella biblioteca della scuola che aveva incontrato Jisung, che era lì per lo stesso motivo: problemi di concentrazione, materie da recuperare. Avevano provato ad aiutarsi l'un l'altro negli argomenti in cui avevano difficoltà. Jisung sembrava una persona intelligente: capiva sempre al volo ogni spiegazione di Hyunjin, al contrario di Hyunjin che faticava a stare dietro e ogni volta Jisung si ritrovava costretto a raccontare come se lo stesse facendo a un bambino delle elementari, talvolta anche con qualche disegno semplificato.
Il loro metodo di studio aveva funzionato per qualche settimana, fino al momento in cui smisero di parlarsi: Hyunjin gli aveva confessato di essersi innamorato di lui. Jisung, rimasto confuso e con una sensazione di disagio, lo aveva respinto bruscamente e si era affrettato a cambiare tavolo.
Hyunjin a questo punto si era rassegnato che le cose non sarebbero andate diversamente dal solito. Era abituato a essere visto come "strano", un "playboy", tanto da non venir mai preso sul serio. Era abituato a essere definito "colui che si innamora di tutti" senza mai effettivamente sapere il perché di quella condizione. Gli capitava spesso di innamorarsi di una persona diversa, ma sentiva che i sentimenti d'amore che iniziava a provare verso l'altro non erano completamente naturali e spontanei.
Inizialmente aveva provato a reprimere le sue emozioni, ma quando lo faceva iniziava a perdere la ragione: la notte non dormiva, le sue capacità di concentrazione si abbassavano a zero, si irritava facilmente, era agitato e perdeva l'appetito. Alcune volte aveva resistito senza dichiararsi per qualche settimana e aveva cominciato a sentire un costante mal di testa, nausea, ansia, vertigini. Aveva dunque compreso che l'unico modo per impedire che ciò accadesse era confessare i suoi sentimenti alla sua cotta; quando ciò accadeva, finiva tutto immediatamente. Il delirio, l'amore.
Prima di quel periodo non aveva parlato di ciò a nessuno, temeva che le altre persone l'avrebbero preso per matto. Certo: era considerato ugualmente strano, soprattutto perché non aveva un reale interesse a fidanzarsi con nessuno; ma almeno aveva la possibilità di fingere che tutto ciò lo facesse per divertimento, per prendersi gioco dei sentimenti altrui.
Il silenzio tra Hyunjin e Jisung era durato due mesi, o forse tre; non lo ricordava con precisione. Ma poi si erano incontrati ancora nella mensa della scuola. Hyunjin si era seduto al tavolo da solo, come al solito, e Jisung accanto a lui. Quest'ultimo aveva confessato di aver avuto un litigio con i suoi amici e non se la sentiva di stare con loro, ma non aveva mai specificato quale fosse la causa. Infatti era soltanto una scusa, la verità era che la compagnia di Hyunjin gli era mancata ma non sapeva come riavvicinarsi a lui.
«È libero?»
Hyunjin alzò lo sguardo dal piatto, sorpreso di sentire di nuovo quella voce. «Vedi qualcuno seduto?» Non si era arrabbiato per il rifiuto ricevuto settimane prima, ma credeva comunque che una risposta sgarbata Jisung la meritasse. Dopotutto anche l'altro gli aveva risposto male, quando lui si era dichiarato.
Jisung si limitò a sbuffare ma non replicò e si sedette al suo fianco. Non aveva voluto posizionarsi di fronte poiché sapeva che non sarebbe riuscito a reggere il suo sguardo, uno scontro diretto; non voleva nemmeno far sembrare quel dialogo un interrogatorio, ma piuttosto una conversazione tra amici.
I minuti di silenzio, però, erano diventati troppi da sopportare, la tensione era alta. Tanto che entrambi avevano deciso di aprire bocca nello stesso momento. «Mi dispiace.» Entrambi alzarono lo sguardo dai loro piatti e si voltarono l'uno verso l'altro.
«Cosa?» chiese Hyunjin, non certo di aver capito bene.
«Mi dispiace,» ripetè Jisung, «mi sono comportato male, scusami per come ti ho rifiutato. Non è che mi dia fastidio che siamo entrambi maschi, quello non è un problema, non voglio che tu pensi questo. È che io non me l'aspettavo, nel senso, mi avevi colto di sorpresa, e tu non mi piaci, sul serio io non... non volevo, non avevo capito, cioè, io...»
«Stai tranquillo, è tutto a posto, non ci ho dato peso.»
«Non importa che tu ci abbia dato peso o meno, non avrei comunque dovuto essere così cattivo con te.»
«Stai tranquillo, ripeto che va tutto bene. Non mi piaci più.»
«Non ti piaccio davvero o lo dici solo per zittirmi?»
«Entrambe le cose.»
Jisung sbuffò esageratamente e in un primo momento non sapeva esattamente come riprendere il discorso, quindi provò a ripartire da capo. «Tu perché ti sei scusato, invece?»
«Non so. Penso di averti fatto sentire a disagio.»
«Ehi, non mi hai messo a- okay, forse sì, ma non serve che ti scusi. Era un bel gesto. Non è facile ammettere di amare qualcuno.»
Di fronte al silenzio di Hyunjin, Jisung aveva cominciato a pensare di aver detto qualcosa di troppo. Passati dieci secondi, si era azzardato a voltarsi di nuovo verso l'altro; stava per parlare di nuovo, quando finalmente fu Hyunjin a farlo. «Dopo un po' ci si fa l'abitudine.»
In mezzo alla confusione della mensa, inizialmente Jisung aveva faticato a capire cosa avesse detto l'altro. «Che hai detto?» chiese quasi d'impulso, ma ritirò la domanda quando ebbe elaborato le parole di Hyunjin «Niente, ho capito.» Però si ritrovò a riflettere di nuovo sulla frase dell'altro. Tornò a osservarlo senza ribattere, aspettando che si spiegasse meglio.
«Se stai aspettando spiegazioni stai perdendo tempo» disse Hyunjin, capendo la ragione del suo silenzio.
«Però ho sentito le voci su di te.»
«Quindi?»
«Io non ti voglio giudicare in base a quello che dicono gli altri.»
«Eh, bravo.»
«Però voglio capire se dici davvero alle persone di amarle solo per divertimento come dicono tutti, o se invece c'è una ragione dietro il tuo comportamento. Sì, insomma, dubito che tu ti innamori realmente di una persona diversa ogni due giorni... Va bene avere tante cotte ma così mi sembra esagerato...»
«E se invece fosse così?»
«Eh?» replicò Jisung, sorpreso dalla sua risposta.
Hyunjin aveva cominciato a fissare il suo piatto, ebbe un momento di esitazione. «Senti, perché non te ne vai? Vai con i tuoi amici, che ne so.»
Jisung storse il naso, infastidito dal fatto che avesse lasciato il discorso a metà. «No, ho litigato con loro poco fa.»
«Perché?»
«Sono fatti miei.»
«E perché io dovrei rispondere alle domande che mi fai tu? Anche quelli sono fatti miei.»
Dopo l'affermazione di Hyunjin era caduto di nuovo il silenzio. Jisung aveva iniziato a muovere nervosamente la gamba. Non aveva intenzione di lasciar cadere la conversazione, ma non voleva nemmeno obbligare l'altro ad aprirsi: in fondo non erano nemmeno così amici, forse stava risultando troppo insistente. Non era mai stato bravo a interagire con le altre persone, tendeva sempre a dire la cosa sbagliata.
Però a quel punto Hyunjin aveva deciso di parlare. Non sapeva nemmeno lui stesso perché avesse preso questa decisione: Jisung non era la prima persona insistente che incontrava e a lui i testardi nemmeno piacevano. C'era parecchio da ridire sui suoi modi di interagire, ma non sembrava avere cattive intenzioni. Hyunjin non si sentiva infastidito da lui come voleva far credere, o almeno non troppo; non lo credeva una cattiva compagnia.
E forse gli diede la spinta di parlare anche il fatto di aver bisogno di un amico al suo fianco.
«Mi innamoro davvero di tutte quelle persone.»
Jisung lo guardò con stupore, annuendo soltanto per invitarlo a proseguire senza interromperlo. Sapeva che non avesse ancora finito di parlare.
«Quel giorno mi ero davvero innamorato di te, i sentimenti li vivo come se fossero reali..» Quando ebbe finito di dire l'ultima parola, si alzò in piedi e prese il suo vassoio, ormai privo di cibo.
A Jisung sembrò bastare: a sua volta si era alzato in piedi e aveva afferrato il suo vassoio, seguendolo. «Ehi, non andare via così. Anche domani voglio pranzare con te.»
«Rispondi alle domande senza pensarci troppo, va bene?»
«Va bene, ma non sono sicuro che...»
«Colore preferito?»
«... Bianco e nero, anche se non sono-»
«Non dilungarti. Numero preferito?»
«Non credo di averne uno.»
«Dai, dì un numero a caso, a sentimento. Quello che ti ispira di più.»
«Okay... Nove.»
«Perché proprio il nove?»
«A caso.»
«Uh, okay. Ora, cosa pensi che sia più imbarazzante tra vomitare in classe mentre vieni chiamato alla lavagna e-»
«E non voglio neanche sapere la seconda opzione.»
Da quando qualche mese prima Jisung era venuto a conoscenza del problema, aveva fatto di tutto per cercare di scoprirne la causa. Prima di tutto aveva indagato sull'infanzia di Hyunjin, ma quest'ultimo non aveva molti ricordi del passato - o almeno, non utili per trovare una risposta.
«Quindi, queste domande a cosa servivano?» chiese Hyunjin, mentre appoggiava la testa sul cuscino del letto dei genitori di Jisung. L'altro, invece, era seduto al suo fianco a gambe incrociate e teneva tra le mani alcuni fogli, e appoggiato sulle gambe c'era un portatile con una quantità innumerevole di pagine Google aperte.
«Non lo so, test psicologico...? Diciamo che le domande servono in ogni situazione» replicò Jisung, sollevando il mento come a darsi importanza «un po' come diceva Socrate: la verità è dentro ognuno di noi e bisogna tirarla fuori.»
Hyunjin si limitò a fissarlo con un sopracciglio alzato, non molto sicuro di cosa intendesse. Apprezzava i tentativi dell'altro di dargli una mano, ma a volte se ne usciva con argomenti filosofici che conosceva soltanto lui. «A-ha, certo.Per merito di queste domande sono riuscito a comprendere le radici del problema, ti sono debitore e grato per l'aiuto che mi hai offerto.»
«Non c'è di che» sorrise Jisung, ignorando il fatto che l'affermazione dell'amico fosse intrisa di sarcasmo. Dopodiché girò il portatile verso l'altro, in modo da permettergli di vedere lo schermo.
Hyunjin si tirò su reggendo il peso del corpo con i gomiti, dopo aver alzato gli occhiali da sole e averli sistemati tra i capelli. Aveva preso il vizio di indossarli sempre, anche dentro casa; un po' perché a suo parere gli davano un'aria più carina, ma soprattutto perché la luce -naturale o artificiale che fosse- dopo un po' cominciava a dargli fastidio, per cui li abbassava sul naso per evitare di sentire dolore agli occhi. Specialmente nei momenti in cui aveva mal di testa.
Diede una veloce occhiata alla pagina che Jisung gli stava mostrando: "Koi no Yokan" era il titolo. Sotto a questo c'erano scritte molte altre parole, ma a Hyunjin non andava di leggerle; alzò lo sguardo verso Jisung e rimase in silenzio, in attesa di spiegazioni.
«È giapponese: premonizione d'amore penso sia la traduzione più vicina.»
«Pensi che sia quello che ho io?» chiese Hyunjin, tentando di farlo arrivare al sodo.
«Beh, in realtà non è che c'entri molto con il tuo problema, credo... "Koi no Yokan" è quando incontri una persona per la prima volta e hai la sensazione che ti innamorerai di lei. È diverso dal colpo di fulmine: qui, si parla soltanto della sensazione, i sentimenti veri e propri non esistono ancora. È una premonizione d'amore, appunto. E mi viene da supporre che accada una sola volta, o magari due, invece tu provi questi sentimenti con... praticamente ogni persona che vedi...?»
«Non c'entra nulla con me.»
«Dai, un pochino c'entra, non essere così rude. Sempre di amore si tratta, no? ... Dai, non guardarmi così... Okay, forse hai ragione. Però è una cosa carina, no?»
«Lascia perdere» borbottò Hyunjin dandogli la schiena.
A quelle parole Jisung ammutolì. Tenne lo sguardo fisso su Hyunjin -o meglio, sulla sua schiena- e cercò di ragionare sul da farsi. Forse avrebbe potuto dargli un abbraccio, ma sapeva che da lui il contatto fisico non sarebbe stato apprezzato. Hyunjin non gliene aveva mai parlato esplicitamente, però la maggior parte delle volte che aveva provato a toccarlo si era spostato. Le prime volte Jisung ci era rimasto male, in fondo gli abbracci erano il suo linguaggio d'amore, ma poi ci aveva fatto l'abitudine e aveva cercato di infastidirlo il meno possibile.
Se fosse stato per Jisung, forse, avrebbe ribattuto ancora; ma decise di mollare la conversazione almeno in quel momento. Chiuse il portatile e lo appoggiò sul materasso, sopra ai vari fogli dispersi su di esso. «È quasi ora di cena. Mangiamo con i miei genitori o preferisci uscire?»
Questa volta Hyunjin voltò la testa verso di lui. Notando il sorriso sul suo volto, Jisung sorrise a sua volta: era contento di essere averlo tirato su di morale. «Prendo per buona la seconda opzione. Vado a prendere la mia felpa.»
«Non osare, prima metti in ordine il casino che hai fatto su questo letto.»
«Non puoi darmi una mano tu a sistemare?»
«Ma non ci penso nemmeno.»
•~•~•~•~•
Era difficile descrivere quella sensazione di vuoto che provava ogni volta che si buttava a letto. Sapeva che sarebbe riuscito ad alzarsi se avesse provato a farlo ma aveva l'impressione di essere completamente privo di energie. Forse il motivo era che non aveva nemmeno una vera e propria ragione per alzarsi. Cercava di concentrarsi sul suono del continuo battere sui tasti del computer per evitare di pensare ad altro. Ma si ritrovò a pensare a quanto avrebbe desiderato alzarsi dal letto e affiancare Jisung nello studio anziché stare disteso a dormire. Non aveva più il coraggio di iscriversi a un'università, aveva superato il limite di età per proseguire gli studi. Non che ci fosse davvero questo limite, ma dalla sua prospettiva e per quanto riguardava lui e lui soltanto, era troppo in ritardo.
Si rigirò sul letto da una parte all'altra nel tentativo di trovare una posizione comoda, qualsiasi cosa che potesse farlo addormentare. Quando si distendeva in un modo sentiva il mal di testa arrivare, dall'altra parte il cuscino era scomodo. Sospirò profondamente e affondò il viso nel cuscino per attutire un lamento esasperato. Sentì il suono della sedia girevole, probabilmente Jisung si era girato a guardarlo per controllare se andasse tutto bene. Poi sentì di nuovo lo stesso rumore, e riprese anche quello del computer.
«Penso sia ora di cena.»
Hyunjin lentamente sollevò le palpebre, davanti a sé vedeva il muro giallo. Mugugnò in risposta qualcosa che si avvicinava a "ora mi alzo", ma aspettò che Jisung uscisse dalla stanza prima di decidersi a seguirlo. Si alzò dal letto e si sistemò per quanto poteva i capelli e i vestiti spiegazzati a causa degli spostamenti sul materasso.
«Domafi fado a cafa fi Minfho.»
Hyunjin alzò lo sguardo dal piatto, tentando di capire che cosa fosse appena uscito dalla sua bocca. «Eh?»
«Jisung, non parlare quando hai la bocca piena» lo rimproverò difatti la madre, anche se con un sorriso divertito sulle labbra.
Il padre, invece, era ormai abituato all'abitudine del figlio di parlare anche quando aveva il cibo in bocca, ragion per cui non gli risultava difficile comprenderlo. «Anche domani esci? Da quando hai così tanti amici?»
«Ehi, io ho sempre avuto amici» si affrettò a rispondere Jisung, dopo aver inghiottito un altro boccone.
«Chi è Minho? Non ho presente in questo momento...»
«Ma come no, papà? Lo nomino sempre!»
«Intendi quello che vive vicino alla pasticceria?»
«No, quello è Seungmin! Ho detto Minho, papà, non Seungmin. Minho è quello che abita nello stesso quartiere della mia vecchia scuola superiore, lui è venuto anche qui a casa qualche volta. Ormai dovresti conoscerlo, te ne parlo spesso... Hai presente? Alto poco più di me, moro, poi... Non lo so, non farmelo descrivere fisicamente, non sono capace. Dai, papà, è quello che aveva fatto cadere per terra tutte le uova che avevamo preso dalle galline della nonna.»
Il padre aveva tenuto per tutto il tempo la fronte corrugata, non capendo a chi si stesse riferendo, ma all'ultima affermazione emise un sonoro "aah" e annuì.
Hyunjin, invece, era ancora fermo all'altro nome che aveva detto. Battè le palpebre confuso e rivolse lo sguardo a Jisung. «Chi è Seungmin?»
Jisung si fermò un attimo prima di rispondere. «Un amico di Jeongin e Minho. Non lo conosco molto bene.»
Hyunjin annuì e avrebbe anche deciso di credergli se soltanto Jisung non si fosse irrigidito durante quella conversazione. Tentò di chiedergli se andasse tutto bene alzando un pollice in su -erano presenti i suoi genitori quindi non voleva chiederglielo a voce- ma Jisung stava guardando altrove e non colse il gesto.
Dopo cena Jisung era andato a fare una doccia, mentre suo padre era andato in camera e stava aspettando il suo turno per il bagno.
Hari, la madre, si diresse in soggiorno e si sedette sul divano, invitando Hyunjin a fare lo stesso. Non avevano niente da fare: a breve sarebbero andati a dormire, ma non era ancora arrivata l'ora; per cui l'unica cosa che potevano fare era sedersi davanti alla televisione in attesa che gli altri due finissero di lavarsi. Passarono i minuti a guardare la tragedia spagnola che stavano trasmettendo in televisione in quel momento.
«Di cosa stai parlando, Carlos?» stava dicendo un personaggio femminile.
«Hai capito bene, Marcéla. Io ti lascio.» Era stato un personaggio maschile a parlare, senza dubbio Carlos, e Hyunjin storse il naso: non capiva perché in ogni serie TV i due protagonisti -o almeno, intuiva che quelli fossero i personaggi principali- finissero sempre per interrompere la relazione. Tanto finivano sempre per sistemare le cose e ricominciavano a frequentarsi.
«Carlos, non puoi farlo! Io ti amo!»
«Anche io, Marcéla, anche io. Ti amo davvero troppo. Ma questa relazione non può continuare.»
«Perché dici così, Carlos? Possiamo sistemare le cose, sistemeremo tutto. Te lo prometto, io-io proverò a...»
«No, Marcéla, non possiamo. Mi dispiace.»
Hyunjin sussultò quando sentì qualcuno scuotergli il braccio: era immerso così tanto nel programma che non aveva sentito la donna che cercava di richiamare la sua attenzione.
«Hyunjin! Stai bene? È così interessante la telenovela?» gli chiese divertita Hari e, quando notò che tutta l'attenzione del ragazzo era su di lei, proseguì. «Eri proprio preso, non mi hai nemmeno sentita parlare! Non eri tu a pensare che questi programmi sono tutti uguali e tremendamente noiosi?»
Hyunjin rimase qualche secondo in silenzio per metabolizzare le parole della donna. «Scusami, ero troppo preso, hai ragione. Nonostante siano tutte uguali in fondo sono interessanti.»
«Anche mia madre diceva la stessa cosa.»
«Effettivamente di solito questi programmi li guardano i... Ehi, mi stai dando dell'anziano?»
Hyunjin non ricevette risposta, ma dal sorriso che era spuntato sul volto dell'altra intuì che la risposta fosse affermativa. Perciò le rivolse uno sguardo acido, anche se più comico che realmente offeso.
Hari si lasciò sfuggire una risata e, dopo un breve silenzio, puntò i suoi occhi in quelli del ragazzo. «Comunque dicevo seriamente, quando ti ho chiesto se andasse tutto bene.»
«Cosa?»
«Questa sera mi sembri un po' assente.»
Hyunjin la fissò in silenzio, era incredibile quanto lei fosse attenta nei suoi confronti nonostante non fosse sua madre biologicamente; e non lo era in nessun modo, ma Hyunjin aveva cominciato a considerarla tale da molti anni. I suoi genitori non gli avevano mai dato sostegno, perciò aveva cominciato ad aggrapparsi alla figura di Hari. Le prime volte si era sentito a disagio nei suoi confronti: era soltanto un ragazzo che non aveva mai ricevuto un affetto simile da parte di un adulto quindi non credeva nemmeno possibile che potesse esistere un rapporto del genere con un genitore. Aveva cominciato a pensare che fosse normale non andare d'accordo, Hyunjin non si sentiva amato da loro. Aveva sempre saputo che mancasse qualcosa, ma non aveva mai compreso cosa fino a quando non aveva conosciuto Hari e Yejun; da loro aveva ricevuto l'amore e il sostegno che fino a prima non aveva mai avuto.
Di fronte al silenzio di Hyunjin, la donna sospirò e puntò di nuovo lo sguardo sullo schermo, nonostante non stesse realmente prestando attenzione al programma. «Non parlarne, se non ti va. Ma se hai bisogno di aiuto per qualsiasi cosa io sono disposta a darti una mano. Parla anche con Jisung, hm?»
«Lo farò.» bisbigliò Hyunjin
La donna sospirò, poi si alzò. Non aveva fatto commenti riguardo la sua precedente risposta, Hyunjin aveva quasi temuto che non avesse sentito le sue parole. «A domattina» disse, e Hyunjin la salutò allo stesso modo.
Erano passati circa venti minuti da quando Hari era andata al piano di sopra, e a quel punto arrivò Jisung. Hyunjin inizialmente non l'aveva sentito arrivare: stava ancora guardando la telenovela.
«Marcéla, ascoltami: sono sicura che a Carlos tu piaccia ancora.» Questa volta a parlare era stata la migliore amica della protagonista: Dolores. Da ciò che era riuscito a intuire durante la visione, le due donne erano amiche da ormai molti anni.
«No, Dolores, lui adesso mi odia... Ho rovinato tutto per colpa di quella stupida, inutile scommessa. Ormai l'ho perso, Dolores...»
«Ti stai sbagliando, Marcéla. Carlos andrebbe all'inferno per ritrovarti.»
«Carlos andrebbe all'inferno per ritrovarti» recitò Jisung in contemporanea all'attrice con fare drammatico, con tanto di mano al petto, mentre si sedeva al fianco di Hyunjin.
Quest'ultimo voltò la testa verso di lui, sorpreso dal fatto che conoscesse la battuta. «Ma stai bene?»
«Mia nonna guardava ogni settimana questa telenovela, la trasmettevano spesso» si giustificò Jisung «Piuttosto mi chiedo perché tu la stia guardando.»
«Perché è interessante.»
«Anche mia nonna diceva la stessa cosa.»
Hyunjin lo fissò per qualche istante: sua madre e lui avevano ribattuto allo stesso modo, tanto che ebbe la sensazione di aver già avuto quella conversazione. Osservò attentamente anche il sorriso di Jisung: anche quello l'aveva ereditato da Hari, e tutto questo unito ai lineamenti simili gli faceva quasi credere che stesse parlando di nuovo con la madre anziché che con il figlio. «Tu e tua madre dite sempre le stesse cose.»
«Che ha detto?»
«Quello che hai detto tu» rise Hyunjin, per poi alzare lo sguardo verso la testa dell'altro. Passò le dita in mezzo ai suoi capelli umidi e commentò: «Sono ancora bagnati.»
«Si asciugheranno da soli» dissentì Jisung.
«Poi ti lamenti quando ti viene il raffreddore.»
«Dai, sono corti, si asciugheranno in fretta.»
Alla fine, però, Hyunjin riuscì comunque a convincerlo a non andare in giro con i capelli che sgrondavano acqua. Fece sedere Jisung sullo sgabello bianco del bagno e gli ordinò di non muoversi fino a quando non avrebbe finito, affermazione alla quale Jisung rispose con un non tanto convinto "certo non ti preoccupare". Dopo aver preso il necessario cominciò ad asciugargli i capelli, passando le dita tra le sue ciocche scure. Dal riflesso sullo specchio si accorse che Jisung stava tenendo gli occhi chiusi, si era rilassato. Cominciò a sorridere anche lui e proseguì il suo lavoro con delicatezza, questa volta con lo sguardo sulla testa di Jisung. Quando erano adolescenti erano frequenti le volte in cui si era ritrovato ad asciugargli i capelli per il semplice motivo che a Jisung non andava di farlo, ma in fondo anche perché Hyunjin riusciva a sistemarglieli in un modo migliore: se fosse stato per Jisung sarebbe andato in giro con i capelli sparati per aria, non li sapeva gestire. Per un attimo Hyunjin aveva come la sensazione di essere tornato a quei giorni, non gli dispiaceva.
Non ci impiegò molto tempo, alla fine Jisung si alzò e si affrettò a uscire dal bagno per permettere a Hyunjin di prepararsi. Ma, prima di voltare l'angolo, si girò verso di lui un'ultima volta. «Se mi vedi dormire quando vieni in camera non fare troppa confusione. Anche perché i miei genitori sono già a dormire.»
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