Nei Boschi Intricati
Sbuffo per allontanare il ciuffo di capelli che, puntualmente, mi finisce negli occhi, vorrei grattarmi la barba castana del pizzetto, come mia abitudine quando sono nervoso, ma sono legato come un salame al tronco di una quercia secolare.
Un fruscio mi fa drizzare la testa e i miei incontrano i più straordinari occhi dorati con lunghe ciglia che abbia mai visto, occhi che illuminano un ovale meraviglioso contornato da riccioli scuri, con qualche boccolo blu e qualche altro verde, formando un contrasto perfetto, con labbra rosee e sensuali.
Mi fa segno con l'indice di fare silenzio e scompare dalla mia visuale.
Come cavolo sono finito in questa situazione di merda?
Avevo voglia di muovermi, di sgranchirmi le gambe e di sfuggire a mia madre, ecco come.
Questi fine settimana in famiglia li amo e li odio, oramai sono talmente abituato ai ritmi dell'appartamento in cui vivo con i miei amici e colleghi che se penso di dover tornare a casa dopo la laurea, mi viene voglia di vomitare.
Deciso, farò un giro con la mia bici nei boschi.
Mentre discendo lungo il sentiero con la mia vecchia mountain bike, sento un rumore sospetto, frastuono che, dire, odio, è un eufemismo, rumore con cui mia madre mi sveglia alle sei in punto di ogni week-end passato a casa, con la sua fissazione per le pulizie mattutine, ma, qui, nei boschi è, davvero, fuori luogo. Mi dirigo verso quel suono e mi fermo sbigottito, la mascella per poco non tocca terra e gli occhi si spalancano.
Come cavolo è finito in una tale situazione di merda?
Penso mentre vengo catturata da straordinari occhi verdi che sono abbinati perfettamente a una chioma biondo platino su un viso estremamente virile, senza parlare del resto.
Come sono finita a dover soccorrere quest'esemplare di maschio che sfiora la perfezione? Voglia di rilassarmi e immergermi nella natura dopo un mese a studiare come una matta per uno degli ultimi esami, ecco come.
È una giornata autunnale calda e piena di sole. Stamane mi sento bene, in pace con il mondo e con me stessa, la voglia di passeggiare nei boschi vicini casa mi assale, in questo periodo racchiudono tutte le tonalità che vanno dall'arancio al rosso, sembra di immergersi in sentieri che attraversano mondi incantati e che, da ogni dove, possano sbucare esseri fatati e abitanti del mondo di Tolkien. Mentre cammino raccogliendo, qua e là, qualche foglia che attira la mia attenzione, vedo una bici e un casco lasciati al lato del sentiero, sento dei fruscii e una voce che sembra sofferente.
Forse qualcuno si è fatto male cadendo, è meglio che vada a vedere.
Mi dirigo verso la voce, proviene da una raduna poco distante, sto per affacciarmi a questa quando vengo strattonata indietro, un urlo sta per lasciare la mia gola quando un pezzo di stoffa mi chiude la bocca, il terrore si impossessa del mio cuore che batte all'impazzata, ma una voce gentile mi rassicura.
"Tranquilla non voglio farti del male, ma se vogliamo salvarlo non dobbiamo farci vedere» parlando mi volta e lascia libere le mie labbra, la mascella per poco non tocca terra e gli occhi si spalancano.
«Chi, che, co... cosa sei tu!»
«Ragazza, ora mi offendi! Come chi, che o cosa sarei? Sono un pregiatissima tovaglia in cotone delle fiandre ricamata a mano. Non si vede forse?»
«Ma, ma, ma tu parli!» balbetto per la sorpresa, giuro non ho bevuto, fumato, preso, o aspirato fumo di funghi allucinogeni e non mi sono mai drogata in vita mia.
"Oddio, oddio» ripeto come un mantra, "eppure stamani quando mi sono svegliata ero sana di mente, ne sono sicura, o almeno penso. I pazzi infondo non sanno di esserlo, vero?» domando come una cretina a Tovaglia.
«Senti ragazzina» dice Tovaglia portandosi una delle punte in alto alla metà dell'estremità destra più lunga verticale, sembra si stia mettendo una mano sulla vita, mentre con l'altra punta si stringe a metà il bordo più alto orizzontale, come se si strizzasse il naso, «ora mi stai scocciando, certo che parlo, che dovrei fare, cantare, per caso? Mica siamo in uno stupido film della Disney? E ora smettila di ciarlare che dobbiamo salvare l'umano da quel pazzo squinternato» continua infastidita.
Mi ammutolisco e guardo dove mi indica, sporgendo solo il capo da dietro l'enorme acacia che mi ripara da chiunque non debba accorgersi di me.
Un ragazzo è bloccato ad un albero avvolto dal filo di un aspirapolvere mentre questo gli punta contro il tubo di aspirazione.
«Merda» è l'unica parola che riesco a dire.
La curiosità uccise il gatto, proprio vero, se non lo fossi stato non sarei prigioniero di questi, questi... due cosi a giustificarmi e a cercare di farli ragionare.
«Ti ho detto che non l'ho fatto apposta! Sono scivolato e il mucchio di foglie si è sparso.»
Rastrello inizia a disperarsi e a singhiozzare stillando schegge di legno come fossero lacrime e si lamenta: «Tutta la mattina avevo impiegato a raccoglierle per Aspirapolvere e ora tu hai distrutto tutto. Non saremo mai pronti per la festa di stanotte» dice continuando a piangere.
«Smettila di frignare» ribatte Aspirapolvere, poi volge il tubo verso di me in modo minaccioso, «Tu resterai qui con noi per l'eternità» dice e poi scoppia in una risata folle, ed è proprio lì che la vedo, mentre mi libera dal suo filo elettrico attorno al corpo, dopo avermi imprigionato al tronco della quercia con una liana, lei, la perfezione e non so perché, ma mi rilasso subito, so che mi salverà.
Mi ritiro dietro l'albero dopo avergli fatto capire di non farci scoprire.
«Come facciamo a liberarlo?» domando a Tovaglia.
"Io posso distrarli, ma tu dovresti trovare qualcosa per tagliare la liana.»
«So come fare!» Esclamo frugando nel mio zaino e tirandolo fuori: «Eccolo! Il mio Kutter!» esclamo euforica, «Me lo ha regalato mio padre quando ho iniziato a uscire da sola: per ogni evenienza, ha detto, e ora è proprio una giusta emergenza» dico sorridendo.
Quanto tempo è passato? A me sembra un'eternità. Mi si stanno intorpidendo gli arti e la corteccia mi graffia tutta la schiena ad ogni minimo movimento
Mentre con gli occhi cerco di scorgere Lei, ecco che arriva una tovaglia tutta impettita che si mette a discutere con Rastrello e Aspirapolvere facendoli girare in modo che mi diano le spalle, se così si può dire, mentre una voce soave mi sussurra: «Ora ti libero mentre sono distratti, tu muoviti senza far rumore e allontaniamoci più velocemente possibile.»
Appena libero le afferrò la mano e ci defiliamo più in fretta possibile. Ci fermiamo solo quando siamo quasi al limite del bosco.
E qui, ad un piede dalla realtà, non resisto più, devo farlo, devo dirle questa cosa che non riesco a trattenere e che sembra voglia eruttare fuori dal mio cuore, è come se una forza a me sconosciuta me lo imponesse, ma non la sento imposizione, perché so che le emozioni che provo sono reali e così carezzandole una guancia e guardandola negli occhi le sussurrò: «Mi prenderesti per pazzo se ti dicessi che credo di essermi innamorato di te a prima vista e che muoio dalla voglia di baciarti anche se non conosco il tuo nome?»
«Come potrei?» mi risponde: «È quello che provo anche io. E poi dopo quello che abbiamo visto, saremmo entrambi pazzi» dice sorridendo e avvicina il suo viso al mio.
Ha detto che mi ama. Non ho mai creduto ai colpi di fulmine, mai, fino a quando non ho aspirato il suo odore mentre lo liberavo tagliando la liana che lo teneva prigioniero a quel tronco. E guardandolo negli occhi ogni cosa scompare, tranne la sua presenza e la nuvola rosa che ci avvolge.
Finalmente le nostre labbra stanno per toccarsi, i nostri respiri per fondersi e i nostri sapori per mischiarsi. Quando...
Lei è davvero la perfezione, penso mentre la sua bocca dischiusa mi cattura.
Nulla esiste più al di fuori di queste labbra carnose da mordere e leccare, non sento più nulla se non il suo corpo appoggiato al mio e la voglia di fondermi con lei. Sto per assaggiare questa meraviglia... quando...
Quando centinaia di foglie iniziano a dire con le loro vocette stridule, mentre iniziano a saltare come grilli impazziti: «Stanno osando! Stanno osando! Allarme! Allarme!» e poi gridano in coro: «Avremo altre due bellissimi e saggi alberi secolari! Evviva! Evviva!»
Ci guardiamo sgomenti e prendendoci per mano iniziamo a correre mentre radici e rami voglio ghermirci, quelle orribili e diaboliche foglie, intanto, continuano a strillare: «Prendeteli! Prendeteli!»
Stanno per catturarci, quando Tovaglia salta fuori da un sentiero laterale, si frappone tra noi e quelle pazze, e ci urla: «Forza fuggite non potrò fermarle per molto! E ricordatevi» continua, «mai passeggiare nei boschi intricati il 31 ottobre di un anno bisestile, specialmente se baciato dalla luna piena visibile anche in pieno giorno!»
«Grazie Tovaglia!» le gridiamo insieme mentre raggiungiamo la strada, finalmente in salvo.
«Amido» mi chiamo, «Guendalin Amido» sono le parole che accompagnano le nostre risa liberatorie e il bacio che le segue.
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