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Cenerentola

C'era una volta, in un ridente paese posto sulle pendici di una verdeggiante collina, che dolcemente declinava verso l'azzurro mare, una famiglia felice composta da padre, madre e una dolcissima bambina che viveva in amore e armonia fino a che un brutto giorno...

Morte cieca
gli occhi non ti furono regalati? Brutto, bello, cattivo o gentile,
tu non odi ragioni,
con falce impietosa: vite mieti
che siano acerbe o troppo mature
a te nulla importa.

Fu così che la nera signora, la madre della bambina, in una fredda notte d'inverno, si portò via.

Quale dolore fu più straziante?
La donna amata più non c'era.
La madre adorata coccolare più non la poteva.

Il padre, Sir Arthur, era un commerciante di stoffe e viaggiava molto per il suo lavoro.
La bimba restava a casa con la governante, Mrs. Jane, un essere bizzarro, che vestiva sempre di blu e cinguettava tutto il giorno come un uccellino canterino, e il maggiordomo tutto fare, Mr. Giac, che aveva un modo convulso di parlare tanto da sembrare squittire come un topo.

Cip, cip, cip fa l'uccellin.
Squit, squit, squit fa il topolin.
«Insieme noi siam qui per la bimba accudir.»

Con loro c'era il loro fedele cane da caccia, Tobia, e il fido destriero Varenne.

Ella, così si chiamava la bambina, cresceva libera e felice, cavalcando Varenne e andando a spasso con il cane Tobia, accudita amorevolmente da Mrs. Jane e Mr. Giac.

Il padre però iniziò a pensare che la piccola avesse bisogno delle cure e dei consigli di una madre e della compagnia di sue coetanee, fu così che si risposò, scegliendo una giovane vedova, Lady Tremaine, che aveva due figlie; Anastasia e Genoveffa, le quali, egli sperava, sarebbero diventate compagne di giochi della sua bambina e con loro arrivò anche il loro gatto.

Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi fino a quando:

Giorno infausto, giorno luttuoso,
la notizia arriva e il cuore fa un tonfo,
il padre adorato in cielo è volato.

Non passò neanche un giorno dal triste giorno che Lady Tremaine mostrò la sua vera e perfida natura. Profondamente gelosa di Ella, della sua avvenenza e della grazia che infondeva in qualsiasi cosa facesse, la giovane vedova declassò la ragazzina da padrona di casa a serva, facendola trasferire a vivere in una stanza in soffitta, obbligandola così a lasciare persino la sua stanza. Quando aveva finito di sbrigare tutti i lavori, per riscaldarsi, Ella era solita sedersi vicino al camino accanto al carbone e alla cenere.

La fanciulla sola con tre arpie si ritrovò.

Lady Tremaine madre più non fu,
Signora Madre diventò.

Anastasia e Genoveffa come sorelle più non ebbe,
compagne di gioco più non furono.

Anche il gatto ci si mise,
Lucifero era il suo nome,
antipatico e ruffiano, come lui nessuno era.

Ella più non si chiamò,
Cenerentola diventò.

Cenerentola, nonostante le disavventure, non perse né gioia, né speranza in un futuro migliore e continuò a trattare la matrigna e le sorellastre con rispetto e amore.

Dopo i primi tempi dalla morte del padre, quando i soldi iniziarono a scarseggiare, soprattutto a causa delle abitudini principesche e dei continui capricci delle sorellastre, che pretendevano sempre le stoffe più pregiate per i loro vestiti e i gioielli più costosi con cui adornarsi, la matrigna si vide costretta a licenziare Mrs. Jane e Mr. Giac, che, anche se lontani, cercarono di vegliare comunque su Cenerentola.

Così Cenerentola si ritrovò a occuparsi da sola delle faccende di casa e, dovendo provvedere anche a rifornire la dispensa, fece amicizia con gli abitanti di tutto il villaggio.

Un giorno, mentre ritornava dal mercato, si distrasse con i propri sogni e finì in un giardino rigoglioso andando a sbattere contro un ragazzo che era lì ad accudire il roseto.

Occhi scuri come la notte,
capelli come ali di corvo,
corpo prestante,
voce profonda.

Occhi di cielo,
capelli come oro,
corpo sinuoso,
voce melodiosa.

Entrambi rapiti furono
e il cuore galoppava.

Henry, così si chiamava il ragazzo, dopo il primo imbarazzo disse alla fanciulla che:

«Solo il roseto io curo,
dolce ricordo di mia madre è,
nostro rifugio era,
amore materno mi rimembra.»

Mentre parlavano, Cenerentola si rese improvvisamente conto dell'ora tarda e, lasciando frettolosamente il bel giardiniere, che le chiedeva come si chiamava e quando avrebbe potuto rivederla, si precipitò verso casa dicendogli:

«Ella, mi chiamo, Ella,
rivederti ogni or vorrei,
ma giorno e ora dirti non posso,
il fato per noi i dadi trarrà.»

Ogni mattina, Cenerentola preparava la colazione per tutti gli abitanti della casa: una scodella di latte per il gatto, un osso per il cane, avena per il suo vecchio cavallo, granoturco e frumento per le galline, le oche e le anitre del cortile. Poi portava al piano di sopra i vassoi della colazione per la matrigna e le sorellastre Anastasia e Genoveffa.

«Stira, su forza, tra un'ora sia pronto.»
«Stendi il bucato che il sole è splendente.»
«Batti il tappeto, le finestre lava, la tappezzeria risplender dovrà.»

«Sì Genoveffa»
«Sì Anastasia»
«Sì Signora Madre, ogni cosa a dovere fatto sarà.»

Rispondeva Cenerentola mettendosi al lavoro di buona lena senza mai lamentarsi anche se in cuor suo soffriva della mancanza d'amore da parte di Lady Tremaine e delle sorellastre.

Solo la sera affacciata all'abbaino della sua stanza si permetteva di fantasticare e sognare e tra questi sogni, da un po' di giorni, aveva fatto il suo ingresso un giardiniere dagli occhi neri.

Un giorno, mentre stava strigliando Varenne e parlando con il Tobia, vide un cervo fuggire inseguito da dei cacciatori. Per distrarli e fargliene perdere le tracce, montò a cavallo e si precipitò verso il gruppo di cavalieri tagliando loro la strada e facendoli bloccare, ma un cavallerizzo era più avanti degli altri così si lanciò al suo inseguimento e riuscì a raggiungerlo... era lui il suo sogno.

«Giardiniere e ora cavaliere voi siete.»

«Popolana che in cavallerizza siete mutata.»

«Non scappate vi prego, con me restate.»

Nel mentre un urlo si udì:
«Cenerentola! Il pranzo pronto non è!» Lei si voltò e lontano fuggì.

Nel palazzo reale nel frattempo il re convocò il granduca Monocolao e gli disse: «E' tempo che il principe prenda moglie e si sistemi!» «Ma vostra Maestà», rispose il duca «deve prima trovare una ragazza e innamorarsi!» «Hai ragione», ammise il re. «Daremo un ballo ed inviteremo tutte le fanciulle del reame. Dovrà per forza innamorarsi d'una di loro.» Il principe, contrariamente a quanto il Re si aspettava, non si ribellò, pretese solo che una clausola fosse inserita: ogni fanciulla del regno doveva intervenire, senza distinzioni di ceto sociale. Subito furono spediti gli inviti e il regale biglietto fu portato anche nella casa di Cenerentola.

«Un ballo! Un ballo! Andremo a ballar!»

«Anch'io sono invitata, ogni fanciulla partecipare dovrà.»

«Certamente venire potrai se un vestito decente indosserai e tutti i tuoi doveri terminerai.»
«Se...» rise Anastasia «Se...» sghignazzò Genoveffa.

Venne il gran giorno e tempo di un secondo non ebbe.
Vestito e accessori non aveva.

«Bene»disse la matrigna.
«Che peccato, venire non potrai.»

Cenerentola salì tristemente le scale buie e si affacciò alla sua finestra illuminata dalla luna. E guardò mesta il palazzo lontano che risplendeva di luci.

All'improvviso, una candela venne accesa alle sue spalle. Cenerentola si voltò, e vide un bellissimo vestito da sera. L'avevano cucito per lei Mrs. Jane e Mr. Giac.

Cenerentola indossò il vestito e corse giù per le scale, gridando: «Per favore, aspettate, vengo anch'io!» Anastasia e Genoveffa si girarono: com'era bella! L'invidia le accecò e...

«Le mie perle!» gridò una. «Il mio nastro!» urlò un'altra e strapparono il vestito di Cenerentola. Poi, soddisfatte se ne andarono. Disperata Cenerentola corse in giardino e singhiozzò: «E' proprio inutile. Non c'è niente da fare!» Ma in quel momento una nuvola di polvere di stelle avvolse il cane Tobia lì vicino a lei e questo iniziò:

«Bella fanciulla le lacrime asciuga se al ballo senza difetto vorrai andare.
Di una zucca hai bisogno che carrozza diventi.
Varenne il destriero giovane tornerà.
Mrs Jane il lacchè sarà,
Mr Giac aitante cocchiere diverrà,
Che spetti ancor? su via, al ballo vai.»

«Ma, ma veramente...» balbettò Cenerentola indicando il suo vestito.

«Già, è vero!» esclamò Tobia e...

«Salagadula megicabula bibbidi-bobbidi-bu

Fa la magia tutto quel che vuoi tu

Bibbidi-bobbidi-bu»

disse la fata Tobia, toccando Cenerentola con la sua bacchetta. Il vestito strappato diventò uno splendido abito di seta e da sotto la gonna spuntarono delle deliziose scarpette di cristallo, le più belle del mondo. Cenerentola non riusciva a parlare per l'emozione. La fata allora spinse la carrozza e le raccomandò di non rimanere al ballo dopo la mezzanotte: se fosse rimasta un solo minuto di più, la carrozza sarebbe ridiventata una zucca e lei stessa si sarebbe ritrovata vestita di stracci. Cenerentola promise e partì felice verso il palazzo reale. Quando arrivò, il ballo era già iniziato, e il principe, con aria un po' annoiata, stava facendo l'inchino alle duecentodecima e duecentoundicesima damigella. All'improvviso alzò lo sguardo e la vide, mentre Cenerentola si guardava intorno in cerca del suo giardiniere/cavaliere... Come trasognato piantò tutte e si avvicinò a Cenerentola, la prese per mano e l'accompagnò nella grande sala, in mezzo a tutti. Per tutta la serata il figlio del re non ballò con nessun'altra e non lasciò la sua mano un solo minuto.

«Arrivata siete,
Disperato di non vedervi ero già.

Sol per voi io sono qua.»

Il Re nel frattempo era contentissimo e così cantava:

«Libiamo, libiamo ne'lieti calici
che la bellezza infiora.
E la fuggevol ora s'inebrii
a voluttà.
Libiamo ne'dolci fremiti
che suscita l'amore,
poiché quell'occhio al core
Onnipossente va.
Libiamo, amore fra i calici»

più caldi baci avrà.

Quando l'orologio del palazzo cominciò a battere la mezzanotte, Cenerentola ricordò la promessa. «Devo andare», gridò spaventata e, «che peccato, non sono riuscita neanche a vedere il principe» disse, liberando la sua mano da quella di Henry, attraversò il palazzo e scese di corsa lo scalone, inseguita dal principe e dal granduca. Una scarpetta di cristallo le si sfilò correndo, ma lei non si fermò finché non fu in carrozza.

"Raccolgo la scarpetta dalle scale prima che qualcuno la calpesti. Aspiro estasiato il profumo del tuo piedino. L'odore di sudore l'ha colmata di te. Ho notato subito la delicatezza e la leggiadria delle basi su cui il tuo essere si erge, fu amore a prima vista, manifesto ora in eccitazione al primo annuso. Ti ritroverò o mia amata, dovessi fare provare questa tua reliquia a tutte le ragazze del regno. Mentre un sorriso mefistofelico mi si dipinge sul viso, penso a quando ti avrò tutta per me e potrà il mio desiderio appagamento trovare, mentre i tuoi piedini accarezzarmi potranno."

L'orologio stava ancora battendo l'ora quando la carrozza lasciò il palazzo di gran carriera, mentre oltrepassava il cancello, risuonò il dodicesimo rintocco: carrozza, cavalli, tutto sparì ed al loro posto comparvero una zucca, un vecchio cavallo, una fanciulla vestita di stracci e per distrazione di Tobia, Mrs Jane fu tramutata in un uccellino e Mr Giac in un topolino. Tutto ciò che rimaneva di quella magica serata era la scarpetta di cristallo che brillava al piede di Cenerentola. Il mattino seguente, il figlio del re comunicò al padre che avrebbe sposato solo la fanciulla che aveva perso la scarpetta al ballo. Il granduca Monocolao fu incaricato di cercare la ragazza il cui piede entrasse perfettamente nella preziosa scarpetta. Il granduca provò la scarpetta a tutte le principesse, alle duchesse, alle marchese, a tutte le dame del regno, ma inutilmente.

Arrivò infine a casa di Cenerentola. La matrigna tutta eccitata, corse a svegliare le sue pigre figlie.

Un minuto da perdere non abbiamo
una sposare il principe potrebbe.
deludermi non dovete!

Poi seguì Cenerentola, che era andata in camera sua per rendersi presentabile al duca, e la chiuse dentro a chiave. Nessun'altra doveva poter approfittare di un'occasione tanto fortunata. Quando Cenerentola udì lo scatto della serratura, capì, troppo tardi, cos'era accaduto. «Per favore, vi prego, fatemi uscire!» implorò girando inutilmente la maniglia. La matrigna si mise in tasca la chiave e se ne andò sogghignando. Non si accorse però che un topolino e un uccellino la seguivano, senza mai perdere di vista la tasca in cui aveva messo la chiave. Nel frattempo, Anastasia e Genoveffa stavano discutendo per la scarpetta di cristallo, e ciascuna affermava che era sua. La matrigna le osservò con attenzione mentre cercavano senza successo di far entrare i loro piedoni nella minuscola scarpetta. Non si accorse che il topolino le sfilava silenziosamente la chiave dalla tasca e se la portava via. Il granduca riprese la scarpetta alle due sorellastre immusonite e si avviò alla porta per andare nella casa seguente, quando Cenerentola, chiamò dalle scale: «Per favore Vostra Grazia, aspettate! Posso provare la scarpetta?» La matrigna tentò di sbarrarle il passo. «E' solo Cenerentola, la nostra sguattera», disse al duca, ma egli la spinse di lato. «Signora, i miei ordini sono: ogni fanciulla del regno!» La malvagia matrigna tentò un ultimo trucco. Fece lo sgambetto al servitore del duca che reggeva su un cuscino la scarpetta di cristallo: la preziosa scarpina cadde per terra frantumandosi in mille pezzi. «Oh è terribile!» gridò il duca. «Cosa dirà il Re?» allora Cenerentola mise la mano nella tasca del grembiule. «Non preoccupatevi», disse, «ho io l'altra scarpetta». Il duca gliela calzò, ed il piede naturalmente entrò senza fatica.

Però il principe sposare io non voglio
del giardiniere/cavaliere innamorata io sono.

Il quel momento arrivò il principe Henry che le spiegò chi in realtà egli fosse.

Cenerentola fu accompagnata dal principe al palazzo reale con la carrozza del re. Là, fra grandi feste ed al suono di tutte le campane del reame, si sposarono. E da quel giorno vissero felici e contenti e il principe non smise mai, per tutta la loro vita di vezzeggiare e amare quei magnifici piccoli piedi...

Peccato che Tobia, la fata smemorata, che neanche rimembrava di esserlo, non si ricordò mai di ritrasformare Mrs Jane e Mr Giac.

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