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Appena torno a casa butto la borsa degli allenamenti in un angolo della mia camera. Tolgo solo la divisa sudata per poterla mettere a lavare, per il resto rimane lì fino alla prossima volta in cui sarà utile. Vado subito a farmi una doccia. Non la faccio mai a scuola perché le cabine degli spogliatoi sono sempre sporche e puzzolenti. Probabilmente mi prenderei qualche malattia grave se solo provassi a sfiorarle anche solo con la punta dell'alluce. Preferisco quindi aspettare fino a casa, tanto il tragitto è abbastanza corto.

Daniel non ha fatto altro che prendermi in giro per tutta la strada, ma io lo so che lo fa con affetto. I primi tempi me la prendevo sempre, perché ancora non ero abituata al suo senso dell'umorismo e temevo di non piacergli molto. Ormai lo conosco e so che si diverte così. Ho imparato a riderci su anch'io e magari a rispondergli a tono.

Credo che il sapersi prendere in giro sia fondamentale in una coppia. Non avrei mai voluto stare assieme ad un musone che non sa divertirsi.

Quando esco dal bagno, avvolta nel mio accappatoio bianco e con i capelli stretti in un asciugamano, trovo mia sorella seduta sul mio letto. Sorrido e, dopo aver sfregato i capelli per non farli gocciolare, le lancio l'asciugamano addosso.

"Guarda che quello è il mio, di letto!" le dico, fingendomi offesa.

"Lo so," risponde con tono piatto, sistemando l'asciugamano di fianco a lei.

"E sono anche completamente nuda sotto l'accappatoio, e preferirei non cambiarmi di fronte a mia sorella," continuo, rincarando la dose. Lei scrolla le spalle e si alza, facendo per uscire.

Okay, decisamente qualcosa non va, di solito mi risponde, ma adesso è come se ci fosse un androide al suo posto.

La prendo per un polso e la faccio fermare.

"Che succede, Becca? Di solito hai la risposta pronta, adesso a malapena parli. Hai litigato con i tuoi amici?"

Scuote la testa, la vedo passarsi la lingua sulle labbra un paio di volte e poi sospira.

"La mamma ha detto che stasera andiamo a cena da zia Laura e zio Thomas," la sua voce è flebile, quasi un sussurro. Le lascio il polso e abbasso le spalle, guardandola.

"Ah," mi limito a dire. Lei mi guarda e accenna un sorriso.

"Aspetto fuori. Mettiti l'intimo e poi scegliamo insieme cosa indossare, okay?"

Annuisco e la lascio uscire. Apro il cassetto del comò e tiro fuori un paio di mutandine e un reggiseno, senza prestare attenzione a quale fosse. Andare dagli zii è una tortura da un anno a questa parte.

Da quando Ruth, nostra cugina, è morta, loro non sono stati più gli stessi. Era figlia unica ed entrambi riponevano in lei tutte le loro speranze per il futuro. Aveva iniziato ad allontanarsi dalla famiglia, ma sembrava fossero i soliti problemi dell'adolescenza, finché non hanno ricevuto la chiamata che li richiedeva all'obitorio, per identificare il corpo.

Becca rientra in camera e insieme scegliamo degli abiti carini ma non troppo formali. Non c'è bisogno di mettersi in abito da sera per andare ad una cena in famiglia.

Rebecca indossa una camicia rosa chiaro, un po' larga, infilata in un paio di pantaloni neri, stretti, mentre io opto per una gonna nera piegettata lunga fino al ginocchio e una maglietta bianca. Decido di farmi i capelli lisci e mi ritrovo a truccarmi di fianco a mia sorella, come sempre.

Quando mamma ci chiama dal piano di sotto per scendere, siamo entrambe pronte e non dobbiamo farla aspettare. Quasi scoppiamo a ridere nel vedere la sua sorpresa per questo evento, mentre papà non si trattiene e si becca un'occhiataccia dalla mamma.

Saliamo tutti in macchina, la Range Rover blu che papà si è appena comprato, e partiamo per casa degli zii. In circa venti minuti siamo arrivati e parcheggiamo davanti all'entrata pedonale del condominio. Suoniamo il citofono, entriamo e il viaggio in ascensore verso il quattordicesimo piano sembra infinito. La musichetta d'attesa è snervante, mi verrebbe voglia di tirare via i ripetitori, e vedo che anche papà la pensa come me.

Quando finalmente arriviamo al piano, non riesco a nascondere un sospiro di sollievo, ma allo stesso momento ho paura di entrare in quella casa. Stringo velocemente la mano di Becca e la vedo sorridermi, grata per quel gesto che significa sostegno. Le sorrido anche io, mentre mamma suona il campanello e la zia arriva ad aprirci.

Zia Laura è invecchiata di dieci anni in uno. Invece di mostrarne quarantaquattro, sembra oltre la mezza età. Ha molte rughe, soprattutto attorno agli occhi per aver pianto molto e i suoi capelli sono ormai quasi tutti bianchi. È la sorella di mia mamma, e fino a poco fa si assomigliavano molto.

"Felicia, Adam! Entrate! Anche voi, ragazze. È da molto che non ci vediamo," ci saluta con un sorriso tirato, falso. Triste.

La salutiamo anche noi ed entriamo in salotto, dove lasciamo i cappotti. Andiamo poi in sala da pranzo, dove troviamo zio Thomas che sta finendo di preparare la tavola.

Lo zio è un uomo molto alto e tutto muscoli, possiede un locale per motociclisti non molto lontano e possiede un chopper con cui ogni tanto, assieme ai suoi amici, fa dei raduni. Nonostante il suo aspetto intimidatorio, è l'uomo più gentile e dolce del pianeta. Dai suoi occhioni azzurri si vede che tipo di uomo è realmente.

Ci sorride e si avvicina per stritolarci in uno dei suoi soliti abbracci spaccaossa. Io e Becca non possiamo fare a meno di ridere e sistemarci i vestiti appena ci lascia andare.

"Su, sedetevi, è pronto da mangiare!" ci intima poi, sistemandosi il grembiulino a fiori che ha legato in vita.

Sì, è mio zio lo chef di casa. Zia Laura sa cucinare, ma non lo ha mai amato. Invece zio Thomas adora stare dietro ai fornelli e provare ricette sempre nuove, che spesso sperimenta in casa per poter portare nel suo locale. Inutile dire che potrebbe sicuramente partecipare ad uno di quei programmi come Masterchef, e avrebbe una buona probabilità di vincere!

Ci accomodiamo al tavolo e osservo la tavola. Sono disposti vari stuzzichini freddi e al centro c'è abbastanza spazio per la portata principale. In poco tempo, anche i pochi ritagli di tovaglia vuoti sono pieni di contenitori con dentro del purè, dei fagiolini, del mais e, come regina della tavola, una bellissima anatra al cognac.

Mangiamo chiacchierando, sembra quasi tutto normale finché qualcuno non posa per sbaglio lo sguardo sulla sedia che era di Ruth e la vede vuota, ricordandosi della tragedia. Ma tutto sommato, la serata va molto bene.

Poco prima del dolce, mia sorella si scusa e va in bagno. Nel frattempo i miei zii spariscono in cucina, probabilmente per sporzionare qualsiasi dolcezza abbiano preparato, e io rimango sola con i miei genitori, che mi chiedono come è andata a scuola e con gli allenamenti. Non dico loro di Blake e del nervoso che mi mette addosso Melanie, mio padre è talmente influente e preoccupato del benessere delle sue figlie che non riuscirebbe a non fare niente.

Tengo invece tutto sul positivo, parlando dei progressi delle ragazze e soprattutto di quelli del nuovo ragazzo, che si sta sciogliendo un po' rispetto all'inizio e inizia a fidarsi di più della squadra. Vedo l'espressione fiera di mia madre e non posso fare a meno che esserne felice. Anche lei era una cheerleader a scuola, ma ha abbandonato la carriera all'università per dedicarsi anima e corpo al giornalismo, la sua vera passione.

Quando zia Laura e zio Thomas tornano col dolce, Becca non è ancora tornata. Mi offro per andare a vedere se si sente bene, quindi mi allontano dalla tavola.

Percorro il corridoio ma, prima di arrivare in bagno, vedo che la porta della camera di Ruth è aperta. Col cuore in gola entro, ma rilasso le spalle quando vedo che c'è mia sorella.

"Becca... Ehi, ti aspettiamo per il dolce," le dico, avvicinandomi a lei.

Gira la testa e mi guarda, i suoi occhi sono lucidi e sembra sul punto di piangere. Prende un grosso respiro e apre la bocca un paio di volte prima di parlare.

"Mi manca, Ash."

"Lo so, manca anche a me..."

"Io non ci credo alla scusa che sia stato un incidente. Non avevano abbastanza prove, perché dirci cazzate?" sembra arrabbiata ora, stringe le mani in pugni che tremano contro i suoi fianchi.

Mi stringo nelle spalle.

"Non lo so. Magari volevano farci sentire meglio..." la voce si abbassa verso la fine della frase, facendomi rendere conto della stronzata che ho detto.

Farci sentire meglio? Niente potrebbe farlo.

Becca scuote la testa e si allontana da me, avvicinandosi al letto di nostra cugina. Sfiora le lenzuola, la testata, poi si sposta e cammina lungo tutta la stanza.

"Venivamo sempre qui dentro a giocare, ti ricordi?" annuisco piano, guardandola. Dove vuole arrivare? "Ma non ci faceva entrare da un po'. Ricordi anche questo?"

"Sì, me lo ricordo. Ma era diventata scontrosa, litigava con tutti."

"Appunto! È sempre stata molto dolce. Deve essere successo qualcosa," dice, continuando a guardarsi attorno.

"Cosa stai cercando?" chiedo, inclinando la testa.

"Il suo diario. So che ne ha - aveva - uno, ma devo capire dove lo ha messo. Se qualcosa è successo, deve averlo scritto lì per forza."

"Becca, non possiamo leggere il suo diario, avanti!"

Lei si blocca e mi fissa, appoggiandosi alla scrivania. Sembra arrabbiata, triste e delusa. Non possiamo scavare nei segreti di una persona morta... O no?

"Ascolta, non mi importa se tu non ci stai. Voglio sapere cosa le è successo, perché è morta e chi è stato. E lo scoprirò, in qualche modo. Con o senza di te. E partire dal suo diario è la cosa più facile. Pensaci, non sappiamo neanche se avesse un fidanzato oppure no! Magari troviamo persone che sanno qualcosa," si avvicina velocemente e mi prende le mani "Per favore. Sarà più facile con te..."

La guardo per qualche secondo, poi annuisco. La vedo sorridere, mi stringe le mani leggermente e mi lascia andare per continuare a cercare il diario. Dopo poco lo troviamo, un quaderno semplice, nero, coperto di adesivi di band punk e metal chiuso da un lucchetto.

Prima di tornare in cucina, lo facciamo scivolare nella mia borsa, che è molto più grande, e torniamo dai parenti. Ci scusiamo, dicendo che Becca aveva avuto un piccolo 'problema da donne' e quindi ci era voluto più tempo del previsto. Mangiamo il dolce, una buonissima cheesecake alle pesche, e verso le undici e mezza torniamo a casa.

Una volta in camera, prendo il diario dalla borsa e mi siedo sul letto, imitata da Rebecca. Passiamo le dita sulla superficie leggermente increspata dove gli adesivi si incontrano o si sovrappongono.

"Credo di poterlo aprire con una forcina," esordisce Becca, indicando il lucchetto. È semplice, servirebbe una chiave, ma so che lei è in grado di forzare la serratura. Lo aveva fatto una volta che la valigia dei nostri genitori non riusciva più ad aprirsi a causa delle chiavi che si erano deformate.

Annuisco, pensando a quello che potremmo trovare lì dentro. Potremmo scoprire cosa pensava davvero, cosa l'aveva portata ad allontanarsi, a diventare scortese. Probabilmente l'avremmo conosciuta meglio di quanto avessimo fatto in questi anni. Ne siamo pronte? E vogliamo farlo davvero?

"Ma non stasera, Becca. Ci penseremo in un altro momento. Ora voglio solo mettermi a letto a dormire."

Lei annuisce, si alza e va in bagno a struccarsi e lavarsi i denti. Io intanto ripongo l'oggetto in un punto sicuro, nascosto, e mi infilo il pigiama. Quando lei esce dal bagno, è il mio turno di seguire i miei riti pre sonno. Mi strucco, mi lavo il viso e mi metto una pomata idratante, poi sono pronta per andare a dormire.

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