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Ginestre Gialle

Nina amava il mare da sempre, aspettava l'estate con ansia per tutto l'anno, convinta che per qualche assurdo motivo, ogni ostacolo con essa, risultasse meno duro da affrontare, sentiva la vita accanirsi con meno ostinazione, percepiva le pene lenite atrofizzarsi poi sotto al sole insistente.

Celeste poggiata sulla colonna della veranda, le si era avvicinata posando a terra la borsa da mare e attingendo al tono di voce più dolce, le aveva chiesto se sentisse ancora le voci, l'aveva rassicurata sulla loro amicizia, qualsiasi cosa Nina le avesse risposto, qualsiasi rivelazione e considerazione sarebbe stata trattata con riguardo.

Un sospiro lungo come una vita di sofferenze, le aveva fatto innalzare il petto, le palpebre si erano congiunte in un tacito accordo e un filo di voce sgorgato da una gola divenuta oramai cruna d'ago, aveva regalato a Celeste la risposta migliore;
non le sentiva più le voci, se n'erano andate da tempo, aveva detto, non ne ricordava nemmeno il suono.

Merito delle guance rosa e paffute di Celeste, magari dell'espressione ingenua che dimorava sul suo viso o della purezza di quell'anima giovane, ma non le venne in mente null'altro da risponderle, di rimando la ragazzina aveva sorriso, come si sentisse lei stessa in parte, complice di quella silenziosa vittoria.

Le voci naturalmente c'erano, c'erano eccome, due o tre, le solite inquiline a tenerle compagnia.
L'uomo che l'aveva cresciuta, in una giornata troppo calda di maggio, aveva deciso di farla finita, si era impiccato nel garage di casa sua, sapendo che al suo ritorno Nina l'avrebbe trovato lì appeso come una foglia secca, eppure tra tutti i luoghi per morire aveva scelto proprio quello, come ad esprimere il bisogno di essere trovato da quegli occhi, quasi  ad implorare che fossero solo le sue mani, e quelle di nessun altro a raccoglierne la pelle fredda e liberarla da quella postura scomposta.

Le avevano sanguinato gli occhi per giorni, ferite non rimarginabili, abissi di sgomento, lo aveva abbracciato li ancora appeso e l'aveva baciato in viso per lunghi e necrotici momenti, aveva gridato forte, fortissimo, sperando di sentire sotto le dita un sussulto da quel corpo che per tanti anni aveva stretto. Come in un giro di giostra aveva provato in pochi secondi emozioni così differenti e contrastanti, la paura rincorreva la rabbia, l'angoscia la strangolava, mentre il dolore le riduceva in brandelli il cervello.

Un sisma dell'anima, l'epicentro nel suo cuore.

Aveva dimenticato con il tempo, erano serviti anni, qualcosa era riuscita a cancellare, ma, ragionando su questo adesso, non poteva non paragonarsi ad un foglio di carta, nel tentativo di cancellarne i segni, proprio come questo, sarebbe rimasta stropicciata, consumata in eterno.

Per scacciare quelle immagini dagli occhi lei, aveva impiegato tante energie, così tante da essere certa di aver perduto in quell'impresa, una buona parte di se. Continuava a vedere le ginestre gialle, ne era pieno il giardino, poco prima di rientrare a casa, si era fermata a guardarle quel giorno. Da quel momento in poi, aveva iniziato a collegarle all'accaduto. Persino il colore giallo riusciva a far riemergere quei ricordi.

Non erano voci quelle che sentiva ancora, erano schiaffi a mano aperta sulla faccia, portati con una violenza inaudita, con un fervore ed un energia tipica solo delle emozioni insurezionaliste, di quelle che hanno sposato l'anarchia, quelle che come cani sciolti, ti frantumano le ossa a morsi provati dalla fame. Non mancavano di presentarsi durante le giornate, flash velocissimi, bisbigli feroci.
Certe volte somigliavano ad un "aiutami" altre portavano con se l'immagine frammentata di un respiro strozzato.

Celeste rimase a guardarla per un attimo, con un filo d'insistenza di troppo, Nina allora sfoderò un sorriso che non permetteva intrusioni, si alzò di scatto dalla sedia sulla quale era seduta e afferrando il telo da mare si avviò verso la macchina.

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