Capitolo Sedici
Se vi va, ascoltate il brano che vi ho proposto (basta cliccare play sul video), quando leggete questo capitolo. L'ho scritto e l'ho corretto, ascoltandolo e niente... secondo me, rende ciò che ho scritto più "magico". :) Ci vediamo, sotto! Buona lettura!
AD OCCHI CHIUSI
Capitolo Sedici
Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;ma quando dormo, essi nei sogni vedono te.(William Shakespeare)
Tra le cose più improbabili che mai mi sarei aspettata potessero accadermi, ricevere una telefonata da parte di Harrison, l'autista degli Ashling, saliva certamente ai primi posti in classifica.
Erano passate quattro settimane da quando avevo discusso con Terence e da quando avevo ascoltato le crudeli intenzioni di Mary Anne Williams. Da un lato potevo, senza indugio ,dire che sembrava non fosse passato neanche un giorno da allora, visto che alla tv e sulle più importanti riviste della città non si faceva altro che parlare della famiglia Ashling , dei Campbell e del fidanzamento, a breve ufficializzato con una festa, tra i loro figli. Dall'altro, però, erano cambiate diverse cose. Mary Anne era stata "bandita" dal gruppo di amici di Thomas. Avevo saputo che Sophie, Russell, William e ovviamente Thomas erano rimasti sconcertati dal modo in cui la modella si era comportata nei miei confronti. Alla fine avevano deciso all'unanimità di rompere qualsiasi rapporto di amicizia con lei. Per quanto riguardava Terence, Abbie mi aveva raccontato che aveva rifiutato diverse volte gli inviti dei suoi amici, adducendo come scusa quella di essere occupato con la sua nuova fidanzata. La delusione era nell'aria, ma nonostante ciò, i ragazzi riuscivano a incontrarsi e a divertirsi. La mia amica aveva conosciuto, finalmente, i genitori del suo ragazzo, ricevendo la "benedizione" da parte di entrambi e aveva persino ricevuto un semplice anello, pegno dell'amore che Thomas provava per lei. Erano davvero molto carini insieme! In più, come ciliegina sulla torta, la sua odiata datrice di lavoro, le aveva finalmente dato la prima pagina del giornale, su cui svettavano le fotografie che aveva scattato a casa Ashling. Per quanto mi riguardava, io stavo andando avanti con la mia vita. Avevo scalato i miei capelli e li avevo illuminati con dei colpi di sole che, forse, cozzavano un po' con il mio umore non proprio spumeggiante, ma che mi piacevano da matti. Stavo aiutando Barbara con i preparativi del matrimonio, avevo fatto rifornimento di nuovi sciccosissimi capi per l'autunno nel mio armadio e avevo appena iniziato un articolo su un confronto della moda in Scozia dal passato al presente. Senz'altro uno dei lavori più divertenti che mi fossero mai capitati, soprattutto per via del fatto che mi era toccato intervistare anche dei vecchi signori in kilt e barba rossa.
-Non credo sia un bene per te rincontrare una persona vicina agli Ashling, dopo quello che è successo, ma è una tua scelta.- fece Abbie, soffiando sulle unghie della mano destra, appena smaltate di verde.
-Non so neanch'io che fare.- ammisi,- Mi scende di nuovo una profonda tristezza al pensiero di vedere una figura così vicina a... a lui, ma da un lato sento che devo andarci.
-Se senti che devi andarci, vai. In fondo, se l'autista ti stava anche simpatico, non vedo cosa potrebbe andare storto.- mi guardò negli occhi.
Anche lei aveva cambiato look. I suoi capelli, adesso, erano colorati di un rosso mogano e ad incorniciarle il viso c'era una mega frangia che portava lateralmente.
-E sia. - annuii con il capo,- gli mando un messaggio.
Così detto, uscii dalla tasca dei miei jeans il cellulare, e mandai un messaggio al numero da cui il signor Harrison mi aveva telefonato, accettando il suo invito di incontrarci nel pomeriggio al bar "Gray's cup", lo stesso in cui io e Terence ci eravamo incontrati per la prima volta, dopo quella al pub.
-Quindi sei sicura di voler partire la settimana prossima?- continuò la mia amica, applicando lo smalto sulle unghie dell'altro mano e facendo così scintillare l'anello che portava all'anulare, sotto le luci che filtravano dalla finestra.
-Sì.- sospirai.- Mi sono presa una settimana di ferie, apposta. Ho bisogno di stare con mio padre e di cambiare un po' d'aria. Ne ho passate un bel po' in questo periodo, e ora che al Giornale le acque si sono, finalmente, calmate, credo sia opportuno che stacchi un po' la spina. In più non vedo mio padre da un po'.
Iniziai a fare zapping alla tv. Dato che oggi era sabato, avrebbero trasmesso un programma di moda che adoravo.
-Hai proprio ragione, anche le ragazze grintose come te, hanno bisogno di fare una pausa ogni tanto.- mi fece l'occhiolino.- E anzi, ti prego di salutarmi tuo padre. Digli che gli mando un abbraccio e che, un giorno di questi, vengo anch'io a fargli una visita.
-Non mancherò.- le sorrisi e tornai a guardare la tv.
***
Diedi un'ultima occhiata allo specchio della mia stanza, controllando gli ultimi dettagli e infine, prendendo al volo una sciarpa colorata, uscii di casa, insieme ad Abbie. La mia amica mi avrebbe accompagnata fino ad un certo punto, per poi andare a fare delle commissioni.
Quando arrivammo nella zona interessata, la salutai con un bacio sulla guancia, e mi avviai a piedi verso il bar. Qualche minuto e non mi ci volle molto per scorgere, sebbene il cielo stesse già imbrunendo, lo stesso tendone bianco ornato da fiorellini fucsia che vidi al primo "appuntamento" con Terence. Essendo pieno autunno, il giardino all'esterno era stato recintato da pareti di plexiglass, che dovevano impedire all'aria fredda di fuori di infastidire i clienti.
Mi feci strada attraverso dei tavolini, fino a che non mi sentii salutare da qualcuno. Mi voltai e impiegai qualche secondo per riconoscere Harrison. Non indossava il solito cappello e la giacca da autista e, vestito in borghese, non l'avevo quasi riconosciuto. I baffi bianchi, le guance rosse e il sorriso buono ,però, non diedero spazio a dubbi che fosse lui.
-Buonasera signor Harrison.- lo salutai, facendogli un sorriso.
Mi sedetti al suo stesso tavolo e quando arrivò un cameriere mi limitai a ordinare un succo di frutta alla pera che l'autista, sottolineò, mi avrebbe offerto volentieri lui.
-E' davvero bello rivederla, signorina Jane. Mi mancava vedere il suo sorriso.- fece cordiale.
-Grazie, Harrison. Lei è sempre stato molto gentile.- lo guardai con affetto.
C'erano diversi clienti seduti ai tavolini vicini al nostro, e il loro chiacchierare ci fece da sottofondo.
-Ha cambiato stile di capelli?- continuò, con il sorriso sulle labbra.
-Sì. Li ho tagliati un po' e ho fatto dei colpi di sole. Le piacciono?
-Le stanno molto bene.- mi rispose. -Come sta?- mi chiese, subito dopo.
Feci una smorfia con le labbra.
-Si va avanti.- mi limitai a rispondere.- Lei?
Non so se fu una mia impressione, ma mi parve di sentire un "immaginavo" . Non ebbi modo di pensarci che mi rispose di stare bene.
Mi guardò per qualche instante con fare imbarazzato e, dopo essersi schiarito la voce, prese a parlare.
-Mi spiace di averla disturbata questa mattina. Immagino che non si aspettasse di ricevere una telefonata da me, ma ho bisogno di parlarle. Ho preso il suo numero dal telefono del signor Terence e ora che lui non è ad Edimburgo per diversi motivi, ho colto l'attimo per telefonarle. Pensi che volevo parlarle già da qualche settimana, ma solo ora mi si è presentata l'occasione.
Quando sentii nominare il nome di Terence e ascoltai che era fuori da Edimburgo per diversi motivi, maledissi la mia mente per aver iniziato a farsi domande del tipo: "Chissà come starà?", o "Dove sarà adesso?".
-Sta bene? Terence... intendo.- mi schiarii la voce.
La curiosità era donna, e al momento volevo placarla.
Harrison sospirò.
-Il signorino dice di stare bene, ma... lo conosco da tanti anni ormai, e le posso garantire che non è affatto felice.- rispose, dispiaciuto.
Nel frattempo il cameriere arrivò, portandomi il mio succo.
-Capisco.- ingoiai della saliva.- Beh... come mai ha voluto incontrarmi?- cercai di sorridergli.
-Perché lei è il motivo della sua infelicità.
Dire che la sua risposta mi lasciò di stucco, era dire poco.
-Credo che lui sia il motivo della sua infelicità. Le posso assicurare, signore, che tra me e lui, quella che ha patito più infelicità sono io. Lei non era presente quando Terence mi ha gettato, con freddezza, certe parole. Non è mia la colpa se lui è un vigliacco e ha preferito farsi trattare da burattino dai suoi genitori.- risposi un po' risentita.
Harrison mi guardò con sguardo sorpreso. Era come se non si aspettasse da me certe parole.
-Temo che non mi sia espresso bene io, signorina. Non era mia intenzione sembrare accusatorio nei suoi confronti.- tossì imbarazzato.- comunque, non "dai suoi genitori" ma... da suo padre soltanto. Sua madre è morta da anni.- abbassò il capo.
A quelle parole, sentii il sangue gelarmi nelle vene.
-Dice sul serio?- la mia voce uscì tremante.- Io... non ne sapevo nulla, davvero.- feci tremendamente dispiaciuta.
Ora capivo tante cose. Perché Terence non avesse mai voluto parlarmi della sua famiglia. Tutte quelle volte in cui aveva schivato le mie domande, e il giorno in cui avevamo giocato al "do ut des" e mi aveva chiesto espressamente di non fargli domande in merito. Avevo fatto tante supposizioni, ma mai avrei creduto che Terence avesse perso la mamma. Mi sentii profondamente triste, in quel momento.
-Purtroppo dico sul serio, Jane.- mi rispose l'autista.- Credo che il signore non le abbia mai detto nulla a tal proposito, perché gli ha sempre fatto male ricordare la morte della sua mamma, l'unica con cui andasse davvero d'accordo. In ogni caso, signorina, ho richiesto la sua presenza, oggi, perché voglio raccontarle un po' la storia di Terence.
Lo guardai.
-La storia di Terence? - abbassai lo sguardo,- Perché?- chiesi con voce fioca.
Il bicchiere di succo di frutta brillava sotto le luci del locale, ma ora come ora, non avevo voglia di mettere nulla sullo stomaco.
-Perché più di due mesi fa, ho iniziato a vedere qualcosa di diverso nel signorino. Qualcosa di simile a quello che era il ragazzino che incontrai la prima volta che fui assunto a casa Ashling. E sono sicuro che sia stato grazie a lei, se tempo fa ho visto quel qualcosa in lui che, in questo periodo, si è di nuovo oscurato.
Ingoiai nuovamente della saliva, mentre sentii il mio cuore pulsare più forte nel mio petto.
-Lei lo rendeva felice, Jane.- continuò, fissandomi con i suoi occhi azzurri, contornati da diverse rughette,- Un giorno mi confidò che quando era in sua compagnia, non sentiva il peso della sua cecità. E le posso assicurare che, per un tipo come lui, così chiuso e restio a parlare con gli altri, ammettere certe cose non fu una cosa naturale. Sono qui, dunque, perché voglio raccontarle della sua storia, cosicché lei, possa fare luce su alcuni dubbi che sono certa avrà avuto, quando è stata amica di Terence e perché non voglio che lei abbia un ricordo spiacevole su di lui. La storia sarà un po' lunga, per cui le chiedo se lei vuole ascoltarla.
Annuii con il capo, troppo scossa per parlare.
-Bene.- Harrison si schiarì la voce, e poi incrociò le mani sul tavolino.- Deve sapere che lavoro per gli Ashling da circa ventitré anni, quindi da quando il signorino aveva sette anni e i suoi due fratelli gemelli, Catherine e Heathcliff, ne avevano undici. Quando conobbi i signori Ashling, non mi fu difficile notare come entrambi non andassero molto d'accordo l'uno con l'altro. Il signore mi si presentò da subito come una persona irascibile, nervosa, e stacanovista, per quanto educata e cortese nei miei confronti. La signora Elizabeth, sua moglie, invece, mostrò una dolcezza e un'eleganza fuori dal comune. - sospirò.- Non erano una famiglia unita, gli Ashling. I due gemelli tendevano ad isolare Terence nei loro giochi quando erano bambini, a fargli dispetti e a essere sgarbati nei suoi confronti. La signora Elizabeth, per quanto li rimproverasse, non riusciva mai a metterli in riga, grazie anche agli atteggiamenti di suo marito che, tendeva a giustificarli con un banale "Sono bambini". Il signorino visse ,dunque, in un clima familiare piuttosto teso, ricevendo il giusto affetto solo dalla mamma. - Harrison si fermò per bere dal suo bicchiere, una bevanda arancione.
-Scusi l'interruzione,- riprese,- Quando iniziarono gli anni della scuola superiore, Terence cambiò atteggiamento. Pensò bene di trasformarsi in un ragazzo ribelle, sfruttando anche il suo aspetto estetico di cui era sempre stato orgoglioso, e pensando così di attirare le attenzioni di un padre troppo impegnato nei suoi affari per pensare ai suoi figli. Contrariamente, i due gemelli Catherine e Heathcliff, forti del legame che solo due gemelli possono provare l'uno per l'altro, vissero con serenità la loro situazione familiare, supportandosi a vicenda e mostrandosi sempre accondiscendenti quando il loro padre chiedeva loro di fare qualcosa. Gli anni del liceo furono i più difficili per Terence che, per via delle sue note e delle sue bravate da bad boy, ricevette le attenzioni agognate dal padre, ma non come le aveva previste. Il signor Ashling, infatti, iniziò a privargli molte cose e ad adottare misure severe nei suoi confronti.- tossì.- Sto parlando da tanto. Vuole che mi fermi?- l'autista si fermò, guardandomi negli occhi.
-No, assolutamente.- gli risposi prontamente,- Non pensavo che Terence avesse vissuto parte della sua vita in questo modo. Nei nostri discorsi, ogni tanto, mi ha confessato di non avere un buon rapporto con suo padre, che lo ha persino costretto a frequentare un corso di studi che non era nelle sue corde, ma non credevo che suo padre potesse essere una figura così fredda nei confronti dei suoi figli. Posso solo immaginare cosa abbia provato Terence e come si sentisse sua moglie.- conclusi, sospirando.
Mi aggiustai meglio la sciarpa al collo, nel tentativo di placare quel freddo che sentivo stava nascendo in me, dopo aver ascoltato quelle parole.
-Già! La povera signora Elizabeth non era molto felice accanto a suo marito.- Harrison mi guardò.- Sette anni fa, purtroppo, le fu diagnosticato un tumore. - si fermò, mentre io misi una mano davanti alla bocca, dalla sorpresa.- Era un donna fragile e spesso debole di salute, ma nessuno avrebbe mai immaginato che una simile creatura sarebbe stata colpita da un male tanto grave. Per quanto il dolore fosse unanime, quello che ne soffrì di più fu senza alcun dubbio il signorino Terence che, ogni giorno, passava gran parte del suo tempo accanto alla mamma. Suo marito non le fu molto vicino, invece, e quando i più importanti giornali della Scozia iniziarono a fare da avvoltoi sulla terribile notizia, il signore preferì più occuparsi di mettere a tacere i pettegolezzi che di donare affetto ai suoi figli. Disgraziatamente fu una questione di mesi prima che Elizabeth perse la sua battaglia e non ce la fece.- si fermò. Notai che i suoi occhi si erano fatti lucidi così come i miei.
Mi tornò alla mente il momento in cui avevo chiesto ai miei colleghi come facessero a conoscere gli Ashling e di quando Vincent mi aveva raccontato che sette anni fa erano usciti dei giornali sugli Ashling in merito a una disgrazia, distrutti poco dopo.
-Mi scusi,- l'autista prese un fazzoletto dalla sua giacca e si asciugò l'angolo degli occhi. Io, ingoiai un groppo, dovuto alla sensazione di pianto imminente,- Come le stavo dicendo, dopo questa disgrazia, le cose peggiorarono. Il cuore del signor Terence si fece di ghiaccio, divenne più freddo, e più scontroso e iniziò a chiudersi in sé stesso, non rivolgendo più alcuna parole né ai suoi fratelli né a suo padre. Una decina di mesi dopo, la famiglia fu scossa da un'altra tragedia: la caduta in coma del signorino e la sua conseguente cecità, dovuto a un barbaro incontro di pugilato. Il signorino, infatti, dopo la morte della mamma, si era dato a incontri di pugilato illegali, pensando di sfogare la sua rabbia, la sua tristezza e la sua frustrazione in questo modo, e perdendo sempre più punti con il padre, tanto da essere etichettato come la pecora nera della famiglia. Da allora, è diventato la persona che lei conosce. Solitario, distaccato e con un'aria triste perennemente attorno. Il sarcasmo divenne la sua principale arma di difesa e tutte le sue convinzioni e le sue sicurezze, seppur poche, crollarono. Poi...- Harrison mi guardò,- conobbe lei signorina Jane e le cose cambiarono. Sa, ho sempre avuto un debole per quel ragazzo e ho sempre pensato che il suo cuore fosse di ghiaccio, ma non di pietra, e che ciò fosse un bene, perché la pietra è difficile da scalfire, ma il ghiaccio ha solo bisogno di una giusta fonte di calore per sciogliersi.
Abbassai lo sguardo, sbattendo le palpebre diverse volte, per evitare di piangere. Chi avrebbe mai potuto pensare che Terence celasse delle ferite così grandi.
-E nonostante tutto, Terence ha deciso di aiutare suo padre, sposando quella sconosciuta?- non riuscii a trattenermi.
Harrison sospirò, abbassando il capo.
-Lo fa perché ha paura. - mi rispose.
-Di suo padre?- chiesi scettica, guardandolo.
-No, ha paura di lei, Jane.- puntò il suo sguardo nel mio, con molta serietà.- Come le stavo dicendo prima, da quando Terence l'ha conosciuta, ho notato una diversa luce in lui, e questa luce, senza ombra di dubbio, è dovuta al fatto che lei ha toccato le corde più nascoste del suo cuore.
Mi morsi le labbra, incrociando le braccia sul petto.
-Se così fosse stato, non crede che me l'avrebbe detto e che avrebbe evitato di essere accondiscendente di una follia? E poi, paura di me? Non capisco...- ammisi.
-Signorina, credevo che lei avesse capito Terence. Ha un modo tutto suo di dimostrare affetto, e adesso che ha capito che per lei prova ben altro che dell'affetto amichevole, teme di legarsi troppo a lei. Non vuole che da parte di entrambi cresca qualcosa di troppo grande e che lei finisca per legarsi troppo a lui. Terence, ha sempre vissuto la sua cecità come una grande sofferenza, e vive la sua disabilità come un peso che non vuole condividere con lei. Ha paura di privarla della felicità che merita, con la sua compagnia.- fece con tono stanco.
Dischiusi leggermente le labbra, scossa per ciò che avevo ascoltato.
-E quindi, signore?- lo guardai.- Cosa dovrei fare io? Sa come sono stata male, dopo che Terence mi si è rivolto in quel modo, quella sera? Sa che dopo quel giorno, ho scoperto che delle persone volevano prendermi in giro, giocando con i miei sentimenti? Sa quanto sia triste per me, ogni giorno, pensare a cosa sarebbe potuto succedere se io fossi riuscita a stare con Terence? So che è una persona fragile che vede la sua disabilità come una difficoltà insormontabile, ma ... cosa posso farci io?- sussurrai le ultime parole, con tristezza.
-Nulla, signorina. Ma può non odiarlo, può smettere di pensare che abbia deciso di sposare una sconosciuta per vigliaccheria, ma che l'ha fatto perché teme la solitudine più di qualsiasi altra cosa, perché dopo che ha perso la mamma e poi la vista, il suo animo si è adombrato e sente di non avere più la forza di contrastare suo padre. E perché spera per lei un futuro diverso, con un uomo completamente sano. Voglio solo che lei abbia un bel ricordo di lui. Che lo ricordi come una bella persona, sia dentro che fuori. E che non demorda, perché nella vita non si deve mai gettare la spugna, e perché mi è bastato guardarla negli occhi, per capire che lei tiene molto al signore.
Annuii con il capo, incapace di guardarlo negli occhi.
-Bene. Credo di averle detto tutto quello che volevo dirle, Jane. E' stato davvero un piacere incontrarla.
Non risposi. Rimasi con lo sguardo puntato sul mio bicchiere di succo, ancora fresco tra le mie mani. La mia testa era stordita e preda di una confusione dovuta a tutte le parole che avevo ascoltato. Avere un bel ricordo di Terence? E cosa potevo farmene di uno stupido ricordo?
-Quindi non cercherà di fermare Terence? Mi lascia così, dopo avermi riempita di tutte queste parole?
Harrison si alzò dalla sedia, lasciò dei soldi sul tavolo, e poi mi guardò fisso negli occhi per qualche istante. Infine, mi fece un occhiolino e si allontanò, lasciandomi lì sola con i miei pensieri.
***
Ero seduta su una panchina. Da dove ero io si poteva vedere gran parte del parco di Holirood, alla fine del Royal Mile. Quello che non capivo era come fossi arrivata fino alla cima della collina Arthur's Seat. Si respirava un'aria fresca e pulita e i miei capelli ondeggiavano al ritmo del vento. Le fronde alberate sembravano danzare con il vento e alcune foglie colorate d'autunno, volteggiavano nell'aria come coriandoli in un giorno di festa. Si stava davvero bene qui e sentivo il mio animo preda di uno stato di tranquillità e serenità, che non provavo da tanto.
-Posso sedermi?- mi chiese una voce familiare.
Non gli risposi. I miei occhi erano incollati su quel paesaggio incantevole che mi fronteggiava e non avrei voluto distogliere lo sguardo per nulla al mondo.
-Si sta proprio bene qui, vero?- continuò la voce.
Senza alcun dubbio era un ragazzo.
Continuai a non rispondergli e a mantenere lo sguardo fisso su quel cielo dipinto d'arancio che faceva da palcoscenico al ballo delle foglie.
Poco dopo però, fui costretta a girarmi. La persona padrona di quella voce, mi aveva appoggiato una coperta sulle spalle. E fu allora che lo vidi. Era Terence, ma c'era qualcosa di diverso in lui. Osservai il suo volto che mi scrutava sorridente. Non portava gli occhiali da sole e... ma sì! I suoi occhi! Erano diversi, più colorati, più luminosi, più... vivi.
-Terence?- mi uscì come una domanda, quella che doveva essere un'affermazione.
-Proprio io.- rispose, sempre sorridente.
Non era da lui mantenere un sorriso sulle labbra. Lui era il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, dal sorriso strano e insolito, non il ragazzo dagli occhi vivi e le labbra curvate.
-Perché sei qui?- chiesi.
Fece spallucce, voltando i suoi occhi verso il paesaggio.
-Mi andava di vedere la mia Jane.- mi rispose, soltanto.
"La mia Jane". Poteva una frase sconvolgermi così tanto?
-Ti ricordi della prima volta che venimmo insieme in questo parco? Me lo descrivesti come un posto paradisiaco. In effetti, è così.- continuò, con tono allegro.
-Stai bene? Sei strano e... ci vedi?- i miei occhi fissi sul suo profilo, lo guardavano in cerca dei suoi.
Terence ritornò a puntare il suo sguardo vivo su di me.
-Sì ci vedo.- rispose soltanto.- Ma non è stato facile tornare a vedere.- concluse, tornando a guardare fisso davanti a sé.
Il vento fece scompigliare i suoi soffici capelli, facendone arrivare il profumo dritto a me.
-Cosa intendi dire?
Terence fece di nuovo spallucce, e non mi rispose.
-Jane.- disse, poco dopo.
-Ti ascolto.
-Jane.- ripeté.
-Jane.
Mi svegliai di soprassalto, aprendo di scatto gli occhi e portando una mano davanti al cuore.
-Tesoro, stai bene? Qualche incubo?- mi chiese mio padre, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli.
Impiegai qualche istante per capire di trovarmi nella mia vecchia stanzetta, nella casa del mio papà.
-Tesoro?- continuò, guardandomi adesso preoccupato.
-Sto bene,- gli feci un sorriso,- E' stato solo... solo un sogno.- continuai.
Solo un sogno.
-Mhm. L'avevo capito. Ti sei addormentata con la porta aperta e sebbene avessi il volume della partita di football non troppo basso, ho sentito che chiamavi un certo Terence.
-Ah... sì, credo di ricordare qualcosa.- mi passai una mano nei capelli, e mi tirai su a sedere, coprendomi fino al collo con la coperta.
-E sentiamo chi è questo Terence? Il ragazzo che mi dicesti ti piaceva?- mi domandò.
Mi schiarii la voce, sentendomi le guance bruciare dell'imbarazzo.
-Può darsi.- fui vaga.- Comunque è una vecchia storia... nel senso che ultimamente sono successe tante cose e non so... ho tanti dubbi.- ammisi.
-Mhm,- annuì con la testa,- capisco. Con 'tante cose' intendi il fatto che si sia fidanzato con quella riccona?
Lo guardai spalancando gli occhi.
-E tu come...?
-Leggo i giornali e vedo la tv, tesoro mio, e ho una buona memoria. Ricordo che mi parlasti del figlio degli Ashling.
Mi toccai i capelli, sempre con imbarazzo.
-Va bene, sono troppo vecchio per immischiarmi in queste cose da ragazzi.- mi diede un pizzicotto sulla guancia.- L'importante è che tu non soffra, angelo mio. Se qualcuno dovesse farti del male, devi subito dirmelo, perché ho la mia età ma il mio destro è imbattibile.- alzò il pugno destro in alto, facendomi ridere.
Se solo avesse saputo che Terence, seppur non vedente, era stato un pugile in passato, non credo avrebbe ripetuto questa frase. O forse sì. In fondo, lui era il mio eroe. Se invece gli avessi parlato di Wilson e della Williams... beh, loro potevano dire in partenza addio alle loro facce da modelli. Ma, non avrei detto nulla di loro a mio padre. Non volevo preoccuparlo e poi gente come quella, andava dimenticata e basta.
-E' quasi ora di cena. - continuò.- Desideri che cucini io, o ordiniamo qualcosa?- mi guardò con i suoi grandi occhi buoni.
Un po' di barba copriva le sue guance un po' scarne e una camicia azzurra metteva in risalto il suo sorriso candido.
-Preferirei riassaporare la tua cucina, ma se sei stanco ordiniamo qualcosa.- lo guardai sorridente.
-Per te questo e altro, mia principessa. Ti cucinerò la migliore minestra scozzese che tu abbia mai mangiato e ci gusteremo insieme il migliore gelato al cioccolato di Aberdeen.- mi fece l'occhiolino e si alzò.
Il bene che provavo nei suoi confronti era inestimabile.
-Ah papà?- lo fermai, quando giunse sulla soglia della porta.
Si voltò, incuriosito.
-E tu con la signorina Ford?- fu il mio momento di metterlo in imbarazzo.
Le sue guance si tinsero di rosso.
-Poi ti spiego, Jane, poi ti spiego.- e scappò in cucina.
-Citare una battuta del film "Il ritorno di Ringo", non ti salverà, papà.- lo presi in giro, alzando la voce.
Lo sentii ridere e ridacchiai anch'io tra me e me per qualche minuto, per poi rabbuiarmi poco dopo, quando mi tornò alla mente il sogno che avevo fatto.
Terence. Terence che aveva ritrovato la vista e che mi definiva sua. Era stato un sogno, ma così vivo e... reale. Riuscivo anche adesso, da sveglia, a ricordare il colore lucente delle sue iridi e a sentire il suo profumo pulito accarezzarmi la pelle. Stupida mente! Giocarmi questi scherzi crudeli!
Dopo poco, mi alzai dal mio letto e andai in cucina per aiutare mio padre.
***
Dopo aver apparecchiato la tavola, papà iniziò a servire la cena a base di minestra scozzese accompagnata da crostini di pane fatti in casa, patate al forno come secondo e una coppa di gelato come dolce. La casa profumava di cibo cucinato in casa con amore.
-Beh, prima mi stavi dicendo della signorina Ford...- lasciai la frase in sospeso, portandomi una cucchiaiata di minestra alla bocca.
Il suo calore mi scaldò e mi portò alla mente vecchi ricordi di infanzia.
Mio padre tossì imbarazzato, e il suo imbarazzo non fece altro che far crescere in me curiosità e tenerezza.
-Sei proprio una curiosona, eh?- rise.- Comunque,- si schiarì la voce,- in queste settimane siamo usciti insieme, qualche volta.- tornò a mangiare.
-Interessante! - feci entusiasta,- E poi? Vi sentite al telefono? Dove andate di solito?- misi dei crostini nel piatto.
-Sì... ogni tanto ci mandiamo qualche messaggio e abbiamo in programma qualche altra uscita. Di solito andiamo a cena fuori, o al teatro o al cinema.- sorrise con le gote rosse.
-Benissimo, ne sono molto contenta. Stai facendo bene, papà.- feci seria.- Meriti l'amore più di chiunque altro. Un giorno di questi me la fai conoscere questa donzella.
-Per ora ci stiamo conoscendo, tesoro e non so se sia... beh, amore, il nostro, ma... mi trovo bene con lei e per il momento mi basta.
Annuii con il capo e poi riprendemmo a mangiare, scambiandoci qualche chiacchiera generale. Mio padre si complimentò con me per essermi aggiudicata la prima pagina del giornale del mese scorso, per come l'avevo scritto e per i messaggi che avevo trasmesso e mi chiese di porgere i complimenti anche ad Abbie per le belle foto che aveva pubblicato per il giornale per cui lavorava.
Quando arrivò il momento del gelato, decidemmo di andare a mangiarlo sul divano, con un plaid a riscaldarci e con una videocassetta in tv. Optammo per "Vacanze Romanze", film in bianco e nero con Audrey Hepburn e Gregory Peck.
Quando il film finì, mio padre mi propose un ballo prima di andare a dormire. Prontamente accettai. Così lui scelse un disco in vinile dalla sua collezione personale di dischi e lo inserì nel giradischi presente in salone. Pochi attimi e riconobbi "Heart Angel", una canzone degli anni '50.
Mio padre mi prese per mano e poso l'altra sulla mia schiena. Io posai una mano sulla sua spalla e appoggiai il mio capo sul suo petto. Quando ero bambina, eravamo soliti ballare insieme, solo che allora ero costretta a ballare su i suoi piedi, per non essere troppo bassa. Risi, al ricordo.
-Era tanto brutto il sogno che stavi facendo prima?- mi domandò, danzando lentamente.
Sobbalzai, leggermente sorpresa per la domanda.
-No, affatto! Anzi... era un sogno bellissimo.- confessai.
-Mhm, e cosa succedeva? C'entrava quel Terence?
Annuii contro il suo petto.
-Ti ricordi che ti dissi che era cieco?- continuai.
-Sì, in più l'ho letto ultimamente sui giornali.- rispose.
-Beh, nel mio sogno tornava a vedere e mi guardava sorridente. Cosa un po' strana, visto che di solito è un ragazzo che ride poco. Sai? Ne ha passate tante quando era un ragazzino.- sospirai.
-Capisco.- mi fece voltare su me stessa, con galanteria.- A volte i sogni sono delle previsioni. Lo sapevi, Jane?
Lo guardai negli occhi.
-Cosa intendi dirmi?
-Che magari il tuo sogno diverrà reale, un giorno. E magari, anche prima di quello che credi.
CONTINUA...
Aggiornamento lampo! xD
Ciao ragazzi e, come sempre, grazie per aver letto anche questo sedicesimo capitolo. Generalmente non mi convincono mai al cento per cento i miei capitoli, ma questo ammetto, che mi è piaciuto. Ho avuto più ispirazione rispetto altre volte, e in più ascoltare la suonata "Primavera" di Einaudi, mi ha aiutata parecchio. (spero, a proposito, che abbiate letto il capitolo ascoltandola. xD).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi scuso, se ultimamente i capitoli hanno preso una piega più drammatica, ma è così che avevo immaginato la storia fin dall'inizio e poi, senza la pioggia, non può esserci l'arcobaleno, no? ;)
Grazie per i numerosi voti, per i commenti e per le letture che regalate alla mia storia. <3 Alla prossima,
Rob :)
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