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Capitolo Diciotto


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Diciotto


Il grande amore ci fa paura perchè ci mette in una situazione di pericolo,
perchè si diventa vulnerabili; si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo.
Perchè in amore si dà tutto e si può anche perdere,e perdere tutto.
F.Ardant


Alle due in punto, Sarah rientrò all'interno dell'ospedale per farci da "vedetta". Il suo compito era di controllare che tutti i componenti degli Ashling si dirigessero nella mensa, così che noi potessimo finalmente entrare nella stanza di Terence.

Dieci minuti dopo, ritornò da noi, dandoci il via libera e dicendoci che insieme ai fratelli e al padre di Terence aveva anche visto Tessa Campbell.

Con noncuranza, ci avviammo verso l'ospedale. Decidemmo di entrare due alla volta, per non dare troppo nell'occhio. Lizzie sarebbe entrata con sua sorella, e io con Harrison.

Dopo poco, fummo dentro. Notai che l'infermiera che ci aveva allontanato in mattinata, era stata sostituita con una dai capelli biondi e che il fermento dei pazienti era minore rispetto a poche ore prima.

-Ovviamente non possiamo stare molto nella camera di Terence. Generalmente gli Ashling rimangono in mensa fino alle tre, ma non si sa mai.- fece Lizzie, quando fummo tutti dentro un ascensore.

Tutto odorava di medicinali. Non mi erano mai piaciuti gli ospedali.

-E per quanto riguarda l'infermiera che sorveglierà la stanza di Terence, possiamo fidarci?- domandò Harrison.

-Sì, potete stare tranquilli. Lavora spesso con mio zio, e molte volte mi è stata vicina durante le mie visite.- rispose Lizzie.

La stanza di Terence era la numero trentaquattro, situata al terzo piano. Quando l'ascensore si fermò, uscimmo tutti con un carico di ansia piuttosto pesante. Passai di fronte numerose camere, notando dalle finestre trasparenti che davano sul corridoio, diverse persone stese su letti coperti da lenzuola bianche. Sulle maniglie di alcune porte erano legati palloncini colorati, unici sprazzi di colore in quell'ambiente candido. Due volte, passarono due infermiere con dei carrelli di medicinali, ma per fortuna non ci dissero niente. Sapevo, infatti, che per i parenti delle persone in coma, non vi erano degli orari ristrettivi, o comunque lo erano meno che per gli altri pazienti. La presenza di persone care poteva aiutare molto le persone in coma.

Quando fummo di fronte alla porta numero trentaquattro, tutti e quattro ci fermammo. Un'infermiera con una lunga coda di cavallo nera, salutò le due sorelle, regalando anche a me e a Harrison un sorriso.

-Per fortuna Terence non è in condizioni gravi, e anzi verrà dimesso a breve, ma sono sicura che la presenza di persone amiche non potrà fargli che bene. Non capisco infatti, perché la famiglia non voglia nessuna visita!- fece dispiaciuta la donna, che doveva chiamarsi Megan, come scritto su un cartellino posto sulla sua divisa.- Prego.- aggiunse dopo poco, aprendoci la porta.- Io rimango fuori e vi avverto se qualcuno è in arrivo. Non rimanete molto, però.

-Grazie.- dicemmo all'unisono.

Con il cuore che mi martellava freneticamente nel petto, entrai per ultima. La stanza di Terence era una banale stanza d'ospedale, se non fosse stato per il suo essere più lussuosa delle altre. Una tv a schermo piatto si ergeva su una parete tinta di un pallido giallo e due grandi piante erano poste accanto a una finestra a balcone, coperta da una tenda bianca. Accanto al suo letto, invece, c'era un comodino con sopra un vaso trasparente, riempito da un vivace mazzo di fiori colorati.

Una volta che fummo tutti vicini al suo letto, lo vidi. Alle sue braccia erano legati alcuni tubicini attaccati a delle macchine che riportavano i suoi parametri vitali e sulla bocca era posata una mascherina di plastica. Notai il suo battito cardiaco regolare.

Aveva ovviamente gli occhi chiusi e vederlo così vulnerabile, mi strinse fortemente il cuore. Sapevo che, ringraziando Dio, sarebbe stato dimesso in poco tempo, ma non potevo sentirmi triste nel vederlo inerme in quel letto.

Tutti lo guardammo senza parlare, tranne Lizzie che fece diverse domande a sua sorella, non potendoci, disgraziatamente, vedere.

I capelli di Terence sembravano più lunghi, e un leggero strato di barba copriva le pallide guance. Le sue ciglia, lunghe e scure, facevano ombra sui bei zigomi, e una medicazione gli copriva una parte della fronte e della testa. Anche così, mi sembrò bellissimo.

Poco dopo vidi Harrison stringergli forte la mano e avvicinarsi al suo orecchio per sussurrargli qualcosa. Ogni tanto mi guardò sorridendo, con occhi lucidi e brillanti.

Poi si avvicinò Lizzie che, aiutata da sua sorella, gli strinse forte la mano. Iniziò a parlargli e a raccontargli di come mancasse a tutti al centro di riabilitazione. Gli augurò una pronta guarigione, e infine gli lasciò un leggero bacio sulla guancia.

Poi, arrivò il mio turno. Mi avvicinai ancora di più al suo letto, e con attenzione strinsi delicatamente la mia mano alla sua. Era fredda.

Ripensai a tutte le volte in cui ci eravamo tenuti per mano, e a come adesso, questo gesto assumesse una valenza diversa.

Rimasi in silenzio per alcuni minuti, concentrata a guardarlo e fotografarmi la sua immagine nella mia mente. Poco dopo, gli accarezzai la guancia destra.

-Ciao Terence.- sussurrai.- Sono Jane.- sentii i miei occhi pizzicarmi.- So che mi avevi detto che quella al parco sarebbe stata l'ultima volta che si saremmo visti, ma... a quanto pare non riesco a starti proprio lontana. -mi morsi le labbra.- E poi, hai visto? E' bastato che non ci sentissimo per un po' che tu hai avuto un incidente.

Mi fermai, sentendo gli occhi di tutti addosso.

-Non pensare che non sia ancora arrabbiata con te per come mi hai trattata l'altra sera, ma... ho capito la tua scelta, o almeno ci ho provato. La cosa importante adesso è che tu ti riprenda e che tu sappia che volevo stare con te e lo voglio tutt'ora. Non so cosa succederà quando sarai fuori da questo ospedale, ma poco mi importa. Anche se non staremo insieme, sapere che tu stai bene mi renderà ugualmente la persona più felice del mondo.- sentii una lacrima scorrermi lungo una guancia. Prontamente l'asciugai.- Quando avrai bisogno di me, io ci sarò, e ricorda che ci sono delle persone che ti vogliono bene e che credono in te. Che sanno che scorre coraggio e forza nelle tue vene.- gli strinsi più forte la mano, poi, non badando al fatto che gli altri mi stessero guardando, mi avvicinai al suo viso e posai le mie labbra sulla sua fronte, posando su di essa un leggero bacio. Infine gli lasciai un carezza tra i morbidi capelli, e mi allontanai.

Quando mi voltai vidi Harrison e Sarah guardarmi con occhi lucidi. Lizzie doveva star piangendo perché notai che passò l'indice sotto una lente degli occhiali da sole.

Trascorremmo l'ora in questo modo. Ognuno raccontò qualche aneddoto o qualche ricordo legato a Terence. Ma, anche se nessuno lo diede a vedere, ero sicura che tutti si sentissero come me: strani. Strani a vivere una situazione che nessuno mai avrebbe potuto immaginare. Terence, un ragazzo dalla risposta sempre pronta, testardo, orgoglioso, fragile ma forte allo stesso tempo, steso su un letto di ospedale, e noi qui inermi, a non sapere che fare, nella sua camera come dei ladri, con il tempo contato per guardarlo.

Quando mancarono dieci minuti alle tre, decidemmo di andarcene, per evitare qualche arrivo anticipato da parte degli Ashling. Gli stringemmo di nuovo la mano, e tutti gli mandammo un saluto, con la speranza di rivederlo presto. Io fui l'ultima a lasciare la sua stanza.

Ci affrettammo a salutare l'infermiera Megan che ci disse che avrebbe avuto lo stesso turno tre giorni dopo, se avessimo voluto fare un ulteriore visita a Terence. Ovviamente tutti fummo d'accordo nel riandare in ospedale quando ci sarebbe stata di nuovo lei.

Usciti dall'ospedale, tirammo tutti un sospiro di sollievo, per non aver beccato nessuno degli Ashling. Potevamo solo immaginare cosa sarebbe successo se ci avessero visti.

Comprati dei panini da un chioschetto fuori l'ospedale, decidemmo poi di fare due chiacchere su una delle tante panchine di Central Park.

-E' stato davvero brutto vedere il signorino in queste condizioni. Non vedo l'ora di vederlo di nuovo in salute. Certo è che mi chiedo come possa aver avuto questo incidente... non riesco a credere che il signor Ashling gli abbia permesso di camminare da solo per le strade della città.- fece Harrison, stringendo tra le sue mani il panino incartato.

Tutti annuimmo con la testa, concordando su quanto avesse detto. Era davvero strano che Terence fosse stato lasciato solo. Per fortuna le cose erano andate bene, ma non osavo immaginare se invece... beh se la caudata gli avesse causato qualcosa di più grave.

-Speriamo che fra tre giorni le cose andranno come oggi, e che nessuno degli Ashling ci becchi.- continuò Lizzie.

Poi rimanemmo in silenzio. Ognuno assorto nei suoi pensieri mangiando lentamente ciò che avevamo comprato. Io rimasi a pensare a cosa sarebbe successo una volta che Terence fosse stato dimesso dall'ospedale. Cosa avrei dovuto fare? Andare da lui e dirgli di dare una possibilità a... un possibile "noi"? Qualsiasi cosa io avessi potuto fare, l'avrei fatta. Questo era sicuro.

***

Nei giorni seguenti rimanemmo tutti chiusi nei nostri alberghi, uscendo solo per comprare qualcosa e per prendere un po' d'aria. Abbie e Tom ci raggiunsero il giorno dopo dall'arrivo mio e di Harrison. Anche Thomas, come prevedibile, non era riuscito a vedere Terence e si dispiaceva per non essere arrivato il nostro stesso giorno, così da fargli visita insieme a noi, ma era felice di poterlo vedere a giorni, grazie a Megan. Lui ,come noi, non si capacitava di come avessero negato a lui, il più fedele e caro amico di Terence, di vederlo.

Abbie mi fu vicina, e proprio il giorno prima della seconda visita a Terence, mi suggerì di andare a fare una passeggiata per prendere un po' d'aria e per schiarirmi i pensieri. Secondo lei ero un po' pallida e sciupata, seppur avessi gli occhi più brillanti delle settimane scorse, per citarla.

Accolsi il suo consiglio e decisi di andare a fare una passeggiata a Central Park, da sola. Ma fu proprio qui che mi capitò una cosa che non avrei mai previsto.

Ero seduta a guardare dei bambini che rincorrevano un aquilone, ridacchiando e venendo inseguiti da alcune foglie secche, troppo ribelli per rimanere attaccate ai rami degli alberi, insieme alle altre poche loro sorelle staccatesi all'inizio dell' autunno. Quando mi sentii chiamare da qualcuno. Mi voltai, trovandomi davanti l'ultima persona che mai avrei pensato avrei conosciuto di persona.

Rimanemmo a osservarci per vari istanti. I capelli corti e rossi, il volto bianco coperto da lentiggini, il fisico minuto e gli occhi verdi erano esattamente come avevo visto, tante volte nell'ultimo periodo, sui giornali e alla tv. Vista dal vivo, però, sembrava più bassa e più piccola.

-Jane Ryan?- mi domandò, avvicinandosi. Il suo tono era basso e quasi... timoroso.

Era strano che anche lei mi conoscesse.

-Sono io.- le risposi.

-Sono Tessa Campbell.- mi disse.

L'avevo riconosciuta subito, ma sentire il suo nome mi creò uno strano effetto.

Si sedette accanto a me, sulla panchina, guardando fisso davanti a sé e posando le mani sulla sua borsetta di pelle, color sabbia. Aveva un gradevole profumo, sicuramente firmato, che mi investì in pieno. Indossava un cappotto rosa pastello, abbinato a una collana di perle, ora illuminata dal sole pomeridiano.

-E' una strana coincidenza trovarti qui, ma sono contenta che il destino ci abbia aiutato, perché avevo bisogno di parlare con te.- fece timidamente, guardandomi un attimo negli occhi.

Dischiusi le labbra dalla sorpresa. Aver incontrato Tessa Campbell in un momento inaspettato mi aveva lasciato già senza parole, ma sapere che lei mi conoscesse e che volesse vedermi, mi sorprese e non poco.

-Terence mi ha parlato di te.- aggiunse.

Mi limitai a guardarla incuriosita.

-Sì, mi ha parlato molto di te. Ho visto delle tue foto sulla versione online del giornale per cui lavori, e adesso eccoci qui.- mi guardò per un secondo sorridendomi, per poi tornare a guardare fisso davanti a sé.

Sembrava come se avesse paura di affrontare il mio sguardo, e dal modo in cui stringeva la borsetta avrei detto fosse molto tesa e imbarazzata. Anch'io lo ero, dovevo ammetterlo.

-Adoro Central Park. E' così bello, non trovi? Soprattutto in inverno, con la neve e tutto il resto. Da quando sono qui a New York, vengo sempre qui a fare lunghe passeggiate.- osservò.

Annuii con la testa, troppo stranita per poter parlare. Stavo forse sognando? D'altronde l'ultima volta che avevo fatto un sogno strano, mi trovavo proprio in un parco. Mi diedi un pizzicotto su una guancia, ma... no! Ero sveglia e seduta accanto a me c'era la fidanzata del ragazzo di cui ero innamorata, incontrata per caso qui a New York, per chissà quale scherzo del destino.

-Purtroppo non ho molto tempo a disposizione, - riprese,-perché gli Ashling e mio padre mi aspettano in ospedale. Ma volevo incontrarti per dirti che piaci davvero tanto a Terence, e che mi dispiace essere stata la causa della vostra separazione. Se può consolarti, anch'io sono stata separata da un ragazzo che amo alla follia.

Ancora una volta, rimasi in silenzio. Non riuscivo a dire nulla.

-Sì. - mi sorrise, forse capendo il mio stato attuale che prevedeva che io fossi abbastanza sorpresa.- So che probabilmente ti sembra tutto... strano, ma vorrei che tu mi ascoltassi. Ti va?

-... Sì.- riuscii finalmente a risponderle, coinvolta dalla sua gentilezza.

-Mi sono trovata immischiata, proprio come Terence, in un qualcosa di troppo grande a cui entrambi abbiamo avuto paura di ribellarci. Io ho lasciato il mio ragazzo e Terence ha lasciato te, sebbene non steste insieme ma tu fossi importante per lui, come mi ha detto. Abbiamo fatto una scelta a causa della nostra insicurezza, della nostra fragilità, ma soprattutto per un bene più grande: la famiglia, credendo di potercela fare, ma... così non è stato. - scosse la testa, facendo muovere i corti boccoli ramati.- Io e Terence abbiamo condiviso diversi momenti insieme, in queste settimane. Abbiamo parlato, siamo usciti insieme, abbiamo scoperto di avere dei caratteri talmente simili che se ci penso mi vengono i brividi, ma... non è scattato nulla. - mi guardò per un attimo. Mi sembrò che avesse gli occhi lucidi.- Abbiamo concordato, così, sul fatto che il nostro fidanzamento avrebbe portato all'infelicità di entrambi. Che poi, devo essere sincera, Terence non sembrava preoccupato per la sua infelicità, ma... per la mia. Abbiamo deciso di prendere posizione e di discutere con i nostri genitori. Terence ha litigato furiosamente con suo padre e ciò lo ha portato ad allontanarsi da casa da solo, a far perdere le tracce di sé... fino a che... beh, -mi guardò di nuovo.- non è caduto ed ha avuto questo brutto incidente, di cui so che tu sai.- sospirò.- So che volevate andare a trovarlo, è vero?- mi chiese.

-Sì.- sussurrai.- Ma la sorella di Terence non ce l'ha permesso.

In tutto questo non avevo smesso di guardarla. Di guardare questa ragazza che non avevo sopportato per diverso tempo, che avevo persino... invidiato. Lei era la persona che gli Ashling avrebbero fatto sposare al loro figlio, anche se loro due non si conoscevano, anche se non si piacevano, né si amano. E io, invece? Io ero quella innamorata di un sogno, di un qualcosa di irrealizzabile, troppo... nessuno per poter provare a creare qualcosa con lui. Non avevo mai odiato Tessa, perché in fondo, anche lei era una marionetta nelle mani dei suoi genitori, ma adesso che ce l'avevo di fronte mi sembrò così fragile, piccola ma forte, che mi fu inevitabile non ritenerla simpatica.

-Lo so. E mi dispiace molto. Mi spiace anche per lei, perché non ha capito davvero nulla della vita. - sospirò.- Jane...- Tessa si voltò verso di me, prendendomi le mani tra le sue.

Il suo gesto mi mostrò una sicurezza che le sue guance tinte di rosso, cancellarono.

-Io e Terence non ci fidanzeremo ufficialmente né ci sarà alcun matrimonio né adesso, né fra un mese, né fra un anno, né mai. E' bene che tu lo sappia. Lascia stare Catherine, suo fratello, suo padre, mio padre, o qualsiasi altra cosa. Terence ha avuto questo incidente per me, perché non voleva la mia infelicità, più che la sua. E non permetterò che quello che gli è successo sia vano, ma combatterò per la nostra felicità e farò ragionare mio padre e gli Ashling, fosse l'ultima cosa che faccio. - mi guardò con una tale intensità, che non mi fu difficile credere alle sue parole.-Non aggiungo altro, ma volevo incontrarti per tranquillizzarti perché, da come mi ha raccontato Terence, tu sei un ragazza speciale che merita di essere felice.

Si schiarì la voce e io sentii il cuore battermi forte.

Poi si alzò in piedi, tendendomi la mano destra. Mi alzai anch'io stringendogliela.

-Ti prometto che sarai felice Jane, come ti prometto che lo sarà Terence e lo sarò io. Cadi sette volte, ma rialzati otto, ricordalo. E' stato un piacere incontrarti.- disse.

-Ma... ma io cosa... cosa posso fare?- domandai, tesa.

-Attendi e abbi speranza.

Poi, con timidezza e con mia grande sorpresa, mi abbracciò, prima di salutarmi e di andarsene, lasciandomi con le sue parole degne di un oracolo.

Eravamo proprio sicuri che non avessi sognato?

***

10 Dicembre

-Jane Ryan è desiderata alla cassa.- fece Vincent Price, entrando nel nostro ufficio con due bicchieri fumanti di caffè.

-Come, prego?- chiesi confusa, smettendo di scrivere il mio articolo sulla sfilata Missoni, che ci sarebbe stata fra una settimana a Parigi.

-Il grande capo vuole parlare con te.- mi rispose spazientito, alzando gli occhi al cielo.

Come se con il " è desiderata alla cassa", avrei dovuto automaticamente capire a cosa si riferisse! Era solo un rincitrullito, quel galletto!

Mi alzai dalla mia postazione, guardando Fred e Barbara che mi fecero un occhiolino. Sorrisi loro e mi avviai.

Uscire dal mio ufficio, e percorrere il corridoio che lo collegava a quello di George, mi faceva sempre ricordare diversi momenti. Come quello legato a quando avevo conosciuto per la prima volta Christopher Wilson, a quando avevo litigato con la donna delle pulizie che, con il tempo ,avevo capito essere stata pagata da Mary Anne per diffondere false notizie su me e il modello, quando davanti alla macchinetta del caffè avevo riso e pianto con i miei colleghi. Era passato così poco tempo da allora, ma sembrava ne fosse passato tanto.

Quando fui di fronte alla porta del 'grande capo', bussai e feci un sospiro.

-Prego.- fece la laconica voce del mio datore di lavoro.

L'ufficio di George era sempre ridotto a topaia, ma quando arrivava dicembre e con esso l'arrivo del Natale, un alberello striminzito e poveramente decorato con tre, al massimo cinque, palline rosse, rendevano l'ambiente più... festoso. O almeno ci provavano.

-Siediti pure, cara Jane.- mi disse... sorridente.

Sì, sorridente. Infatti, George, quando arrivava il Natale, si trasformava letteralmente in un'altra persona. Un po' come Scrooge, il personaggio di Dickens, avete presente? Ma sì, quel vecchio burbero che ricevette la visita di tre spiriti la sera prima di Natale, che lo ammonirono su quanto brutta sarebbe stata la sua sorte, se non si fosse redento e se il suo cuore non si fosse addolcito davanti alle bellezze della vita. Ed era per questo che ,secondo me, il mio capo, temendo l'arrivo di tre spiritelli pre natalizi, provava a rendersi simpatico, in questo periodo.

Feci come mi aveva chiesto, constatando, per la millesima volta, quanto fosse dura la sedia del suo ufficio. Con le feste non ne poteva comprare una nuova?

-Cara Jane, ho da darti una splendida notizia.- continuò a mantenere le sue labbra curvate.

Quella sua specie di ghigno barra sorriso, mi spaventava un po', dovevo essere sincera.

-Ah sì?- chiesi, intrecciando le mie mani.

-Sì, mia cara, dolce, ragazza. Hai presente il tuo articolo sul rapporto disabilità-moda? Quello per cui ti diedi la prima pagina e con cui, ti dissi, si sarebbero giocate le sorti del Giornale?- disse entusiasta.

-Sì...- feci titubante.

-Beh, cara ragazza, è stato ben accolto e, oltre a ricevere un premio per il miglior articolo che sia mai stato scritto sull'argomento da un giornale britannico, ho appena firmato contratti con due giornali americani, tre giornali italiani e un magazine asiatico. Ti rendi conto?- si alzò dalla sua sedia, venendomi incontro.

Io rimasi impietrita sulla mia sedia, sia per l'immensa gioia che la sue parole mi donarono, sia perché il mio capo mi sembrò un folle.

-Posso darti un abbraccio, cara ragazza?- mi disse.

Boccheggiai qualche secondo, incredula. Poi, senza che potessi rispondere, George mi prese le mani e mi alzò in piedi, come se fossi super leggera, e mi stritolò... ehm strinse, a sé. Wow!

-Complimenti Jane Ryan.- mi disse.- Beh, ora fila via.- continuò subito dopo, continuando a sorridermi, con le guance rosse come due mele, e aprendomi la porta del suo ufficio.- Ovviamente non accetto un 'no' come risposta alla cena del 23 dicembre per festeggiare tutti insieme il "Santo Natale".- concluse la frase guardando verso l'alto, come se qualcuno lo stesse guardando da lassù.

-Festa del 23 dicembre? Sì... perché no!- gli sorrisi, uscendo poi dal suo ufficio.

Dio, che situazione... imbarazzante! Ridacchiando, tornai nel mio ufficio.

-Jane, ti è suonato il cellulare, mentre eri via. Beh, il capo che voleva?- mi domandò Freddie, aggiustandosi il papillon di paillettes, quando ritornai. Come ogni anno, portava un cappello da Babbo Natale sui capelli castani.

Buttai l'occhio sulla mia scrivania, accorgendomi di aver lasciato il mio telefonino proprio accanto il pc.

-Mi ha detto che il mio articolo sul rapporto disabilità-moda ha ricevuto un premio, e che grazie ad esso, il Giornale ha fatto accordi con diversi giornali internazionali. Il tutto condito da un insolito entusiasmo e da un inaspettato abbraccio.- feci una smorfia, sorridendo subito dopo.

I miei colleghi si guardarono curiosi, per poi ridere anche loro.

-Lo scongelamento di Scrooge: parte prima, attivato!- ci fece ridere Steve.

-Il grande capo che abbraccia Jane Ryan. Troppo figo! Dovevo esserci.- disse Price, sorseggiando ancora il suo caffè.

Io scossi la testa sorridendo, attivando lo screen del mio cellulare e notando un messaggio vocale, allegato a un faccino, da parte di Lizzie. Non la vedevo da quei giorni in ospedale.

Cliccai su di esso, portandomi l'apparecchio all'orecchio.

"Ciao Jane. Scusami per il disturbo, ma Tony, e Charlotte mi stanno costringendo a lasciarti questo messaggio. - sentii un vociare in sottofondo,- Dicono di aver letto il tuo articolo in cui ci sono anche loro, di essere contenti di come lo hai scritto e di volerti assolutamente incontrare per farti gli auguri di Natale. Dicono che avevi loro promesso che saresti andata a trovarli e che non avendolo più fatto, ora ti tocca mantenere la promessa. In cambio... sì Lotte, glielo dico, ti daranno un dolce Natalizio. Se ti va puoi venire questo fine settimana. Baci."

Quando il messaggio finì, riposi il telefono sulla mia scrivania. Tornare al "The house of the Rising Sun"? Da sola?

Fu inevitabile per me non rattristirmi un po'. Ripensai a quando ci ero andata con Terence. Terence... chissà come stava. Da quella volta in cui avevo incontrato Tessa Campbell a Central Park, avevo accolto le sue parole "attendi e abbi speranza", vivendo ogni giorno nella speranza di qualche sconvolgimento. Mi ero immaginata un po' come Julia Roberts in Pretty Woman, quando alla fine del film incontra finalmente il suo "principe azzurro" venuto a prenderla su una limousine bianca. Il guaio era che io stavo ancora aspettando la mia limousine e il mio principe.

Avevo sperato in una qualsiasi cosa, ma a parte qualche messaggio di Harrison in cui mi diceva di stare tranquilla e di aspettare, ero all'oscuro di tutto. Dopo che avevamo lasciato New York avevo vissuto in simbiosi con il cellulare e con il computer, sperando di leggere qualche notizia relativa agli Ashling o di ricevere qualche chiamata da parte di qualcuno che mi dicesse che tutto si era risolto per il meglio, ma nulla, non avevo ricevuto nulla. Solo due settimane prima ero riuscita a mettermi in contatto con Harrison che mi aveva semplicemente detto di avere un po' di pazienza. Dopo quello che avevo passato, lui mi diceva di avere pazienza. Mi stupivo del suo buon senso!

Avrei voluto fare qualsiasi cosa, ma non sapevo cosa.

Certo, io stavo andando avanti con il mio lavoro, e con tutto il resto, sorridendo ogni giorno alla vita, perché avevo speranza e l'avrei sempre avuta. In fondo, se Harrison stesso mi diceva di aspettare e di stare tranquilla, qualcosa doveva pur significare, no? Ma era snervante questa attesa, bisognava dirlo. Dovevo attendere cosa? Chi mi avrebbe detto quando l'attesa sarebbe finita? Ah, per la barba di Merlino, che ansia! Intanto, decisi che avrei accettato l'invito di Lizzie. Se il mio articolo aveva ricevuto un premio e una così buona accoglienza, era solo merito suo, di Tony e di Charlotte.

***

Anche il centro di riabilitazione era più colorato, rispetto all'ultima volta in cui ci ero stata. Diversi addobbi natalizi adornavano tavolini , porte e la receptionist, e un grande e alto albero riccamente addobbato, si ergeva nella hall. Era tutto molto bello.

Mary Margaret, la donna che stava seduta dietro la receptionist, mi riconobbe e mi disse che sapeva che sarei venuta. Rispetto all'ultima volta, in cui mi aveva guardato male perché giornalista e quindi "stravolgitrice automatica di eventi", ora mi sorrideva. Che anche lei avesse paura degli spiritelli natalizi come George? Sorrisi a questo pensiero, entrando con lei in ascensore.

-Di solito i nostri amici possono ricevere una visita dai loro cari della durata di un'ora, ma tu puoi rimanere anche un po' di più.- mi sorrise cordiale.

Okay, tutta questa cordialità mi insospettiva. Che lei sapesse qualcosa e che nella stanza di Tony, Lizzie, e Charlotte ci fosse...? No, forse ero io che stavo sognando troppo.

-Grazie.- le sorrisi di rimando.

-Prego.- aggiunse, quando fummo di fronte la stanza dei miei tre simpatici nuovi amici, mantenendo un sorriso caloroso.

Bussai alla loro porta, sentendo il cuore iniziare a battere forte. Stupido muscolo, chissà cosa credeva.

Al loro "avanti", aprii la porta con estrema lentezza. Quando la aprii, però, trovai solo loro tre.

-Oh Jane, cara nostra ragazza.- mi accolse Tony, venendomi incontro sulla sua sedia a rotelle.

-Ciao zuccherino.- mi salutò Charlotte, anche lei in carrozzina.

-Jane.- concluse Lizzie, seduta sul suo letto.

Io richiusi la porta alle mie spalle, salutando Mary Margaret.

-Buonasera a tutti.- sorrisi.

-Oh cara ragazza, che piacere vederti. Ti aspettavamo da tempo, ma finalmente sei qui.- mi tese le mani Lotte.

Quando le tesi le mie, me le strinse nelle sue.

-Come stai, dolcezza?- fece Tony.

La barba bianca e i folti capelli lo facevano sembrare un simpatico Babbo Natale, in questo periodo, con diverse taglie in meno, però.

-Bene, grazie. Voi, invece? Vi ringrazio per il vostro gradito invito. E' un piacere essere qui e scusatemi per il ritardo. Non sono venuta prima, perché... perché...- non trovavo le parole adatte.

D'altronde non ero più stata lì perché dovevo tornare con Terence, ma prima che potessimo andare, lui... beh, aveva messo la parola 'fine' alla nostra... amicizia.

-Non preoccuparti, cara. Prego siediti. Raccontaci come ti stanno andando le cose.

Feci come mi avevano detto, accomodandomi sul letto di Tony.

Ero un tantino imbarazzata. Forse perché ricordavo ancora l'ultima volta in cui ero stata in questo luogo, e forse perché un barlume di speranza mi aveva suggerito, data l'insolita cortesia di Mary Margaret, che avrei potuto trovare Terence in questa stanza. Che mi avrebbe accolto sorridente, stringendomi a sé e dicendomi che saremmo stati sempre insieme. Fantasticavo troppo, vero?

Iniziai a raccontare loro qualche recente avvenimento della mia vita quotidiana. Dal premio che il Giornale aveva ricevuto per il mio articolo, e a tal proposito li ringraziai calorosamente, all'imminente matrimonio della mia collega. Lizzie e Charlotte furono entusiaste di ascoltare nei dettagli l'outfit che avrei indossato in questa occasione. Poi parlai brevemente di mio padre, del recente incontro che avevo avuto con lui e di altre sciocchezze. Ovviamente omisi tutta la parte riguardante i miei piagnistei, e le mie disavventure recenti.

Dopo un po' feci anch'io loro qualche domanda. Su come avrebbero passato le feste, su come stessero, su come andasse il loro rapporto con la moda. Speravo, infatti, che grazie a ciò che avevo scritto le cose migliorassero per quanto riguardava vestiti, taglie, comodità e qualità.

Poi mi offrirono un pezzo di un dolce italiano, portato da alcuni parenti di Tony. Era delizioso.

Quando controllai l'orologio da polso, mi resi conto di come fosse passato velocemente il tempo. Fra cinque minuti l'orario delle visite si sarebbe concluso, e anche se Mary Margaret mi aveva detto che mi sarei potuta intrattenere di più, Abbie mi aspettava per cena.

-Posso farvi una domanda?- chiesi, iniziando ad alzarmi.

-Certo cara, -fece cordiale Charlotte.

-Cosa ve ne pare di Mary Margaret? Ve lo chiedo perché, l'ultima volta che sono venuta qui mi ha trattato con una certa scortesia, oggi invece... è stata gentile e mi ha sorriso affabile. E' il Natale che le fa questo effetto, ha ricevuto una bella notizia ultimamente, o sono io che ho frainteso tutto? È solo una mia curiosità.- ridacchiai, passandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Vidi che si guardarono... complici. Tranne Lizzie che vidi ,però, nascondere un sorriso. Era come se mi stessero nascondendo qualcosa.

-Ma no, è solo... il Natale che le fa questo effetto. Comunque te ne vai di già, cara?- mi domandò Tony.

Solo il Natale... okay. Allora Mary Margaret era proprio come George.

-Sì. E' stato un piacere venire a trovarvi e state certi che verrò ancora, ma la mia amica mi sta aspettando per cena e non vorrei si facesse troppo tardi.- sorrisi.

-Oh ma certo, hai ragione zuccherino.- mi rispose Charlotte, o meglio Lottie, come voleva farsi chiamare.- Prima però, prendi questo. E mangialo questa sera, mi raccomando.- mi fece un occhiolino.

Mi fu dato un dolce simile a quello che mi avevano offerto, incartato e posto dentro una busta con stampe Natalizie.

-Grazie, siete stati molto gentili. Magari prima della vigilia di Natale, passo di nuovo. A presto e grazie ancora per il vostro aiuto e per i dolci complimenti che mi avete fatto.

Prima di andarmene diedi loro un bacio sulla guancia. Erano davvero delle persone deliziose!

***

-Che gentili che sono stati i tuoi amici. Magari più tardi mettiamo il dolce in forno per qualche minuto, così da mangiarlo bello caldo.- fece Abbie, assaggiando da un mestolo di legno un sugo preparato da lei.

-Sì, è vero, sono delle persone davvero fantastiche. Potremmo appoggiarlo anche sul termosifone. Così il burro che c'è al suo interno si scioglie meglio.- proposi.

-Hai ragione. Non ci avevo pensato.

Mi avvicinai così, in pigiama, pantofole e capelli disordinatamente raccolti in una crocchia, al tavolo del salotto dove avevo appoggiato il dolce.

Quando lo uscii dalla busta, però, notai che cadde qualcosa. Mi spostai, e guardai che era caduta una busta da lettere bianca.

Una busta da lettere? Aggrottai la fronte. Che Charlotte l'avesse messa per sbaglio nella mia busta?

Appoggiai nuovamente il dolce sul tavolo, e presi la busta.

"A Jane Ryan. Da leggere comodamente su una poltrona o un divano, preferibilmente con un pacchetto di caramelle, a forma di orsetto, alla coca cola".- era scritto.

Non era firmata, così dedussi che fosse un piccolo regalo da parte dei miei tre amici al centro di riabilitazione. Ma, le caramelle a forma di orsetto? Loro non sapevano che a me piacevano quelle caramelle...!

Decisi di fare le cose con calma. Posai così la lettera sul tavolo, portai il dolce sul termosifone della cucina e dissi ad Abbie che avrei visto un po' di tv in salotto.

Fatto ciò, con mani tremanti, ripresi la busta bianca, accesi la televisione senza badare al canale, mi avvicinai al divano del soggiorno, mi sedetti e aprii la busta. Le caramelle non le avevo, ma non importava. Mi trovai in pochi secondi, una lettera scritta a mano, con una calligrafia elegante.

"Cara Jane Ryan,

mi trovo seduto su una scrivania a scriverti una lettera. Sei una appassionata di letteratura inglese, no? Beh non sarò Mr Darcy, Il signor Rochester o qualche altro paladino del romanticismo inglese ottocentesco, ma ho pensato che ti sarebbe piaciuto ricevere una lettera. Una di quelle scritte a mano che le tue eroine letterarie preferite devono aver stretto tra le loro dita, tante volte. Non sono mai stato bravo con le parole, né sono mai stato capace di esternare con facilità le mie emozioni, per questo ti chiedo di non giudicarmi troppo male, se ciò che leggerai non sarà abbastanza bello come l'avrebbe scritto un cavaliere d'altri tempi.

Si dice che il tempo risani le ferite. Beh, sappi che non è cosi! Siamo noi stessi e sono le persone che ci circondando che cuciono, giorno dopo giorno, le nostre ferite, o che le rendono più profonde. (questo dipende da chi si incontra). Nella mia vita non mi sono mai fidato molto di nessuno, né ho mai regalato i miei sentimenti alla prima persona che mi passava di fronte. Non chiedermi perché! Probabilmente il motivo si cela dietro il fatto che non ho vissuto un'infanzia e una adolescenza propriamente piacevoli, ma questo lo sai già, come un uccellino mi ha riferito. Poi un giorno ho incontrato una ragazza, che mi ha subito colpito, per il suo modo di affrontarmi. Mi piaceva il suo profumo e il suono della sua voce, e mi piaceva il calore che mi faceva sentire la sua presenza, quando era vicina alla mia. Ci sono uscito alcune volte, a volte anche se lei non desiderava la mia compagnia (si veda il viaggio con meta lo stilista McDuff), perché sì... non devo averle fatto una buona impressione all'inizio, e mi sono reso conto di quanto fosse... speciale. I suoi discorsi, la sua risata cristallina e pulita, il modo in cui stringeva la mia mano, la sua intelligenza, la sua ironia e simpatia mi facevano sorridere e mi piacevano tanto. Per non parlare della gelosia che provavo quando la sentivo parlare di un modello da strapazzo che spero lei non veda più. Fino a quando non ho fatto la pazzia di lasciarmi sopraffare dalla paura e dall'insicurezza, facendola piangere e soffrire. Una delle cose peggiori che abbia mai fatto! Che stupido sono stato! Credo tu abbia capito di chi sto parlando, ma siccome so quanto sia bassa la tua autostima, credo di doverlo specificare: sto parlando di te, Jane Ryan. Sei tu la ragazza che ha toccato le corde del mio cuore, uno stupido muscolo che si era un po' atrofizzato con il tempo, e che grazie a te è tornato a vivere. Un uccellino (sì, lo stesso di prima) mi ha detto che mi hai sognato... devo proprio piacerti tanto! (lo sai che sono un fantastico e adorabile narcisista!), quindi voglio farti un piccolo indovinello:

Se il ragazzo che stai aspettando vorrai incontrare,

nel punto più alto del parco dei tuoi sogni, dovrai andare.

Da quando il

sole sorgerà a quando tramonterà, lui con piacere

aspettare, si farà.>>

Okay, fa piuttosto pena come indovinello, ma spero l'avrai capito lo stesso. Ora, non voglio più tediarti con il mio romanticismo da due soldi. Spero di avere il piacere di rivedere la tua incantevole figura, magari questa volta... guardandoti sul serio.

T."

Quando finii di leggere, mi accorsi di avere le mani tremolanti e di aver bagnato di alcune lacrime la carta. Tirai su con il naso, asciugandomi con la mano le guance bagnate. Il cuore mi martellava così forte nel petto che credevo sarei morta da lì a breve, se non si fosse calmato. Poi, poco dopo, scoppiai a ridere. Risi così forte, che Abbie si affacciò dalla cucina, guardandomi con sguardo stranito.

-Che succede? Oddio ma tu stai piangendo... oppure stai ridendo? Jane, mi senti? Ti senti bene? E quella lettera?

Gliela diedi, senza rispondere, iniziando a saltellare a ballare per tutta la casa, pensando "Oddio, oddio, oddio", piangendo e ridendo allo stesso tempo.

Sembravo una pazza, e forse lo ero. La gioia mi aveva resa pazza.

Quando anche Abbie gridò un "Oh. Mio. Dio", capii che aveva finito di leggere. La mia amica mi corse incontro, con il grembiule sporco di sugo, stritolandomi in un abbraccio.

-Okay, okay... stiamoci calmi! Questa lettera è di Terence, vero? Oh cavoli, è di lui sicuro,- iniziò a biascicare,- Quindi vuole che vi incontriate al parco di Holyrood, no? Perché è lì che l'hai sognato, giusto? Il punto più alto è l' Arthur Seat? E poi, l'uccellino? E' Harrison, giusto?

-Abbie, stai straparlando.- la interruppi scoppiando a ridere.

-Sì lo so!- rise anche lei. -È che sono così felice per te. Anche Tom ha fatto l'evasivo su tutto l'argomento Terence in questi giorni, e temevo che per voi due non ci fossero più speranze e invece... oddio, sono troppo felice. Ora però vestiti, dobbiamo andare a trovare il tuo innamorato.

-Cosa?- la mia voce uscì troppo squillante.- adesso?

-Sì hai ragione, è meglio fare domani. Tanto è domenica, no? Quindi sei libera. Domani mattina si va ad Holyrood, gente.- gridò, prima di allontanarsi.

L'adoravo troppo. Era inutile.

***

La domenica mattina mi svegliai in tutta fretta. Era così tanta la voglia di rivedere Terence che non avevo dormito per niente, controllando ogni secondo l'orologio e alzandomi ogni tanto per cercare l'outfit adatto per quando l'avrei rivisto. D'altronde con quel suo "potrò guardarti meglio" non poteva volermi dire altro: era tornato a vedere. Oddio, mi sentivo svenire al solo pensiero che avrei visto i suoi occhi.

Alle sei non ce la feci più a rimanere nel letto, così mi alzai andando ad aprire la doccia, per lasciare scorrere l'acqua calda.

Poi mi avvicinai all'armadio e optai per il secondo completo che avevo scelto durante la notte. Avrei indossato un vestitino dallo stile anni '50, nero con dei ricami bianchi, dei collant color carne e delle inglesine di vernice bordeaux. Da sopra avrei indossato un cappottino color cremisi. A Terence, amante della buona moda, sarebbe piaciuto il mio stile... o almeno lo speravo.

Mi feci la doccia, poi mi asciugai i capelli e idratai il viso con mille creme. Volevo che fosse tutto perfetto!

-Jane, sei sveglia?- sentii Abbie gridare dalla cucina.- Fra poco si parte, ragazza.

-Sì, scendo subito.- urlai di rimando, ridendo.

A colazione avrei voluto bere solo una tazza di caffè bollente, ma Abbie mi costrinse a mangiare anche una fetta biscottata ricoperta di marmellata "perché la giornata deve partire con zucchero", come aveva detto.

Quando fummo pronte, uscimmo di casa.

Il viaggio mi sembrò lentissimo e per tutto il tempo dovetti resistere alla tentazione di mangiarmi tutte le unghie, vista l'ansia che mi stava pervadendo. Cosa avrei fatto? Cosa mi avrebbe detto? Cosa sarebbe successo? In un cartone animato, la mia mente sarebbe stata fumante in questo istante.

-Harrison ti ha detto nulla? Sa che oggi incontrerai Terence?- mi chiese la mia amica, ferma all'ultimo semaforo prima di arrivare al parco.

-In realtà aveva il cellulare spento. Ho provato a chiamarlo molte volte ma non mi ha mai risposto. Gli ho lasciato comunque un messaggio. In ogni caso penso che sappia tutto . Magari vogliono farmi una sorpresa...

-E' probabile.- Abbie si voltò un attimo verso di me, e mi sorrise.

Cinque minuti dopo, fummo di fronte il parco di Holyrood. Notai dal cancello esterno quanto fosse pieno. Palloncini colorati, passeggini, anziani signori. Oggi c'era così tanta gente che sperai di non metterci troppo a trovare Terence. Mi aveva scritto che si sarebbe fatto trovare sul 'punto più alto' ovvero l'Arthur seat.

-A dopo, baby! Vedrai che andrà tutto bene.-mi diede un bacio sulla guancia, prima che io uscissi.

-Ti faccio sapere tutto, appena possibile. Speriamo vada tutto bene, amica mia.- la salutai con la mano, e poi mi allontanai.

Iniziai a camminare rischiando di venire travolta da biciclette e tricicli di bambini. Mi aspettava un lungo cammino davanti, ma non mi importava.

Avevo raccontato il mio sogno ad Harrison, ma non gli avevo specificato che nel mondo onirico incontravo Terence proprio sull' Arthur Seat. Pensai che fosse proprio una bella coincidenza che lui avesse scelto proprio quel posto come punto di incontro.

Camminai respirando l'aria fredda che mi circondava. Nel mio sogno, eravamo all'inizio dell'autunno, e un incantevole ballo delle foglie mi si stagliava davanti agli occhi. Io ero seduta e Terence mi si avvicina. Oggi, invece, ad Edimburgo la neve era iniziata a cadere ed ero io che sarei andata da lui.

Una decina di minuti dopo, un po' affaticata, raggiunsi la collinetta più alta del parco. Iniziai a scalarla e in poco tempo, ci fui sopra.

Volsi lo sguardo attorno a me, con il cuore a mille. Di fronte ai miei occhi si stagliava il paesaggio mozzafiato del parco e da qui tutte le persone sembravano delle macchioline colorate seminate in un immenso campo bianco. Mi voltai dappertutto ma di Terence non ci fu neanche l'ombra.

Il cuore iniziò a battermi forte nel petto. Che mi fossi sbagliata? Che il punto di incontro non fosse quello?

-Ho sempre immaginato che tu non fossi un tipo da scarpe con il tacco.- disse una voce.

Mi voltai con lentezza, mettendo una mano sul petto, come se in questo modo, facessi smettere al mio cuore di battere così forte.

-Terence...- sussurrai, quando lo vidi.

In un'altra situazione sarei rimasta immobile a guardarlo, ma la voglia di incontrarlo era stata così forte che quando me lo ritrovai davanti, gli corsi incontro e lo abbracciai.

Lui rimasi inizialmente impassibile, forse non aspettandosi il mio gesto, ma poi mi strinse con le sue braccia più vicino a sé.

Rimasi ferma contro il suo petto, sentendo il suo cuore battere velocemente e inspirando il suo profumo di pulito. Avevo sempre amato il suo profumo.

Dopo qualche istante, mi allontanai per guardarlo negli occhi. Finalmente non erano coperti da alcuna montatura da sole. Erano grandi, luminosi, vivaci, brillanti e così vivi da togliermi il respiro. Tendevano più sull'azzurro che sul verde ed erano incredibilmente... belli.

-Jane.- mi disse, sorridendo.

Quanto poteva essere bello il suo sorriso.

Rimasi incantata a guardarlo, senza riuscire a spiccicare alcuna parola. Sentivo le gambe molli, come se fossero fatte di gelatina e il cuore battere così forte da farmi male.

-Ehi?- mi chiese, vedendomi incantata.

-Terence.- riuscii a rispondergli, stringendomi di nuovo a lui.

-Vuoi farmi proprio arrossire, Jane Ryan.- mi disse.

Ridacchiai scostandomi e guardandolo di nuovo negli occhi. Mi guardò con una tale intensità, che dovetti rimanere appoggiata a lui per non rischiare di cadere.

-Hai un viso... così bello.- mi sussurrò accarezzandomi una guancia.- Sei ancora più bella di come avevo immaginato.- continuò, sorridendo dopo un po' e facendomi inumidire gli occhi.

Era così strano vederlo sorridere.

-Il fatto che tu non mi dica nulla, mi preoccupa. Mi ricorda l'ultima volta che ci siamo visti...- girò il capo, cercando di celare il suo imbarazzo.

-E' solo che... non ho parole abbastanza belle da esprimere ciò che sto provando.- sussurrai.

Poi gli accarezzai la guancia, tastandone il calore, e la morbidezza. Tornò a guardarmi.

-Mi spiace... per tutto. Per averti fatta piangere. Per essere stato uno stupido. Per non averti aperto il mio cuore fin da quando avevo capito che ormai era tuo. Mi spiace...- continuò, abbassando lo sguardo.

Gli sorrisi.

-Mi sei... mancata tanto, Jane. - tornò a guardarmi.

-Anche tu. E' così bello rivederti, ed è così bello sapere che ora ci vedi, Terence. E' stato un miracolo.- gli sorrisi, sentendo una lacrima sfuggire dal mio controllo.

Ultimamente mi stavo trovando a piangere troppe volte, ma era bello quando le lacrime erano dovute all'immensa felicità.

-Forse sei tu... il mio miracolo, Jane.- disse serio.

Io abbassai lo sguardo, non riuscendo a controllare i miei occhi dal piangere altre lacrime.

-E' un sogno, vero? Sto sognando?- chiesi, voltando lo sguardo attorno a me.

Era impossibile che una cosa così bella stessa capitando a me.

-Siamo nel mondo reale questa volta, Jane.- raccolse le mie lacrime con il pollice della sua mano.- E se vuoi te lo dimostro, anche.

Posai nuovamente lo sguardo su di lui, curiosa della sua affermazione. Ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, Terence posò le sue labbra sulle mie e mi baciò.

CONTINUA...


Ciaoo ragazze ^_^

Eccoci finalmente al diciottesimo capitolo di "Ad occhi chiusi". Chiedo scusa per il ritardo con cui l'ho pubblicato. Ormai avrete capito che sono una lumaca con gli aggiornamenti ç_ç

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Io ho amato scrivere la lettera di Terence e descrivere il loro incontro alla fine del capitolo. Mi auguro sia lo stesso per voi e di non aver deluso alcuna aspettativa :D

"Ad occhi chiusi" è una storia molto importante per me, ed è proprio per questo che credo sia giusto darle il finale che merita. Se i miei calcoli non sono errati, il prossimo capitolo sarà il penultimo o l'epilogo finale. Vedo un po' come strutturarlo ^^ Ovviamente cercherò di non farvi attendere molto la prossima lettura.

Vi sono tanto ma tanto grata per tutte le stelline e i commenti che regalate alla mia storia, per leggere ciò che scrivo e per seguirmi. Davvero grazie mille a tutte voi <3

Alcuni commenti sono così belli che mi fanno emozionare e inumidire gli occhi. Grazie <3

Se vi va, sarei contenta di sapere la vostra anche per questo capitolo. Un bacione e alla prossima ! :)

-Rob

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