Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo Diciassette


AD OCCHI CHIUSI

Capitolo Diciassette

"Harry, prima o poi tutti dobbiamo affrontare la scelta tra ciò che è giusto e ciò che è facile"- A. Silente


-Non mi convince niente!- sbuffò Freddie, bevendo subito dopo, un po' del suo frullato.

Erano almeno tre ore che io e lui eravamo in giro per negozi, alla ricerca di un'idea adeguata per il regalo di matrimonio per la nostra amata Barbara. A meno da un mese dal suo grande giorno, sia io che il mio ex ci avevamo dato dentro per aiutare la nostra amica con i preparativi della festa. Colori, stoffe, canzoni, fiori da allestimento e chi più ne ha ne metta, erano all'ordine del giorno in questo periodo, e a me, stava più che bene. Ovviamente era anche stancante stare dietro ad un cerimonia matrimoniale, dopo le numerose ore di lavoro, ma visto lo stadio confusionale in cui versavo da almeno due settimane, per via dell'incontro avvenuto con Harrison, dedicarmi a qualcosa che non fosse scrivere e correggere bozze, era proprio ciò di cui avevo bisogno. Se ripensavo al sogno su Terence che avevo fatto a casa di mio padre, e se pensavo alle sofferenze che doveva aver passato quello scontroso, sentivo il mio cervello soffocare dentro una ragnatela di cose tristi, e avevo bisogno di non pensarci e di distrarmi, perché, davvero, non sapevo che fare.

-Dai su, Fred, non molliamo! In fondo, abbiamo almeno un altro paio di ore, prima che i negozi chiudano.

Bevvi dalla cannuccia un po' del mio frappè al cioccolato.

Freddie si guardò intorno mordendosi le labbra, e ticchettando l'indice sul tavolino che ci separava.

-Senti e se...- si fermò qualche istante dopo, guardandomi.- E se non le facessimo un regalo... materiale? Nel senso, non un oggetto, ma qualcosa di più duraturo nel tempo?

Sollevai le sopracciglia.

-In che senso?

-Stavo pensando che potremmo aprire un conto presso un agenzia di viaggi, e regalare a Barbie e al suo futuro marito, un viaggio di cui potranno usufruire per la luna di miele, o quando più aggradano... e poi ,per concludere in bellezza, potremmo comprare una bella cornice e racchiudere al suo interno quella bella foto che ci ritrae tutti il primo giorno di lavoro, nel nostro ufficio. Te la ricordi?

-Quella in cui avevo la frangetta e i capelli piatti, un maglioncino che non porterebbe neanche una nonna, e la gonna informe grigio topo?- chiesi, sperando ardentemente in una risposta negativa.

Dovete sapere, infatti, che per quanto abbia sempre amato la moda, i primi tempi in cui fui assunta all' Edinburg Fashion Magazine, non avevo un chissà quale alto senso estetico nel vestirmi. D'altronde, con una mamma assente nel fiore della mia adolescenza, non potevo pensare che mio padre avrebbe potuto suggerirmi quale capo stesso meglio con cosa, e quale nuance di colore si abbinasse a un'altra. Fu solo dopo un po' , che prendendo la mano con modelle e capi d'alta classe delle varie case d'abbigliamento, che iniziai a fare l'occhio e a crearmi uno stile tutto mio.

-Proprio quella.- scoppiò a ridere.

-Ah-ha, che divertimento.- lo guardai di traverso, ridendo subito dopo anch'io.

-No, sul serio, secondo te è una buona idea?,- riprese,- Penso che possa essere una cosa carina, a cui potremmo far partecipare anche Steve e Price, di modo che il budget per il viaggio sia anche più alto. E' sempre un regalo... materiale, ma i ricordi che entrambi, sia il viaggio che la foto, porteranno con sé, le faranno sempre compagnia. E poi, secondo me, non troveremo niente di meglio nei negozi.

Ci pensai su qualche attimo, bevendo un altro sorso del mio frullato e permettendo, così, al delizioso sapore del cioccolato di zuccherarmi il palato.

-Trovo che sia un'idea splendida.- gli sorrisi, sincera.

Effettivamente quella di Freddie era stata proprio una bella trovata. A Barbara sarebbe sicuramente piaciuto come regalo.

-Benissimo.- mi sorrise, entusiasta.- Beh,- continuò, schiarendosi la voce,- ora che abbiamo finito di parlare di queste deliziose frivolezze, ti andrebbe di dirmi come stai?- incrociò le braccia sul petto.

Le luci del fast food, in cui avevamo deciso di fermarci per prendere un pausa dallo shopping sfrenato, facevano brillare il Rolex che aveva al polso.

-Non bene, Fred. Ti ho raccontato tutta la faccenda degli Ashling e sai cosa provo per Terence, quindi...- spostai il bicchiere in avanti.

-Questo l'avevo capito.- sospirò.- e non hai intenzione di fare nulla per cambiare le cose?

-E cosa dovrei fare? Mi sembra che l'intera situazione sia contro di me. – mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

-Non sono d'accordo. Se l'autista degli Ashling ti ha raccontato tutte quelle cose, un perché ci sarà! Forse tocca a te, fare il primo passo e andare a parlare con Terence, per spiegargli che hai capito i motivi che lo hanno spinto a fare la pazzia di accettare il fidanzamento con quella ragazza e a convincerlo che insieme potreste costruire qualcosa di bello.

Scossi la testa.

-Fred, è troppo complicato.

-Solo se pensi che lo sia.- mi rispose, seriamente.

Sorrisi, riconoscendo la citazione.

-Cos'è? Citi il Cappellai matto di Alice nel paese delle meraviglie?

-Mi è sempre piaciuto citare i grandi uomini.- fu la sua risposta.

Qualche secondo e ridemmo insieme.

-E comunque,- riprese, tornando serio.- anche per me è complicato amare Edward, soprattutto in un mondo di pregiudizi e di ignoranza quale è quello in cui viviamo, eppure io non mollo mai, Jane. Nella vita, spesso, bisogna affrontare la scelta tra ciò che è giusto e ciò che è facile. E sì, adesso ho citato Albus Silente di "Harry Potter".

***

Il sabato successivo, Abbie invitò il suo ragazzo a cena da noi.

Per quanto volessi giocare a fare l'indifferente su tutta la questione 'Terence', e memore del discorso avuto con il mio adorabile ex, decisi che avrei cercato di dare una svolta 'attiva' alla passività con cui mi stavo imponendo di guardare ai miei problemi.

Fu così che quando Tom arrivò, mi prefissai di domandargli se avesse qualche notizia su Terence e se avesse qualche consiglio da darmi su tutta la faccenda. Ma proprio quando presi coraggio e mi affacciai in cucina, da cui poco prima mi ero allontanata per lasciare lui ed Abbie un po' soli, li sentii parlare di Terence e perciò decisi di rimanere dietro la porta per ascoltare. Probabilmente se mi avessero visto, non ne avrebbero più parlato, temendo di rendermi triste.

-E di Terence, hai qualche novità?- fece Abbie.

-Macché! Da quando è partito, non ci sentiamo da almeno due settimane! Mi spiace dirlo, ma l'amicizia tra me e lui in questo periodo non è più la stessa. Ho provato a chiamarlo una marea di volte, per non parlare di tutti gli SMS che gli ho inviato, ma... non ho mai ricevuto risposta. Secondo me il padre e quel Campbell lo stanno mettendo sotto pressione, in una maniera disarmante. E ci sto male, per questo, Abbie. Non so che fare.- disse Tom.

-Ma come non vi sentite da almeno due settimane? E' grave questo, tesoro. Dobbiamo assolutamente fare luce sulla situazione. Innanzitutto, prima mi hai detto che è partito. Per andare dove?- gli chiese la mia amica, con fare preoccupato.

-Mi disse che sarebbe andato a New York con la sua famiglia e con quella della sua... -Tom si fermò tossendo,- fidanzata. Oddio, mi vengono ancora i brividi a dire questa parola! Da quando si è fidanzato con Tessa Campbell, come ti ho appena detto, non è più lo stesso tra di noi, anche nel modo di rispondermi è sempre stato piuttosto frettoloso.

-Mhm,- sentii Abbie sospirare.- Direi che l'unico modo per capirci qualcosa di più, è informarci. Magari chiediamo anche all'autista della famiglia... com'è che si chiama? Harrison? Beh facciamoci aiutare e cerchiamo di capire almeno se stia bene. Ammetto di aver odiato Terence per come si rivolse alla mia Jane, quella sera, ma da quando lei mi ha raccontato tutti i dettagli della sua infanzia e del rapporto con quell'odioso del padre, mi sembra nostro dovere controllare che almeno stia bene, visto che purtroppo, per il resto, abbiamo le mani legate. Ti chiedo solo una cosa, Tom: non dire niente a Jane. E' molto sensibile come persona, e in questo periodo gliene sono successe troppe. Sapere che Terence non si fa vivo da due settimane, non farebbe altro che affossarla di più.

E invece, io avevo ascoltato tutto. Ma più che affossata, mi sentivo arrabbiata. Sapere che Terence non solo era stato costretto ad accettare un fidanzamento con un'estranea, per colpa di quello stupido del padre, ma che adesso non poteva neanche sentirsi più con il suo migliore amico, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. E poi, il fatto che per così tanti giorni non si fosse fatto minimamente sentire, mi preoccupava e non poco.

Decisi, con passo felpato, di allontanarmi. Non volevo preoccupare la mia amica, e sapere che io avevo sentito questa parte della loro conversazione, l'avrebbe preoccupata eccome! Adesso volevo solo fare qualche ricerca su internet. Ora che sapevo molte cose della vita di Terence, pensai che non fosse più un'intromissione della sua privacy andare in rete e cercare di capirci qualcosa di più.

Quando arrivai nella mia camera, ne chiusi la porta e aprii frettolosamente il mio computer portatile. Aprii il motore di ricerca, e dopo aver messo una canzone per non destare sospetti alla mia amica, inizia a digitare il nome di Terence e quello del suo futuro suocero.

Trovai, in pochi secondi, numerosi giornali online che citavano come titolo l'imminente festa di fidanzamento tra i due futuri eredi, ma non appena cliccai su di essi per leggerne il contenuto, mi si aprì , in tutti i casi, una pagina bianca con una sorta di simbolo di divieto postato al loro centro. Era come se ogni contenuto scritto su quegli articoli, fosse stato bloccato, e ciò era molto strano, considerato che fino a non molto tempo prima persino i tg parlavano in tv delle due famiglie.

Decisi di non demordere e quando mi parve di accedere ad un articolo che citava gli Ashling postato, per mia fortuna, solo pochi minuti prima da un giornalista, lo aprii. Fortunatamente non era stato oscurato. Pochi secondi, però, e sentii la mia amica bussare alla porta. Feci una foto ad esso con il mio cellulare, senza leggerne il contenuto, e chiusi di scatto il pc.

-Posso?- domandò timidamente Abbie, entrando in camera e richiudendosi la porta alle spalle.

-Certo che puoi. Dimmi tutto.- le sorrisi.

Sperai che la mia espressione sorridente celasse la preoccupazione dei miei occhi.

-No, nulla. Volevo solo dirti che la cena è pronta.

Il suo sguardo era puntato verso il basso e se non avessi intuito il motivo per cui non mi stesse guardando negli occhi, mi sarei preoccupata.

-Non volete cenare da soli, tu e Tom?- chiesi, alzandomi in piedi e stiracchiandomi le braccia.

-Certo che no. Ti ho preparato un piatto super buono, e poi non vuoi fare due chiacchiere con Tom, per verificare che sia il fidanzato perfetto per me?

Ridacchiai.

-Beh... ora che mi ci fai pensare, due domande le avrei.

Scoppiò a ridere e dopo poco uscimmo dalla mia camera.

***

Non avevo bisogno di altre conferme, ma vedere l'amore che legava la mia amica al suo fidanzato, non faceva altro che dare forza alle mie certezze. Il modo in cui si guardavano negli occhi, come si completavano le frasi a vicenda, la maniera in cui gli occhi di Abbie brillavano quando rideva per una sua battuta, erano solo alcune delle cose che mi dicevano quanto bene stessero insieme. Entrambi non si fermarono mai sull'argomento 'Terence', e io non ebbi il coraggio di fare domande. Certo più di una volta si guardarono complici negli occhi, come se avessero qualcosa da nascondermi, ma lasciai stare. Dopo cena, decidemmo di fare alcuni giochi da tavolo, ultimo dei quali il caro vecchio Monopoly, la cui partita fu vinta da Thomas. Quando i due fidanzatini decisero di guardare un film, decisi di farmi da parte e di rintanarmi nella mia camera, per concludere quelle ricerche su Terence che prima non ero riuscita a portare a termine.

Quando riaccesi il computer, notai, come avevo immaginato, che anche l'articolo che avevo beccato prima di cena, era stato bloccato. Chiedendomi ancora cosa ci fosse dietro a tutte queste cancellazione, aprii le foto che avevo scattato dal mio cellulare. Ciò che era scritto era breve, ma bastò ad aggiungermi altre preoccupazioni. Era raccontato, infatti, molto brevemente, che i preparativi del fidanzamento tra Terence e Tessa erano stati interrotti per motivi riguardanti la salute del primo, nell'articolo non specificati. Lessi anche che la sua condizione doveva essere grave, perché delle fonti vicine al giornale avevano sentito la famiglia parlare del New York Methodist Hospital. Quando arrivai a fine articolo, sospirai gettando il telefono sul mio letto. Un'improvvisa paura si impossessò di me. Terence che non faceva avere più notizie al suo amico, gli articoli di giornali bloccati, la sua condizione di salute grave al punto da essere ricoverato in un ospedale.

Avevo bisogno di vederlo, di capire con i miei occhi cosa gli fosse successo e come lo stessero trattando. Il primo pensiero fu quello di rivolgermi ad Harrison, così ripresi il cellulare e gli telefonai.

Tre squilli dopo mi rispose.

-Signorina Jane... non mi aspettavo una sua chiamata.- fece, leggermente preoccupato.

-Salve Harrison. Scusi se la disturbo e se andrò dritto al sodo, ma ho bisogno di sapere alcune cose: innanzitutto come sta Terence? Ne sa qualcosa? Ho notato che diversi articoli online, riguardanti gli Ashling, sono stati cancellati , ma sono riuscita a trovarne uno, in cui ho letto che è stato ricoverato in un ospedale a New York... - feci tutto d'un fiato.

Sentii, dall'altra parte, un sospiro.

-Purtroppo so quanto lei, signorina. Due settimane fa, al nostro appuntamento al bar, le ho raccontato che gli Ashling erano partiti, si ricorda?

-Sì.- risposi subito.

-Beh, erano partiti per New York per affari, e il loro ritorno era previsto per la settima scorsa, ma... una telefonata da parte di Catherine mi ha avvisato che il loro viaggio è posticipato a data da destinarsi, per via del fatto che il signorino ha avuto un incidente. Mi ha detto di prendermi un periodo di ferie e di non preoccuparmi.- sospirò.

-Un incidente?- domandai in preda all'agitazione.- Dio...- iniziai a fare su e giù per la stanza.

-Stia tranquilla, signorina. Agitarsi non porta mai a niente di buono. Se può farla stare meglio, le dico che ho deciso di andare a verificare che non sia successo nulla di grave al signorino, personalmente. Fra due giorni ho deciso, infatti, di partire per New York. Terence è come un figlio per me, e ho il dovere di andare a vedere cosa gli sia successo. E non parlo solo dell'incidente, ma anche del fatto che è da quando è partito, che non mi manda neanche un messaggio, cosa che gli avevo fatto promettere di fare per tutti i giorni in cui non fosse stato ad Edimburgo.

Mi sedetti sul mio letto, sospirando.

-Partire? Fra due giorni? – mi passai una mano nei capelli.

-Sì, è mio dovere farlo. Piuttosto, visto che siamo in argomento, e visto il fatto che ci avevo già pensato, le chiedo se non... non vuole partire anche lei, con me.

Vista dall'esterno, in questo momento, dovevo sembrare imbambolata, perché dischiusi leggermente le labbra, in un'espressione di pura sorpresa sul mio volto. Non mi aspettavo un invito del genere.

-Partire con lei a... New York?- biascicai.

-E' quello che ho detto. Se non si fosse capito, io tifo per lei Jane, e visto purtroppo l'andamento delle cose, credo che se lei tenga a Terence, debba fare qualcosa...! In ogni caso, è solo una proposta la mia. E ha diverse ore per pensarci. Domattina, se vuole, mi telefoni, e mi dica ciò che desidera fare. Ora, mi spiace, ma devo salutarla Jane.

Ricambiai il saluto e riattaccai.

Terence aveva avuto un incidente, e diverse cose non mi erano chiare. Che fosse davvero il caso di partire per andare a constatare con i miei occhi quale fosse la sua situazione? Ciò avrebbe comportato richiedere un altro periodo di ferie al mio capo, e dubitavo che me l'avrebbe concesso, ma... forse se gli avessi spiegato la situazione, cambiando dei nomi e modificando qualche dettaglio, avrebbe potuto chiudere un occhio.

L'indomani mattina, vista la piega delle cose, raccontai dell'articolo e della telefonata ad Abbie che, sostenne la mia idea di partire per New York, dicendomi che con molta probabilità mi avrebbe raggiunta anche lei con Tom, qualche giorno più tardi del mio.

Anche a lavoro, Barbara e Freddie furono d'accordo con la mia scelta. L'unico che mi pose resistenza fu, come avevo previsto, George. Ma quando gli dissi, travisando un po' i fatti, che un mio parente stretto era stato ricoverato in ospedale, per un incidente, il suo animo si addolcì e il suo sguardo si illuminò, dicendomi di prendermi tutti i giorni di cui avessi avuto bisogno. D'altronde, al Giornale, non stava succedendo nulla di particolarmente importante in questo periodo. E solo a dicembre, con l'arrivo delle feste, sapevo che qualcosa di grande sarebbe stato organizzato.

Il pomeriggio prima del viaggio, presi il più grande trolley che possedevo e lo riempii di qualsiasi cosa mi capitasse a tiro, dall'armadio. Sciarpe, maglioni, pantaloni e scarponcini comodi. Ero in ansia e avevo tanta paura. Paura di risultare invadente davanti agli Ashling e i Campbell, perché in fondo per loro non ero nient'altro che un'estranea e, soprattutto, paura che a Terence fosse capitato qualcosa di grave.

-Tesoro, vuoi stare tranquilla? Vedrai che non sarà niente di grave...- cercò di tranquillizzarmi Abbie, piegando con cura tutte le maglie che io, per l'agitazione, mi stavo limitando ad appallottolare.

Mi limitai a guardarla per un secondo, continuando a riempire, senza sosta, la mia valigia.

-Lo spero con tutto il cuore. Posso accettare tutto, ma non che stia male.- le dissi.

-Io e Tom, vi raggiungiamo fra due giorni. Alloggerete all' Hudson Hotel?- continuò.

Annuii con la testa.

-Bene.

La mattina dopo, alle cinque in punto, Abbie mi accompagnò all'aeroporto, dove incontrammo ,all'ingresso, Harrison. Il volo sarebbe partito tra un'ora. La mia amica mi strinse forte in un abbraccio, dandomi un bacio sulla guancia e dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Poi, sotto mia richiesta, se ne andò lasciandomi sola con l'autista, con cui andai a sbrigare le diverse faccende burocratiche pre volo.

Quando finimmo, decidemmo di andarci a sedere su una delle fredde sedie di plastiche dell'aeroporto.

-Vedrà che tutto si sistemerà, Jane.- mi strinse una spalla, Harrison.

-Me lo auguro, signor Harrison. In ogni caso, secondo lei, non è sconveniente che io mi presenti davanti agli Ashling? Non mi conoscono neanche e, in fondo, non ho alcun diritto su Terence...- lo guardai, dando voce ad alcuni dei dubbi che mi avevano perseguitato durante la notte.

-Beh, signorina, io non vedo nulla di sconveniente nel farmi compagnia durante questo viaggio. I signori non la conoscono, ma lei conosce Terence e questa è l'unica cosa che conta. In più, lei ha tutto il diritto di fargli una visita, in qualità di sua amica! Se dovesse esserci qualche complicazione, me ne prenderò tutta la responsabilità.

-Grazie Harrison.- gli sorrisi, grata.

Poco dopo mi schiarii la voce.

-Senta Harrison...- decisi di chiedergli ancora.

Lui mi guardò, curioso.

-L'ultima volta che ci siamo incontrati, quando le ho chiesto se lei avrebbe fatto qualcosa per riavvicinare me e Terence, lei non mi ha risposto, mi ha fatto un' occhiolino e se n'è andato. Non sono riuscita a interpretare il suo gesto... così vago.- ammisi, guardandolo negli occhi.

Harrison, piegò le labbra in un mezzo sorriso. Stranamente assomigliò a Terence, con questa espressione.

-Interpreti il mio gesto come un volerla spronarla a fare qualcosa, Jane. Ci conosciamo da poco, è vero, ma mi basta guardarla negli occhi per leggere dentro di lei tanta forza. So che a lei Terence non è indifferente e il mio occhiolino, voleva essere una sorta di incentivo a "combattere".

-E in che modo, secondo lei, io avrei potuto combattere? In questi giorni mi sono sentita preda di molti attacchi d'ansia, lo sa? Non ho mai saputo cosa fare.- confessai.

-So che non è facile prendere delle decisioni quando ci si trova immischiati in faccende grandi come quella che si è creata tra lei e il signorino, ma... forse la sua semplice presenza, sarebbe stata sufficiente.

-Ma se Terence, mi ha espressamente chiesto di stargli lontana, come avrei potuto stargli accanto?- feci, passandomi nervosamente una mano nei capelli.

-Walt Disney un giorno disse: "L'unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare". Quindi, Jane, lei avrebbe potuto fare quello che già sta facendo adesso. Fare di tutto, per mostrare a Terence che lei non si arrende.- mi fece di nuovo l'occhiolino, e poi si girò a guardare lo screen dei vari voli.

Annuii con la testa, ancora un po' confusa. Era sicuramente un uomo saggio, l'anziano autista, ma sapeva essere anche molto enigmatico. E comunque, questo sembrava il periodo in cui tutti mi parlavano tramite aforismi.

Poco dopo, ci imbarcammo sul nostro volo. I nostri posti erano vicini, e il mio era quello vicino a finestrino, come da mia richiesta. Mi piaceva guardare il cielo e il paesaggio dall'alto. Mi aiutava a riflettere, e a far passare più velocemente il tempo, soprattutto se il viaggio sarebbe durato tanto, come in questo caso, in cui avremmo impiegato sette ore per arrivare a New York. Questa era la terza volta che partivo in aereo; le prime due volte ero partita per motivi lavorativi, spostandomi una volta a Madrid e una a Milano, per la settimana della moda. Ma, questa volta era diverso. Questo non era una viaggio di lavoro, né di piacere. Partivo per cercare chiarezze in questo periodo della mia vita, che in poco tempo, si era fatto complicato, e per cercare di stare vicino ad una persona che, malgrado tutto, teneva ancora strette tra le sue dita i fili a cui era legato il mio cuore. Forse Harrison aveva ragione. L'unico modo per cambiare le cose, era prendere in mano la situazione, facendo di tutto per cambiarle.

Durante il viaggio io e il signor Harrison non parlammo molto. L'autista era chiaramente giù di morale, sebbene cercasse di sorridermi ogni qual volta giravo il mio sguardo per guardarlo negli occhi. Quanto a me, ero troppo assorta nei miei pensieri per intavolare qualche conversazione.

Poco dopo, forse per il fatto che non dormissi bene da giorni, i miei occhi si fecero pesanti e mi addormentai.

***

-Jane siamo arrivati.- mi svegliò Harrison.

Controllai l'orologio da polso, costatando che, effettivamente, erano trascorse poco meno che sette ore da quando ci eravamo imbarcati. Avevo dormito poco e male, senza sognare nulla, ma almeno il tempo era passato.Mi stropicciai gli occhi, poi diedi una fugata occhiata al finestrino, da cui adesso mi si presentava un paesaggio completamente diverso da quello dell'aeroporto di Edimburgo e poi, uscii.

Presi i nostri bagagli, Harrison chiamò un taxi che ci accompagnò fino all' Hudson Hotel, albergo non molto distante da Central Park, dove era situato l'ospedale di Terence.

La frenesia e la caoticità delle strade di New York mi colpirono in pieno viso, insieme al vento che fuoriusciva dal finestrino del taxi, da me aperto a metà. Edimburgo, la mia città, era una capitale europea, e come tale aveva la sua frenesia, ma era sicuramente impareggiabile alla città della Statua della Libertà. Qui, erano le otto del mattino per via del fuso orario, e le strade cominciavano a essere colorate dai soprabiti e dai vestiti dei bambini in procinto di andare a scuola, dalla gente che andava a lavoro e da quelli che erano in giro a fare commissioni.

L'odore del fumo delle macchine mischiato al profumo del caffè dei vari bar, ci condusse fino a quando arrivammo alla nostra destinazione. Pagato il taxista, giungemmo alla receptionist dell'hotel, mostrammo i nostri documenti di identità, e poi salimmo verso le nostre stanze.

-Se vuole signorina, diamoci un paio di ore per rinfrescarci e per riprenderci dal viaggio. Verso le dieci, mangiamo qualcosa e poi andiamo all'ospedale.- mi propose l'autista, circondato da due valigie e con una mano sulla maniglia della porta della sua camera.

-Sono d'accordo.- acconsentii, prima di sorridergli e di entrare in stanza.

L'albergo in cui alloggiavamo era a quattro stelle. Le camere erano state pagate da Harrison che aveva insistito per pagare anche il viaggio in aereo. Alla fine, però, l'avevo spuntata io, pagando quest'ultimo.

La stanza era bella. Pulita, e ordinata, con un grande letto al centro e un grande comodino sotto uno specchio. Una tv a schermo piatto si ergeva sopra un divanetto e dalla finestra si potevano osservare dei grattacieli specchiati.

Posai i bagagli vicino all'armadio, mi tolsi le scarpe e l'impermeabile che avevo indosso e poi mi stesi sul letto, incrociando le mani sul petto e guardando il soffitto. Poi chiusi gli occhi e mi concessi qualche minuto per immergermi in qualche ricordo. Ripensai al primo incontro che avevo avuto con Terence, alla sua scontrosità, ai suoi mezzi sorrisi, ai suoi occhiali da sole, alla prima volta che avevo visto i suoi occhi, vitrei ma belli, al nostro scambio di battute, a quando mi cantò "Mad World" al pianoforte, a quando mi fece incontrare i suoi amici al centro di riabilitazione, a quando mi regalò una rosa bianca, a come mi ero sempre sentita in sua compagnia e alle parole che mi aveva rivolto l'ultima volta che ci eravamo visti, quando in mezzo al quel discorso, per me insensato, mi aveva detto di trovarmi bella e di piacergli. Terence Ashling era un ragazzo affascinante, e non parlavo solo del suo aspetto esteriore, ma soprattutto della sua anima.

La sua anima era affascinante.

Era un'anima segnata da cicatrici, forte, dolce e tanto fragile. E pensare, che la prima volta che lo avevo conosciuto, non mi aveva fatto una bella impressione. Troppo snob, troppo so tutto io, troppo arrogante, ma poi... poi avevo visto sotto la corazza. Avevo visto un ragazzo che cadeva ma che aveva paura ad ammetterlo, che mi regalava le mie caramelle preferite, dicendo che in realtà per lui erano abbastanza, che aveva paura a ballare, perché non lo sapeva fare. Piccoli gesti, che lo rendevano il ragazzo più bello che potessi conoscere. A me Terence Ashling piaceva, e anche tanto, ma la mia non era solo una cotta, o un'infatuazione. Io provavo dell'affetto che andava ben oltre l'amicizia nei suoi confronti. Io ne ero innamorata.

In queste settimane mi ero sentita come la spettatrice esterna della mia vita. Era come se questa fosse un film le cui scene si erano succedute troppo in fretta, senza che io potessi mettere nulla in pausa, senza che potessi tornare indietro e cambiare le cose. Ma adesso, volevo cambiare le cose. Avevo fatto un viaggio lungo sette ore per essere vicina al ragazzo che mi piaceva ,e anche se avevo paura di diverse cose, ero consapevole del fatto di poter essere una protagonista forte perché innamorata, e questa era forse un primo passo per rendere la mia vita il mio film. E non il film di Mary Anne Williams, di Christopher Wilson, di Tessa Campbell, o di qualcun altro, ma il film di Jane Ryan.

***

Alle dieci in punto io ed Harrison andammo in un bar poco distante dal nostro albergo. Io ordinai un cappuccino, lui un caffè. Entrambi avevamo l'aria assorta ma cercammo di fare conversazione, chiedendoci cosa avesse portato Terence ad avere un incidente. L'autista mi raccontò di come il signor Ashling, seppur distante da suo figlio, avesse sempre cercato, dopo la cecità, di garantirgli sicurezza e tranquillità e che quindi ipotizzava, che il tutto fosse successo in un momento di assenza dal genitore. Poi mi raccontò di aver visitato New York già una volta nella sua vita, quando era molto giovane e sperava di far fortuna in America.

-E come è finito a fare l'autista?- feci io incuriosita, bevendo lentamente la mia calda bevanda.

Le temperature erano più calde rispetto ad Edimburgo, ma ciò nonostante avevo un forte bisogno di riscaldarmi.

-Ho iniziato a fare l'autista un po' per caso. Un giorno un vecchio amico di mio padre, mi chiese se volessi accompagnarlo da una parte per qualche soldo. Prontamente accettai. Quando ero ragazzo, i tempi erano un po' più difficili di adesso, e non potendo ricevere neanche un'istruzione superiore, mi accontentavo di qualsiasi cosa. Mi accorsi che accompagnare persone con l'automobile mi piaceva. Mi piaceva osservare il mondo che mi circondava attraverso i vetri di una macchina, e che amavo capire i sentimenti di chi scortavo, dando solo una fugace occhiata allo specchietto retrovisore.- l'autista si fermò guardandomi.- Poi, dopo anni di servizio presso una vecchia donna ricca, quando questa morì, fui presentato agli Ashling e da lì...- non concluse la frase.

Io lo ascoltai in silenzio. Harrison era un brav'uomo e visti da lontano potevamo sembrare un nonno e una nipote.

Dopo aver pagato il conto, ci avviammo a piedi verso il New York Methodist Hospital.

-Sa signor Harrison, ho fatto un sogno una settimana fa.- mi strinsi la sciarpa al collo.

Una fiumana di persone avanzava sul marciapiede su cui stavamo camminando ed io e l'autista ci eravamo avvicinati e fatti piccoli, per evitare di essere spintonati.

-Un sogno di che tipo?- mi guardò un secondo.

-Ho sognato Terence. Eravamo al parco di Holyrood, i suoi occhi erano vivi e mi diceva che era tornato a vedere... anche se ciò non era stato facile.

-Non era stato facile?- chiese curioso.

-Sì... nel sogno mi diceva proprio così. Non so però a cosa si riferisse.

Harrison sospirò.

-Curioso sogno, Jane. Ma per il momento possiamo solo avere fede.

Annuii con il capo continuando a camminare.

Una decina di minuti dopo ci trovammo di fronte ad un edificio in calce, grigio, su cui svettava ,sopra una grande porta vetrata, un'insegna rossa con impresso, in bianco, il nome dell'ospedale.

Io ed Harrison avanzammo lentamente al suo interno, venendo investiti dal candore delle pareti e da un'acre odore di medicinali. La sala d'attesa era grande e sedute c'erano numerose persone, tra cui anziani e bambini.

Quando fummo vicini alla reception, dovemmo aspettare il turno dopo tre persone, tutte piuttosto disperate. L'infermiera che dava indicazione, era una donna di colore dai corti capelli castani, vestita con una casacca bianca colorata da pupazzetti disegnati. Era molto veloce nel dare indicazione e la frenesia con cui svolgeva il suo lavoro, era notabile dai movimenti veloci con cui consegnava moduli e fogli da firmare.

-Prego.- fece la donna, quando arrivò il nostro turno.

-Buongiorno. Vorremmo sapere dov'è ricoverato un nostro amico. Si chiama Terence Ashling.- rispose Harrison.

Io ero vicina a lui, troppo in ansia per spiccicare anche una sola parola.

-Ashling, ha detto? Mi spiace, ma il signor Ashling ha chiesto espressamente di non voler ricevere per suo figlio, alcun tipo di visita. Credo tema incursioni da parte di giornalisti.- concluse l'infermiera, guardando prima me poi lui.

-Oh... capisco. – fece colto di sorpresa Harrison.-E non c'è alcun modo di mettersi in contatto con il signor Ashling per avvisarlo della nostra presenza? Sono l'autista della famiglia e ...

-Mi spiace signore, ma gli ordini che mi sono stati datti sono quelli che le ho appena riferito. Ora, la prego di andarsene e di far passare gli altri pazienti.- lo interruppe.

Presi dallo sconforto ci allontanammo. Non avevo considerato la possibilità che la famiglia di Terence non volesse che nessun altro, tranne i parenti stretti, potessero fargli visita. Alla fine, ero punto e a capo. Non avevo concluso nulla. Ma mi sembrava tutto molto strano. Non permettere a nessuno, nemmeno all'autista di famiglia, di fare una visita era davvero eccessivo. Paura di incursioni da parte dei giornalisti? Ma perché? Fino a non molto prima, il nome Ashling era sulla bocca di tutti, e adesso non volevano giornalisti?

-Harrison?- fece poi, una voce all'improvviso.

Io e l'autista, quasi vicini alla porta d'entrata, ci voltammo. Una donna bella e bionda ci raggiunse, con in mano un bicchiere di carta. Mi ci volle qualche istante per riconoscerla come la donna che avevo visto al "Queen Victoria", quando Barbara ci disse del suo matrimonio, insieme a Terence.

-Signorina Catherine.- le andò incontro l'autista.

Io lo seguii.

-Che ci fai qui, Harrison? E lei chi è?- mi rivolse un'occhiata la bionda.

Il suo tono era freddo. Il volto era un po' pallido ma perfettamente truccato e i capelli erano freschi di parrucchiere. Il ritratto di una donna disperata, insomma.

-Salve. Mi chiamo Jane Ryan e sono... sono un'amica di Terence.- risposi titubante, ingoiando subito dopo della saliva.

Catherine mi fissò, guardandomi dall'alto in basso.

-Ah, allora tu sei la famosa Jane Ryan!- puntò, poi, lo sguardo verso l'autista.- Non mi hai ancora detto il motivo per cui sei qui.

Mi conosceva?

-Signorina, so che mi ha detto di non preoccuparmi, ma lei sa quanto sia affezionato al signorino Terence e quando ho saputo dell'incidente, non potevo non venire personalmente a controllare la situazione.- le spiegò.

Catherine strinse il bicchiere nella mano, e continuò a guardare prime me poi l'anziano.

-Mi spiace Harrison, ma temo tu abbia fatto un viaggio a vuoto. Mio padre non vuole che nessuno venga a far visita a mio fratello. E comunque, non capisco perché tu abbia portato... lei.- mi guardò.- sai che c'è Tessa, vero? Potrebbe farsi chissà che strane idee vedendola. In ogni caso, Terence non è grave. Ora è in coma farmacologico, a causa di una caduta che lo ha portato a sbattere la testa. – concluse la frase come se ciò che fosse successo al fratello, fosse paragonabile a un taglietto sul ginocchio.

-Sbattere la testa?- domandai io, allarmata.

Si rendeva conto della gravità dell'incidente, Catherine tiguardodall'altoinbasso Ashling?

-Non credo che possa interessarti, signorina Ryan. Tu non sei nessuno né per me, né per la mia famiglia, né tantomeno per mio fratello che, come saprai, è fidanzato.

Strinsi i denti, chiudendo le mani a pugno. Avrei voluto tirarle uno schiaffo, ma ero in ospedale e lei era la sorella di Terence. Perché mi si rivolgeva con una tale durezza?

-Signorina, forse per lei non è nessuno Jane Ryan, ma per suo fratello lei è una figura importante, glielo posso garantire. La signorina e io abbiamo fatto un viaggio lungo sette ore per essere qui ,ed entrambi abbiamo il diritto di fare una visita al nostro amico Terence.- le rispose Harrison, diventando rosso. Era visivamente alterato.

-Innanzitutto non ti rivolgere a me in questi toni. Sei un dipendente della mia famiglia, se te ne fossi dimenticato, non un nostro amico. Secondo, nessuno ti ha chiesto di venire qui. Ti ho detto di prenderti un periodo di ferie e di farti gli affari tuoi, questo è tutto. Ora, vi sarei grata, se ve ne andaste o sarò costretta a chiamare la sicurezza.

Catherine Ashling ci scoccò un'ultima occhiataccia e se ne andò.

Veleno. Ecco cosa scorreva nelle vene di questa arpia dalle gambe lunghe e dal cuore di pietra. Se il gemello era come lei, potevo solo immaginare come doveva essersi sentito Terence da bambino e da adolescente.

-Non mi aspettavo minimamente una cosa del genere, signorina. Mi dispiace così tanto di averla messa in questa situazione.- Harrison abbassò il capo, realmente dispiaciuto.

-Non osi scusarsi, Harrison. Lei non ha nulla a che fare con la scortesia di questa ragazza. Posso anche capire che non permetta a me di fare visita a suo fratello, seppur i modi con cui mi si sia rivolta siano stati molto discutibili, ma a lei... è inconcepibile.

Eravamo ancora nella hall dell'ospedale, e alcuni occhi erano puntati su di noi.

-Non capisco il perché, davvero.- si passò una mano sugli occhi.

-Non si preoccupi. Le va di andare a fare una passeggiata a Central Park?- cercai di sorridergli.

Anch'io ero dispiaciuta per ciò che era successo. Volevo vedere Terence e avere la possibilità di stringerli almeno la mano, ma purtroppo sembrava che non potessi fare nulla per il momento. Ero sì la protagonista del mio film, ma a volte gli antagonisti avevano la meglio.

L'autista annuì, e così uscimmo.

***

Seduti su una delle tante panchine di uno dei più bei parchi del mondo, io ed Harrison guardammo la vita di tanta gente girarci attorno. Il cielo era limpido, le chiome alberate erano colorate d'arancio e di giallo, ed io e lui eravamo in silenzio a rimuginare su ciò che fosse successo.

-Un modo per entrare lo troveremo, ne sia sicura Jane. L'ospedale non è della famiglia Ashling e non hanno alcun diritto di proibirci di far visita a Terence.- fece l'autista, ancora rosso in volto.

Era arrabbiato almeno la metà di quello che ero io.

-Jane Ryan, la giornalista?

Mi sentii chiamare da qualcuno, così mi voltai. Sulla panchina accanto alla nostra, ci stavano guardando due ragazze, molto simili tra loro. Una delle due indossava un paio di occhiali da sole sugli occhi e proprio questa mi sembrò di averla già vista.

-Sono io, e tu sei...?

-Sono Lizzie. Ci siamo incontrare al centro di riabilitazione "The House of the Rising Sun", più di un mese fa. Si ricorda?

Ma certo! Che sciocca che ero stata a non ricordarmene subito.

-Oddio, certo che mi ricordo di te! Scusami, se non ti ho riconosciuto subito. Ho la testa un po' incasinata in questo periodo .- le sorrisi di un sorriso che purtroppo non avrebbe potuto vedere.

-Salve. Sono Sarah, la sorella di Lizzy.- mi tese la mano, l'altra ragazza.

Gliela strinsi, sorridendole. Ora che guardavo meglio, notai un bastone per non vedenti tra le mani di Lizzie.

-Che ci fai qui? Non eri al centro di riabilitazione?- feci con curiosità.

-Ho uno zio dottore qui a New York specializzato nella cura degli occhi. Vengo a fare dei controlli due volte al mese al Methodist Hospital.- mi spiegò.- Lei, invece? Ho riconosciuto subito la sua voce, ma pensavo di sbagliarmi fin quando non ho sentito una voce maschile nominare gli Ashling e lei.

-Sì, sono stato io. Piacere signorine, sono Harrison, autista degli Ashling.- l'autista si presentò alle due ragazze.

-Piacere mio! Siete qui per Terence, dunque?- ci domandò Lizzie.

-Sì. L'hai ipotizzato sentendo me e il suo cognome?

-Sì, ma anche perché so che è stato ricoverato, e sentendo la sua voce, ho fatto due calcoli.

Harrison ed io ci guardammo negli occhi, con un barlume di speranza. Speranza che lei sapesse qualcosa di più di ciò che ci aveva raccontato quell'antipatica.

-Ne sai qualcosa, Lizzie? Purtroppo non siamo stati ben accolti in ospedale. Gli Ashling non vogliono che nessuno faccia visita a Terence.- feci sconsolata.

-Sì, lo so! Ho tentato anch'io di fare una visita a Terence ma non mi è stato permesso. In ogni caso, ho costretto mio zio a raccogliere qualche informazione.

-Che splendida coincidenza, averti incontrato qui. Ti andrebbe di dirci cosa ha saputo tuo zio?- feci in attesa, con il cuore in gola.

- Certo che vi racconto!- si schiarì la voce.- Dunque mi ha detto che Terence, per motivi che non sa, stava passeggiando per le strade della città quando una macchina è stata sul punto di investirlo. Fortunatamente si è fermata in tempo, ma Terence deve aver avvertito il pericolo, per cui ha perso l'equilibro scivolando e sbattendo la testa contro l'asfalto. Ora è stato messo in coma farmacologico, perché pare che il colpo causatogli dalla caduta sia pari a quello che ricevette quando divenne cieco.

Ascoltai Lizzie, con la massima attenzione. Il cuore iniziò a battermi freneticamente e l'ansia iniziò a salirmi a mille.

-E quindi questo cosa significa signorina?- le chiese preoccupato Harrison.

-Mio zio mi ha spiegato che fortunatamente non è stata intaccata nessuna parte importante, e che fra al massimo due settimane dovrebbero dimetterlo. Il colpo, però, potrebbe aver fatto sì che l'ematoma che gli intaccò il nervo ottico anni fa, si sia ridotto. Quindi, c'è qualche piccola possibilità che torni... beh... a vedere.- curvò le sue labbra.

Quando finì il discorso, sorrisi. Sentii il mio cuore leggero e privo dell'ansia e della preoccupazione che provavo fino a poco fa. Terence sarebbe stato dimesso entro due settimane, senza alcuna complicazione, e anzi, se fosse andato tutto bene, sarebbe persino tornato a...a... vedere! Si poteva morire di gioia?

Anche l'anziano autista sembrò sollevato. Vidi che i suoi occhi si fecero lucidi e che prese a guardare con sguardo inebetito le due ragazze.

-Dovete essere due angeli, voi due signorine! Ci avete portato una notizia splendida.

Harrison face su con il naso e poi si alzò in piedi, abbracciando Sarah e Lizzie.

-Oh, ma non abbiamo fatto nulla! – sorrisero, entusiaste.

-Avete fatto tantissimo, invece.- andai ad abbracciarle anch'io.

Poco dopo ci raccontarono che dalle due alle tre, il padre e i due fratelli di Terence scendevano nella mensa dell'ospedale per il pranzo, lasciando ad un'infermiera l'incarico di sorvegliare la stanza. Ovviamente sapevano tutto questo, sempre grazie al loro zio medico.

-Giusto oggi, stavamo pensando di tentare la sorte e di provare ad andare nella stanza di Terence, durante l'ora di pranzo. Ogni giorno, c'è un'infermiera diversa, e quella di oggi la conosciamo, quindi...- continuò Liz.

Sarah ci lanciò uno sguardo furbetto.

-Sarebbe splendido.- trillai entusiasta.

A quanto pare, un po' di luce si stava facendo spazio tra i tanti momenti bui che avevo vissuto.

-Bene. Ora, vi va di andare a bere qualcosa?

CONTINUA...

Ciaoo ragazze! :) Chiedo scusa per il ritardo con cui ho pubblicato il capitolo. Sono stata con la mente un po' impegnata in questo periodo! Spero, in ogni caso, di non aver deluso nessuna aspettativa! Terence è stato ricoverato in ospedale per un incidente che fortunatamente non gli ha causato nulla di grave, e potrebbe tornare persino a vedere...

Mi scuso, a tal proposito, se dal punto di vista medico ci siano delle imprecisioni, ma ai fini della storia, era necessario che le cose andassero come le ho descritte. Spero risultino veritiere ;)

Jane sembra decisa a prendere in mano la situazione e a diventare la "protagonista" della sua vita. Non che fino adesso non lo sia stata, ma a causa dei vari momenti tristi che stava vivendo, si stava lasciando un po' andare...

Ho cambiato, in conclusione,la  copertina della storia. Spero vi piaccia! Eccola qui:

Grazie mille per tutti i voti, i commenti e le letture che regalate alla mia storia! Un bacio, e a presto!!! <3

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro