✵ Entr'acte ✵
Entr'acte
Primo volo
La rinomata prosperità della Radura, carezzata dall'aria torrida che si trascinava l'estate, aveva regalato fruscii, bisbigli tra foglie, brusii che si erano dispersi con l'arrivo imminente dell'autunno.
L'usignolo, però, puntando il becco in direzione dell'orizzonte, aveva avvertito a malincuore la venuta di un autunno diverso. I suoi timori si erano avverati: nessuna corrente rigida era giunta a frustare i rami, nessuna pioggia furente era giunta a dissetare le terre più aride.
Era tutto così silenzioso, indifferente e spezzato.
E spezzate lo erano anche le sue delicate – e ormai disabitate – corde vocali, le ali su cui un tempo faceva affidamento, più di quanto facesse su delle ali vere. Poiché erano quelle canore che gli permettevano di raggiungere quote elevate, dove poteva afferrare una felicità che sapeva di brividi e libertà, simile a quella che si percepiva quando il vento accompagnava un volo giù da albero, o da un dirupo.
Eppure, era una visione che non era reale.
Perché questo – il tempo immutato, i silenzi persistenti – altro non era che la distorta percezione che l'usignolo aveva imparato ad avere del suo piccolo grande mondo; da quando aveva stabilito che esiliare se stesso e il suo dono canterino fosse un buon compromesso per non sprofondare più nella vergogna, tutto ciò che lo circondava aveva iniziato a incrinarsi e ad abbattersi, giorno dopo giorno, come il tronco di una quercia che si scontra con la lama fredda di un'ascia.
E la Radura soffriva, soffriva in silenzio, il cielo con lei; se una volta era una tela limpida su cui gli abitanti si divertivano a tracciare delle dinamiche pennellate nerastre, adesso sembrava che provasse una sorta di ribrezzo a offrire anche solo uno scorcio pulito. Il grigiore era diventato un malinconico lenzuolo, le nubi una coperta massiccia in cui la spensieratezza che distingueva quell'angolo di paradiso vi ci rifugiava sonnolenta. I temporali erano diventati più frequenti, la pioggia si alternava a venti talmente impetuosi da temere che spazzassero via ogni cosa avesse gettato le sue radici, le sue lacrime rigavano antichi tronchi e straziavano i cuori di chi contemplava la bolla di tristezza in cui si era rinchiuso l'usignolo.
Loro vedevano.
Non lui.
L'usignolo non riusciva a vedere tutta quella sofferenza. Era cieco. Gli avevano infilato una benda che non riusciva a sfilarsi. E probabilmente, nel suo dolore, neanche desiderava farlo. Temeva chi avrebbe incontrato, temeva di abbandonare quel suo posto sicuro.
Temeva di affrontare, vedere, realizzare.
Però, dalle vette più impervie, distante dagli occhi della Radura, una creatura dotata di artigli e vista aguzza si allarmò di tanto sconforto; decise di seguire quella scia infelice finché non arrivò a scoprirne il nucleo in aree su cui non aveva mai viaggiato prima di allora.
Sorvolando su un territorio che non gli apparteneva, vide.
Incontrò una creatura così piccola, esitante, e... bendata. Da parte dell'usignolo non esisteva alcuna volontà di voler guardare, tantomeno di provare a togliersi una benda che gli avevano stretto intorno agli occhi con l'inganno. Quel rapace mal tollerava una simile rassegnazione. Ma per una volta si costrinse a zittire i suoi pensieri per poterlo osservare con più attenzione, più di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita dalle cime solitarie dei monti.
L'aveva capito: in quella creatura aleggiava una maledizione che nemmeno degli artigli affilati come i suoi sarebbero stati in grado di spezzare. Solo l'usignolo avrebbe potuto, se avesse capito. Se solo avesse abbassato quella benda che gli occultava occhi, spirito e voce.
Voleva aiutarlo.
I giorni si susseguirono, si conobbero mentre l'inverno bussava alle porte con le prime lente fioccate, e i due, rispettando i silenzi e le parole e le diversità dell'altro, costruirono un loro equilibrio. Gli abitanti della Radura rimasero spiazzati da tanto affiatamento; una creatura così grande e una così piccola non si erano mai visti così vicini, sullo stesso piano, lo stesso habitat.
Ma ai due non dispiaceva.
Il rapace, notando quanto potenziale conservasse l'usignolo dentro di sé, gli offrì la sua possente ala come sostegno; se non poteva togliergli la benda, voleva assicurarsi che compisse il suo tragitto senza farsi del male. Se si rifiutava di vedere, l'avrebbe fatto lui stesso, indicandogli la retta via. Se temeva di curare le sue ali, allora gli avrebbe insegnato a volare di nuovo.
L'usignolo accettò e, riconoscente, ci saltò sopra.
Insieme, intrapresero un lungo, burrascoso viaggio. Un viaggio che custodiva ostacoli che nessuno dei due si sarebbe mai aspettato di incontrare.
Eppure, rimasero sempre vicini, supportandosi e ignorando le dicerie che si diffondevano. Curioso, si mormorava tra le fronde. D'altronde, non si era mai visto un usignolo in groppa a un'aquila. Ancor di più, non si era mai visto di un'aquila insegnare a volare a un usignolo.
ANGOLO AUTRICE
Bonjour, nightingales! 🕊️
Godetevi questo primo e tranquillo assaggio di ciò che sarà perché anche per noi sarà un lungo, burrascoso viaggio. Entr'acte vuol dire intermezzo, e va a riprendere la favoletta iniziata nel preludio. Oltretutto divide la storia a metà (anche se vera metà non è, lol, but è uno stacco significativo, come si evince dalla conclusione del capitolo precedente).
Chissà se c'è stato uno stacco temporale. Chissà cos'è successo nel frattempo.
Intanto, spero vi sia piaciuto questo frammentino. 🥰 Per il capitolo vero e proprio vi toccherà attendere, spero di farcela in tempi brevi! Essendo molto importante, però, voglio dare il massimo. 🥺🙏🏻
Playlist:
Ala - Joep Beving (per maggior coinvolgimento, ve la suggerisco durante questa breve lettura)
Instagram: The_blackcatshadow
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