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9. Bussola difettosa

9. Bussola difettosa


Pollice sul Do.

Il suono volteggiò nell'aria tersa del salone. Fu di breve durata, un accenno, timbro solitario e argentino, la stessa delicatezza che immaginavo potesse avere la lacrima di un angelo che, aprendosi un varco tra le nuvole, finiva col cascare giù, sulla punta di un cristallo.

Indice sul Re.

La luce del sole trapassava sinuosamente le tende di lino, diramandosi in una molteplicità di fasci, braccia di calore che si insinuavano tra le mie dita, avvolgendole. Ricoprivano una seconda mano, quasi, un guanto luminoso che schermiva una pelle diafana.

Medio sul Mi.

Pausa, un tiepido fragore di cinguettii oltrepassò la finestra chiusa. Fu il sottofondo ideale in cui mi concessi di riflettere, e lo feci osservando quella mano così ossuta e affusolata, sopra una dentiera di tasti bianchi e neri; analizzai scrupolosamente le valli che definivano le nocche, i sentieri fra di esse, le cime così evidenti e acuminate, a lasciar illudere un microscopico alpinista di poterle scalare. Olivia mi aveva sempre aiutata a scalare gli ostacoli più impervi, durante l'infanzia. O almeno, degli ostacoli che una bambina nel pieno dell'immaturità poteva considerare come tali.

Anulare sul Fa.

Mi si presentò davanti agli occhi il filmato di noi due, un filmato un po' bruciacchiato sui contorni, dai colori avvizziti, che tendevano al seppia, la pellicola consumata per le eccessive riproduzioni, la frequenza che procedeva a scatti. Fra i tasti di un pianoforte da cui non sapevo fabbricare melodie, prendeva forma il volto fanciullesco di Olivia. Mi si proiettarono le sue sfaccettature più variopinte; le tinte della gentilezza che ornavano dei frangenti in cui mi incerottava le ferite, magari a seguito di una corsa spericolata, le tinte della generosità di quando mi lasciava l'ultima fetta di cheesecake, della sensibilità nell'asciugarmi le lacrime.

Mignolo sul Sol.

Lei che mi stringeva la manina per accompagnarmi al parco, lei che spingeva la seggiola dell'altalena sempre più in alto, col vento che mi sferzava i capelli, lei che mi faceva conoscere nuovi bambini, lei che mi incoraggiava a farmi avanti, che se non fossi riuscita a parlare non sarebbe accaduto nulla, che quando si era piccoli era il gioco a rappresentare la vera fonte di comunicazione.

Anulare sul La.

Il legame di due piccole, opposte sorellastre.

"No, tu sei mia sorella. Sei molto più di un numero."

Pensavo a Cindy e a Leonard, al giorno prima.

"Cindy deve imparare a rispettare suo fratello."

E, inevitabilmente, agli eventi accaduti al nightclub.

"Sembra che tu abbia sempre bisogno di una balia."

Gli occhi di Olivia, colmi di verde, colmi di... niente.

"Vuoi che ne rimangano delusi?"

Me lo ricordava spesso, negli ultimi anni.

"Vuoi che ti sentano ancor più come un peso?"

Era una cantilena, una nenia maledetta.

"Vuoi questo, Ophelia?"

Medio sul Si.

«Do

Mi drizzai sul panchetto e, voltandomi, capii che era stata la voce di Cordelia a concludere il cerchio. Si era acconciata i capelli in una crocchia meticolosamente ordinata, priva di ciuffi ribelli, da perfetta insegnante qual era. Intanto che si avvicinava, si aggiustò il cardigan.

Le lasciai dello spazio, affinché potesse accomodarsi.

«Vuoi approfittare delle mie ferie per qualche lezione?»

Mi uscì una risata fiacca, roca. «Troppo complicato.»

«Solo se vuoi che lo sia. Tu puoi fare qualsiasi cosa, fantasmino.» Suonò una rapida sequenza della scala musicale, poi al contrario, improvvisando una melodia più articolata, dove rientrava più di due note insieme. Alla fine della performance, il suo pollice rimase sul Do, vicino a dove si era trattenuto il mio medio per il Si. Molto cauta, andò a posare il palmo sulla mia mano, aggiungendo morbida: «Lo so, immaginavo che non eri qui per una lezione di piano».

Annuii, storcendo le labbra in una smorfia che non diceva nulla. «È uno strumento curioso, quando schiaccio i tasti riesce a provocarmi tante riflessioni. A volte mi ci piace estraniarmi.»

«C'è qualcosa di cui ti va di parlare?» indagò.

«No, non proprio. In realtà pensavo al colloquio di ieri.»

«Ne hai parlato poco, in effetti... Ti sei sentita a disagio?»

«Stranamente no. Magari un po' all'inizio, sai, ambiente nuovo, personalità nuove... Però ci è voluto poco per abituarmi.» Certo, c'è voluto un quarto d'ora di colloquio per riuscirci. «I due ragazzini hanno un po' di problematiche, il padre è un tipo alla mano, ma straimpegnato con l'ospedale, suo fratello è il portavoce della famiglia, un secondo padre per quei bambini, e poi...» Non avevo ancora smesso di osservare i tasti pigiati. Passai alle dita, le curvature delle unghie, le screpolature, e poi, dandomi della stupida, attinsi un po' di coraggio. «Senti, mamma.»

Cordelia tolse la mano dalla mia e si voltò completamente.

Forse intuì che qualcosa di cui parlare l'avevo eccome.

«Dimmi tutto.»

«Lo so, ti suonerà un po' insolito. Ma non ti fare domande, ok? È solo un... pensiero, ecco.» Mi sforzai di distendere le labbra in un sorriso di circostanza, lo sguardo però lo tenni basso. «Tu ricordi ogni singolo momento che io e Olivia abbiamo passato insieme?»

Non serviva alzare gli occhi per intuire che era confusa.

«Mmh... sì, certo.»

«E da bambine eravamo sempre molto unite?»

«Altroché.» Ora, guardandola, si era cucita addosso un sorriso radioso, gli occhi divennero due spille celesti, punteggiati da un'immensa, inafferrabile nostalgia. «Eri diventata la sua piccola ombra, sai? Le andavi sempre appresso, ovunque andasse, ovunque si nascondesse. Eravate una meraviglia insieme... Caspita, adesso mi hai fatto pure venire voglia di tirare fuori l'album fotografico.»

«E...» Umettai le labbra, cercando di essere discreta, naturale. Ma per non farle sorgere ulteriori interrogativi non dovevo distogliere lo sguardo dal suo, per nessun motivo. «Non hai mai notato nessun cambiamento strano? Ci hai viste sempre uguali? Sempre le stesse?»

Piegò la testa di lato, le sopracciglia sottili si corrugarono fino a scavare un solco tra di esse, le iridi cristalline che schizzavano su e giù sul mio viso, quasi a voler decifrare il senso di quelle domande attraverso la fisionomia, un agglomerato di lineamenti contratti. «Siete cresciute, e siete diverse. Certo, vi vedo meno insieme rispetto a quando eravate piccole, ma fa parte della crescita. Un rapporto fra sorelle può cambiare, freddarsi magari, farsi incostante nel ritrovarsi, ma non per questo vuol dire allontanarsi, o volersi meno bene.»

Ancora una volta, continuando a guardarla, annuii.

Stavolta, però, sembrò più un movimento meccanico.

«Certo... sì, giusto, normale. Hai ragione, che stupida.»

Scossi la testa, per minimizzare il concetto. Ma in quel momento lo pensavo davvero, di essere stupida. E lo pensai ancora di più quando confermai a me stessa di aver appena chiesto a mia madre qualcosa di superfluo. Perché le ero andata a chiedere proprio del rapporto che legava me e Olivia? Secondo quale assurdo meccanismo il mio subconscio aveva voluto domandarglielo? Lo sapevo anche da me che non aveva mai subìto alcun cambiamento preoccupante. Olivia era la maggiore sapeva quello che faceva, era sempre stata la guida.

Allora perché continuo a pensare al distacco di quella sera? Perché l'eco delle sue parole mi fa ancora male? Perché mi dà continuamente l'impressione di aver fatto qualcosa di eticamente sbagliato? Perché non so spiegarmi questa sensazione? Perché, alla fine, sembra che sia giusto così, con lei che ha ragione e io torto?

Perché non ero stata attenta.

Perché non avevo alzato gli occhi.

E se Cordelia l'avesse scoperto, o Allan, in quella casa sarei diventata una presenza problematica. Un peso. Non lo volevo, non se lo meritavano. In teoria ero già un'estranea, non ero biologicamente figlia loro, e il minimo che avessi potuto fare era non creare disagi.

Forse Olivia era stata drastica, ma l'aveva fatto per proteggermi.

Ancora una volta, ecco la prova: aveva ragione.

«Perché una domanda del genere, Ophelia?» Cordelia aveva posato la mano sulla mia guancia, e così facendo fui costretta a sollevare il viso, a fronteggiarla, a cercare di non far sgorgare parole compromettenti dai miei occhi. «È successo qualcosa fra di voi?»

«No!» misi frettolosamente in chiaro, afferrandole la mano. «Proprio no, niente di niente, davvero. Era solo una curiosità un po' scema, perché, beh, niente rimane immutato, no? Lo dice spesso anche papà. E... nulla, volevo soltanto avere un'ulteriore prova.»

«Ne sei sicura?»

«Sicurissima, mamma.»

«Eppure sei così spenta, tesoro mio, ultimamente lo sei tanto...» mormorò con un che di sofferente, tendendo le labbra carnose, accarezzandomi la guancia col dorso della mano. Solo per la dolcezza di quel gesto, e per la tristezza con cui aveva imbevuto il tono, mi venne una voglia immane di abbracciarla, o di scoppiare a piangere. «E i tuoi vecchi amici? Non hai più provato a risentirli?»

«Mamma, per favore, non...»

Strinsi le labbra, placandone il tremolio.

«Hai ragione, colpa mia. So che non vuoi parlarn...»

Non finì. Qualcuno, alle nostre spalle, si schiarì la gola.

Quel suono bastò per farmi girare verso l'origine. Capii che l'ombra esile appoggiata allo stipite della porta apparteneva a Olivia, e fu abbastanza perché mi separassi dalla mano di mia madre.

«Spero di non aver interrotto niente» si assicurò.

Lei sorrise placida, io annuii vigorosamente.

«Niente di niente! Chiacchieravamo.» Mi alzai, lasciando Cordelia sul panchetto, lo sguardo interrogativo che non si staccava dal mio. «Tanto me ne stavo andando. Magari esco, vado a fare...»

«Cancella pure i tuoi piani» mi bloccò Olivia, mentre tentava di togliersi una pellicina. «Avevo voglia di passarmi un po' di smalto, in compagnia. Purtroppo il mio è finito e... Mi presteresti il tuo?»

«Ah, certo, come no. Nessun problema.»

Mi fece un rapido cenno verso le scale. «Dai, allora andiamo.»

Si dileguò per prima, io mi strofinai le mani sudate sui jeans. Mamma, da seduta, aveva di nuovo girato il capo per guardarmi. Stirò un sorriso amaro. «Sei sicura che vada tutto bene?» ripeté.

Ci pensai. Poi sorrisi anch'io, più sicura.

«Sì, stai tranquilla.»















«Vero? Completamente inaspettato. In tutta onestà, mi aspettavo che il responsabile del casting ne prendesse una e basta, e... Lascia stare, guarda, non riesco ancora a farmelo andare giù. Sono indignata, avvelenata. Fra tutte doveva scegliere proprio quella piccola raccomandata del cazzo. Proprio lei. La reincarnazione di Naomi Campbell. No, giuro, faccio un casino se- Che domande, ovvio, come minimo se lo sarà lavorato prima di me, e a quanto pare ci è pure riuscita.» Olivia, accomodata sul suo letto e i talloni appoggiati sulla sedia dinanzi, premeva il telefono sulla spalla mentre si chinava a sventolare la mano sopra le unghie dei piedi, le dita distanziate da un apposito separatore di gomma. «Ti saluto, sono nel bel mezzo del pedicure casalingo. Già, da sola, senza di te. Ma no, cosa dici, mica me la sono presa. Tranquilla, capita. Ho altro a cui pensare, al momento. E settembre non è poi così lontano.»

Feci scorrere la punta del pennellino sull'unghia del suo pollice, adagiato su un tovagliolo. Intanto che cercavo di rimanere ferma, feci scivolare un'omogenea scia rossa sull'unghia. Era già nervosa, preferivo non lo diventasse ancora di più. Quando terminai l'opera, lei concluse la chiamata allungando il cellulare sul comodino.

Si guardò la mano e ci soffiò sopra, un soffio brutale.

«Problemi a lavoro?» chiesi, avvitando il flacone di smalto.

«Al contrario: grandi notizie, Ophelia.» Mantenendo le dita della mano distaccate, Olivia escogitò un modo per passare del rafforzante trasparente sulle unghie dei piedi. «Ricordi la famosa New York Fashion Week?»

Come dimenticarmene... «Ci sono novità?»

«Beh.» Chiuse il flacone, con un ghigno. «Mi hanno presa.»

Battei le palpebre, più perplessa che sorpresa. «Come? Credevo che...» ... non fosse così, dopo tutto quello che mi hai detto.

«Un po' di entusiasmo, sorellina, su. Non sei contenta per me?»

«Cosa? No! Cioè, certo che lo sono!» Avrei voluto provarglielo dandole un abbraccio, ma così avrei rischiato di mandarle in malora la manicure. «Solo che... Insomma, credevo che fosse tutto...»

«... andato a puttane? Lo credevo anch'io» mi anticipò, sbuffando un ciuffo sfuggito dallo chignon e che le era finito davanti all'occhio. «Sai, Ophelia, il mio mondo si nutre di quotidiana competizione, al punto da poterla annusare. Per mia fortuna è un odore che tollero, ma oggettivamente, per chiunque faccia la modella, è sgradevole, tossico, ti si attacca alla pelle al punto da non capire più se quella che senti scivolare addosso è l'ira delle tue colleghe, o il tuo stesso sudore. E quando sei in bilico tra il rimanere un'icona passeggera e una che lascerà il segno, ogni occasione che si presenta diventa oro.» Mi guardò, l'espressione piatta ma sfumata di autorevolezza. «Occuparmi del tipo che lavora per Ford, l'altra sera, avrebbe rappresentato un aggancio per essere ricordata nel momento della selezione. Peccato che se ne sia andato proprio quando le cose avevano iniziato a giocare a mio favore.»

Abbassai lo sguardo sulle mie unghie mangiucchiate.

Me lo stava facendo pesare ancora. E ha ragione.

«Eppure» aggiunse, con una calma tale da farmi alzare il viso. «Ieri, durante la selezione, erano indecisi a tal punto da scegliere non una, ma ben due figure per la passerella.»

«Quindi si son ricordati di te?»

«Si sono ricordati di me, esatto

«E poi?» Mi avvicinai, curiosa al massimo, gli occhi spalancati. «Com'è successo? Che hanno fatto? Come ti hanno scelta?»

Arcuò le labbra sottili in un sorriso entusiasta, scoprendo dei denti dritti. «Mi hanno convocata per il casting e, com'era prevedibile che fosse, era presente anche il tipo. Avresti dovuto vedere come fingeva di non conoscermi, wow, ed era così professionale, galante, come se sabato sera non mi avesse fissato le tette per due ore di fila. Uomini. Che razza patetica.» Rise, ma non era una risata vera. «Infine, lui e il responsabile hanno esaminato il mio portfolio, mi hanno fatto indossare un abito attinente al contesto della sfilata di settembre e fatto fare avanti e indietro per dieci minuti sfiancanti. Una tortura.»

«Però ti hanno presa!»

«Ma dovrò condividere la soddisfazione con un'altra collega, quella collega. Latisha.»

«La sorella di Gwenda?»

«Lei.» Si accertò che lo smalto sulle mani si fosse asciugato prima di agguantare il tovagliolo e accartocciarlo in un impeto di stizza. «Latisha è ovunque, ovunque. Riviste importanti, passerelle prestigiose, probabilmente finirà ancora per fare l'angelo di 'sto cazzo per Victoria's Secret. Le era andata di culo l'ultima volta, sai? Te lo dico io, quella la sfilata se l'è fatta sopra Robert Voltaire.»

«Robert chi?»

«Voltaire. Voltaire

«Ah... ma certo, ovvio, lui.»

«È un fotografo famosissimo, Dio, è lui che lavora per il brand, è lui che si preoccupa di pubblicare le foto sul blog, sempre lui che aggiorna il popolo sulle modelle migliori.» Sembrava non stesse più parlando con me, ma con se stessa, quasi si stesse rimproverando. «Secondo te non sarà pure presente alla sfilata? Ma certo che ci sarà, è palese. E sai cosa significa? Che dovrò rasentare la perfezione, bucare lo schermo... prima che lo faccia quella dannata pantera.»

«Ehi.» Le posai la mano sulla spalla, accarezzandogliela in un gesto incoraggiante. «Non ti preoccupare, vedrai che andrai alla grande. Finora non hai mai deluso le aspettative di nessuno.»

«Non ho detto di avere paura di deluderle. Io non ho mai paura. Né della competizione, né di quella... quella...» Strinse le mani a pugno. Allentò e strinse, allentò e strinse, a ripetizione, con gli occhi chiusi, alternando dei respiri profondi. Risollevò le palpebre, mettendo allo scoperto uno sguardo nuovo, determinato, che puntò su di me. «Tu verrai con me, vero? Verrai a sostenere tua sorella, no?»

«Ma certo, non c'è neanche bisogno di chiederlo.»

Sorrise, controllandosi lo smalto ai piedi. «Ottimo. Perché non ho amici su cui contare, non che la possa ritenere una mancanza. La vita è troppo breve per creare dei legami destinati a finire nel cesso.»

Non sapevo quanto essere d'accordo su quella massima di vita. In parte sentivo di non esserlo, ma non mi andava di contestarla proprio adesso. Non con l'umore che aveva. Tuttavia, anche ora, mentre la guardavo togliersi il separatore dalle dita, spuntò un pensiero a balenarmi nella mente. Apparve per un secondo, stella cadente che non cadeva mai. Piuttosto, non faceva che gravitare intorno al cranio. E orbitava, orbitava, orbitava... come fosse il suo satellite.

Amici.

Ora che ci pensavo, non avevo mai visto una sua amica passare per casa nostra. Parlava di colleghe di lavoro, conoscenti con cui scambiare opinioni su questo o quel capo d'abbigliamento. Ma niente di più, niente che potesse avvicinarsi a un reale rapporto d'amicizia.

A volte, nel mio piccolo, mi chiedevo se non si sentisse sola.

Eppure si ostina a dire di no, che i legami li trova inutili.

«Liv.»

«Mh?»

«Volevo chiederti una cosa... che sì, beh, in realtà è più un'opinione da sorella a sorella» dissi, con un po' d'impaccio.

Tentò di eliminare una sbavatura dall'alluce. «Beh, parla.»

«Ricordi i miei amici?»

Si interruppe, all'improvviso, con il tovagliolo attorcigliato intorno al dito. Dal suo profilo scorsi i lineamenti, di una purezza tagliente, irrigidirsi, quasi fossero stati investiti da una folata di neve.

«Sì.»

«Vedi...» Incrociai le gambe sul suo letto, a farfalla, dopodiché presi ad attorcigliarmi le dita. «Nei miei giorni no a volte mi chiedo, sai, stupidamente eh, se non sia il caso di riprovare a risentirli e...»

«Come hai premesso pure tu» mi interruppe. «È un pensiero stupido. E quando un pensiero si ritiene stupido, è perché è la sua vera natura. Continua a seguire il sesto senso e non ti sbaglierai.»

«Ma» contestai, grattandomi la nuca. «Non pensi che una seconda possibilità se la meritino tutti? È passato così tanto tempo che...»

«Ophelia.» Piegò le gambe e si sistemò davanti a me, come se ci trovassimo davanti a uno specchio. Un riflesso che, però, non rifletteva la stessa immagine. Sorelle, ma non fino in fondo. Poi emise un sospiro, di chi stava per tirare fuori un'argomentazione dolorosa, e le sue mani trovarono le mie, stringendole delicatamente. «Dimmi, rifletti per un momento: ti hanno più cercata, per caso?»

«No, però... Cioè, ero stata io ad allontanarmi e...»

«E per quale ragione dovresti scomodarti proprio tu, se sono i primi a non averlo fatto? Gente così non la considererei amica

«È vero, ma...» Assottigliai le labbra, la salivazione a secco. «In fondo sono stata io a non farmi trovare da loro. Probabilmente, vedendo che continuavo a rifiutare le loro chiamate, avranno...»

«Ti hanno mentito su una cosa che ti sta a cuore, Ophelia. Mentito. Ne avverti la gravità? Non senti quanto sia inaccettabile pensare al perdono?» I suoi occhi si arpionarono ai miei, la frase l'accompagnò da una durezza che non potei fare a meno di pensare che avesse plasmato con lo filo spinato più acuminato. Filo spinato che percepii serpeggiare nella carne, attorno al cuore. Filo spinato che faceva sanguinare una verità che mi ero costretta ad archiviare, a fingere non esistesse, perché magari avrebbe fatto meno male. Poi avvertii le sue mani sulle gote, i pollici sulla pelle. «Non mi piace ricordartelo, sorellina, quello che hanno fatto è qualcosa di tanto orribile da disgustare anche me. Ma sono tua sorella... Se te lo dico è per proteggerti, perché ho paura ti riduca come l'ultima volta.» Mi spostò delle ciocche di capelli dietro le orecchie, arcuando gli angoli della bocca all'insù. «Ma soprattutto, è perché ti voglio tanto di quel bene... Non sopporterei di vederti soffrire di nuovo. Per chi, poi? Per una banda di stronzi bugiardi.»

Fissai le sue guance rosee, la punta del naso.

Annuii, con un groppo di amarezza annodato in gola. L'ennesima dimostrazione di quanto sia una stupida. Così, trovai conforto lasciandomi stringere da un abbraccio di cui avevo bisogno.

A detta di mia sorella, ogni scelta che ero in procinto di seguire, puntualmente si dimostrava quella sbagliata, insensata. Ed era frustrante capire quanto fosse vero. Perché avrei dovuto cercarli se... avevano avuto il coraggio di mentirmi per anni? La bussola del buon senso si era difettata, io stessa detestavo sentirmi difettata, con gli ingranaggi bloccati, a rifiutarsi di ruotare, come quando ero piccola, un esserino di parole in testa e di silenzi sulla punta della lingua.

L'unica che possedesse una bussola attendibile, ancora funzionante, era Olivia. Da una vita mi affidavo a lei, alle sue parole. E mentre mi accarezzava la schiena, mi concessi di chiudere gli occhi, dicendo a me stessa che avevo fatto bene a parlargliene. Probabilmente, se non l'avessi fatto, avrei commesso qualche sciocchezza. E ingoiare un altro errore, sarebbe stato troppo.

«Ophelia.»

«Dimmi, Liv.»

Lentamente, si avvicinò al mio orecchio, sussurrando: «Promettimi che non li rivedrai mai più. Dammi prova che sei mia sorella, non una stupida».

Sospirai, affondando il naso sulla sua spalla. «Promesso.»

«Il mondo è crudele là fuori, lo sai? Non ha pietà per nessuno.» Si allontanò da me, le mani sulle mie guance e un sorriso che stonava col contesto. «E tu dovresti saperlo

Rimasi a fissare un punto davanti a me. Nemmeno mi accorsi che Olivia aveva abbandonato il letto ed era uscita dalla stanza. Banda di stronzi bugiardi, li chiamava. Allora perché non riesco a pensarli con lo stesso risentimento? Perché sembra che li odi più tu che io?

Girai il capo verso la soglia.

Capii da una porta poco lontana che era andata in bagno.

Prima di pentirmene, seguii l'istinto: scesi dal letto con un salto e mi chinai a pancia in giù sul pavimento. Dopodiché allungai le braccia sotto al materasso, vicino ai piedi del letto. Subito, le mani si scontrarono con un'ingombrante scatola di plastica, un contenitore quadrato dove Olivia conservava tutti i suoi prodotti di bellezza. Perché lo sto facendo?

Sollevai il coperchio e controllai il contenuto.

Dovevo sbrigarmi, prima che tornasse.

Le dita si scontrarono con dei batuffoli di cotone, set per la pulizia del viso, struccanti, palette, rossetti, mascara, piegaciglia. Era tutto ordinato, confezionato in qualche piccolo beauty case, pulito e profumato. Era ossessionata dall'organizzazione, odiava perdere le cose. Odiava perdere le sue cose. Perché perdere qualcosa che riteneva utile, voleva anche dire perdere tempo in un secondo momento. E non c'era cosa che la faceva andare più in bestia.

Infine, tra la miriade di cianfrusaglie, arrivai ad analizzare uno stuolo esagerato di smalti. Tanti, troppi, infiniti smalti. Capii che ogni singola tonalità della tavola cromatica era in suo possesso, ed era là dentro, in uno scrigno di plastica che custodiva le sfumature del mondo.

Non ci pensai e li sollevai dai tappi, uno alla volta. I flaconi di vetro tintinnarono ogni volta che li rimettevo al loro posto, la mano tremava, il cuore sarebbe uscito dal petto molto presto, le orecchie erano tese verso il corridoio. Mi dissi che stavo facendo una stronzata.

"Purtroppo il mio è finito... Mi presteresti il tuo?"

Avevo percepito una lievissima stonatura, in quella richiesta. Perché sapevo, in fondo, che Olivia non chiedeva mai niente a nessuno. Nemmeno a me. Nemmeno ad Allan o a Cordelia. Nessuno avrebbe mai avuto il privilegio di udire la parola "aiuto" dalla sua bocca.

A meno che fosse strettamente necessario.

A meno che non servisse a lei.

Corrugai la fronte quando realizzai che i miei sospetti non erano poi così infondati. Nemmeno seppi come reagire, né come sentirmi mentre fissavo in trance uno smalto identico al mio nel palmo della mano, lo stesso che Olivia aveva utilizzato per sé fino a poco prima.

"Ti hanno mentito, Ophelia. Mentito."

Fissai lo smalto rosso.

Eppure, l'hai appena fatto anche tu... per una sciocchezza.













ANGOLO AUTRICE

Buondì nightingales! 🕊️

Eccoci qui con - lo giuro - L'ULTIMO capitolo di passaggio. Voi li odiate, nelle storie? Sapeste io... Perché la mia testa, ogni santa volta, vola ai capitoli più... importanti. E la concentrazione, di conseguenza, viene sempre meno. Sigh.

Dunque, fosse per me 'sto capitolo ve lo farei saltare di netto, eppure ha una sua rilevanza: innanzitutto, dopo il colloquio, Ophelia riflette molto sulla situazione dei bambini a cui dovrà badare. In qualche modo le parole di Desmond le sono rimaste impresse. Per cui, ora, non fa che pensare al rapporto fraterno che caratterizza lei e Olivia. Fa una sorta di... gioco delle differenze. Prima e dopo. Bambine e adulte. Perché non è stupida: sente che qualcosa non va, sente che il loro rapporto non è più rose e fiori come quando erano piccole. 💔

E come sempre la vera domanda è: come mai? Perché? Da cosa è nato tutto? La colpa è di qualcuno? O semplicemente quello di Olivia è un personaggio bastardo e basta?

Ahimè, sarà una lunga storia... (Cit. Ted Mosby)

Dopodiché, con una scusa, Olivia trascina con sé Ophelia per una manicure casalinga. Si evincono tante informazioni, e reazioni, interessanti su determinate cose. Sfilata, un certo nome (💀), la questione legami, le amicizie della protagonista, e il fatto delle menzogne.

Direi che di carne al fuoco ce n'è per un reggimento.

Ora bisognerà solo analizzare ogni singola fetta di carne nei dovuti modi.

Pronti? Avete abbastanza appetito? 🍖🍗



Questions:

♪. Secondo voi, madre e padre, avranno notato qualcosa di strano fra le due sorelle? Secondo voi, Cordelia si fida delle parole di Ophelia?

♪. Ophelia riuscirà a togliersi il prosciutto dagli occhi e capire quanto il rapporto fra lei e Olivia sia cambiato (in male)? Lo capirà che non deve appoggiarsi a lei come ha sempre fatto?

♪. Penso che la questione "amici di Ophelia" abbia ribaltato alcune carte in tavola di alcuni di voi, con le ultime insinuazioni di Olivia. Quindi si deduce che abbiano mentito alla protagonista. Chissà a cosa si riferisce, in realtà.

♪. Avremo modo di vedere da vicino questa fantomatica... sfilata? 🤡

♪. Ma soprattutto... avete collegato il nome Latisha? 🤡🤡

Che si dia inizio allo spettacolo. ✨







Playlist:

Queen - Perfume Genius (Prima parte)

https://youtu.be/SfJ9HX13Z8U

Wild World - Cat Stevens (Seconda parte)

https://youtu.be/rBA1jocMvnc

Instagram: The_blackcatshadow

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