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4. Il numero piccolo

4. Il numero piccolo












Prima





«Mr. Sandman, bring me a dream

«Make him the cutest that I've ever seen

«Give him two lips like roses and clover

«Then tell him that his lonesome nights are over

La mia infanzia assumeva le sembianze di una sfera di cristallo, e conteneva un qualche archetipo di felicità a me sconosciuto. Soltanto crescendo avevo saputo combinarla con la definizione di a cappella, perché la vivevo moltiplicata, amplificata, un coro di beatitudine e leggerezza in grado di rinfrescare anche le giornate più torride.

Strano modo per definire la felicità, e forse sfera di cristallo non era neanche il termine più adatto per descriverne il contenitore. Riflettendoci, quello era un involucro talmente prezioso da non permettersi cadute, traballava tra la vita e la morte sul davanzale di un camino o di una mensola, aspettandosi un pallone che aveva sbagliato traiettoria o una gomitata non calcolata. Ma soprattutto era dolorosamente vuoto. Ti ci avvicinavi, la osservavi, studiavi, toccavi. Non vedevi altro che la nebbia del vuoto, la trasparenza del nulla, o il tuo buffo riflesso a pesce. Splendida, eterea, tuttavia la sua bellezza finiva lì, a una mera contemplazione visiva, triste soprammobile destinato a prendere polvere, ad essere esaminato e poi dimenticato.

No, la mia infanzia non era questo, non l'avevo mai percepita come una fase vuota, di poco riguardo, in cui bastava la negligenza di un fattore esterno per farla catapultare a terra, in frantumi.

Per questo motivo avevo maturato l'idea di vederla oniricamente rinchiusa in una palla di vetro, ma di quelle che si acquistano in un banco di souvenir in piena festività natalizia, tra le caldarroste e venditori di palloncini Disney. Non importava cosa ci fosse al suo interno, se una semplice baita, una renna o la miniatura della città innevata di New York. Per me, il vero contenitore di quegli anni era così: piena, felicità immutata a riempire costantemente la mia vita.

Scuotevi la palla di vetro e ammiravi la magia della neve.

Ricordavo l'infanzia, e fioccavano sorrisi pregni di nostalgia.

La sua felicità era un sentimento sempreverde, autentico, non conosceva vecchiaia. Ogni tanto riprendevo in mano quella palla di ricordi, ne rispolveravo i momenti, e mi lasciavo cullare dal contenuto: musica tipica di un grammofono, ripetizioni di canto ovattate da una porta e tanti su e giù con la testa, una serie di bung, bung, bung d'allegria, come quelli che intervallavano la versione originale di Mr. Sandman, la stessa che un sabato pomeriggio Cordelia aveva fatto cantare a quattro ragazzini, in vista di una recita.

Da quando aveva deciso di prendere le veci di una mentore musicale, avevo iniziato a prestare sempre meno attenzione ai cartoni animati e sempre di più alle lezioni private di Cordelia. Bastava il trillo del campanello per farmi rizzare le orecchie, come i cani da guardia, perché sapevo che sarebbe stato l'ennesimo insegnamento che avrei origliato. Difatti, attendevo i weekend con una trepidazione tale che faceva sghignazzare Olivia, tutte le benedette volte.

Una domenica pomeriggio si era intrufolata in camera mia per concludere un compito di aritmetica che le dava filo da torcere. All'epoca aveva iniziato la prima media, e quando doveva darsi allo studio si rinchiudeva in camera insieme a me, per avere compagnia.

«Senti qualcosa?»

Avevo l'orecchio premuto sulla porta chiusa, come uno scassinatore che attendeva di scoprire la combinazione per sbloccare un caveau: bocca aperta, udito in allerta. Era arrivato uno spiffero di coro. Quindi avevo annuito, sfregando la guancia sulla superficie.

Olivia, a pancia in giù sul mio letto, faceva oscillare le gambe all'aria. Teneva il cappuccio della biro sul mento, gli occhi fissi sul quaderno colmo di esercizi che la professoressa le aveva lasciato da svolgere a casa. «Sono le cinque, comunque, forse fra poco finisce. Mamma dice che la domenica è sacra, di solito per quest'ora si libera.» Aveva emesso un brontolio stanco, la velocità con cui faceva dondolare le gambe aumentata. «E io non capisco le potenze...»

Mi ero allontanata dalla porta, con il broncio.

«Cosa sono?» chiesi, raggiungendola.

«Boh... Però un giorno le studierai anche tu.»

Mi ero data una vigorosa spinta per sedermi, i piedi che non toccavano terra. Avrei avuto quel problema ancora per parecchi anni.

Così, incuriosita, avevo tracciato l'indice sulla pagina a quadretti, quadrato dopo quadrato, cifra dopo cifra, sulla sua calligrafia così già impeccabile a soli undici anni, che scavava nel foglio come canali.

A differenza sua stavo frequentando la prima elementare e a malapena sapevo fare le sottrazioni. Ma durante quei mesi di scuola, non avevo mai visto nulla del genere. Numeri di grandi dimensioni appiccicati ad altri più piccoli. Come potevano starsene così vicini, senza un segno a dividerli? Non era forse quella, la matematica? Due individui che si aiutavano a distanza, che aggiungevano e toglievano problemi ma rispettando un confine da non scavalcare. In ogni caso, erano domande che una bambina non si sarebbe mai sognata di porsi.

Neanche si rendeva conto che, più avanti, avrebbe scoperto che pure le lettere dell'alfabeto potevano andare d'accordo con i numeri.

Strano mondo, la matematica.

«Potenze» avevo ripetuto flebile, lisciando un tre che reggeva sulla sua testa ricurva un sei più piccolo. «Potenze come...» E alzai le braccia, strinsi i pugni e finsi di dare una prova di muscoli.

Olivia era scoppiata a ridere.

«Oddio, rifallo, ti prego.»

L'avevo rifatto, strizzando occhi e labbra, le si era coperta il viso con il quaderno per nascondere le risate. Poi mi aveva tastato le braccine, dimostrando quando fossero sottili. «Sei troppo buffa quando fai così... Comunque no, non vuol dire forza

«Oh...» Ero confusa. Quindi, le avevo indicato la cifra che reggeva l'altra. «È sopra, però. Lo sta prendendo in braccio.»

«In un certo senso sì.»

«Lo sta aiutando?»

«Beh, anche...»

«Come fai tu con me.»

«Come?»

«Tu sei il numero grande, io quello piccolo.»

Le sue sopracciglia scure si erano inarcate dallo stupore. «Mi stai dicendo che le potenze sono come i fratelli e le sorelle?»

Avevo annuito.

Lei, dopo un po', aveva sorriso.

«Vero, in effetti insieme raddoppiano il loro valore e...» Si era fermata, a occhi spalancati. Poi, senza dire una parola, si era fiondata a collocare le cifre in colonna, per poter eseguire delle moltiplicazioni evitando di usare la calcolatrice. La professoressa voleva che si allenassero eseguendo i calcoli a mano, mi aveva spiegato. Quindi, aveva ripetuto l'operazione altre cinque volte, trascritto il risultato accanto all'uguale e consultato il libro che forniva la soluzione al problema. A bocca aperta, si era infilata le mani nei capelli. «Che idiota sono... Dovevo moltiplicare il risultato che usciva man mano. Invece avevo fatto una moltiplicazione semplice. Tre per sei. Ok, d'accordo, quando la signorina Mitchell li spiegava non ero riuscita a seguirla. Ma quella là è così noiosa!»

L'avevo fissata senza capire, ma ero felice per lei.

«Ah, Ophelia.» Mi aveva schioccato due sonori baci sulle guance. «Sei un piccolo genio. Me l'hai fatto capire tu che non hai neanche sette anni, anziché una che c'ha addirittura la laurea!»

«Quindi sono il numero piccolo?»

«Certo! Perché hai saputo aiutarmi.»

«E... un giorno sarò anche io un numero grande?» Ora come ora, non ricordavo con che tono gliel'avessi chiesto, ma probabilmente ero fiduciosa, gli occhioni che speravano tanto in un sì. Ambire a qualcosa di grande, per un essere che si sentiva tanto piccolo, era l'equivalente della realizzazione di un sogno irraggiungibile.

Olivia aveva riso, stringendomi il naso fra due dita. «Non credo, la maggiore sono io, tocca a me prendermi cura di te. Ma, ehi, il numero piccolo ha sempre un ruolo importante: affiancare l'altro, in ogni circostanza. Forse non lo sai, ma anche i numeri grandi, spesso, hanno bisogno di aiuto. Prendi mamma e papà, ad esempio, loro si aiutano a vicenda, anche se sono grandi. A volte capita che papà sia in difficoltà, ma sa che potrà sempre contare sulla mamma.»

Mi ero tastata il naso, riflettendo sulle sue parole.

«Allora sono la tua... aiutante?»

«No, tu sei mia sorella.» Arricciò il suo mignolo col mio. «Sei molto più di un numero. Ricordatelo sempre.»

Lo ricordavo.

Lo ricordavo sempre.

E ricordavo che nelle potenze, il numero piccolo, aveva anche un'altra fondamentale funzione. Una che Olivia, quel pomeriggio, aveva tralasciato. Ero sicura non ci avesse dato molta importanza.





Adesso




Olivia scese dalla BMW.

Una torma di skaters le sfiorò la portiera che aveva appena spalancato. Muniti di cuffie colorate e pantaloni old school portati a cavallo basso, erano perlopiù adolescenti che si trascinavano dietro voglia di fare baldoria e di dimostrare le proprie prodezze nei tricks in skateboard. Anche con la finestra chiusa arrivavano lo stesso le urla dovute alla soddisfazione di aver compiuto dei flip senza cadere.

Qualcuno dei ragazzi - piede che strisciava a terra, l'altro fisso sulla tavola - si voltò indietro per lanciare un'occhiata a mia sorella. Olivia nemmeno se ne accorse, il cipiglio che le increspava la fronte mi lasciò intendere che non era dell'umore adatto per far caso a delle piccolezze. Cellulare all'orecchio, schiena alla portiera, sigaretta che probabilmente aveva iniziato a fumare mentre era ancora alla guida.

I boccoli erano artigli d'inchiostro che si aggrappavano al seno, fasciato da un aderente top sanguigno ai livelli di un tramonto, che gli scopriva delle spalle di porcellana. Appariscente, composta, con dei jeans a vita alta che parevano ritagliati su misura per delle gambe che avevano visto solo palestre, passerelle famose e diete ferree.

Eleganza, ecco cos'era, una corona che non sarebbe mai caduta.

Portò il mozzicone alle labbra, sbuffò, roteò una mano per aria, la conversazione si accese, ma gli occhiali da sole non mi consentirono di vedere l'espressione. Sicuramente erano stretti dal fastidio.

Sollevò il viso, in direzione della finestra.

Mi allontanai, affrettandomi a controllare l'email.

"Buonasera,

mi scuso per il ritardo e, nell'eventualità che sia ancora alla ricerca di una babysitter, le confermo la disponibilità per l'incarico. Di seguito troverà il mio recapito telefonico, se fosse ancora interessato. Rimango in attesa di un riscontro.

Cordiali saluti,

Ophelia Burns"

Rilessi quelle poche righe, su e giù, su e giù, il mouse puntato sul tasto di invio. Mi chiesi se andasse bene, se non fosse troppo breve.

Intanto, sentii dal piano di sotto mia madre accogliere Olivia e un vociare da salotto. "Forse questa frase suona meglio senza virgola". L'indice che fremeva sul mouse, il labbro preda degli incisivi. "No, la rimetto, così do l'impressione di essere una persona competente." Dalle scale arrivarono dei passi ben scanditi, sicuri. "Ok, rischio, meglio senza, così è più fluida." La porta si aprì e, in contemporanea, inviai la risposta, chiudendo con uno scatto la facciata del portatile.

A braccia aperte, allargai un sorriso esordendo con un: «Ehilà!».

Venni ignorata.

«... lo capisci che vuol dire? È un'opportunità d'oro, Dior.» Si chiuse la porta alle spalle con un colpetto del piede ben studiato, il cellulare incastrato sulla spalla mentre si alzava gli occhiali da sole sul capo e posava la borsa a bauletto sul mio letto. Rivelò degli occhi riempiti da una verde collera, che facevano a pugni con il tono apparentemente calmo. «Mi devi un favore, ed è il minimo che- Come, prego?» Si avvicinò allo specchio alla parete, mettendosi di profilo, il pollice che strisciava nella bordatura laterale del jeans, dove le stringeva dei fianchi già stretti di loro. «Beh, ti ricordo che è qualcosa che riguarda gli interessi di entrambe. Ci pensi? Un colpo di fortuna come questo non è mai capitato neanche a Naomi Campbell.»

Per qualche secondo ci fu silenzio, Olivia immobile.

«Oh... Oh, ma certo, certo...» Il tono si fece dispiaciuto, intanto che osservava l'orologio al polso. «Capisco, ti è morto il topo. No, scusa, criceto. Un lutto terribile. Hai ragione, non ho avuto tatto.»

Si andò a sedere sul letto, accavallando le gambe.

«Tranquilla, tesoro, prenditi tutto il tempo che ti serve per superare questo momento.» La sua mano lisciava la coperta, come se stesse sfiorando l'acqua di una piscina. «Per stasera vedrò di arrangiarmi, d'altronde nessuno è indispensabile e... Come dici? No, no. Figurati, mi riferisco in generale. Tu pensa al tuo criceto, ho detto che vado da sola.» Chiuse pazientemente gli occhi, stirando un sorriso sereno. «Rilassati, è solo una sera... e la nostra, in fin dei conti, è solo una carriera. Fossi in te, però, rifletterei sulle priorità.» Aprì gli occhi, fissando il soffitto, e nel tono più amorevole del mondo aggiunse: «Sì, sì, certo, d'accordo, ma adesso ho da fare e per colpa di questo sfortunato imprevisto devo riorganizzare i miei piani. Ti auguro di preparare una degna sepoltura, ok? Buona serata.»

Concluse la chiamata, gettando il telefono tra i cuscini.

«Cristo, pure i criceti dovevano intromettersi.»

«Ma cos'è successo?»

Si diede una passata ai capelli, inarcando un sopracciglio. «Succede che la gente senza un minimo di cervello non capisce che quando fai una carriera influente come la mia, l'opportunità di incontrare qualcuno che lavora per Tom Ford scavalca ogni frivola priorità. Appena senti le parole Tom e Ford neanche ci devi pensare: perché da quel momento diventa la priorità. Ma non gliene faccio una colpa, a quella Samantha. Poverina, è nuova, troppo immatura, gioca ancora con i criceti... Far parte della Reinhard non è per tutti.»

Più la guardavo, più mi convincevo che era l'impiego che più si plasmava alla sua immagine: carismatica, bellissima, dotata di grazia e forza allo stesso tempo. Era specchio di seduzione e innocenza, entrambi i volti della medaglia ricamati su di sé. Sapeva riflettere quella combinazione pericolosa a comando. Per quanto la ritenessi un'abilità sfiancante, a lei sembrava non costarle alcuna fatica. Anzi, dopo ore di pose sembrava uscirne più rinvigorita.

Nemmeno si drogava.

Credo.

Era stata scoperta all'età di cinque anni direttamente da Guess. Strano ma vero. Le avevano proposto di farsi scattare delle foto, i miei genitori, seppur sbigottiti, avevano acconsentito. Così Cordelia mi aveva raccontato, ricordandolo come un evento al di fuori dell'ordinario. Come darle torto. Loro, che passeggiavano per le giostre di Franklin Square, erano stati fermati da un uomo che diceva di lavorare per un brand che aveva bisogno di bellezze giovani e pulite, che sponsorizzassero i nuovi capi d'abbigliamento. Ogni tanto sentivo Olivia rievocare quella giornata con le amiche, anche loro modelle della medesima agenzia, ripetendo con un certo orgoglio come lei e Gigi Hadid sembrassero sorelle separate alla nascita.

Ne aveva fatta di strada, da allora.

Aveva posato per i titoli più accattivanti, con quegli occhi affilati che rapivano uno scout dopo l'altro, un fotografo dopo l'altro. Da Guess a Michael Kors a ragazza immagine nella sezione di moda nelle riviste per teenagers, come Cosmopolitan e Teen.

Mi sedetti accanto a lei, a gambe incrociate.

«È importante che tu lo veda proprio stasera?»

«Che domande, Ophelia. Mi sembra ovvio. Forse non te l'avevo ancora detto, ma da Tom Ford mancano ancora due figure da piazzare per la New York Fashion Week di settembre. La mia agente mi ha fatto un piccolo spoiler: verrà a spulciare alla nostra agenzia.»

Sollevai le sopracciglia. «Ma dai!»

«Oh sì, era questione di tempo.»

«Ti prenderanno di sicuro.»

Fece un mezzo sorriso. «Questo lo so, ma le certezze è sempre meglio arrotondarle al cento per cento, il rischio non è contemplato.»

«Quindi lo incontrerai.»

«Casualmente lo incontrerò. Gira voce che si farà un giretto nella nostra cara Philly, stasera. Indovina dove.» Non mi diede nemmeno il tempo di rifletterci. «Down Nightclub! Uno dei locali più in

«Ah, quello!» Sprizzai finto entusiasmo. «Bellissimo, sì!»

Mai sentito prima d'ora.

«Vero, eh? E c'è sempre un casino di gente!»

Ecco perché.

«Ed è per questo che sarai tu ad accompagnarmi!»

Il mio sorriso rimase congelato anche quando chiesi: «Eh?».

Mi diede un colpetto sul braccio. «Verrai con me. Pensaci: avrai anche la fortuna di dire di aver frequentato un posto interessante!»

«No, aspetta, io non...» riuscii a malapena spingere fuori, improvvisamente accaldata, sudata, il cuore che aveva dato l'allarme.

«Su, su. Una sera. Non staremo via neanche tanto, dai.»

«Ma...»

«Per favore.»

«La gente... Lì poi...»

«Figurati se alla gente fregherà qualcosa di te. Ci sarò io ad attirare l'attenzione. Visto? Ti salvo la vita dalle tue paure!»

Strinsi le dita fra loro, le premetti all'inverosimile.

«No, Olivia, non farmi... Io... Non so se...»

Mi afferrò saldamente le braccia e abbassò appena il mento, puntandomi lo sguardo addosso. Uno sguardo severo, determinato. La selva tortuosa, eccola, dove la bussola spariva, il nord dimenticato. Soggezione. Le attese non piacciono a nessuno. «Sono tua sorella. Ho bisogno di te, dell'unica spalla a cui mi possa appoggiare.» Ammorbidì il tono, ma non riuscì a calmarmi. Ero in guerra fra due fuochi. D'altra parte, però, era un'occasione importante per la sua carriera... Se avessi detto di no, avrebbe potuto veder sfumare l'opportunità di emergere in una delle sfilate più popolari, di guadagnare più notorietà. Per colpa mia. Mia. Me l'avrebbe fatta pesare, lo immaginavo. Ed ero già un peso per i miei genitori. Esserlo anche per lei non l'avrei sopportato. «Ophelia.»

Non avevo ancora staccato gli occhi dai suoi.

«Sì?»

«Allora?»

Preferii guardare le sue spalle scoperte, il cuore che continuava a martellare, a voler uscire da là dentro e dire no al posto mio.

«Quanto dovremmo...?»

«Poche ore. Un drink, una chiacchierata, fine. Promesso.»

Abbassai le palpebre. Mi costò una considerevole dose di energia per annuire. Lei urlò di gioia, abbracciandomi. «Così ti voglio!»

Quando si alzò, io fissavo soltanto il copriletto giallino, in tinta con le pareti. Tutto avrei immaginato, tranne quel cambio di piani.

Olivia, intanto, aprì il mio armadio senza cerimonie, sfilando gli appendini uno ad uno, borbottando: «Mh, noto che le gonne e gli abiti sono spariti. Ricordo che qualche settimana fa c'erano ancora».

«Li ho dati via già da un po'.»

Annuì, sfilando i vestiti con più accortezza, soffermandosi su un pantaloncino beige. «Hai seguito il mio consiglio, allora.»

«Sì.»

«Mossa saggia. Meno occhi addosso, d'altronde.»

Già.

Chiuse l'armadio, raccolse la borsa e si defilò fuori. Poi, ebbe un ripensamento e si riaffacciò. «Ah, sorellina.» Inclinò la testa di lato, illuminando il viso con un sorriso dolce, in grado di farmi avere meno paura. «Sono contenta di avere te come numero piccolo.»

Ammiccò, lasciandomi sola.

Gli anni passavano e io ero ancora quello: un numero piccolo. Un numero che affiancava sempre il suo maggiore. Incollati, senza segni matematici a dividerli, uniti in una vicinanza che poteva sembrare soffocante, a raddoppiare la loro forza. Ma spesso dimenticavo, come Olivia aveva fatto durante quel pomeriggio di tanti anni prima, che l'esponente non raddoppiava mai anche il proprio valore.

Quel privilegio sarebbe toccato al numero grande.

Il numero piccolo era nient'altro che un filtro.






ANGOLO AUTRICE

Buonaseeeeeeeera, nightingales! 🕊

Finalmente arriviamo a un capitolo che, sì, rimane di passaggio e introduttivo, ma che a me personalmente piace già molto di più. Perché? Perché andiamo a volgere uno sguardo al rapporto tra le due sorellastre, ma soprattutto su Olivia. 🖤

Personaggio molto... particolare. Temo che lei e Irina (protagonista di ADLDS) potrebbero essere migliori amiche, o migliori nemiche. Chi può saperlo. Fatto sta che lei è questo: carattere forte, bellezza, sicurezza. Qualità che Ophelia ambisce ad avere. O forse le ha già ma non capisce di averle. 👀

La metafora del numero piccolo non era stata programmata. E' uscita mentre scrivevo, e mentre narravo avevo capito che paragone più azzeccato non poteva esserci. Indovinate il perché.

Spero l'abbiate apprezzata.💖

Questions:

▪ A naso, che impatto vi ha dato Olivia?

▪ Sempre a naso, che cosa avete pensato del rapporto Ophelia e Olivia? Sia nel flashback da piccole, sia nel loro presente.

▪ Domanda da un milione di dollari: che stracaspita succederà a 'sto nightclub che Ophelia sostituirebbe volentieri con la lama di un boia? 🙃

Lo scopriremo solo vivendo, diceva Battisti.

A presto! 🖤✨

Vi anticipo: spero di no, ma forse il prossimo capitolo uscirà un tantino più lunghetto. Lo sapete come sono fatta: capitoli lunghi, capitoli consistenti di roba importante.


Curiosità:

▪ La Reinhard è una delle agenzie di modelle più note a Philly. Olivia lavora lì.

▪ Cos'è Philly? Nientepopodimeno che l'abbreviazione di Philadelphia. Teoricamente la città si scriverebbe con il "PH", ma in italiano si preferisce direttamente la effe. In realtà penso sia indifferente, ma son pignola e nella storia lascio la versione con la effe. I suoi abitanti, di conseguenza, la chiamano con il simpatico nomignolo di Philly.


Playlist:

Mr. Sandman - The Chordettes (prima parte)

MISSIO - Underground (seconda parte)

Instagram: The_blackcatshadow

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