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Capitolo 18 - Ciò che eri prima

🎶 Girasoli
- Emanuele Aloia
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   "Le mie paure mi tremano contro".
- Sonopazzaio, Twitter

La ferramenta di Borgo somigliava a un deposito abbandonato, Aurora si aggirava tra latte di vernice arrugginite e qualche attrezzo - per fare bricolage - di fortuna.

Il mondo tra quelle quattro mura assumeva una forma diversa, quasi d'isolamento, una bolla delicata intrinseca di giorni in cui, da bambina, si rifugiava tra uno scaffale e l'altro alla ricerca di uno spaccato di serenità.

I colori avevano da sempre rappresentato, per lei, un filo diretto con Tommaso, con l'arte che il ragazzo sapeva tirare fuori senza preavviso o esitazione, gli erano infatti sufficienti un pennello o una matita per dare sfogo all'immenso universo che si portava dentro.
Gli bastavano le iridi dorate di Rory addosso per indurlo a buttar giù schizzi o realizzare capolavori.

«Bedda figghia, quando sei tornata?» le domandò Angela - proprietaria di quel posto da che Aurora ne avesse memoria - risvegliandola da quel temporaneo stato di trance.

Figghia.

In quel paese nascevi da tua madre eppure eri figlia di tutti: del calzolaio che ti incollava una suola così come del panettiere che sfornava biscotti e focacce; figlia di chi ti voleva bene sul serio ma anche di coloro che davanti ti sorridevano e dietro ti lanciavano sassi.

«Da qualche giorno, qualcuno mi rivoleva a casa» spiegò la giovane con un filo di voce.

Parlare di Speranza non era facile, ricordarla e non provare vergogna per non averla salutata a dovere le risultava impossibile.

Sua nonna se n'è era andata all'improvviso una mattina al sorgere del sole, senza dire nulla, in quella discrezione tipica della sua persona.
La malattia l'aveva prima affossata e poi se l'era portata via e Rory, incatenata dai suoi scheletri, non l'aveva neanche potuta abbracciare un'ultima volta.

Ripassò mentalmente i tratti di quel viso che tanto aveva amato e amava, la bocca a cuore e gli occhi piccoli e scuri - somiglianti a cocci d'alivi, così simili, così uguali ai suoi - spaventata di poterli dimenticare, poi come in un flashback quella voce limpida e familiare le risuonò in testa: «bimba bella».
Era quello il saluto speciale e dolce che le riservava Speranza quando le telefonava per metterla al corrente di un aneddoto, per capire come stava, o più semplicemente per accertarsi che "la sua bambina" fosse al sicuro.

Quella che Aurora riteneva una seconda madre avrebbe sicuramente meritato un sorriso o un bacio d'addio, avrebbe meritato una nipote che le stringesse la mano e le infondesse coraggio, nipote che poi avrebbe riscoperto nella bontà di Tommy.

Glielo aveva raccontato Paola, il ragazzo era stato vicino alla donna sino al suo ultimo respiro, asciugandole la fronte madida e giurandole che avrebbe escogitato un modo, uno qualsiasi, per riportare indietro Aurora.

«Penso che non fosse solo "qualcuno" a rivolerti qua» puntualizzò la signora con un ghigno soddisfatto sulle labbra.
«Angela!» la riprese Luciano, suo marito, sbucando dall'ingresso del negozio.

Rory scosse il capo, abbandonando quelle stilettate che si ostinavano tutti a definire pensieri, accogliendo l'uomo con un flebile cenno del mento.
Era assurdo come un impercettibile movimento potesse simboleggiare un gesto spontaneo di benvenuto.

In Sicilia la mimica era più usata dei discorsi: una gomitata per intimare di stare zitti, la lingua schioccata tra i denti - "ntzù" - per dire di no, mezze rotazioni del polso col palmo a coppa per dire "ammuccamu" o meglio "Complimenti, ce l'hai fatta".

«Buongiorno» quel tono caldo aprì un varco nella mente di Aurora.
«Tommaso, gioia ranni» esordì Angela felice di poter godere dell'argomento più gettonato dell'ultimo periodo: la coppia del misfatto di nuovo insieme.
«Ciao Lina... Luciano...» continuò dando una pacca affettuosa sulla spalla di quest'ultimo «...Rò hai già finito di scegliere il materiale?» chiese incamminandosi verso la ragazza e lasciandole una carezza tra i capelli.
Rory chiuse le palpebre beandosi di quel tocco leggero e familiare.
«Si, però sono sicura che tu possa prendere dell'altro per realizzare un bel disegno sulla parete della cucina, quella di fronte alla vetrata, in modo che pure dal giardino si possa notare» rispose lei non lasciando spazio a repliche o fraintendimenti.
Tommy storse il naso sorpreso.
«Tesoro, non dipingo da dieci anni».
Quell'appellativo fece drizzare le orecchie ai presenti che scattarono sull'attenti come molle impazzite.

Non era insolito sentirgli pronunciare dei termini carini nei confronti di Aurora - in passato erano meno le occasioni in cui la chiamava col suo nome rispetto a quelle in cui le affibbiava vezzeggiativi - il tempo trascorso, però, rendeva quell'atto d'intimità qualcosa per cui stupirsi.
«Un talento non sfiorisce invecchiando» intervenne Luciano smorzando bonariamente l'elettricità che si era venuta a creare tra quei due.
«Allora mi fido...» convenne Tommaso «...prendiamo ciò che serve che poi devo portarti in un posto» concluse rivolgendosi a Rory.
La giovane acconsentì e in men che non si dica riempirono diverse buste di colori e rulli.

Pagarono in fretta montando subito dopo sull'utilitaria del ragazzo: stereo acceso impostato su una stazione a caso e finestrini abbassati con lo scopo di prendersi il vento in faccia.
Come accadeva nelle estati trascorse assieme, come quando ogni passeggiata diventava pranzo, poi cena e infine si faceva notte fonda.

«Dove siamo diretti?» la curiosità di Aurora era ben nota a Tommaso.
«Non sei cambiata di una virgola» constatò infatti con ilarità lui, mentre lei si apprestava a rimbeccarlo con uno di quei pizzicotti difficili da scordare.
«Sempre cu sti manu a croccu» la riprese con quell'espressione tipica del luogo che definiva la caducità con la quale qualcuno ti picchia senza cattiveria e senza recarti danno.

Tra una canticchiata e un battibecco raggiunsero la meta: una distesa blu e impavida gli comparve dinanzi, troncando sul nascere quell'atmosfera rilassata che si era venuta a creare.
«È uno scherzo?» il fiato le si ruppe in gola e Rory parve assentarsi per un attimo «Non scenderò mai da questa macchina».
Tommaso sospirò aprendo lo sportello per raggiungere in poche falcate il lato passeggero.
«Fuori!» le intimò con un rapido gesto dell'indice.
«Ho detto mai Tommaso, non insistere» biascicò la ragazza grattandosi convulsamente le gote.
«Se non lo fai autonomamente ti trascinerò di peso» obiettò lui evitando di farsi influenzare dal malessere che le leggeva nello sguardo.

Il rumore delle onde che sbattevano sugli scogli faceva da sfondo a quella conversazione surreale.
La spiaggia distava solo qualche metro e l'acqua salata, che si riempiva di schiuma, destava in Aurora una vera sensazione di terrore.

«Dai» il giovane le tese il palmo fiducioso.
«Non ci torno da allora... non ci sono stata nemmeno altrove, mi sento morire solo a vederlo il mare».

Una lacrima capricciosa le solcò la guancia, solitaria e rapida come uno di quegli atleti che gareggiano in una categoria individuale e si apprestano a tagliare il traguardo.
Tommy le si accovacciò di fronte e gliela raccolse con il polpastrello.
«Ehi Nese, va tutto bene » la confortò.
Aurora gli si tuffò al collo nascondendo il tremore tra le braccia calde e accoglienti di quell'uomo paziente che aveva creduto di poter dimenticare.
«Non posso farlo, non posso farlo» ripeteva scossa dai singhiozzi che non era riuscita a frenare.

Sarebbe potuto trascorrere pure un secolo, ma quel disagio perenne che le si irradiava addosso non sarebbe venuto via facilmente.
Perché si sa, qualunque cosa accada, piacevole o brutta che sia, porta con se un cambiamento, cambiamento che non ti permetterà più di essere ciò che eri prima.

SPAZIO AUTRICE 🌊
Scusate l'infinita attesa, ma sono stata sommersa da cose da fare e altre mille questioni.
Grazie per essere stati pazienti.
Questo capitolo lo dedico al vero Tommaso, un piccolo guerriero che oggi compie 4 anni.
Spero vi piaccia, come sempre fatemi sapere💙🌊.

Arianna.

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