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CAPITOLO 9 - LETTURA PUBBLICA

Scrivi, Publio, scrivi.

Il tempo era poco, la fantasia inaridita. E più volte mi ritrovai in piena notte a fissare tavolette vuote, incapace di afferrare le parole giuste. Il bagliore tremolante della lucerna disegnava ombre sinistre sui muri, una brezza tiepida soffiava lungo la mia schiena.

Scrivi.

Quel pensiero non riusciva, tuttavia, ad allontanarmi dagli stregoni né a darmi Pace. Da ragazzino mi piaceva, amavo creare storie da abitare; adesso, era l'ennesima preoccupazione di cui farmi carico.

Scrivi.

Cercai appiglio nella nostalgia per Andes, nel fanciullo, nelle sibille, conscio di non potermi tirare indietro: ci servivano soldi e Volumnia aveva già annunciato il suo ritorno in scena.

Appena conclusi l'ultimo verso, ebbi l'impressione di star sognando. «Ho... finito?» balbettai incredulo «Il nostro spettacolo... è qui?». Lo stringevo tra le mani. Dovevo solo pregare che il pubblico apprezzasse.

Intanto, la manciata di giorni che ci separava dall'esibizione scorreva come granelli di sabbia.

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Svoltai l'angolo e giunsi alla bottega di Palaimon. Tanti anni fa, quando speravo di difendere gli innocenti, lui voleva sentire la mia voce. Domani sarò nel Foro, aveva dichiarato poco prima dell'udienza, Domani ti ascolterò e dimostrerai che un apprendista laborioso può essere anche un ottimo avvocato.

"All'epoca sono rimasto zitto, ma ora è diverso" serrai la mascella, tentando di frenare l'emozione "Volumnia parlerà al posto mio". L'avrei invitato allo spettacolo con la scusa di conoscere l'attrice. "Magari lo vedrò ridere, commuoversi e applaudire. Magari, gli confesserò di aver scritto io quei versi. Magari... corri troppo, Publio. Comincia a invitarlo".

Presi fiato e varcai la soglia. Tuttavia, all'interno trovai un luogo molto diverso dalla bottega che ricordavo. Sporco, trasandato, tanto cupo da apparire deserto. "L'hanno razziato durante le Idi?" avanzai adagio, col fiato sospeso "Palaimon starà bene?" «C'è nessuno? Sono Virg...»

«Non riceviamo clienti» m'interruppe una voce mai udita. Poi, si palesò un uomo tarchiato con grandi casse tra le braccia. «Mi spiace, abbiamo chiuso. Torna terminati i Ludi.»

«Non sono qui per comprare. Io... ecco...» strinsi forte la tavoletta «Dovrei consegnare un invito a Palaimon.»

«Il veterinario?» lo sconosciuto posò le casse e si pulì le mani nella tunica «Se n'è andato due anni fa. Aveva perso parecchi clienti con la guerra civile e il lavoro era diventato un peso.»

"Sta scherzando?!".

«Ragazzo? Tutto bene?» s'informò l'uomo «Pare che tu abbia visto un fantasma.»

Per un istante non seppi reagire; dopo, senza neppure salutare, uscii dalla bottega.

Lo sconosciuto disse qualcosa che non ascoltai, troppo impegnato a fissare con rabbia l'invito. "È ingiusto, ingiusto, ingiusto" continuavo a ripetermi. Il tempo fuggiva veloce, mentre i miei piedi si muovevano lenti, verso strade che conoscevo a memoria. Passai oltre la casa della mamma, superai l'accademia di Epidio – sopravvissuta ai cambiamenti della Repubblica – e adocchiai la domus della famiglia di Ottavio.

"Ottaviano" mi corressi "L'erede di Cesare. Il suo figlio adottivo. Un giovane con un enorme peso sulle spalle. Però..." rallentai "Se invitassi lui? Da bambino mi voleva bene. Amava le storie che gli narravo". Guardai la tavoletta e feci per bussare. Poi avvertii un brivido.

Hai visto che ne è stato della bottega? sospirò una voce dentro di me, Sei un illuso, se speri di trovare il bambino innamorato dei tuoi racconti. Bada al Presente, Publio: hai dei maestri che ti aspettano a Vicus Tuscus.

«Vicus Tuscus» mormorai, ritraendo la mano. L'unica cosa sopravvissuta al Tempo era il mio legame con la magia. Anzi, aveva acquistato spessore e le sue spire mi stavano soffocando.

Ma non sapevo sottrarmi.

Gettai l'invito e andai dagli stregoni per l'ennesima volta. Nella loro dimora l'aria era calda, pregna di vapori, e il sangue schizzava forme sinistre sui pavimenti polverosi. Eppure, quasi non ne avvertivo l'odore. Ci ero abituato.

Chiusi gli occhi e mangiai il cibo dei morti, pronto a recitare la formula: «Per te, avrei strappato anche il cuore, per salvarti dall'Ade maledetto». Ingoiai il kykeon così da estendere la mia vista al di là del Reale, abbandonandomi a sensazioni tanto intense quanto confuse, e rincasai al crepuscolo.

«Sei rimasto da tua madre fino a tardi» constatò Cornelio in tono indagatore «Hai deciso d'invitarla allo spettacolo?»

Scossi il capo.

«Dovresti» s'inserì Volumnia «Rimpiangerai di averla esclusa e...» strizzò le palpebre, tastando la mia fronte «Scotti.»

«Non avrai la febbre?» Cornelio mi diede dell'acqua «Bagna i polsi e il collo.»

«Sto bene» indietreggiai «Ho soltanto un po' di... paura per lo spettacolo. In fondo, manca un giorno.»

Volumnia inarcò un sopracciglio. «Virgilio, conosco gli uomini. Hai tentato di vincere l'ansia attraverso pratiche illecite? Loto? Vino? Fammi annusare l'alito.»

Arretrai ancora. «N... no» "Chi prendo in giro?" Più lo spettacolo si avvicinava, più cercavo rifugio nelle droghe e nella magia. L'eccitazione provata durante i rituali scacciava i pensieri, l'oppio leniva i timori. Ero schiavo di entrambi. «Ho sonno. Vado a letto.»

I miei amici provarono a fermarmi, ma io li allontanai e corsi in camera. «Preferisco stare solo» urlai da dietro la porta chiusa «Fate come se non ci fossi». Non attesi una risposta, avvertii lacrime gelide rigarmi le guance e ingurgitai l'estratto di loto scosso da una collera bruciante.

"Perché sono così... debole?!" scagliai al muro la boccetta vuota e mi accasciai sul letto, cadendo in un sonno senza sogni. Quando mi svegliai, avevo la bocca sporca di vomito, i brividi e un'emicrania lancinante.

"Comprenderò a stento metà di ciò che accadrà nelle prossime ore" ragionai "È comunque troppo". Usai l'abituale scusa di visitare mia madre per uscire a comprare altro oppio e arrivai in teatro poco prima che suonassero il doppio flauto – segnale d'inizio dell'esibizione.

Il Sole estivo illuminava il palco ligneo, gli addetti aiutavano il pubblico a trovare posto sugli spalti e qualche mercante si aggirava vendendo acqua e cuscini. C'era l'allegra confusione tipica delle feste, la gente parlottava e i più giovani stentavano a rimanere seduti.

Appena mi videro, le donne discinte ferme all'ingresso schiamazzarono mostrando cartelli con indicate le loro prestazioni, ma io non le degnai di uno sguardo e ciondolai verso la platea, dov'era seduto Cornelio.

«Quanto hai bevuto?» mi redarguì lui.

«Non... una goccia». Faticavo ad articolare le parole e avevo le palpebre talmente pesanti da non riuscire a tenerle sollevate. Nell'attimo in cui le chiudevo, però, Cornelio mi scrollava.

«Perderai lo spettacolo!»

«Tanto sarà un disastro» bofonchiai «Poco male: abbiamo ottenuto il compenso, Volumnia non avrà colpe se il testo è mediocre e nessuno saprà...»

«Sicuro?» Cornelio indicò il centro della prima fila «Cicerone e la sua famiglia sono venuti ad assistere.»

"Oh no!" il mondo era distante, però vidi benissimo il profilo arcigno del principe del Foro. Accanto a lui, Quinto e suo padre seguivano altrettanto concentrati. E non erano gli unici personaggi illustri: la fama di Volumnia aveva attratto decine di patrizi. Pure Marco e Sabino, l'uno accanto all'altro... come sempre.

Solo in un secondo momento notai che erano ai margini del teatro, quasi volessero passare inosservati, e, alle loro spalle, sedevano due domestici che richiamarono la mia attenzione.

"Io li conosco" mi stropicciai gli occhi "Porzia e Bruto?".

Lei era pallida, con un neonato stretto al seno e il bel viso nascosto dietro una massa di boccoli scuri. Lui pareva... diverso, forse a causa del pallore ancor più pronunciato del solito.

"No. C'è di più" aguzzai la vista, cominciando a studiarlo. Indossava abiti da domestico, un mantello troppo pesante per il clima di luglio e sandali consumati. Poi i nostri sguardi s'intrecciarono e percepii un gelo inspiegabile. Per un istante, credetti addirittura che la Morte mi avesse accarezzato.

«Cornelio, non mi sento b...» tentai di aggrapparmi a lui, ma non trovai nessuno.

Subito dopo scomparvero gli spettatori, Volumnia, il teatro, persino il Sole. Venni circondato dal buio, i miei piedi poggiarono sul ghiaccio e l'aria si riempì di gemiti.

"Una visione" sussultai "Non adesso!". Volevo scappare, però ero così fiaccato dall'oppio che crollai in ginocchio e rimasi rannicchiato a battere i denti, finché non udii un singhiozzo in lontananza.

«...più che il dolore poté il digiuno.»

«Chi sei?» strizzai le palpebre, scorgendo due viandanti. Il primo mi assomigliava a tal punto che pensai fosse il nonno; il secondo era un uomo vestito di rosso, la sola scheggia di colore in una landa grigia. Coi visi rivolti all'orizzonte, ignari della mia presenza, si allontanavano da una forma confitta nel terreno.

"Un segno da interpretare?". Avanzai carponi sul ghiaccio, puntando il misterioso tesoro. Avevo fretta di guardarlo. Dovevo scoprire il suo significato ed emergere da quella visione. Tuttavia, nell'attimo in cui raggiunsi la meta, il mio cuore si arrestò.

Due uomini erano seppelliti fino alle spalle. Uno aveva il collo piegato in modo innaturale; l'altro si protendeva su di lui, strappando a morsi interi lembi di pelle.

Mi coprii la bocca. "Li hanno sepolti i viandanti?!" pensai sconvolto "Perché tanta crudeltà? Quale crimine..." in quel momento, realizzai che il ghiaccio imprigionava centinaia di corpi. Erano ovunque. Molti piangevano, qualcuno abbaiava frasi rabbiose e tutti sembravano condannati a una pena eterna.

Senza via di scampo.

«Fatemi uscire!» supplicai «Sono innocente!».

Non venne nessuno, né a prendermi né a consolarmi. Intanto, i viandanti proseguivano la discesa lenti e inesorabili. Due divinità incuranti della sofferenza del mondo.

«Non abbandonatemi quaggiù!»

Continuai a chiamarli con voce sempre più flebile. I miei denti battevano spezzando le frasi in sillabe confuse. Dopo, d'improvviso, li vidi fermarsi.

"Mi hanno sentito?" non ebbi il tempo di emettere un sospiro, che compresi di non essere io il motivo della sosta: i viandanti stavano ascoltando le suppliche di un uomo sepolto. Erano quelle, e quelle soltanto, ad averli attratti. Non capii cosa si dissero, escluse poche parole uscite dalle labbra livide del prigioniero.

«L'anima ci cade... quando tradisce... e forse è nel mondo il corpo...»

«Virgilio!» l'abbraccio di Cornelio mi strappò alla visione e il sangue pulsò con forza nelle mie vene. Il ghiaccio lasciò il posto al teatro, i gemiti agli applausi. «È stato grandioso!» esclamò lui «Ricorderanno il tuo spettacolo per mesi.»

"Spettacolo? Sì, lo spettacolo!" Cornelio era all'oscuro di ciò che avevo visto e festeggiava un successo... Il mio successo.

«Grazie agli Dei, Volumnia ha polmoni potenti» continuò, dandomi una pacca sulla spalla «Al terzo bis, molte attrici sarebbero state afone.»

«Hanno chiesto il bis?»

Lui assunse un'aria perplessa. «Dove sei stato finora?»

"Se te lo spiegassi, diresti che sono pazzo" abbozzai un sorriso e spostai lo sguardo sugli spalti. Il pubblico era entusiasta, Cicerone domandava incessantemente chi fosse l'autore misterioso e Porzia si asciugava le lacrime. Solo Bruto squadrava la folla con espressione torva.

"È normale: è in incognito e teme la folla" feci per girargli le spalle, quando lui digrignò i denti. Si graffiò il palmo della mano destra, osservò il suo sangue e ne lasciò colare qualche goccia al suolo, disegnando piccole croci.

"Assomiglia... a un rituale proibito" rabbrividii "Bruto ha venduto l'anima ad Alastor in cambio della morte di Cesare?" la mia testa prese a pulsare, il cuore galoppava inquieto "La visione mi avvisava che Roma cadrà preda dei demoni, se qualcuno non la salverà?". Cominciai a riflettere, poi vidi Cornelio far roteare Volumnia e lei ridere serena. Di colpo, desiderai tornare bambino, privo di preoccupazioni, coi grandi a caricarsi di responsabilità e incertezze. "Non è compito mio salvare Roma" conclusi "Vivo col pensiero dell'Ade ogni giorno. Oggi no".

M'imposi d'ignorare Bruto, offrii ai miei amici una cena abbondante e, insieme al Sole, calarono anche gli effetti dell'oppio. Era bello essere felice. Non mi succedeva da anni. Purtroppo, le angosce tornarono una settimana più tardi, durante un pranzo all'apparenza tranquillo.


NdA

Rieccomi! Buon Pride Month a tutti, felice inizio di vacanze per chi ha concluso la scuola e in bocca al lupo con gli esami (universitari o orali di maturità che siano)! Altra cosa essenziale: grazie mille di essere ancora qui, di accettare i miei tempi biblici e leggere le disavventure di Virgy! Non so come farei senza di voi <3

A parte che Virgilio-teatrante, almeno in principio, ha davvero avuto grande successo (e la reazione di Cicerone-curioso/ammirato non è inventata dal sottoscritto), su questo capitolo non voglio spendermi in troppe parole perché lascio alle teorie... Dico solo che sto sfruttando una "regola" dantesca mischiata a fonti antiche incredibilmente sovrapponibili a ciò che ci racconta Dante nel suo viaggio infernale. Eh eh, l'Alighieri ne sa una più del diavolo ^_^

Lucifero: obietto, vostro onore!!

Io: torna a sgranocchiare i peccatori e lasciami ringraziare ancora una volta chi mi sopporta!! Grazie di cuore e ave atque vale!


[immagine in copertina: dipinto di Eulalia Pellegrini]

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