CAPITOLO 7 - LA SOLUZIONE
La voce di Volumnia si spense a poco a poco, lasciandomi col fiato sospeso. Volevo dirle che era tutto finito, che d'ora in avanti sarebbe stata al sicuro, che Cicerone avrebbe pagato... ma erano bugie. La nostra Repubblica ci divideva tra schiavi e padroni, e un liberto rimaneva un cittadino a metà. "Anzi" ripensai a parole che addirittura Flacco conosceva "l'impudicizia è una necessità in uno schiavo, un dovere per il liberto". La gente avrebbe giustificato il padre di Quinto e scherzato sulla lussuria incontenibile di Volumnia, trasformando l'accaduto in una chiacchiera licenziosa. D'altronde, chi nasceva servo non aveva diritto di dire no.
La tua Libertà è un bene prezioso, sibilò la mia coscienza, Cosa hai fatto per meritarla?
Avvertii il peso di Leggi che tutelavano me a discapito della mia amica e chinai il capo. Non osavo neppure guardarla in faccia, quasi fossi responsabile della sua aggressione.
Lei bevve un sorso d'acqua e sospirò, forse intuendo i pensieri che mi turbavano. «Ho imparato molte cose, mentre ero con Cicerone» proseguì in tono greve «La congiura è stata ordita da senatori, patrizi e ferventi repubblicani. Si definiscono i Liberatores e giurano di aver salvato Roma da un tiranno; tuttavia, il popolo piange quel "tiranno", minacciando di uccidere i colpevoli con la medesima crudezza» bevve ancora «Il padre di Quinto ritiene che Antonio sfrutterà la rabbia della gente a proprio vantaggio.»
«E...?»
«Non lo so, Virgilio. Stando a Cicerone, ci sarà l'ennesima guerra civile, ma pareva tanto una scusa per giustificare ciò che voleva farmi». Si fermò un istante. Aveva gli occhi solcati dal ricordo di quei giorni terribili, le guance bruciavano di rabbia e vergogna e persino il suo animo parve infiammarsi. «È un porco» soffiò, contraendo i muscoli «Vile e spietato. Identico ai suoi amici Liberatores. Sai chi li guidava?»
Scossi la testa.
«Marco Giunio Bruto.»
"Come?!" credetti di aver sentito male. Era paradossale, folle, orribile. «Anche Bruto? Suo figlio?»
«Sì, anche suo figlio». Volumnia, non aggiunse altro e restammo immobili.
"Cos'è accaduto alle persone?" includevo pure me stesso: odiavo la famiglia di mia madre, preferivo i demoni agli Dei e non avevo il coraggio di tornare ad Andes, né di schierarmi politicamente, o di vivere da adulto. Anche suo figlio, ripetevano le voci nella mia mente.
Anche.
Suo.
Figlio.
Sentii più che mai il bisogno di Vicus Tuscus, della magia, del loto. "Sarò rapido. Mezz'ora al massimo" feci perno sulle mani alzandomi a fatica; osservai il viso tumefatto di Volumnia e, prima di riuscire ad aprir bocca, udii un mormorio in lontananza.
«Cume tonas, Leucesie,
prae tet tremonti
quom tibei cunei decstumum tonaront.»
Un attimo dopo, le mura dell'atrium lasciarono posto a una vegetazione rigogliosa. Sapevo di essere ancora a casa, ma i miei occhi scorgevano una realtà diversa. "Una visione" pensai col cuore in gola, mentre in mezzo al verde compariva un larario ligneo e, inginocchiato davanti al tempietto domestico, la sagoma di Marco. Era lui che stava recitando la preghiera, mi dava le spalle e indossava gli abiti formali per la festa di Anna Perenna.
"Dunque, la visione mi ha riportato al giorno delle Idi" ragionai, in cerca di altri dettagli che lo confermassero. Monili, scritte, effigi, impronte... conoscevo centinaia di simboli e gli stregoni di Vicus Tuscus mi avevano insegnato a sfruttare il mio dono. Tuttavia, il paesaggio era innaturalmente privo di particolari: spiccavano solo un gracchio stridulo e un fruscio d'ali. O di lame?
«Marco? Mi senti?»
Lui continuò a mormorare. Parlava in tono monocorde, così differente da quando l'avevo visto piangere tra le braccia di Sabino. Alla sua destra, posata sull'erba, una copia de La Repubblica di Platone. Alla sinistra, una spada affilata.
«Divum empta cante, divum deo supplicante» ripeté solenne. Non vedevo le sue labbra, eppure ebbi la certezza che fossero tese in un sorriso. Poi, un tonfo mi fece sobbalzare.
«Domine, è permesso?» un giovane servo dalla pelle d'ebano avanzò mostrando un biglietto «Te lo mandano dal teatro di Pompeo. Riguarda Cesare.»
Marco allungò la mano, vi lesse il breve messaggio e annuì tra sé. «Adesso posso raggiungerti, padre.»
«Hai detto qualcosa?» lo schiavo si chinò verso il suo padrone, ma lui lo respinse.
«Assicurati che non mi disturbino nelle prossime ore» sospirò, rivolgendogli un'occhiata vacua. Attese un cenno d'assenso, l'osservò uscire e tornò a fissare il larario. «Così sempre ai tiranni» bisbigliò, stringendo al petto il testo di Platone «Roma non appartiene ai sovrani. Non appartiene nemmeno agli Dei.»
Serrai la mascella e mossi lo sguardo sul secondo oggetto nel prato. "Non si porta una spada di fronte a un larario senza motivo" trasalii "Marco sta per uccidersi". Ne ero certo e volevo andarmene prima che accadesse. Si trattava di un messaggio da interpretare? Stavo assistendo a fatti accaduti e, presto, mi avrebbero annunciato che il mio ex-compagno era morto insieme a Cesare? Non importava: troppo sangue macchiava i miei sogni dalle Idi. Non ne avrei sopportato altro.
Marco posò il libro, gonfiò il torace e accarezzò la lama.
"Fatemi uscire da questa maledetta visione".
La sollevò da terra, assicurandosi che fosse abbastanza tagliente.
"Non guardare, Publio. Occupati di Volumnia. Concentrati sul mondo reale. Pensa..."
«Pensa a Roma! A noi.»
Mi girai di scatto e vidi Porzia entrare nel giardino. Le vesti di lino ondeggiavano sotto un'andatura malferma, la mano sinistra sorreggeva il ventre gonfio e i lunghi capelli scuri incorniciavano un viso esausto. Pareva una creatura infernale, tanto bella quanto deturpata dall'angoscia. «Posa subito la spada, se non desideri finire tra gli insepolti» ordinò, fermandosi a un passo dal fratello.
Lui la studiò perplesso. «Avevi... promesso di stare al tuo posto. È un mio diritto, è...»
«Cesare è morto, ma il popolo insorge!»
«Il popolo può finalmente alzare il capo, libero dal giogo di un pazzo.»
Porzia serrò le labbra. «Sbagli» sibilò «Roma ha paura. Di mio marito, ti rendi conto? Lui non lo sopporterà. Ogni volta che lo chiameranno "assassino", si sentirà colpevole. E verrà un momento in cui non potrò ricordargli che ha sacrificato suo padre per il Bene della Patria.»
«Tu che resti in silenzio? Suvvia, sorellina non...»
«Sono una donna: non posso seguire nostro cugino in Senato, né nel Foro, né su qualsiasi campo di battaglia. Riesci a capirlo? E cosa dovrei fare? Fidarmi degli altri congiurati? Di Cicerone?» Porzia tacque un istante e passò una mano tra i capelli del fratello «Avrà bisogno di te. Io ho bisogno di te. Ti prego.»
Marco si specchiò nella lama. Attendeva quel giorno da due anni e non voleva rimandare, non per badare all'animo fragile del cugino. «Sei irrazionale a causa della gravidanza. La gente si placherà, Bruto sarà acclamato come un eroe, vostro figlio crescerà in una Repubblica sicu...»
«No!» Porzia gli afferrò un braccio e lo tirò verso di sé «La congiura doveva essere la Soluzione. Beh, abbiamo sbagliato, Marco. Abbiamo pensato che il popolo odiasse Cesare, però... Va' là fuori, se non mi credi, e guarda a cosa ci siamo condannati.»
Appena lui mosse un passo, la vegetazione lo inghiottì. Dopo divorò il larario, il manoscritto di Platone, la spada... persino i colori. "Dov'è Porzia?" la cercai tra i rami secchi che riempivano il nuovo paesaggio, ma non c'era traccia neppure di lei.
Solo rovi, versi stridenti e una figura insanguinata che avevo scorto nella necropoli molti anni prima. "Catilina" ansimai, incapace d'indietreggiare.
«È arduo uscire dalla selva oscura, non credi?» sorrise lui, allargando le braccia «Tuttavia, ci fai l'abitudine. Potresti addirittura apprezzarla. Sceglierla. Per sempre.»
Strizzai le palpebre terrorizzato e, quando le riaprii, mi trovai nell'atrium di casa mia. "Nulla di pericoloso" tentai di rassicurarmi "È il tuo dono. Non sei costretto a rintracciare un senso in ciò che hai visto. Fai un respiro profondo. Calmati. Adesso passa...".
«Sei triste?» la voce di Volumnia mi raggiunse come una carezza.
«C... cosa?» balbettai, ancora frastornato.
«Virgilio, siediti. Stai tremando.»
Ubbidii senza ribattere. I nostri visi erano vicinissimi, le nostre anime affini. Poi, lei posò le labbra sulle mie. Un bacio talmente delicato e colmo di aspettative che non mi sottrassi.
Quanto sarebbe cambiata la mia vita, se le avessi detto sì? "Non sarei più la Verginella", cominciai a riflettere "Forse avrò dei figli e sarò felice. Sarò... normale".
Chiusi gli occhi e, proprio allora, udii un sibilo. La useresti, come Sabino ha usato te, soffiò la parte più profonda della mia coscienza, Non la vuoi davvero. Prendila, e vivrai in una foresta fatta di maschere e bugie. Non sarà... la Soluzione.
Arretrai di colpo.
«Ho addosso il suo odore?» farfugliò Volumnia imbarazzata «È per i lividi? Per il labbro rotto?»
«È sbagliato» mi alzai, distogliendo lo sguardo.
«Desideri una donna onesta?»
«No, io...»
«Lo comprendo, Virgilio. Non preoccuparti.»
«Non desidero una donna» esclusi Marco e Sabino, non lo sapeva nessuno, e dirlo a voce alta mi parve così assurdo che dovetti ripeterlo «Io. Non desidero. Una donna». Dopo, le parole mi uscirono di bocca tanto veloci da distinguersi a fatica. Le raccontai di quel ragazzo che mi aveva rubato il cuore e non nascosi neppure il ricordo delle nostre notti insieme. «Per lui non contavo granché, ma rifarei tutto» ammisi «Almeno, ho provato l'unico sentimento capace di plasmare il mondo». Il Fato non mi concedeva che un abbaglio durante la giovinezza? Era comunque meglio di niente. «So che è una vergogna» conclusi, sbirciando Volumnia di sottecchi «So che un romano non si... concede. Però, dovevo dirtelo.»
Lei assunse la stessa espressione di Cornelio quando gli avevo confidato del dono. Poi, come il mio amico all'epoca, mi strinse forte. «Non è una vergogna» bisbigliò, accarezzandomi la testa «E quel ragazzo non immagina che fortuna si è lasciato sfuggire». Abbozzò un sorriso e io iniziai a piangere. Un pianto singolare, in grado di confortare l'animo molto più del loto.
Dopo tanto tempo, per un attimo mi sentii leggero e, al calar del tramonto, decisi di rivelarle un secondo frammento di me.
Indicai le tavolette su cui avevo scritto, ben nascoste in un angolo della camera da letto. «Sarei... felice, se le leggessi». Ero fiducioso che Volumnia avrebbe compreso i miei versi confusi, mi addormentai sereno e nessun Incubo venne a tormentarmi in sonno. Al mattino, però, ricevetti un brusco risveglio.
«Per quale motivo è qui?!»
Mi stropicciai gli occhi. «Cornelio?» avevo la voce impastata e le membra intorpidite.
«Da quanto siete amanti?»
«Noi non...» scossi la testa «Non urlare: sta riposando». Uscii dalle coperte e seguii Cornelio nel tablinum.
«Hai spostato il letto in ingresso per un vostro gioco perverso?» ringhiò seccato «Non posso crederci! L'attrice più famigerata dell'Urbe, in casa mia!»
«Ha un animo gentile.»
«Parli così perché ti ha soggiogato.»
«No! È diversa da come dicono. Dietro uno spettacolo discinto c'è una sofferenza che noi cittadini...» era inutile: non gli avrei fatto cambiare idea sugli attori. Tuttavia, confidavo nel buon cuore del mio amico. Così, spiegai ogni filo del Fato che aveva condotto Volumnia nel nostro atrium, col cuore ammaccato e piena di lividi. «Lascia che resti un paio di settimane» lo pregai «Il necessario per recuperare le forze.»
Lui incrociò le braccia e, in quel preciso momento, Volumnia si affacciò alla soglia. «Chi si rivede! Salve, giovane scontroso» accennò un saluto a Cornelio, sforzandosi di apparire la donna ammaliante e sicura che Roma conosceva. Poi, notò la mia aria nervosa. «Ho interrotto qualcosa?»
«N... nulla» boccheggiai «Stavamo solo... Dicevamo...»
«Dicevamo che dovremmo riportare il letto nel cubiculum» sbuffò Cornelio «E prepararti un giaciglio nella stanza degli ospiti». Mi rivolse un'occhiata torva e io trattenni il respiro, entusiasta e sollevato.
"Grazie, grazie, grazie! Non te ne pentirai".
NdA
Per la serie "non c'è due senza tre", Volumnia è ufficialmente la New Girl (chi, come me, guardava la serie?) di Cornelio e Virgilio. Speriamo bene (ripenso al fatto che la prima battuta del prossimo capitolo è "io non la sopporto"... uhm... bene ma non benissimo)! Nel frattempo, però, la cosa più importante: vi ringrazio per la pazienza e per il supporto!! <3
In questo periodo sono pessimo, ma tenterò di recuperare nei prossimi mesi! Riguardo ai capitoli... cercherò di aggiornare presto! Ora, un paio di brevissime note:
1) Chiamarsi "congiurati" faceva schifo, quindi Bruto, Cassio & Co hanno optato per "Liberatores", fiduciosi che anche il popolo li avrebbe visti come coloro che salvavano la Repubblica da un tiranno. Spoiler: non ha funzionato;
2) Quinto Cicerone, ex-compagno d'armi di Antonio, conosce di che pasta è fatto quell'uomo (a essere precisi, gli deve la vita, dato che proprio lui l'aveva salvato durante le campagne in Gallia) e ci ha visto giusto: ribalterà la situazione a proprio vantaggio;
3) Ho lasciato la preghiera in lingua originale perché è un latino arcaico e volevo tirarmela. La traduzione sarebbe "quando tuoni, Dio della Luce, davanti a te tremano tutti gli Dei che lassù ti hanno sentito tuonare". Di grande effetto, lo so!
4) Il quartiere del Circo Massimo dista pochi minuti a piedi da Vicus Tuscus e il ragionamento di Virgilio d'impiegare una mezz'ora tra andata-BibbidiBobbidiBu-ritorno non è un suo delirio mistico.
Come dice Virgy a fine capitolo: Grazie, grazie, grazie!!
Buone vacanze e alla prossima ^_^
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro