CAPITOLO 6 - SIGNOR VENTO
Marzo, 699 AVC
Quella sera di primavera avevo ragione: dopo due anni, Cremona continuava a non sembrarmi un luogo accogliente, mentre per i suoi abitanti restavo un intruso imprevedibile e poco avvezzo alle convenzioni sociali. Facevo il possibile per adattarmi; non dissi nulla nemmeno il giorno in cui il nonno finì davanti al giudice per colpa del suo collaboratore, cercai di frenare la mia fantasia e di non prestare attenzione alle visioni. Eppure era difficile.
"Ma non stavolta" sorrisi e mi voltai verso sinistra "Sarà tutto diverso: quest'anno non vado a Cremona da solo". Mio fratello Flacco era proprio lì, addormentato accanto a me. Studiavo le sue guance rosee, il respiro profondo, i capelli dai riflessi ramati, identici a quelli di nostro padre, e non riuscivo a crederci! Dovetti trattenermi per non svegliarlo: la tentazione di stringerlo era immensa.
«Il mio fratellino» mormorai, cullato dall'andatura cadenzata del calesse «Mi prenderò cura di te». L'avevo già messo in guardia sui pericoli della città, avevo ripetuto decine di volte di non togliere mai la bulla, nemmeno quando gli dava fastidio al collo, e mi ero portato dietro tutti i suoi giochi preferiti. Il mio unico desiderio era farlo stare bene, a costo di viziarlo. E volevo che i nonni cambiassero idea sul suo conto. Loro non avevano interesse per l'educazione di Flacco e lo prendevano perennemente a modello negativo, come se avesse ereditato soltanto le caratteristiche del ramo insoddisfacente della famiglia. "Quello di papà" pensai amareggiato.
Subito dopo il calesse si fermò, svegliando mio fratello.
«Siamo arrivati?» sbadigliò.
«Sì, ti presento la domus della gens Mag...»
«Prendimi in braccio» Flacco si lasciò cadere a peso morto su di me.
«No. Il nonno non sarebbe contento.»
«Ma io ho sonno. E fame. E sete.»
«Mangerai e berrai presto, se fai il bravo» gli sistemai in fretta la tunica e mi guardai intorno, assicurandomi che nessuno ci stesse osservando.
«Gli Dei hanno pietrificato le mie gambe, fratellone!»
«Non ci provare.»
«Uffa!» si stiracchiò e scese dal carretto con un balzo «Ad Andes mi prendi in braccio.»
«Lo farò anche qui; però, non ora» gli tesi la mano e lo condussi all'ingresso, pregando che i nonni quantomeno fingessero di essere contenti di ospitare Flacco.
Invece, non appena lo videro, si scambiarono un'occhiata scocciata. Il nonno sollevò un sopracciglio e storse il labbro. «Perché lui è qui, Virgilio?»
Non fece in tempo a terminare la frase, che mio fratello cominciò a ridere. «Com'è che ti ha chiamato?!»
«Sssh!»
«Virgilio!» m'indicò Flacco sghignazzando.
«Smettila, per favore» tentai di tappargli la bocca, ma lui mi morse la mano.
«Virgilio, Virgilio, Virgilio.»
«È persino peggio di come lo ricordassi» constatò il nonno, lanciando una seconda occhiata, ancora più infastidita, a sua moglie. «Tuo fratello non si trasferirà a Roma e resterà a lavorare nei vostri "terreni"» proseguì «Non gli serve passare del tempo a Cremona.»
«Soltanto qualche settimana» intervenni «Nostra madre non sta bene e ha deciso...»
«Maia non sta bene?» d'improvviso, il volto del nonno si rabbuiò «Per quale motivo non è venuta anche lei, se sta male?»
«C'è nostro padre a...»
«Vostro padre riesce a stento a prendersi cura delle sue api.»
«Ti prego, non davanti a Flacco» io ero abbastanza grande da sapere che il nonno era così ostile perché non aveva ancora accettato che la sua unica figlia avesse sposato un sottoposto privo di ambizioni, ma mio fratello non doveva sentire simili giudizi. «La mamma non è malata» ripresi «Ha bisogno di un po' di riposo: presto tornerà in ottima forma.»
In principio non notai lo sguardo incupito di Flacco, e non me ne accorsi nemmeno quando il nonno sostenne che la stanchezza di nostra madre fosse dovuta proprio a quel figlio così agitato. Solo nell'attimo in cui fummo in camera feci caso a quanto mio fratello fosse ferito.
«Davvero si è stufata di me?» trovò il coraggio di chiedere, con gli occhi gonfi di lacrime.
«Certo che no!»
«E il nonno mi odia.»
«Ti sbagli.»
«Anche la mamma mi odia.»
Feci per replicare, poi vidi mio fratello cominciare a piangere e optai per un abbraccio. «Non dirlo neppure per scherzo» lo rimproverai, scompigliandogli i capelli «Nessuno potrebbe odiare un bambino generoso, intelligente e gentile come te.»
«Mi hanno cacciato via perché non mi vogliono.»
«No. La mamma non si sente bene...»
«La mamma preferisce te perché tu hai il dono magico.»
Sgranai gli occhi. «Cosa?»
«Sono il figlio stupido di cui non si ricorderà nessuno.»
Per quanto tentassi di consolarlo, Flacco era disperato. Forse, covava quel dispiacere fin dal mio primo viaggio a Cremona.
«Ho detto che so fare gli incantesimi e nessuno mi ha creduto. Così, ho provato a diventare magico, ma gli Dei mi hanno punito. Ora sono maledetto, la mamma lo sa e per questo non mi vuole più» un pensiero fulmineo lo fece trasalire «O si è ammalata per colpa mia?»
«Fermo, fermo, fermo» mi sedetti sul letto e gli feci cenno di venire al mio fianco «Spiegami.»
Flacco si asciugò il muco dal naso col dorso della mano. «Volevo vedere il Futuro e gli spiriti, però non ho la magia e, quando ho mangiato il cibo per i fantasmi per essere un veggente, loro mi hanno mandato decine di incubi.»
Lo ascoltavo in silenzio, sforzandomi di mantenere un'espressione rilassata. "Perché hai mangiato del cibo per i lemures?" avrei desiderato chiedergli "Davvero i nostri genitori lo sanno? Siete già andati a chiedere scusa al tuo Dio protettore?". Invece, rimasi zitto e lo lasciai raccontare, sperando gli Immortali non avessero veramente maledetto un bambino di sette anni per il reato di voler essere speciale.
«Adesso vedo il vento del Tartaro» sospirò mio fratello «E, prima o poi, verrà sulla Terra a portarci via tutti quanti.»
«Non c'è vento nel Tartaro» mi affrettai a rassicurarlo «Laggiù, la Natura resta quieta. Non oserebbe soffiare contro le ombre dei morti.».
«Ti dico di sì! E io lo vedo perché sono maledetto, anche se papà ha fatto i riti per togliere la rabbia dei fantasmi.»
"Grazie agli Dei!" tirai un sospiro di sollievo. Se nostro padre era intervenuto sulla questione del cibo per i morti, ciò che spaventava mio fratello non poteva essere realmente pericoloso.
«È un vento cattivissimo che trascina gli spiriti» Flacco accompagnava le parole ad ampi gesti «Loro piangono sempre, urlano e si schiantano sulla roccia. E, adesso che ho mangiato il cibo dei fantasmi, il vento cattivo rapirà anche noi.»
Gli presi le mani. Mio fratello era piccolo e si era spaventato dei temporali: nostro padre mi aveva elencato i danni fatti dalla bufera nell'ultimo anno. Era normale, per un bambino, immaginare in quelle tempeste un mostro pronto a divorarlo. Ma non avrei placato la sua paura con la Ragione. Dovevo farlo con una favola.
«Nessun Dio o spirito è in collera con te, Flacco» esordii, accarezzandogli i capelli «E il Tartaro è un Regno ultraterreno di cui non varcherai mai le porte. Tuttavia, il Signor Vento l'ha capito.»
Cercò il mio sguardo. «Ha capito cosa?»
«Che sei speciale, ovviamente. Ti ha notato mentre soffiava sui nostri campi e si è incuriosito. Ha lasciato in pace gli alberi, tentando di raggiungerti, ma gli Dei gliel'hanno impedito. Allora, Signor Vento ha iniziato a sussurrare agli Incubi, cantando una storia spaventosa in cui lui non solo ti trovava, bensì era in grado di farci volare lontani. È un abile aedo, sai? E gli Incubi hanno ascoltato, ammaliati dalle sue parole. Perciò, quando un brutto sogno si posa sul tuo stomaco, ripete il racconto di una bufera impetuosa e disegna nei tuoi occhi proprio le immagini create da Signor Vento.»
«Una storia non può farmi male» ragionò Flacco «Neanche se è paurosa.»
«E un Incubo può soltanto appollaiarsi sopra di te per il tempo di una notte» completai io. «La prossima volta che avverti l'arrivo di Signor Vento, prova a salutarlo tu. Diventa suo amico e vedrai che smetterà di sussurrare nelle orecchie degli Incubi.»
Flacco annuì solenne. Subito dopo, però, incassò il mento nelle spalle e spostò gli occhi sulle ombre che si allungavano nella stanza. «I fantasmi non c'entrano nulla, vero? Non sono loro che mi mandano messaggi dal Tartaro? Tu lo sai! Li senti...»
Non era affatto vero: io stesso non capivo la natura delle mie percezioni, né ero in grado di controllarle. Tuttavia, Flacco aveva bisogno di certezze.
Osservai la stanza con fare assorto.
«Allora? Mi hanno perdonato?»
Attesi ancora un momento. «Sì, dicono che ti hanno perdonato» poi abbozzai un sorriso «A patto che non mangi più il loro cibo.»
NdA:
E se Flacco avesse visto il vento descritto da Dante nel V canto?? Chi può dirlo... di certo, Virgy pensa che in quella visione non ci sia niente di soprannaturale. Ma Virgy, alle volte, prende delle enormi cantonate.
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