CAPITOLO 6 - IL FIGLIO DEL CONSOLE
[trigger warning: accenni alla violenza su minori]
Le parole di Marco Catone segnarono l'inizio di un processo. Io ero l'imputato, e la mia assoluzione dipendeva da una sola persona: Sesto Pompeo. Se, al suo ingresso in accademia, mi avesse perdonato l'incidente nella necropoli, gli altri avrebbero scordato l'accaduto, altrimenti...
«Altrimenti cosa, Virgilio?» Cornelio intinse il cucchiaio nella zuppa di legumi e mi scrutò con aria torva «Sono passate settimane! Di cosa hai paura, per Giove?»
«Non lo so.»
«Allora, smetti di preoccuparti e mangia; o finirai per svenire tra le braccia di Epidio.»
Accennai una risata, incapace, tuttavia, di rilassarmi. «Ho sempre fatto pasti leggeri.»
«Però, in passato non dovevi dividerti tra le lezioni e un lavoro di cui quasi nessuno è al corrente» puntualizzò, ricordandomi che non soltanto avevo accettato l'impiego da Palaimon, ma lo stavo anche tenendo nascosto: da un lato, Epidio mi credeva coinvolto nei commerci di famiglia; dall'altro, il nonno era convinto che restassi in accademia per correggere i difetti di pronuncia.
«L'Urbe ti sta trasformando in un bugiardo» aggiunse Cornelio in tono scherzoso «Giura che non sarai mai uguale a un attore!»
Corrugai la fronte, mentre aspettavo che la zuppa si raffreddasse. «Non apprezzi il teatro?»
«Il teatro sì, ma gli spettacoli di Roma sono un'altra faccenda: prostituti che si definiscono mimi e ballerini, gente dal passato torbido, individui falsi, corrotti e calcolatori... se vuoi deridere gli Dei e darti ai piaceri più abietti, frequenta gli attori! Questo dice mio padre.»
«Capisco» in realtà, ero parecchio confuso.
«Infatti» continuò lui «Tutti criticano l'amore di Marco Antonio per certi spettacoli. Pare che ora stia finanziando una scuola di recitazione... e che s'intrattenga con ogni artista avvenente.»
Abbassai lo sguardo, cercando di non arrossire. «C'è chi sostiene che Antonio sia un uomo valoroso.»
«Ti riferisci a Cicerone?» Cornelio scosse la testa e intinse il pane nella zuppa «Lascia perdere! Adesso lo supporta, ma, tra un paio d'anni, potrebbe addirittura denigrarlo pubblicamente.»
«Insomma, è un ipocrita» constatai «Come gli attori.»
«Come gli attori» fece eco lui. Nemmeno Cornelio aspirava a una carriera da oratore. Al contrario, stava considerando di seguire Cesare nelle Gallie, e la prospettiva mi terrorizzava.
«Lasciamo perdere gli attori» esclamai, coprendo i miei timori con altre preoccupazioni «Oggi sono di fretta: il figlio del console arriverà nel pomeriggio.»
«Credi davvero che torneranno a rivolgerti la parola, se Pompeo sarà gentile con te?»
«Così hanno detto.»
«Ascolta» Cornelio posò il cucchiaio e si protese in avanti «Sesto Pompeo frequenta già molte persone dell'accademia; inoltre, nell'istante in cui varcherà la soglia, altrettanti studenti correranno da lui nel tentativo di farsi notare. Avrà fin troppi amici e, da viziato qual è, non muoverà un dito per te.»
Mi morsi il labbro. Non conoscevo Pompeo né m'importava di lui, eppure, i miei legami nella scuola dipendevano da un suo sorriso. «Se andrà come sostieni, i ragazzi della necropoli continueranno a evitarmi» ribadii per l'ennesima volta «Catone è stato categorico a riguardo.»
«Ebbene!? Troverai altri amici!»
Non osai spiegare perché tenessi tanto a quella gente e terminai il pasto in fretta. «Scusa» sospirai, alzandomi in piedi «So di essere noioso e complicato.»
Cornelio si strinse nelle spalle. «Prometti di non restarci male, quando scoprirai che avevo ragione.»
«Prometto di non tirare più fuori l'argomento». Abbozzai un saluto, uscii dalla popina e raggiunsi l'accademia.
Il manipolo di soldati fermi all'ingresso mi fece intuire che il figlio del console fosse arrivato in anticipo. "Epidio lo starà accogliendo coi dovuti onori" riflettei, mentre camminavo rasente al muro. Dovevo andare nello studio del rhetor e approcciare Sesto Pompeo prima del resto degli studenti. Era azzardato, fuori luogo e scortese, ma non volevo, come sempre, aspettare che le cose accadessero.
«Salve, signore» esordii, affacciandomi alla porta.
Dall'altro lato, Epidio indossava la toga, una pregiata spilla macedone e anelli che non gli avevo mai visto sfoggiare. Anche Sesto Pompeo era molto più elegante di quando l'avevo incontrato l'ultima volta, e mi osservava con aria interrogativa.
«Perdonate il disturbo» continuai «Mi chiedevo se il figlio del console avesse bisogno di una guida. Ho terminato i compiti e...»
«E, dunque, puoi dedicarti allo studio del Greco» completò Epidio «Oppure, ripassare i vocaboli che ancora fatichi a pronunciare.»
«Veramente io...»
«Virgilio» mi fermò il rhetor «Ho detto di no.»
Era un ordine a cui non potevo ribattere. «Come desideri, signore» chinai il capo, consapevole di aver fatto l'ennesima brutta figura e, nel girare loro le spalle, udii Epidio rivolgersi al figlio del console.
«Il ragazzo è un po' lento» esclamò «La sua indole non è adatta a parlare in pubblico, ma ti assicuro che l'accademia vanta numerosi allievi brillanti.»
Serrai la mascella, sperando di trattenere le lacrime, e mi allontanai. Era finita. Non avrei mai approfondito il rapporto con Sabino e, presto, sarei tornato il ragazzo strano da escludere. Non cambiava niente rispetto a Cremona o a Milano.
Trascorsi il resto della giornata sdraiato a fissare il soffitto, saltai la cena e, soltanto dopo il tramonto, raccolsi le forze per alzarmi. Afferrai una pergamena, andai nei giardini e, trovato un punto isolato, iniziai a leggere. Intanto, con la coda dell'occhio, sbirciavo i movimenti degli altri studenti, finché non vidi Sesto Pompeo. Accanto a lui, Quinto Cicerone raccontava l'ultima gita nel lupanare, accompagnando le parole ad ampi gesti delle mani. Seguivano tre ragazzi che non conoscevo, Marco Catone e Sabino.
Abbassai il capo. "Non pensarci più!" mi comandai "È evidente che gli Dei non approvano un...".
«Posso sedermi?»
Il figlio del console era lì, a un passo da me e io ne rimasi talmente sconvolto da non riuscire a parlare. Mi limitai a lasciargli un po' di spazio.
«Grazie» sorrise lui «Alla necropoli ci hai fatti preoccupare: adesso stai meglio?»
Provai a rispondere, ma la mia lingua era annodata.
«Non volevo interrompere i tuoi studi» ritentò Pompeo «Desideravo solo dirti una cosa: il rhetor sostiene che l'oratoria non appartenga alla tua indole.»
"È venuto a prendersi gioco di me. Ovvio".
«Impacciato, timido, rigido nel parlare...»
Serrai le labbra.
«...Inadatto alla carriera pubblica...»
"Vuoi aggiungere anche che sono stupido?".
Sesto Pompeo mi guardò negli occhi: «Questo è ciò che, a lungo, hanno detto di mio padre.»
«Cosa!?»
«Ed è vero!» mi confidò, in tono tanto divertito quanto carico d'affetto «Mio padre odia tenere i discorsi. Li impara a memoria e ha l'abitudine di ripetere più e più volte, prima di pronunciarli davanti a un pubblico.»
Stava realmente paragonando il console a me? Ero esterrefatto.
«Volevo che lo sapessi» concluse, tendendo la mano destra «È un piacere incontrarti di nuovo, Virgilio.»
«P... piacere mio, Pompeo.»
«Sesto» mi corresse lui «So fin troppo bene di appartenere alla gens Pompea. Ne vado fiero, ma qui preferisco essere soltanto... io.»
Annuii in silenzio e vidi che Sabino, in piedi accanto a Catone, stava sorridendo. Speravo che andasse così, mimarono le sue labbra.
«Non sono mai stato a Mantova» proseguì Sesto «Ascolterò volentieri i tuoi racconti, se non includeranno maghe o fantasmi: l'esperienza alla necropoli è stata sufficiente, non trovi?»
«Sì, certo» non volevo mostrarmi entusiasta per poche frasi gentili, però, la mia voce aveva addirittura assunto un timbro diverso dal solito. Farfugliai qualche parola confusa, poi Sesto mi augurò la buona notte e raggiunse i suoi amici.
Io, invece, rimasi impietrito in quell'angolo, con la pergamena in mano e lo sguardo perso nel vuoto. Non so quanto tempo passò, ma ricordo bene che, quando decisi di tornare in camera, notai Sabino seduto al lato opposto del giardino. Era intento a scarabocchiare qualcosa su una tavoletta; tuttavia, una parte di me desiderava credere che mi stesse aspettando.
«Quindi, diventeremo amici» esclamò, nell'istante in cui gli passai accanto «Sesto non serba alcun rancore per i fatti della necropoli. Al contrario, ti trova simpatico». Posò la tavoletta e mi esaminò da capo a piedi: «Io, invece, ti trovo... affascinante.»
Distolsi lo sguardo. Avevo le guance in fiamme e il respiro corto.
«Conosci davvero quelle cose?» incalzò lui, con una nota di malizia «La leggenda di Manto, i segreti della sua arte...»
«Per sommi capi» se l'avessi lasciato parlare, l'imbarazzo che provavo sarebbe diventato troppo palese.
«E, per sommi capi, accetteresti di spiegarmele?»
"Sì, mille volte sì". Volevo dirgli molto e, invece, il mio corpo agì diversamente, bofonchiando un maldestro d'accordo e interrompendo la conversazione sul nascere: «Si è fatto tardi. Buonanotte» balbettai.
Nemmeno un minuto dopo, ero in camera a riprendere fiato.
Sei affascinante, la voce di Sabino continuava a risuonarmi nel petto e allontanava tutto il resto. Persino Andes appariva distante, sfuocato.
«Affascinante» gustai il sapore di quella parola, implorando gli Dei di donarmi uno squarcio sul Futuro «Ditemi che il mio animo non s'inganna» le ultime sillabe uscirono in un sussurro, le palpebre si fecero pesanti e, in breve, mi abbandonai al sonno.
Quando riaprii gli occhi, ero accanto a un focolare, dentro una sala colma di oggetti: c'erano abiti e stoffe, vistosi gioielli, calzari, manufatti esotici, utensili di scena e tanto altro.
"Gli Dei hanno esaudito la mia preghiera? Ciò che vedo sono segni?" riflettei, studiando l'ambiente circostante. Solo in un secondo momento notai le sagome sul fondo alla stanza.
«Lasciami stare!»
"Il fanciullo!" trasalii.
Stava accadendo di nuovo e fui subito travolto dalla paura, ma m'imposi di restare lucido: nessuna visione si era ripetuta e, se questa tornava da me, doveva racchiudere un messaggio importante; magari, legato alla mia richiesta.
Il fanciullo era diverso da come lo ricordavo. I suoi lineamenti restavano infantili e cesellati, però, adesso erano accentuati dal trucco, la pelle aveva il candore delle nuvole e i boccoli luccicavano grazie alla polvere dorata che una donna gli stava spalmando sulla testa. Appena ebbe terminato, fece per mettergli una corona d'alloro.
«Non la voglio» si scansò lui «Non intendo esibirmi.»
"Un attore" ansimai, ripensando alle parole di Cornelio. Era un indizio.
«Basta» replicò la donna, pacata eppure risoluta «Abbi un briciolo di pazienza e...»
«Piuttosto uccidimi, se hai il coraggio.»
«Non dire sciocchezze» tentò nuovamente di adagiare l'alloro sul capo del fanciullo e io strizzai gli occhi in cerca di somiglianze tra i due.
«Ebbene?» s'intromise una terza figura, un uomo sulla quarantina dal viso rubizzo e il ventre prominente «È pronto il nostro Apollo?».
Il Dio delle Muse, protettore dei poeti e padre dei medici: un altro indizio.
«Meraviglioso! Una gemma rara» proseguì lui, sfiorando con un dito le labbra del bambino «Perché non indossi l'alloro?»
«Non lo voglio.»
«Ha detto anche che non reciterà» aggiunse la donna.
«Come, prego?» nel suo tono mellifluo sembrava celarsi una minaccia e, per un istante, il fanciullo fu scosso da un tremito. «Tu, ora, andrai su quel palco. Ballerai, declamerai i versi che ti ho assegnato e mostrerai il tuo bel faccino agli invitati.»
«Quanti?» s'informò la donna. Cercava di sorridere, ma la voce spezzata tradiva l'angoscia che provava.
«La sala è piena.»
«No. Quanti intendono...»
«Non ne ho idea!» tagliò corto l'uomo «Quattro, forse cinque.»
«E non sono troppi per uno della sua età?»
«Si abituerà» arricciò il naso, disinteressato «Al massimo, fagli mangiare questo a fine esibizione».
Aguzzai la vista, sperando di cogliere il terzo indizio. Pareva un impasto di pesce, però, non avrei saputo descriverlo.
Intanto, l'uomo aveva fermato la corona d'alloro sulla testa del fanciullo. «Tieni» esclamò in tono sbrigativo, passandogli una cetra.
«No!»
«Ma tu, stasera, sei Apollo» rise lui «Il Dio della poesia». Gli mise lo strumento in mano e lo accompagnò verso il palco. «Dimmi, cosa fa Apollo?»
«Porta la peste tra coloro che non lo rispettano.»
«No, sciocchino! Apollo canta.»
"Canta... e uccide" feci in tempo a pensare, prima che l'uomo spingesse il bambino in scena e io mi destassi dal sogno.
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