CAPITOLO 5 - LUNGA VITA AL RE
Fissavo l'orizzonte seduto sulla riva del Tevere, col Sole che mi accarezzava la schiena. I sandali erano posati alla mia destra, i piedi immersi nell'acqua e lo sguardo perso nei giardini che si aprivano oltre quel confine naturale. "Gli Horti di Cesare" sospirai, scosso da un tremito. Era laggiù che risiedeva Cleopatra, rispettando la legge secondo cui un sovrano straniero non poteva abitare al di qua del fiume. Per il Senato, tenerla distante serviva ad arginare la sua influenza; eppure, i romani ne parlavano di continuo: la regina si era insinuata nei discorsi di politica, tra le chiacchiere delle matrone e nei sogni di molti giovani. Stesso valeva per la sua reggia specchiata sul Tevere. Cleopatra aveva portato con sé un frammento d'Egitto, trasformando un terreno modesto in una corte lussuosa. E io potevo vantarmi di esserci stato.
Tesi le labbra in un sorriso, lasciando che i ricordi mi riempissero la mente. Ricordavo il barcone ormeggiato al molo, l'enorme statua di un guerriero gallico, i miti dipinti sulle pareti, il profumo dei pini disseminati intorno all'abitazione e i movimenti leggiadri dei danzatori.
Se non capisco, traduci, mi aveva pregato Cornelio, per nulla sicuro della sua conoscenza del greco.
Con quale stratagemma fosse riuscito a farci entrare nella reggia restava un mistero, e furono altrettanto enigmatiche le storie che ascoltai narrare da un certo Asinio Pollione: destini scritti in un libro ultraterreno, un'alleanza tra Dio e gli uomini, un Messia capace di mutare il corso del Tempo. Pollione li riportava come aneddoti esotici, ma io ne ero affascinato. Forse, quelle leggende e il mio percorso d'iniziazione conducevano alla stessa meta.
"Magari, il fanciullo è un... in che modo li ha chiamati? Ah, sì: un angelo" socchiusi le palpebre e i ricordi divennero più vividi. Sentivo le risate, la musica, le danze e le poesie. Poi, di colpo, un unico dettaglio divorò tutte le altre memorie: i cavalli nei giardini. Me li aveva indicati Cornelio. Non sono animali qualsiasi! aveva aggiunto, Hanno varcato il Rubicone insieme a Giulio Cesare. È emozionante, vero?
Mi ero voltato subito per ammirarli, ma i miei occhi non avevano visto pasciuti animali allo stato brado e la magia della reggia si era tramutata nell'ennesimo incubo.
"Cadaveri smagriti" pensai, maledicendo il dono con cui ero nato "Perché non c'è mai un presagio di gioia? È possibile che ogni visione trasporti gli orrori del Tartaro?" allontanai i ricordi in fretta, tornando a un Presente meno oscuro. "Oggi è un giorno di festa" ripetei tra me "Parlerò della visione e delle leggende di Giudea ai miei maestri di Vicus Tuscus: adesso, non c'è spazio per la paura del Domani".
«Cornelio si aspetta che compri del buon vino» mormorai, senza smettere di fissare gli Horti di Cesare «Dovevo chiederlo a mia madre. Valerio ha una cantina ben fornita, però...» scossi il capo e mi girai verso Volumnia, accovacciata accanto a me «Sei sicura di non voler festeggiare con noi?»
Lei inarcò un sopracciglio. «Ed essere la causa di una lite tra te e il tuo intransigente amico? Suvvia, sii realista: vi rovinerei la giornata» non feci in tempo ad aprir bocca, che Volumnia proseguì più seria «In verità, non amo la celebrazione di Anna Perenna. Né il caos che si creerà dentro il bosco sacro: schiamazzi, avanzi di cibo ovunque, filastrocche volgari e centinaia di ubriachi pronti alla rissa. No, grazie.»
«Non ti sentirai sola?»
Volumnia posò la testa sulla mia spalla. «La solitudine è un'ottima compagna, quando vivi a Roma da sempre. Presto o tardi, persino Cleopatra verrà soffocata dalle spire della Repubblica. Ora la acclamano; domani... chissà. Fossi in lei, eviterei di attraversare il Tevere. Anzi, farei di tutto per ripartire» attese un istante, poi abbozzò un sorriso e si raccolse le lunghe chiome dorate «E per nessuna ragione al mondo girerei con le sue strane acconciature!»
«Saresti bella comunque.»
«Attento a ciò che dici, mantovano. Finirò per credere alle tue menzogne.»
«Io non...».
«Sssh» Volumnia tornò ad accoccolarsi su di me e restammo lì, a goderci un'alba insolitamente tiepida per quel periodo dell'anno.
In momenti simili, le preoccupazioni diventavano distanti, compresa la nuova famiglia di mia madre, Vicus Tuscus e le visioni: non una nube incupiva il cielo, i gorgoglii del Tevere parevano il canto di un dio gentile, gli Horti racchiudevano una scheggia d'Egitto su cui amavo fantasticare e la donna al mio fianco sembrava davvero una creatura scesa dall'Olimpo. Fu difficile trovare la forza di rialzarmi, ma i doveri chiamavano a gran voce e Cornelio non meritava di aspettare troppo a lungo. Indossai i sandali, mi stiracchiai un po' e tesi una mano alla mia amica «Se cambi idea...»
«Va', Virgilio! Altrimenti, venderanno anche gli ultimi sospiri di vino e tu rimarrai a mani vuote». Volumnia mi studiò divertita sbattendo le ciglia, ferma sull'argine del fiume.
Incrociai quello sguardo seducente, mentre raccoglievo un fiore di pervinca e glielo mettevo tra i capelli, proprio all'altezza dei suoi splendidi occhi blu. «Sei più testarda di Flacco» sbuffai, prima di dirigermi verso il centro città.
Per quasi un'ora vagai tra le botteghe. I prezzi erano oltremodo alti e, più mi avvicinavo al colle Palatino, più perdevo la speranza. "Dovremo realmente unirci al banchetto di Valerio?" pensavo sconsolato, figurandomi un pomeriggio ad ascoltare aneddoti non richiesti "Forse, Quinto accetterà... macché! Sarà da sua madre e, se per caso verrà ai festeggiamenti pubblici, passerà il tempo con la famiglia".
Continuai a esaminare il paesaggio circostante. Il cielo era terso e la gente in subbuglio. C'era chi si preparava alla processione, chi radunava le vivande e chi discuteva di affari pubblici.
«Il Senato si riunirà nella Curia di Pompeo» sentii bofonchiare «Un affronto, non trovate?»
«Scommetto che è stato il fantasma del console a inviare i malesseri a Cesare» replicò un secondo «Voleva tenerlo alla larga da un luogo di sua proprietà.»
«Poco importa! Il dittatore ha scelto di presenziare in ogni caso.»
Seguì la risata soffocata di un terzo uomo. «Non mi sorprende affatto!» dichiarò con una punta d'orgoglio «Date retta a un veterano che ha seguito Cesare in Gallia. Pompeo può scagliargli contro l'intero Oltretomba: non riuscirà a fermarlo.»
«Però, devi ammettere che il dittatore stesse parecchio male stanotte.»
Tesi l'orecchio. Giravano tante voci sulla salute precaria di Cesare e i miei studi magici gettavano un'aura oscura sulla faccenda. Ricordavo perfettamente quanto udito in Tessaglia: l'uomo che ora reggeva Roma sarebbe deceduto poco dopo Pompeo, nei pressi del Tevere. "Il dittatore non ha molto tempo" ragionai "Forse è malato, morirà a breve e noi torneremo alle istituzioni repubblicane... Ma sarà un bene?" avevo sentimenti contrastanti. Roma vacillava e Cesare era un pilastro saldo; eppure, agiva più da sovrano che da primo tra pari e aveva distrutto la vita di Sesto. "Despota sanguinario o governante illuminato? Qual è il suo vero volto?" non sapevo rispondere, e mi avvicinai al gruppo per cogliere qualche dettaglio. «Dunque... il dittatore non è rimasto a casa?» domandai impacciato.
«Ha lasciato l'abitazione all'inizio dell'ora quinta» esclamò il veterano, gonfiando il torace «Pare che, lungo il tragitto, sia stato fermato da un indovino e da uno servo sconosciuto.»
«Lo spettro di Pompeo ha mandato mille impedimenti per allontanarlo dalla curia!» ridacchiò un secondo «Maghi, biglietti misteriosi, malanni... addirittura sogni funesti a quella pover'anima di Calpurnia! Come se la moglie di Cesare non avesse già abbastanza pensieri, con Cleopatra dall'altra parte del fiume.»
Poi, il discorso si spostò sulla regina d'Egitto, il suo fascino e le nuove usanze importate nell'Urbe, fossero il culto della dea Iside o l'insolita moda di legare i capelli stretti dietro la nuca. Era una conversazione vivace, in cui la politica si colorava di racconti goliardici, finché delle grida in lontananza non ci fecero tacere.
Il veterano grugnì seccato. «Vuoi vedere che hanno rubato lo scudo di Marte?» brontolò, scrollando la testa «I giovani non hanno rispetto per gli Dei e...»
«Chiudete le tabernae!» sbraitò un uomo in corsa.
Ne seguì un secondo. Un terzo. Un quarto. Dopo persi il conto. Intanto le urla aumentavano, confuse e potenti come un mare in tempesta. «Mettetevi al riparo! Sbarrate tutto!» ci ammonivano individui sempre più angosciati. Il terrore impresso nei loro occhi si riversava tra mercanti e bottegai. Osservavo i sorrisi spegnersi a uno a uno, mentre ubbidivano agli ordini senza nemmeno chiedersi il perché. Chiudete le tabernae, avevano detto. Non c'era spazio per l'interpretazione: dovevano bloccare ogni porta.
Il mio cuore cominciò a battere all'impazzata, quasi sperasse di fuggire insieme al resto della folla. «È... una... visione?» boccheggiai.
La gente scappava e chi non era abbastanza veloce trovava rifugio nei vicoli bui. «È morto!» singhiozzavano «Stanno arrivando!»
"Cosa significa?" ero sul punto di nascondermi anch'io, quando fui scosso da una consapevolezza improvvisa. "Cornelio verrà a cercarmi!" Roma era nel caos e iniziavo a udire rumori di spade e bastoni. Furti, abusi, vendette personali... qualunque atrocità sarebbe stata lecita e il mio amico rischiava di mettersi nei guai. "Devo andare a casa. Devo farlo al più presto".
Da piccolo avrei pregato gli Dei, ma ormai li sentivo estranei e conoscevo altri mezzi per placare i miei sensi. Infilai una mano nella sacca che portavo a tracolla, cercando a tastoni l'infuso di papavero. "Un briciolo di quiete varrà più di un'inutile supplica" trattenni il respiro e ne bevvi un sorso, poi cominciai a camminare nella direzione del Campidoglio, la stessa da cui il popolo fuggiva. Procedevo rasente ai muri, stringendo il borsello e sforzandomi di non attrarre l'attenzione. Intanto, contavo i passi.
Cinquanta.
Cento.
Mille.
"Arriverò in tempo?" il mio cuore stava per scoppiare. Non era come nei poemi omerici, in cui Tempo e Spazio si fermavano per ammirare combattimenti tra grandi eroi. E non era neppure come in Tessaglia, dove un fiume mi separava dagli scontri e bastava girare la testa per allontanarsi dal sangue. Stavolta non potevo serrare le palpebre, tapparmi le orecchie e sperare che la guerra non mi toccasse. Ci sei dentro, Publio. Sta accadendo qualcosa di cui parleranno per generazioni. Estrassi di nuovo l'infuso, lo ingoiai fino all'ultima goccia e corsi a casa.
«Siano ringraziati gli Dei!» Cornelio mi gettò le braccia al collo e, appena fui dentro, sbarrò la porta con un tavolo.
«Cos'è successo?» ansimai, accasciandomi a terra «Chi è morto?»
«Cesare.»
Impallidii. «È uno scherzo?»
Cornelio fece segno di no. Il suo viso era bianco quanto il mio e la voce uscì in un sospiro pieno di paura. «L'hanno ucciso durante la riunione del Senato... o così si dice.»
Fu l'unica informazione che ebbi per l'intera giornata. C'erano altri morti o feriti? Stava iniziando una guerra civile? La mia famiglia era in pericolo? Non potevo saperlo.
Io e Cornelio passammo dei viveri agli inquilini del piano di sopra e bloccammo il passaggio tra le abitazioni: qualche frase amichevole scambiata di sfuggita non era sufficiente per lasciare collegamenti tra noi e loro. Realizzai in quel momento che il sangue non chiamava soltanto sangue, bensì incertezze, diffidenza e centinaia di cattivi presagi.
Mangiare fu difficile. Dormire, impensabile. Consumammo le ore a sbirciare dalle finestre, ansiosi di comprendere. Se qualcuno si avvicinava troppo, però, facevamo subito tre passi indietro. Al secondo giorno, però, Cornelio prese il mantello.
«Non possiamo stare rintanati come topi in eterno!» sbottò «Adesso esco.»
«Aspetta!»
«No, Virgilio! Voglio capire la situazione, voglio vedere i miei genitori, voglio...»
«E se ti aggredissero? Lascia almeno che venga con te» cominciai ad allacciare i sandali, ma lui mi fermò.
«Sei pazzo?! Razzieranno la casa, se si accorgono che è vuota.»
«Gli abitanti dei piani superiori...»
«Saranno i primi a derubarci, nella migliore delle ipotesi» Cornelio abbassò la voce «E se s'insediassero qui dentro? Col caos attuale, farli sloggiare sarebbe un'impresa: a loro basterebbe sostenere di essere gli affittuari e nessuno perderebbe tempo a indagare, mentre la Repubblica collassa. Non corriamo un rischio simile.»
Aveva ragione. Abitare presso il Circo Massimo significava vivere in un quartiere affollato e poco sicuro. Sebbene pagassimo un generoso affitto per una domus spaziosa, non potevamo fidarci né degli altri inquilini né tantomeno della gente in strada.
«Io vado. Tu resti» ribadì Cornelio «Manderò il liberto di mio padre ad avvisarti che sono arrivato sano e salvo.»
Annuii incerto, lo guardai uscire e continuai a fissare la porta chiusa. «Maledizione!» sospirai tra me «Perché non potevamo rimanere insieme?». Spostai il giaciglio nell'atrium per sorvegliare l'ingresso e m'imposi di non cedere all'angoscia. Ero affamato e non riuscivo a mangiare, stanco e incapace di dormire, preoccupato e senza infusi con cui lenire i timori.
"Non posso nemmeno praticare la magia" sbuffai esausto "Ho giurato di non farla entrare nella casa di Cornelio, ma... ne ho bisogno. È possibile che non ci sia nient'altro capace di darmi sollievo?!". Presi a vagare per le stanze come uno spettro, finché non adocchiai le tavolette d'argilla impilate nello studiolo.
Sei solo, Publio, sibilavano le voci nella mia testa, Vuoi qualcuno a tenerti compagnia? Devi crearlo tu.
Sfiorai la superficie fredda dell'argilla col fiato sospeso. Erano anni che non inventavo storie. Niente più favole, mi ero ripromesso prima di venire a Roma. Tuttavia, più tentavo di guardare altrove, più i miei occhi s'inchiodavano sulle tavolette, scorgendo milioni di versi soltanto pensati. «Avete vinto.»
Lasciai che fosse la fantasia a guidarmi e riempii di frasi sconnesse ogni spazio vuoto. Non rilessi nulla: l'importante era scrivere. Poi, sul calar della quarta sera dalle Idi di Marzo, udii battere all'uscio. Afferrai un bastone e mi avvicinai in punta di piedi. "Magari, qualcuno ha colpito la porta per sbaglio. Magari si divertono a spaventarmi".
Bussarono di nuovo, ancora più forte.
"Potrebbe essere Cornelio?" non aveva senso, ma sperai che il mio amico fosse tornato. Dopo, riconobbi una voce nota.
«Virgilio, ti prego, apri!»
"Quinto?" il mio ex-compagno aveva bisogno d'aiuto. Lo sentivo dal tono affannato. Posai il bastone e socchiusi la porta.
«Voleva te» ansimò, spingendo i battenti verso l'interno «Sta male... Mio padre... credeva sapesse...» si trascinò nell'abitazione sorreggendo una giovane coperta di sangue e col volto tumefatto.
Sgranai gli occhi. «Volumnia?!»
NdA
A dicembre si è tutti più buoni, ma io mi sono tuffato nelle Idi di Marzo... Ops! Scusate per il capitolo decontestualizzato e grazie mille di essere qui. Il fatto che mi sopportiate ancora è meraviglioso *_* Non mi stancherò mai di dirlo MA, dato che sono un rompiscatole, ecco un sacco d'informazioni non richieste:
1) Vacanze romane per Cleopatra! Eh già, la Regina d'Egitto ha abitato a Roma dal 46 al 44 a.C. (molto probabilmente, in maniera discontinua), stando negli Horti che Cesare aveva acquistato in Trastevere per fare un po' di vita contadina e per metterci i cavalli VIP. Poi ci ha messo l'amante... vabbè, dettagli;
Calpurnia (aka la moglie legittima di Cesare): dettagli un cavolo!!!
2) Ci sono alcuni articoli secondo cui Virgilio e Orazio frequentavano la corte, però non li ritengo affidabili, soprattutto considerando che all'epoca Orazio studiava ad Atene col figlio di Cicerone-famoso. Ha molto più senso ipotizzare che Virgy ci sia entrato grazie ai suoi legami e sia stato un evento più unico che raro. In quanto a Pollione, sarà importante per Virgilio-poeta, nonché vicino alla cultura ebraica (considerate che Erode -sì, quello che odiava Mr. G.- gli ha affidato per 6 anni l'istruzione dei figli);
3) Tra i mille presagi sulla morte di Cesare abbiamo pure i cavalli suicidi. In pratica, gli animali con cui aveva attraversato il Rubicone mentre diceva "alea iacta est" si sarebbero lasciati morire poco prima delle Idi di Marzo. Virgy, come al solito, si è fatto spoiler;
1) La congiura è avvenuta nella Curia di Pompeo (LOL ironia della sorte) e l'indovino a cui accenno era Spurinna, che aveva messo in guardia Cesare dalle Idi di Marzo;
2) Nell'Antica Roma, molti vivevano in affitto e i ricchi prendevano il piano-terra, con spazi maggiori nonché tanti confort. I piani superiori erano lasciati ai più poveri e capitava, se c'erano ritardi coi pagamenti o per altri motivi, che venisse bloccata la discesa al pianterreno, confinando quella gente dentro casa.
Ci sarebbe tantissimo da dire, però la smetto e, oltre a rinnovare un enorme grazie a chi mi sopporta (specialmente quei lettori/amici/scrittori senza cui Wattpad non avrebbe lo stesso gusto <3), vi auguro un buon inizio di dicembre!! Oh oh oh!
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