Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

CAPITOLO 3 - STORIE DI MEZZANOTTE

I giorni passarono in fretta, però la fama di straniero sempliciotto mi rimase incollata addosso. Avevo imparato a nascondere il mio animo e a reprimere la fantasia, ma non avrei mai pensato di sentirmi a disagio persino per come parlavo. Ed ero così concentrato a correggere l'accento che, se interpellato, finivo per non dire quasi nulla. Almeno, stando a Epidio, gli esercizi per sistemare i problemi di pronuncia stavano dando qualche frutto.

«Il rhetor» sbuffai, girandomi dall'altra parte del letto. Esisteva un modo per impressionarlo? Lui non era come Ballista: Epidio manteneva un'ineccepibile professionalità con tutti i suoi allievi, non gridava mai e lasciava ai servi l'uso della violenza, eppure mi fissava spesso con disprezzo, scuotendo il capo. Era evidente che non mi reputasse all'altezza dell'accademia. Era evidente a me e lo era ai miei compagni, per cui non esistevo affatto.

Poi c'era lui.

Ogni volta che incrociavo il ragazzo dai capelli ramati, perdevo il controllo. Restavo immobile, zitto, mentre il sangue fremeva e il respiro si faceva corto. Gola secca, dolore allo stomaco, formicolio nelle dita... avrei potuto descrivere a uno a uno i sintomi di quella malattia che mi divorava come un incendio.

«Una fiamma» bisbigliai, scivolando fuori dal letto. "Se solo riuscissi a parlargli" mi avvolsi in una coperta e avanzai verso i portici "Almeno potrei comprendere, potrei..." i miei pensieri furono interrotti da un vociare poco distante.

«Dobbiamo trovarlo!» esclamò quello che identificai subito essere il figlio di Cicerone, un ragazzino strafottente ma dotato di un'arguzia che anche Epidio era stato costretto a riconoscere. «Approfittiamo della luna piena.»

«Non saprei» bofonchiò un secondo «Abbiamo già tentato tre volte! Tu cosa ne pensi, Catone?»

Seguì un lungo silenzio e io stesso trattenni il fiato. "Marco Catone. L'alunno brillante, il figlio devoto, il cittadino modello" mi dicevo, con un misto di ammirazione e invidia. Lui era tutto ciò che avrei voluto diventare: sempre elegante, sempre al posto giusto; rispettato dai compagni e amato dai famigliari. Qualsiasi risposta avrebbe dato, il resto del gruppo l'avrebbe appoggiata. Marco, però, continuava a tacere.

«Suvvia!» sbottò Quinto Cicerone «Useremo una strategia diversa. Non pensate sia... eccitante?»

«Parli così perché sei immaturo» sentenziò Marco «Qualcuno potrebbe accusarci di star usando la magia e io, a differenza tua, non indosso più la bulla. Non intendo finire sotto processo per uno studio azzardato.»

«La verità è che non ne sappiamo niente: ci servirebbe un esperto.»

"Per gli Dei, è lui!" mi coprii la bocca con entrambe le mani.

«Col rischio che lo scoprano i nostri genitori?» ora, la voce di Marco era preoccupata «È fuori discussione, Sabino!»

"So il suo nome" finalmente non sarebbe più stato il ragazzo dai capelli ramati.

«Se dobbiamo provare un'ultima volta, lo faremo da soli» Marco Catone emise un sospiro «Purtroppo, al prossimo plenilunio, sarò da mia sorella.»

«Portala con noi» propose Quinto «E io chiederò a Sesto di unirsi.»

«Il figlio del console accetterà?»

La voce di Sabino aveva un suono gradevole. Non riuscii a reprimere quel pensiero e le mie guance si tinsero di un lieve rossore. Mentre loro proseguivano la discussione, io sentivo i battiti del cuore rimbombarmi nelle tempie. "Apprezzano la magia" mi dicevo "Desiderano scoprirne i misteri". Era la mia occasione.

Tornai in fretta a dormire e, al pranzo seguente, ne parlai con Cornelio.

«Hai sei giorni per avvicinarli» mi spronò lui «Puoi farcela.»

Nella popina gli diedi ragione, convinto che avrei parlato con loro quella sera stessa. Dopo, i giorni divennero cinque, quattro, tre, due...

Osservai il Sole sorgere per la sesta volta dalla notte in cui avevo ascoltato la conversazione. «Lo farai oggi» mi ordinai «Niente più scuse». Indossai la toga, controllai di essere in ordine e ben pettinato e uscii a passo spedito.

Sabino trascorreva gran parte del tempo libero a leggere nel cortile centrale e lo trovai in pochi minuti. Presi un respiro profondo, raggiunsi il punto in cui era seduto e feci per accomodarmi al suo fianco; poi passai oltre, continuando a camminare fino al lato opposto del giardino. Non avrei mai raccolto abbastanza coraggio per parlargli; tuttavia, il Fato venne in mio soccorso e mi fece scontrare con Quinto Cicerone.

«Stai più attento» mi redarguì lui, sollevando gli occhi dalla pergamena che stava consultando.

«S... scusami». Avanti, chiediglielo! urlò una voce dentro di me, questo ragazzino non ti confonde come Sabino. «Cosa leggi?» riuscii a farfugliare dopo un attimo di esitazione.

Quinto fece spallucce. «Storie di fantasmi» minimizzò «Stregoni, mostri... nulla che Epidio troverebbe formativo.»

Era l'attimo ideale e decisi di coglierlo. «Al Nord» esordii non troppo sicuro «Si narrano molte leggende simili. La mia terra pare persino nata dalla magia.»

Gli occhi di Quinto brillarono. Mi fece qualche domanda per accertarsi che fossi sincero e che non avrei rivelato nulla al rhetor, poi m'invitò ad andare con loro. Fu così che, quella sera, infilai nella sacca una coperta e qualcosa da mangiare e mi diressi fuori dall'accademia.

«Lui è Virgilio» Quinto accennò a me con un gesto teatrale «La sua gens non è celebre, ma conosce i segreti che si sussurrano al Nord e, stando a lui, Mantova non ha mai sciolto il legame con la sua fondatrice.»

Sorrisi, mentre stringevo la mano ai membri del gruppo. Non ero mai stato tanto apprezzato e sapere che Cornelio ci avrebbe presto raggiunti m'infondeva sicurezza. Solo quando dovetti presentarmi a Sabino, distolsi lo sguardo.

«Manto era la figlia di Tiresia?» s'informò lui «Viveva nel palazzo di Antigone, è corretto?»

Annuii, sforzandomi di non arrossire. "La conosce" pensai esterrefatto "E non sembra odiarla". Al contrario, pareva interessato a ciò che potevo insegnare. Gli Dei, per una volta, erano dalla mia parte. O, almeno, lo credetti finché Cornelio non pronunciò una frase a mezza voce.

«Perché varchiamo il pomerium?»

Stavamo superando le mura cittadine. Come avevo fatto a non accorgermene?

«Non è pericoloso?» chiese ancora il mio amico «Possiamo discutere di metamorfosi anche all'interno dell'Urbe

«L'ultimo avvistamento è avvenuto nei pressi della necropoli» s'intromise Marco Catone, mantenendo l'abituale tono compassato «Vogliamo vedere se ci sono impronte recenti.»

«Impronte? Avvistamento?» Cornelio cercò una risposta nel mio sguardo. «Non dovevamo studiare il mito di Tiresia?» mi sussurrò all'orecchio.

«C... credo di sì...» balbettai. Il padre di Manto aveva mutato per due volte aspetto e i dettagli di quella storia avrebbero aiutato i miei compagni a comprendere un caso di cronaca che riguardava i sobborghi di Roma. Questo mi era stato spiegato.

«Passeremo la notte nella necropoli» mise in chiaro Marco Catone «Dicono che il licantropo si trasformi laggiù e, mentre aspettiamo di vederlo, studieremo i testi che abbiamo portato.»

«Oppure, potremmo intrattenerci con una nocticula» ridacchiò Quinto «Mio padre sostiene che sia come scendere nell'Ade senza bisogno d'infrangere la Legge.»

Il figlio del console sgranò gli occhi. «Dormono davvero nelle tombe?» s'informò incuriosito.

«Certo! E il cliente mette due monete sulle loro palpebre.»

«Sono gelide? Hanno voci da Oltretomba? Fanno...»

«Basta così!» intervenne Marco Catone «Non pagheremo una prostituta della necropoli. È squallido e amorale.»

«Sono parole tue, o ripeti gl'insegnamenti paterni?» sibilò Quinto «Vuoi anche arrivare vergine al matrimonio e cedere tua moglie al primo amico che la reclama?»

Io e Cornelio ci scambiammo un'occhiata, tentando d'ignorare il diverbio. Eravamo confusi, frastornati e non volevamo sfidare spettri e lemures passando una notte tra i defunti.

«Scusami» mimarono le mie labbra senza emettere suono «Non sei costretto a restare.»

Lui ci rifletté su. Non sapeva cosa aspettarsi e, forse, stava mettendo in dubbio la nostra amicizia; tuttavia, si limitò a girare la testa dall'altro lato e continuò a seguirci, fin dentro la città dei morti, dove i letti erano dure pietre e la volta celeste vegliava su una landa silenziosa.

A chi ruba i chiodi di questo giaciglio: possano essergli spinti negli occhi, trovai scritto su una lapide. Le leggi assurde della Morte me l'hanno strappato dalle braccia, vidi inciso poco oltre.

Con che diritto andavamo a disturbare i defunti? La confusione che annebbiava i miei sensi mi aveva reso avventato e sciocco. "Cosa speravi di ottenere?" mi chiesi "Perché uno sconosciuto è in grado di guidare le tue scelte, Publio? Non ha senso".

«Trattenete gli starnuti e non annodate niente!» ci ricordò il figlio del console.

«E non chiamate tre volte gli spiriti» aggiunse Porzia.

Adesso avanzavamo tutti con circospezione. Perfino Quinto aveva perso il sorriso spavaldo e nessuno osava più parlare d'insolite prostitute, né tantomeno d'impronte o avvistamenti. Cercammo uno spazio in cui sederci e, acceso un fuoco, Marco Catone prese la parola: «I greci sostengono che Apollo si tramuti in lupo e noi stessi abbiamo un legame inscindibile con questa creatura , però...» fece una pausa, dandomi il tempo di osservare i presenti. Per loro non era altro che un gioco emozionante. Forse, la leggenda del licantropo era solo una scusa per sfidare i limiti.

«La follia animalesca che affligge alcuni concittadini è pericolosa» ricominciò Marco, raccogliendo le pergamene che ciascuno aveva portato «Un licantropo distrugge i raccolti, divora cani e galline e terrorizza le periferie. È nostro compito scovare nei miti delle risposte. Come si trasforma? A che demoni si rivolge? La mutazione è reversibile una volta per tutte?»

Consegnai anch'io il rotolo su cui avevo appuntato la storia di Tiresia.

«I licantropi bevono sangue umano?» domandò d'un tratto Sabino.

«No!» rispose in fretta il figlio del console «Lo fanno i morti».

«Non soltanto, Sesto» replicò Porzia.

Seguì un lungo silenzio. Sembrava che tutti avessero in mente un nome e non osassero pronunciarlo.

«Lucio Sergio Catilina» dichiarò Cicerone infine «Traditore, assassino, avverso a ogni valore repubblicano e cannibale.»

«Catilina non era un licantropo» intervenne Marco Catone «Parleremo di lui a scuola, discutendo di politica». Aspettò un istante e iniziò a sfogliare le pergamene «Partiamo dalle annotazioni di Sabino: suo padre ha seguito la denuncia del mercante a cui hanno decimato il bestiame e potremmo trovare dettagli su cui riflettere durante le altre letture.»

I ragazzi annuirono subito e sia io che Cornelio imitammo il loro movimento del capo.

«Che i vivi parlino dei vivi, e i morti dei morti» concluse Porzia «Catilina rimanga a bruciare nel Tartaro.»

Marco Catone le sorrise e si schiarì la voce. Io, intanto, mi avvolsi nella coperta, spostando lo sguardo su Sabino. Teneva le labbra serrate, le palpebre socchiuse e le sopracciglia lievemente aggrottate, sfregandosi di tanto in tanto le mani per darsi un po' di calore.

"Devo smettere di fissarlo" mi ordinai, rivolgendo l'attenzione al resto del gruppo. Marco era immerso nella lettura; la sua voce era ferma, per nulla spaventata dalla situazione o dal luogo in cui eravamo. E così Porzia, appoggiata alla spalla del fratello. Il figlio del console, invece, non faceva che cambiare posizione, stando attento a non intrecciare le dita e a non creare involontariamente qualche nodo. Cornelio ascoltava immobile, Quinto aveva iniziato a sgranocchiare una focaccia e l'uomo insanguinato gli era seduto accanto con un'espressione divertita.

"L'uomo insanguinato?!" mi stropicciai gli occhi e guardai di nuovo. «Chi... chi è lui?» balbettai, indicando lo sconosciuto.

Cornelio mi abbassò la mano. «Il figlio di Quinto Tullio Cicerone.»

«L'uomo di fianco.»

«Non c'è nessuno!» soffiò spazientito «Smettila.»

"Una visione" sentii il cuore battere più forte "Non adesso!".

«Non sono una visione» rispose lo spettro, leggendomi nell'animo «Avete pronunciato il mio nome tre volte e ora vi stupite se siedo con voi?»

"I fantasmi non salgono dall'Oltretomba in questo modo" scossi il capo terrorizzato "È una visione". Più mi ripetevo che non fosse reale, più lui acquisiva consistenza. Lo vidi alzarsi e segnare a uno a uno le fronti dei presenti. «Cornelio, spostati!» sussultai, un attimo prima che l'ombra gli macchiasse il capo di sangue.

«Moriranno tutti di morte violenta» dichiarò lo spettro, trattenendo una risata.

Balzai in piedi. «Non toccarmi!»

«Cosa ha visto?»

«Un serpente?»

«Sta facendo uno scherzo?»

Osservai di nuovo Cornelio. «Perché non riesci a vederlo?»

«Vedere chi?»

Intanto, l'ombra tendeva una mano verso di me, deciso a segnare anche il mio viso.

Indietreggiai, inciampando in uno dei cespugli che infestavano la necropoli. «Non toccar...» non feci in tempo a terminare la frase, che avvertii centinaia di respiri affannati. La nebbia intorno a noi divenne più densa e, al suo interno, si disegnarono le sagome deformi di tanti volti. Bisbigliavano parole sconnesse, minacce, suppliche e racconti di tempi lontani.

«Andate via» singhiozzai, indietreggiando ancora. Ormai non prestavo più attenzione ai miei compagni: l'unica cosa che distinguevo erano quei lemures che mi reclamavano.

«Narra la nostra storia, Virgilio.»

«Oppure seguici» l'ombra di Catilina mi tese la mano «Per sempre.»

Dovevo scappare; rifugiarmi in un luogo sicuro, dove la Morte non mi avrebbe trovato.

Fuggi, gridava il mio cuore, mettiti in salvo.

E non mi fermai. Corsi con gli occhi puntati in avanti e le mani premute sulle orecchie, finché non raggiunsi la casa del nonno.

«Stupido, stupido dono!» bloccai la porta col mobile più pesante che riuscii a sportare e mi trascinai nella mia stanza. «Dei immortali, perché siete tanto crudeli?» senza nemmeno accorgermene, cominciai a singhiozzare «Non ho chiesto di nascere con un dono. Non ho chiesto di essere speciale». Ero stanco. Sfinito. Non volevo vedere scorci del Futuro, né udire i sussurri dei fantasmi, né interpretare messaggi celesti. «Conoscere un'anima affine» ansimai, davanti all'unica finestra della camera «Essere felice. E non rimanere solo. Domando forse troppo?». Sentii sulle labbra il sapore salato delle lacrime; poi caddi sul letto e persi i sensi.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro